NON TIENE CONTO DEL MALE RICEVUTO

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1 PARROCCHIA S. IPPOLITO MARTIRE PARLAMI D AMORE 13 gennaio 2013 NON TIENE CONTO DEL MALE RICEVUTO A mare, amare noi stessi, amarci l'un l'altro: ecco il cuore della risurrezione. E un amore che non esclude nulla e nessuno. Semplice, e di una complessità e raffinatezza infinite. Si tratta infatti di amore reale dell'essere umano reale; e non, per esempio, di un dovere d'amare rivolto a una idea di uomo. C'è però una volontà di vedere e cogliere in ciascun essere umano "colui o colei che Dio ama", cioè la sua capacità di risveglio, la presenza in lui o in lei della luce, anche se totalmente nascosta, il buono, una grande possibilità, la vita che c'è in ciascuno e che forse si risveglierà se verrà pronunciata una parola che sia dono d'amore. Per questo l'amore è sempre nella speranza e nel non-giudizio; lucido, di una lucidità implacabile sugli errori e le debolezze altrui, ma senza lasciarsene prendere, senza rinchiudere, categorizzare, giudicare. Un perdono, che è ben al di là di tutte le banali immagini del perdono, perché è dono che tutto precede e che nulla potrà distruggere. Maurice Bellet L amore è esperienza comune, ma i cristiani hanno forse qualcosa da dare, qualcosa da dire in quest esperienza; non in un rigido modello moralistico, non in uno sforzo sovrumano in cui la coppia si condanna alla fedeltà e all indissolubilità, ma nella ricerca di modelli a partire dal Vangelo, fedeli alla (preziosa) esperienza di duemila anni di cristianesimo. E normale innamorarsi, normale arrivare a scegliere di vivere insieme e di costruire una relazione, è invece una scelta il fatto di volersi amare nel Signore. Il matrimonio e l innamoramento sono eventi dell essere umano, non specifici del cristianesimo. Cosa ha da aggiungere, allora, il matrimonio cristiano? In cosa si differenzia dall esperienza di ogni essere umano che si innamora? Scegliere di sposarsi nel Signore significa anzitutto prendere a modello del proprio amore l amore del Signore Gesù, amarci come egli ci ha amato, cioè fino al dono di sé e questo già indica un modo di amarsi piuttosto particolare. Il nostro mondo parla fino allo sfinimento di autorealizzazione. Quell originale del Nazareno dice, invece, che per vivere occorre spendersi, donarsi, dimenticarsi. Le coppie cristiane hanno poi capito che la decisione di amarsi è volontà di Dio, Gesù ribadisce la centralità della coppia e della famiglia nel progetto di Dio. La coppia è chiamata a scoprire il progetto che Dio ha su di sé, progetto di collaborazione alla Creazione e alla salvezza del mondo. 1

2 In questa logica la coppia è in cammino verso la felicità, insieme cerchiamo la felicità che supera ciò che siamo, la sorgente della felicità è altrove, tu mi sei compagno di viaggio. Questo mette le ali alla coppia: non sei tu la sorgente della mia felicità, non devi sempre stupirmi, sempre esagerare, sempre fare lo splendido, la splendida. Mi sei compagno di viaggio: abbiamo tutta la vita per cercare insieme il senso della vita. San Paolo dice che l amore fra una coppia è segno, simbolo, sacramento dell amore che Dio ha per l umanità. Ogni volta che vedo una delle famiglie impegnarsi per farsi un favore, aiutarsi a tenere il bimbo, incoraggiarsi e farsi una carezza, penso: Ecco come Dio ci ama, donandosi. Semplice e bello, luminoso e straordinario. La scelta di amarsi e di condividere i sogni è una scelta onorabile e da rispettare: si tratta di volere rispondere alla vocazione all amore, ad amarsi condividendo il suo amore in mezzo agli altri, a prendere come modello del donarsi il suo dono crocifisso, a diventare un segno dell amore di Dio per l umanità, un piccolo spazio pubblicitario dell amore di Dio per il mondo. Ribadisco che occorre mettersi in testa di coltivare l amore. L amore, come un fragile albero, va coltivato, irrigato, coccolato, cresciuto. L'amore rispettoso non vuole compiere azioni che feriscono l'altro, cerca di evitare all'altro ogni male. Ma anche questo carattere dell'amore cristiano non ne esaurisce la grandezza. L'amore cresce, cresce fino al perdono. Il perdono è il dono d'amore elevato alla massima potenza. Nel perdono, l'amore non tiene conto del male ricevuto, ma lo dissolve abbracciandolo. La grandezza del perdono è illuminata, per contrasto, nella parabola del servo spietato. Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: "Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: "Paga quel che devi!". Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito". Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello» (Mt 18,21-35). Nel mezzo della parabola, un servo impone all'altro il pagamento del debito. Così, talvolta, avviene nel bel mezzo della vita, quando sorgono i conflitti e l'amore degli inizi è messo alla prova. I conflitti sono di diversa tonalità emotiva e diversamente si manifestano: c'è l'ira che esplode evidente nella violenza verbale e 2

