Dacci oggi il nostro pane quotidiano meglio tradotto in Il nostro pane quotidiano dà a noi oggi.

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Gioacchino Neri
7 anni fa
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1 PADRE NOSTRO Seconda parte Abbiamo concluso le riflessioni sulla prima parte del Padre Nostro, quella che contiene le invocazioni che riguardano Dio: il suo nome, il suo regno, la sua volontà. Vogliamo adesso meditare sulle invocazioni della seconda parte che riguarda noi.: il pane quotidiano, il perdono, le tentazioni e il maligno. Dacci oggi il nostro pane quotidiano meglio tradotto in Il nostro pane quotidiano dà a noi oggi. Così inizia la seconda parte della preghiera, posta a cerniera tra la prima che riguarda Dio e la seconda che riguarda noi. Gli esegeti non mancano di evidenziare le differenze tra la versione di Matteo e quella di Luca. Matteo, con i tempi che usa, è come se dicesse: Dammi subito il pane che mi serve ora, quel tanto che basta oggi, se domani ne avrò ancora bisogno tornerò a chiederlo. Luca invece sembra dire: continua a darci il pane necessario giorno per giorno, ogni giorno di nuovo. Si potrebbe intendere il pane quotidiano come il frutto del nostro lavoro, del nostro impegno, della nostra responsabilità altrimenti sarebbe un invocazione assai deresponsabilizzante. Chiedere le necessità di cui abbiamo bisogno a Dio senza fare nulla è una via troppo semplice. Quell aggettivo quotidiano va chiarito e tradotto correttamente. Il temine greco epiousios lo si trova soltanto qui, assente sia dal greco letterario sia nel greco parlato, e ha dato molteplici interpretazioni. Etimologicamente dovrebbe significare sovra-sostanziale, sovraessenziale. Così la domanda del pane quotidiano non va inteso tanto come cibo che ci nutre fisicamente ma piuttosto al pane spirituale, al pane del Regno dei cieli, al pane che Gesù ha moltiplicato come segno del pane che diventerà il suo corpo nell ultima cena. In altre parole chiedere il pane quotidiano è chiedere la ragione fondamentale che ci permette di vivere, di realizzarci, di essere felici. Ci ricorda, come ha detto Gesù che non di solo pane vive l uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio (Mt 4,1-11). Affidarci a Dio non dispensa dal lavorare ma ci insegna a farlo abbandonati al Padre che non ci dimentica. Chiediamo il pane non un biscotto, un dolce, un frutto ma il pane che è un bene universale e fa riferimento al lavoro dell uomo. Non è un caso che si usi l espressione guadagnarsi il pane per vivere. La richiesta del pane quotidiano non esclude che sia fatta per la vita materiale ma anche per quella spirituale ed eterna. 1

2 Rimetti a noi i nostri debiti Dopo la richiesta del pane materiale ma anche spirituale, l uomo si rende conto di aver bisogno di altro. L invocazione successiva è una domanda di perdono: dopo il pane c è il perdono. Senza perdono non c è crescita né personale né sociale né comunitaria. Il perdono è un bene essenziale, intrinseco al cristianesimo; anzi è un bene senza il quale la vita umana non è pensabile. Siamo dunque di fronte alla richiesta di un bene primario sia per la coscienza, sia per la rete di relazioni quotidiane. 2

