Il Sistema Preventivo di don Bosco: strumento motivante e d'apprendimento per educatori ed educandi in una società mafiosa

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1 Università degli Studi di Palermo Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea Magistrale in Scienze Pedagogiche Il Sistema Preventivo di don Bosco: strumento motivante e d'apprendimento per educatori ed educandi in una società mafiosa Tesi di laurea di: Concetta Todaro Relatore: Prof. Francesca Pedone Matr Anno Accademico Sessione Autunnale

2 INTRODUZIONE Nel presente lavoro si rifletterà sulla valenza del Sistema Preventivo di don Bosco, quale proposta pedagogica per educatori e, nella fattispecie, per educatori di ragazzi a rischio di devianza. Don Bosco fu un prete dell ottocento che decise di dedicare tutta la vita ai giovani e, in particolar modo, agli ultimi, a quelli che erano soli al mondo e pertanto potenziali deviati. Egli fu impegnato nel campo della comunicazione sociale e dell educazione dei giovani in un secolo caratterizzato da notevoli fenomeni migratori da parte delle popolazioni rurali, nonché dallo sfruttamento del lavoro minorile. Quando quest ultimo era ancora la normalità, lui pretese delle tutele divenendo il primo sindacalista dei suoi giovani, oltre che un importante figura adulta di riferimento. Applicando una pedagogia esemplare, ovvero il sistema preventivo, riuscì a rispondere alle problematiche sociali fronteggiando l emarginazione umana e la conseguente devianza giovanile, semplicemente servendosi dei tre pilastri di tale sistema: la Ragione, la Religione e l Amorevolezza. Con tale sistema egli puntava alla formazione globale della persona del minore in quanto comprese che le cause della devianza minorile vanno ricercate, in parte, nella formazione della personalità dell individuo. Le cause della devianza, infatti, sono conseguenti ad un inadeguata 5

3 socializzazione che determina un imperfetto funzionamento del superego e quindi un disadattamento che conduce il soggetto ad essere deviante. Nel primo capitolo si metterà a fuoco la vita di don Bosco ed il suo Sistema Preventivo, che verrà descritto nei suoi punti salienti. Il Sistema Preventivo non si configura come un manuale d istruzioni per l uso ma, innanzitutto, come attenzione alla persona. Don Bosco, infatti, conseguentemente alle proprie esperienze di vita, aveva interiorizzato l importanza e la necessità di applicare tale pedagogia perché metteva al centro la persona dell educando, ma probabilmente anche perché era come se tale sistema fosse parte integrante del suo dna. Ecco perché si comprende la pedagogia di don Bosco, quando si comprende lui. Nel secondo capitolo si tratterà il contesto attuale, nonché le problematiche relative ad un processo formativo-educativo che un educatore del XXI secolo deve fronteggiare. In particolare si evidenzieranno le problematiche che un educatore di minori a rischio di devianza si trova ad affrontare in un territorio ad alta densità mafiosa, come quello siciliano, nonché le strategie che pone in essere. Nel terzo capitolo ci si soffermerà sulle figure dell educatore e dell educando oggi : due mondi che entrano in relazione attraverso un 6

4 processo formativo-educativo arricchendosi vicendevolmente. In particolar modo, si evidenzierà come, il Sistema Preventivo di don Bosco possa essere strumento motivante e d apprendimento per educatori e per educandi. Infine, in appendice, si riporteranno due esperienze personali tra di esse correlate: quella del tirocinio universitario presso la Casa Circondariale di Trapani e quella lavorativa presso il CAG (Centro d Aggregazione per minori) della Caritas diocesana di Trapani. Tali esperienze si pongono come esempi di come sia possibile sperimentare ancora oggi il modello educativo di un uomo dell ottocento le cui idee risultano attuali più che mai. 7