3 persino fisica; c'è il rancore che cova in segreto la vendetta; c'è il lamento continuo che considera l'altro un errore ormai commesso, il male inevitabile; c'è la delusione rispetto a quello che si immaginava di trovare. Alla radice del conflitto c'è un debito. Questo debito - lascia intendere il Vangelo - è reale. Il creditore non sta falsando i conti: l'altro effettivamente gli deve qualcosa. Il Vangelo illumina la vita amorosa e rivela che in amore la situazione non è di perfetta parità: capita che l'uno sia in debito nei confronti dell'altro. Ciò invita a non cadere in un certo idealismo che immagina soprattutto il rapporto di coppia come un patto al riparo da ogni ingiustizia. L'illusione ideale, scontrandosi con la vita reale, si trasformerà prima o poi in delusione e frustrazione. La parabola invita a non negare il debito, ma a riconoscerlo. L'amore è sotto un certo aspetto un debito che si contrae nei confronti dell'altro: l'altro è in debito del dono della mia vita. Questo debito reciproco, assunto per amore, deve fare i conti con i limiti, l'immaturità, le resistenze, le crisi, i peccati che ciascuno, in quanto persona umana, porta con sé. Quando l'altro, invece che vivere come ha promesso, non corrisponde al debito d'amore che liberamente ha scelto, cosa capita? Una possibilità - come si è detto - è il sorgere del conflitto: «Tu mi devi questo e quest'altro, te la farò pagare...». Ma cerchiamo di parlarci chiaro. Non si dà amore senza possibilità di tradimento, così come non si dà tradimento se non all interno di un rapporto d amore. A tradire infatti non sono i nemici e tanto meno gli estranei, ma i padri, le madri, i figli, i fratelli, gli amanti, le mogli, i mariti, gli amici. Solo loro possono tradire perché su di loro un giorno abbiamo investito il nostro amore. Il tradimento appartiene all amore come il giorno alla notte. Riconoscendo il tradimento e passando oltre, il perdono toglie all amore il suo aspetto più infantile, che è l ingenuità e l incapacità di amare appena si annuncia un profilo d ombra. In ogni amore che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze. Senza l esperienza del tradimento, né fiducia né perdono acquisterebbero piena realtà. Il tradimento è il lato oscuro dell una e dell altro, ciò che conferisce loro significato, ciò che li rende possibili. Il criterio della relazione diviene quello della legge da osservare: patti chiari e amicizia lunga. La trasgressione del patto amoroso non si riduce al tradimento, ma contempla innumerevoli modi e sfumature meno appariscenti, e non per questo meno insidiose. Prima che un atto manifesto, il tradimento è realtà che germina nel cuore. Prima che relazione con l'amante, il tradimento è disaffezione verso l'amato. In amore può anche capitare di essere in credito nei confronti dell'altro. La parabola invita chiaramente a non impugnare il proprio credito come un'arma per condannare l'altro. Chi è in credito non solo è invitato a non pretendere il 3