3 Ci sono un paio di sfumature diverse in Matteo rispetto a Luca. Matteo parla di debiti per ricordare come l uomo è per essenza debitore davanti a Dio e davanti agli altri. Luca sostituisce la parola debito con peccato e ci fa dire perdona i nostri peccati invece di rimetti a noi i nostri debiti. Peccato di per sé significa errore, sbaglio. Luca vuol dire che il nostro debito nasce da un offesa e il peccato sta nel rifiuto di un dono che sia quello di Dio che del prossimo. Chi recita il Padre Nostro e chiede di rimettere a noi i nostri debiti è consapevole di essere impotente di fronte alle forze del peccato. Non basta che Dio condoni i debiti perché l uomo ne farebbe subito altri. Occorre che la potenza di Dio rinnovi radicalmente l uomo. come noi li rimettiamo ai nostri debitori Un ultima riflessione la facciamo sul fatto che c è un rapporto stretto tra il nostro perdono e quello che noi dobbiamo dare al prossimo. La versione di Matteo dice: rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori. Quella di Luca suona così: perdonaci i nostri peccati, perché noi stessi perdoniamo ad ogni nostro debitore. Non ci sono dubbi: il perdono ai fratelli è la verifica del perdono di Dio, è la realizzazione della sua misericordia. Attenzione però: il perdono al fratello non è la condizione che Dio, a sua volta ci perdoni. È però la prova che il perdono di Dio lo abbiamo veramente ricevuto e che veramente ci ha trasformati. E per concludere questa parte ricordiamo che il perdono non è mai espressione di debolezza bensì di forza. È l unica forza che spezza il cerchio perverso della violenza. Ecco il senso del perdono di Dio. Egli compie questo gesto di pura misericordia perché riconciliati con lui possiamo trovare il gusto di riconciliarci con gli altri con un perdono reciproco. e non indurci in tentazione Sappiamo bene come questa invocazione è stata infelicemente tradotta male già il latino. et ne nos inducas in tentationem. È pur vero che nella formulazione originale in greco l espressione potrebbe essere accettata visto i due significati possibili: tentazione e prova. Se la tentazione non può venire da Dio, la prova sì. In questo caso, prendendo atto delle proprie fragilità, si può chiedere al Padre di non indurci nella prova perché non siamo pronti, ci sentiamo deboli e abbiamo bisogno di sostegno.ma se resta il significato di tentazione allora è più corretto adattare la traduzione nel modo seguente: e non lasciarci 3

4 soccombere nella tentazione. Anche Gesù conobbe la tentazione ma a tentarlo fu il diavolo. Benché la tentazione non sia peccato rimane la porta che conduce al peccato se non la si respinge e se non si resiste. ma liberaci dal male Noi preghiamo abitualmente usando la formula: liberaci dal male. Gli antichi padri greci e anche molte chiese riformate preferiscono dire: liberaci dal maligno. Il genitivo greco non permette di capire se il sostantivo è usato al neutro (male) o al maschile (maligno), per questo entrambe le traduzioni sono corrette. 4

5 Ma come dicevamo gli antichi padri greci facevano piuttosto riferimento al sostantivo maschile liberaci dal maligno, cioè da satana, dall avversario mentre i padri della chiesa latina hanno preferito far riferimento al neutro liberaci dal male, visto che di solito facciamo esperienza diretta del male in tutte le sue forme fisiche, morali, spirituali, sociali piuttosto che l esperienza diretta del maligno. Per contro la crescente richiesta di esorcismi dimostra che oggi i nostri contemporanei si sentono più confrontati e combattuti dal maligno confuso magari spesso da psichismi soggettivi più che dalla presenza reale del demonio. Con buona pace di molti il diavolo esiste realmente. Lo prova il fatto che Gesù ha lottato contro tutti i mali che incontrava ma ha pure pregato perché i suoi discepoli fossero custoditi dal maligno. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno leggiamo nel Vangelo di Giovanni (Gv 17,16). Anche nel Vangelo di Luca troviamo questa bella espressione: Simone, Simone, ecco satana ha preteso di scuoterti come il grano. Ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno (Lc 21,31-32) Non c è quindi nessun automatismo per essere tutelati dal maligno, ma ci vuole il coraggio della lotta, la costanza nella perseveranza e la certezza che Gesù ha già vinto contro il maligno. CONCLUSIONE Siamo giunti alla fine della riflessione sulla preghiera del Padre Nostro. Gli antichi padri la chiamavano Oratio Dominica, la preghiera del Signore. Non una preghiera di evasione ma di impegno, di lotta serena, positiva, coraggiosa. Altro che la blasfema invocazione dell ateo francese Jacques Prévert che si rivolgeva a Dio così: Padre nostro che sei nei cieli, resta dove sei, che noi stiamo bene in terra, dove siamo. Una visione per lo meno miope, oltre che altezzosa e superficiale. Nel Padre Nostro c è dentro tutta la nostra vita, tutto il nostro essere e il nostro destino. È la sintesi di tutta la preghiera biblica. 5

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