5 Capitolo I DON BOSCO ED IL SISTEMA PREVENTIVO Nelle pagine seguenti a partire da un breve cenno biografico su don Bosco si delineerà, nelle linee generali, il Sistema Preventivo, ovvero, la metodologia pedagogica con la quale si approcciò a ciascuno dei giovani che educò. 1. La vita di don Bosco Giovanni Bosco nacque il 15 agosto 1815 nel Monferrato, a Castelnuovo d Asti, da Margherita Occhiena e Francesco Bosco. Con la nascita di Giovanni la famiglia era costituita da otto persone: la nonna paterna, i tre figli e due garzoni. Il peso non era indifferente, ma l attività e l energia di Francesco davano sicurezza e serenità a tutta la 8

6 casa. Purtroppo quella serenità era destinata a durare poco. Ai primi di maggio del 1817 il padre fu colpito da polmonite, malattia temibile in quei tempi, e l 11 maggio cessava di vivere (Fantozzi, 1992: pp ). Da quel momento la responsabilità della famiglia passava nelle mani di Margherita, donna che ha appreso la scienza di vivere non dai libri, ma dalla tradizione orale. In quegli anni il coraggio di Giovanni crebbe più della sua statura. Dalla madre, ricavò il senso del dovere, del sacrificio, di Dio (Dacquino, 1988: p.20). Come i suoi fratelli, ricevette un educazione cristiana nella quale il catechismo era un testo di pedagogia alla fede. Spesso si sentì ripetere: «Dio ti vede». Questo non era un annuncio di terrore, ma un avvertimento reverenziale, come quando una mamma richiama l autorità del padre in famiglia (Fantozzi,1992: p.52). Il rapporto profondo tra madre e figlio ebbe un ruolo determinante nella vita di don Bosco. Per tutta l esistenza lo accompagneranno non soltanto le sue parole e il suo esempio, ma soprattutto la fiducia primaria costruita nel rapporto con lei. Giovannino, nonostante il grave lutto, crebbe forte e sicuro. Grazie alle figure paterne sostitutive (zii materni e una serie di sacerdoti), sviluppò una personalità estroversa e, per questo, era molto amato dai coetanei, ma anche molto temuto. Un giorno, al termine della santa Messa, incontrò un sacerdote, don 9

7 Calosso. I due parlarono a lungo e, alla fine, Giovanni motivava così la sua volontà di abbracciare lo stato ecclesiastico: - «per avvicinarmi, parlare, istruire nella religione tanti miei compagni, che non sono cattivi, ma diventano tali, perché niuno di loro ha cura»(dacquino, 1988: p.27) - Rimasto colpito da quel ragazzo, don Calosso fu il primo vero padre buono per l adolescente Giovanni. Grazie a quell uomo iniziò a studiare, pur dovendo alternare lo studio e la zappa. La sventura, però, ancora una volta, bussò alla porta di Giovanni. Il 21 novembre del 1830, don Calosso morì, ma grazie a mamma Margherita, poté proseguire gli studi. L anno successivo iniziò i corsi regolari presso la scuola pubblica della città di Chieri, in provincia di Torino. Durante quegli anni, si mantenne agli studi facendo umili mestieri quali si approcciò: sarto, barista e pasticciere. Giovanni spesso studiava la notte, ma non era un problema: mamma Margherita l aveva abituato a dormire poco (Dacquino,1988: pp ). Nel 1835, ormai ventenne, Giovanni prese la decisione più importante della sua vita, entrare in seminario. Trascorsero altri sei anni di studio e, nonostante le difficoltà, Giovanni visse serenamente. Come negli anni appena trascorsi, ebbe a suo favore una portentosa memoria e i suoi sogni. Il 5 giugno del 1841, anche grazie al suo benefattore e direttore 10