4 dovuto, ma addirittura gli è richiesto di condonare il debito. Prima di affrontare l'obiezione che immediatamente può sorgere - «ma allora, se uno deve sempre perdonare, l'altro può trasgredire come e quando vuole, tanto sarà sempre perdonato...» -, consideriamo il vantaggio dovuto al superamento del puro criterio dell'osservanza dei patti. Il servo insolvente viene buttato in prigione, o addirittura potrebbe essere venduto, cioè ridotto in schiavitù insieme alla moglie, ai figli e ai suoi beni. Questo è l'esatto contrario della logica che l'amore intende promuovere, cioè lo scioglimento di ogni legame di schiavitù per vivere nella libertà reciproca, porsi oltre la logica della legge per vivere d'amore. La condanna del debitore si ripercuote sul creditore: la fine dell'amore priva entrambi del bene più prezioso. Se nella barca si è aperta una falla, è inutile e anche stupido rinfacciare all'altro la colpa. È certamente più saggio e utile mettersi al lavoro insieme per ripararla. L'alternativa è che si finisca entrambi affogati. I gesti dell'amore sono i gesti della gratuità. La massima gratuità è quella del perdono, la forma per eccellenza dell'amore. Nel perdono la gratuità risplende senza possibili ambiguità. Il perdono non è perdonismo, ovvero chiusura non di uno ma di entrambi gli occhi, ma possibilità concessa all'altro affinché, conoscendo la gratuità dell'amore, possa pagare il debito amoroso che ha liberamente contratto. Marito e moglie, per esempio, possono trasformarsi nel servo che afferra l'altro alla gola, col proposito di soffocarlo. Marito e moglie, però, possono anche essere reciprocamente il padrone che, pur avendo tutte le ragioni dalla sua parte, perdona per amore. Così facendo essi consentono al Signore di manifestarsi nella vita di coppia come Colui che dà la forza di perdonare e che perdona. Nel perdono scambiato tra i coniugi è infatti all'opera l'amore divino. La gratuità cristiana conosce la migliore narrazione nel dono per eccellenza, il dono tra i doni, il per-dono, appunto. Scrive Attali: «Perdono è nome di Dio, perché nella misura in cui Dio è amore, è tale fino al perdono». Ma l uomo, essendo a immagine di Dio, è capace di perdono, cioè di fare il dono più grande: perdonare chi gli ha fatto del male, perdonare il nemico, perdonare il persecutore, perdonare sempre e comunque! Il perdono è un dono totale, è dono fino all estremo che richiede un sacrificio di se stessi in rapporto all altro. Si perdona perché l altro esista, si accetta di essere stati vittima senza per questo esercitare la vendetta che rende l altro vittima a sua volta. Sul perdono, le parole di Gesù sono inequivocabili: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono...», senza se e senza ma! Il perdono è dunque senza limiti, ed è un vero atto sacrificale perché si rinuncia a se stessi, perché il perdono costa, è a caro prezzo, è una forma di rinuncia a se stessi, di morte a se stessi. Dare il perdono, domandare il perdono, ricevere il perdono è veramente un operazione difficile, faticosa, sempre incandescente per chi vi è coinvolto! Dobbiamo allora porci la domanda con serietà: è possibile il perdono a noi uomini? Se il perdono significa non un affermazione verbale, non un atto 4

5 esteriore e pubblico ma un vero e proprio atteggiamento del cuore che vuole il bene di colui dal quale si è ricevuto del male, se vuole il bene e lo compie fino a dare all altro tutte le possibilità di vita e di felicità che l essere umano desidera, è possibile? È mai realizzabile questo perdono, questa rinuncia al debito dell altro, questo condonare il debito fino al dono in profondità, fino al per-dono? È possibile la dimensione incondizionata e asimmetrica del perdonare «non sette volte, ma settanta volte sette» (cfr. Mt 18,21-22)? Il per-dono è sì un dono, ma frutto di un cammino, di un itinerario: a differenza del dono, non nasce in modo spontaneo, non risponde al bisogno di relazione e di amore che ci abita, ma a un certo momento sopraggiunge come un soffio che ci trascende. Eppure non c è dono che possa escludere il perdono, perché la gratuità, la grazia deve inglobare in sé il per-donare. Alla domanda se è possibile il perdono possiamo solo rispondere che è stato possibile perché la storia ce lo testimonia. Sono esistiti uomini e donne che hanno perdonato. Per-donare è una vera conversione da attuarsi in se stessi. E va detto con chiarezza: il perdono non nasce dalla conversione di colui che ha offeso, ma nasce dalla conversione di chi ha ricevuto l offesa. È la vittima che deve convertirsi: questa la portata scandalosa del perdono! Si tratta di rinunciare a vendicarsi, di rinunciare a rivalersi contro chi ha commesso il male; si tratta di non stare lontano dalla persona che ha compiuto il male, di non escluderla dalla propria presenza; si tratta di intraprendere un cammino di prossimità, fino a fare il dono della propria presenza benevola e conciliante a chi ha operato il male. Occorre tempo e fatica per il dono del perdono! Certo, questo non significa dimenticare, anzi: più si perdona e più si ricorda, ma in un operazione di memoria che non è mortifera né per chi ricorda né per chi è ricordato come malfattore. Perdonando, si guardano le ferite, le stigmate sofferte che restano incancellabili, ma le si considera cariche di senso, capace di esercitare all amore. E il perdono dato è il sigillo di questa dinamica. Così l altro torna nel nostro orizzonte, non è negato bensì affermato come vivente verso il quale c è la responsabilità di una fraternità rinnovata. Solo così il perdono è responsabile e può generare gioia... Sì, c è più gioia nel perdonare che nel vendicarsi, c è più giustizia nel perdono che nell esecuzione di una legge punitiva! Per togliere ogni ombra di dubbio al fatto che il perdono sia la legittimazione dell'ingiustizia, non si dimentichi che la sorte riservata al servo malvagio è di finire in mano agli aguzzini. Il perdono è in vista della ritrovata comunione matrimoniale. Laddove un coniuge non avesse alcuna intenzione di riconoscere il debito che ha contratto, ma giocasse ambiguamente sulla bontà dell'altro, magari pretendendo di essere perdonato in nome del Vangelo, l'altro coniuge non dovrà essere tanto ingenuo da cadere in una logica che, invece di favorire la responsabilità, diviene complice dell'irresponsabilità altrui. Come si potrà perdonare? Dove trovare la forza del perdono, non solo nei primi sette giorni di matrimonio e neanche solo nei primi sette mesi o sette anni, ma sempre? Il perdono è un gesto di grazia, è gratis. Senza la grazia il perdono è uno sforzo sovraumano o, al massimo, un obbligo cui piegare il capo per via del comandamento di Gesù. 5

