La coltivazione parallela delle rose.

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1 . Cos è che fa più speciale un rapporto rispetto ad un altro? Sicuramente, diremo, il tipo di rapporto. C è situazione e situazione, sentimento e sentimento. Ma, in primis, trasversalmente, cos è fa un rapporto più intenso e importante rispetto ad un altro? [La volpe disse:] «Va a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto». Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose. «Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente», disse. «Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo». 1 / 5

2 E le rose erano a disagio. «Voi siete belle, ma siete vuote», disse ancora. «Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa». E ritornò dalla volpe. «Addio», disse. «Addio», disse la volpe. «Ecco il mio segreto. E molto semplice: non si vede bene che col cuore. L essenziale è invisibile agli occhi». «L essenziale è invisibile agli occhi», ripete il piccolo principe, per ricordarselo. «È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante». «È il tempo che ho perduto per la mia rosa...» sussurrò il piccolo principe per ricordarselo. «Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa...» 2 / 5

3 «Io sono responsabile della mia rosa...» ripete il piccolo principe per ricordarselo. Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe. È sempre stata abbastanza diffusa la brutta abitudine di «coltivare» troppe rose tutte insieme. Una abitudine, ultimamente notavo, non solo maschile ma anche femminile. No, non è una questione di agraria e, comunque, tranquilli: la rubrica non si è riconvertita in favore dell agricoltura biologica intensiva (anche se potrebbe essere un idea, visti i tempi di crisi ). Avevo iniziato parlando di rapporti. Il testo citato è uno dei più famosi estratti da Il piccolo principe, opera che, probabilmente, tutti abbiamo letto in tenera età. De Saint-Exupéry con la sua scrittura tanto semplice quanto tagliente risponde subito alla mia domanda iniziale, senza mezzi termini. Domanda: cos è che fa più speciale un rapporto rispetto ad un altro? Risposta: la cura che mettiamo in quel rapporto. Abbiamo, sicuramente, a cuore tutte le persone a cui vogliamo bene. E questo «stare a cuore» è direttamente proporzionale al tipo di rapporto. Lo possiamo misurare con facilità considerando, per esempio, tutte le volte in cui pensiamo ad una data persona durante la giornata. Oppure, contemporaneamente, tutte le volte in cui questo pensiero non è un limitato «venire in mente», ma qualcosa di più intenso, più complesso, che ha che fare con una vera e propria presenza all interno della nostra quotidianità. La teologia cristiana orientale, tra i tanti epiteti che dà a Dio nelle sue varie accezioni, utilizza il termine ierofania per in dicare una presenza divina nascosta (ieròs, in greco, vuol dire tanto sa cro quanto nascosto, misterioso ) presente tanto nella vita quanto in ogni fedele. Per traslazione, le persone che amiamo sono 3 / 5

4 sempre presenti dentro di noi, in una sorta di ierofania continua che, pur non essendo reale, richiamiamo spesso, quasi quotidianamente. È il caso in cui, camminando, per esempio, per strada, notando qualcosa che potrebbe piacere ad un nostro caro immaginiamo la sua reazione davanti a quel maglio, a quelle scarpe, a quel libro. Oppure quando, riferiti a qualche avvenimento, siamo soliti dire «tizio avrebbe detto così, fatto così, etc». Accade, se ci pensiamo bene, anche in riferimento a persone che non ci sono più ma che, letteralmente, hanno lasciato un segno nella nostra vita. La cura, il tempo importante che il piccolo principe spende per la sua rosa, porta in sé la confidenza, la conoscenza profonda, l intimità del rapporto. L attenzione quotidiana, la delicatezza dei gesti, la dolcezza delle parole, ci trasportano, in ogni rapporto che cresce, verso una coscienza più grande, più bella e più forte non solo di quello che stiamo vivendo, ma anche di noi stessi. La verità è che dovremmo sempre provare a capire cosa vogliamo da un rapporto. Perché la felicità non è solo stare bene, ben-essere, la felicità non è statica, non può ritrovarsi in una situazione. Se ci si accosta a qualcuno per solitudine o si pesca a man bassa nel mucchio, tirando fuori quanti più pesci possibili sperando che, su tanti, uno ne resti probabilmente non si cerca davvero qualcosa. Si vuole solo non stare soli. E lo si fa nel peggiore dei modi: illudendo tanti cuori che, magari, ci hanno scommesso davvero contemporaneamente. La piccola vera felicità sta nel costruire la felicità. Non si sarà mai paghi di quello che si vive (ringraziando il Cielo) ma il nostro bisogno di amare ed essere amati ci spingerà sempre oltre. La vera felicità è quella che costruisce, che cresce, che non si abbatte, che cade e si rialza. La felicità è dare felicità, costruire felicità, vivere felicità. Se la cura, quella fera, quella che fa importante una relazione, un rapporto è tanta e richiede tanto tempo non può non essere dedicata ad una ed una rosa sola. L indecisione del cuore è realtà, tutto può succedere. Ma l amore richiede, certamente, una grande dose di onestà. Per cui, se il sentimento è vero e forte, da un certo punto in poi non può non guardare in una sola direzione. 4 / 5

5 Chi si dà alla intensa coltivazione parallela delle rose, probabilmente non sente una vera spinta, una vera emozione in quello che fa. Si ferma al bello e, senza andare a fondo, senza aprirsi al fondo, prende tutto per vuoto, come il piccolo principe quando si rapporta alle altre rose. Probabilmente loro non erano vuote ma, tra quelle rose, non c era quella rosa tanto speciale e tanto importante per lui. Chi finisce per esser coltivata (o coltivato) in questa intensa iniziativa, molto spesso soffre tanto. È triste sentirsi un «tentativo» piuttosto che una parte in causa importante. Dovremmo imparare a pretendere, dagli altri, lo stesso peso per le cose che diamo noi. La solitudine può essere un brutto mostro, è vero, ma non lo si può superare se non coltivando sé stessi. Perché se accetto di provare a dare felicita senza essere, a mia volta, felice. Non si può dissetare se non si è fatto, prima, il pieno alla fonte. Dovremmo ricordarcelo sempre. (adsbygoogle = window.adsbygoogle []).push({}); 5 / 5