8 don Cafasso, Giovanni Bosco venne consacrato sacerdote in eterno. Alcuni minuti dopo, celebrò la sua prima Messa. Quella sera mamma Margherita gli disse: «Ora sei prete, sei più vicino a Gesù. Io non ho letto i tuoi libri, ma ricordati che cominciar a dir Messa vuol dire cominciare a soffrire. D ora innanzi pensa soltanto alla salvezza delle anime, e non prenderti nessuna preoccupazione di me» (Bosco, 1999: p. 10). E fu questo quello che decise di fare. Subito dopo l ordinazione gli vennero offerti sicuri posti di cappellano, ma egli, consigliato da don Cafasso, rimase a Torino a perfezionare i suoi studi di teologia. Intanto, ogni sabato, con il prete della forca (don Cafasso), si recava presso le carceri. Nel corso di questa esperienza che tanto lo turbò, iniziò a pensare a come evitare che quei giovani finissero in carcere o, almeno, a come poter evitare che ci ritornassero una volta liberi. Don Cafasso, ancora una volta, gli fece da guida dandogli il suo ultimo incarico: l oratorio. A tale scopo, si trasferì dal convitto all ospedaletto e al rifugio, nel quale collaborò con il teologo Borel. Stava per aver inizio la storia dell oratorio e di don Bosco educatore dei giovani (Dacquino, 1988: pp ). Il primo dei suoi ragazzi fu un sedicenne immigrato da Asti, Bartolomeo Garelli. Era l 8 dicembre del 1841, l incontro avvenne nella sacrestia della chiesa di S. Francesco d Assisi. Il sacrestano, 11

9 pensava fosse lì per rubare e lo cacciò a bastonate, quando intervenne don Bosco, dicendogli di lasciarlo in quanto suo amico. Il ragazzo rimase sorpreso da quel gesto e gli raccontò la sua storia. Fu recitando un Ave Maria in sua compagnia che iniziò l oratorio. Da quel momento, ogni domenica, arrivavano nuovi ragazzi, che svolgevano svariati mestieri. Tale situazione era nella norma, perché dal 1838 al 1848 la città di Torino fu protagonista di un notevole sviluppo demografico (Stella, 1979). La maggior parte di quei giovani faceva il muratore, così, durante la settimana, don Bosco si rimboccava le maniche e saliva sui ponti, tra i secchi di calce e le pile di mattoni, per trovare i suoi ragazzi. Ma le sue visite non si limitavano a questo. Egli si fermava anche a conversare con i loro datori di lavoro. In Italia fu uno dei primi ad esigere regolari contratti di lavoro per i suoi giovani apprendisti e a vigilare perché i padroni li rispettassero (Bosco, 1999: p.19). Il tempo passava e, nonostante i tanti sacrifici e gli ostacoli, il numero dei ragazzi cresceva sempre di più e con esse il numero delle energie richieste. Nel luglio del 1846 i ragazzi erano circa cinquecento. Durante una delle sue intense giornate, don Bosco svenne. Era stato colpito da una grave forma di pleurite. Per ben otto giorni, durante la sua agonia, i suoi ragazzi, nonostante le 12 ore di lavoro, si 12

10 alternavano perché ci fosse sempre, notte e giorno, chi pregava per don Bosco davanti alla Madonna. Quelle preghiere furono ascoltate. Una domenica, verso la fine di luglio, appoggiandosi ad un bastone, scese in oratorio dai suoi ragazzi, per far loro una promessa: «La mia vita la devo a voi. Ma siatene certi, d ora innanzi la spenderò tutta per voi» (Bosco, 1999: p.20). Per la convalescenza tornò ai Becchi, dalla madre. Da quel momento non si sarebbero più lasciati. La donna, infatti, lo seguì al suo ritorno a Torino per aiutarlo e per fare da madre ai suoi cinquecento ragazzi. Come aveva promesso, ai suoi giovani, don Bosco dedicò tutta la vita. Morì all alba del 31 gennaio Nelle sue ultime ore, il suo ultimo pensiero fu sempre per i suoi giovani: - dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in Paradiso - (Bosco, 1999: p.32) 2. Il Sistema Preventivo Oggi, non è per nulla facile esprimere, in termini moderni e scientifici, quello che Don Bosco intendeva per Sistema Preventivo perché il termine preventivo era, a metà Ottocento, il termine di moda, al quale tutti, nel mondo ecclesiale, accedevano per esprimere situazioni di aiuto. Era un temine di impostazione cristiana usato anche per le situazioni sociali ed era stato teorizzato dal pedagogista abate 13

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