6 La grazia del perdono non è reperibile che come dono. Il perdono coniugale, cemento dell'amore indissolubile, è dono dello Spirito santo. Dio è in debito d'amore nei confronti dei coniugi: a lui essi possono attingere sempre, senza temere di esaurirne le riserve. Solo in questa prospettiva il comandamento cristiano del perdono viene sottratto alla banalizzazione moralistica e conserva il suo carattere di «evangelo», di lieto annunzio. Solo così il perdono può essere annunciato come credibile impegno: gratuitamente avete ricevuto il perdono, gratuitamente perdonate. Sì, ricondurre il perdono nello spazio della gratuità significa liberarlo dalla schiavitù dell'opportunismo, farlo tornare alle profondità dell'essere umano che solo aprendosi a quel dono può ritrovare in pienezza la propria dignità. Significa poter sanare l'altrimenti insanabile oltraggio alla vita interiore della vittima e offrire anche al carnefice una via d'uscita per non essere identificato con la propria colpa, per quanto enorme. Ogni persona, infatti, resta più grande del male che ha compiuto: c'è in tutti uno scrigno prezioso - che la bibbia chiama «immagine e somiglianza con Dio» - che nessun misfatto potrà mai distruggere pienamente. C è una relazione diretta tra pace e perdono. Io posso non vendicarmi, ma la ferita continua. Il perdono ha un effetto catartico, purificatore così importante che cambia l altro. Però bisogna essere chiari: il perdono non è azione-reazione. Ha bisogno di un tempo di maturazione, per perdonare è necessario aspettare. Sapere aspettare costa, e noi viviamo in una civiltà che vorrebbe fare tutto immediatamente. C è un tempo per il perdono che non è la reazione istantanea all offesa. Il perdono è una decisione che arriverà a suo tempo. Se non c è stata questa maturazione interiore io non sarò disposto a perdonare perché ancora sento la ferita, né l altro sarà pronto a riconoscerlo, perchè si sentirebbe impunito. Trovare questo equilibrio tra tempo e atti del perdonare è importantissimo. Dentro le ferite Ecco lì il mistero: c'è sempre qualcosa di grande che dal male scatta e diventa forza del bene. La parola giusta è la parola "trasformare". Nulla va gettato via nella vita, nulla. Le ferite non possono essere dimenticate né coperte, come talvolta si può consigliare frettolosamente: "mettici una pietra sopra". Se le copri diventano infette, sotto quella pietra covano le serpi. È questa l esperienza tragica delle ferite non risolte che producono poi a loro volta la cattiveria. La cattiveria è un dolore non consolato. Il dolore ha un immenso potere positivo, ma può anche avere un immenso potere negativo. Dipende da che tipo di risposta tu sai dare alle ferite tue o alle ferite della terra in cui vivi. Tommaso incredulo non incontra Gesù in un libro o nel momento di un miracolo. Dove lo incontra? Tramite che cosa? Gesù gli dice: "Vieni, vedi, metti le tue mani dentro - dentro - le ferite". E quelle ferite sono diventate delle "feritoie". Le ferite del dolore diventano feritoie della grazia. (Giancarlo Maria Bregantini) 6

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