IL RICORSO ABUSIVO AL CREDITO COME REATO NECESSARIAMENTE CONDIZIONATO

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1 DARIO MICHELETTI associato di diritto penale nell Università di Siena IL RICORSO ABUSIVO AL CREDITO COME REATO NECESSARIAMENTE CONDIZIONATO SOMMARIO: 1. L evoluzione della fattispecie di ricorso abusivo al credito. 2. Bene giuridico tutelato e ambito di applicazione dell originario art. 218 l. fall. 3. La controversa fisionomia della nuova fattispecie di «ricorso abusivo al credito». 4. Le vincolanti ricadute strutturali del nuovo regime sanzionatorio. 5. Le modifiche concernenti i soggetti attivi I liquidatori Gli amministratori e i direttori generali I rapporti tra il nuovo art. 218 l. fall. e la bancarotta fraudolenta societaria di cui all art. 223, n. 2, l. fall. 6. L elemento oggettivo, con particolare riferimento al nuovo presupposto dello «stato di insolvenza» L ambientazione negoziale dell illecito La condotta tipica di dissimulazione: un enigma ininfluente. 7. Il rapporto con altre figure di reato. 8. La diversa rilevanza penale del ricorso abusivo al credito rispetto alla concessione del credito rovinoso. 1. L assunzione di un debito da parte di chi esercita un attività d impresa senza le condizioni finanziarie e patrimoniali per il suo futuro adempimento costituisce una condotta economicamente perniciosa sotto diversi profili. A repentaglio non è posto solo il patrimonio del concedente chiamato a sopportare il costo dell eventuale inadempimento; il rischio investe altresì gli interessi degli antecedenti creditori, i quali, nel caso di insolvenza, saranno chiamati a suddividere il patrimonio del fallito con un numero maggiore di aventi causa. Ma non solo: il credito abusivamente ottenuto finisce per drogare l attività economica del debitore, aumentando così la probabilità che l impresa già in decozione contragga ancora nuovi debiti, tali da ridurre ulteriormente le quote di riparto della massa fallimentare. Senza considerare, poi, che il credito rovinoso, anziché costituire un reale arricchimento per l accipiens, pregiudica non di rado anche la stessa integrità patrimoniale dell impresa finanziata: la quale, trovandosi già in uno stato di dissesto, difficilmente sarà in grado di utilizzare produttivamente il capitale ricevuto, finendo invece per accollarsi un ulteriore onere finanziario che accelererà l erosione del patrimonio aziendale ( 1 ). Vera questa premessa ben si comprende allora la ragione per cui il «ricorso abusivo al credito» abbia costituito, sin dall inizio dell era moderna, uno di cardini del diritto penale dell economia ( 2 ). Incluso già dal codice di commercio del 1807 tra le condotte probanti del fallimento colpevole ( 3 ), la fattispecie entrò a comporre il quadro delle situazioni sintomatiche di bancarotta semplice delineata dai codici preunitari ( 4 ), assurgendo poi, nel 1942, al rango di reato autonomo e dotato di una ( 1 ) In particolare, sul pregiudizio derivante alla stessa impresa dalla immeritata concessione di credito v., da ultimo, FERRARI, Legittimazione del curatore per abusiva concessione del credito: plurioffensività dell illecito al patrimonio e alla garanzia patrimoniale, in Corr. giur., 2006, 419 ss.; nonché amplius sulle complesse implicazioni civilistiche del ricorso abusivo al credito, fra gli altri, DI MARZIO, Abuso e lesione della libertà contrattuale nel finanziamento dell impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 2004, I, 145 ss.; VISCUSI, Concessione abusiva di credito e legittimazione del curatore fallimentare all esercizio dell azione di responsabilità, in Banca. borsa e tit. cred., 2004, II, 648 ss. ( 2 ) Cfr. SCIUMÉ, Ricerche sul fallimento nel diritto moderno, Milano, 1985, 1985, * (al limite 79 ss.). [Z3 124, 1]. L ascendenza storica del delitto di ricorso abusivo al credito è comunque oggetto di contrasti in dottrina: cfr., su diverse posizioni, CONTI, I reati fallimentari, Torino, 1991, 349 s. e PROVINCIALI, Ricorso abusivo al credito, in Dir. fall., 1952, I, 184. ( 3 ) L art. 586, n. 3, c. comm. del 1807 così disponeva: «Sarà convenuto in giudizio come reo di bancarotta semplice, e potrà essere dichiarato tale, il mercante fallito (...) se dall ultimo suo inventario apparisce che il di lui attivo essendo di 50 per cento al di sotto del passivo, egli abbia contratto degli imprestiti considerevoli». ( 4 ) L art. 631, n. 3, c. comm. del 1842 non diversamente dal Codice penale delle due Sicilie del 1819 e dal Codice penale di Parma del 1820 così disponeva: «Sarà dichiarato reo di bancarotta semplice il commerciante fallito (...) se, coll intento di ritardare il suo fallimento (...), egli si è abbandonato ad imprestiti, a girate di effetti o ad altri mezzi rovinosi di procurarsi fondi».

2 sanzione distinta rispetto a qualunque altra ipotesi di bancarotta ( 5 ). Una scelta, questa, suggerita dal carattere manifestamente doloso dell illecito che «richiama per alcuni aspetti l insolvenza fraudolenta, per altri la truffa» ( 6 ) di cui tuttavia non si soppesarono adeguatamente le conseguenze, sia sotto il profilo sanzionatorio, sia in termini strutturali. Quanto al primo aspetto, non era chiara la ragione per cui l originario art. 218 l. fall., pur prevedendo un delitto doloso, dovesse meritare una pena edittale inferiore nel minimo rispetto alle fattispecie colpose di cui all art. 217 l. fall. ( 7 ). Sul versante strutturale, non era invece pacifico se la nuova fattispecie incriminatrice, emancipandosi dalle altre ipotesi di bancarotta, potesse configurarsi anche in mancanza del fallimento del debitore visto che un tale requisito non era stato riproposto dalla disposizione del 1942 oppure la punibilità del fatto restasse ancora così condizionata giacché in tal senso deponeva la storia dell incriminazione nonché la sua collocazione sistematica (v. infra 2). Dunque, una fattispecie tanto cruciale nel sistema del diritto penale dell economia quanto controversa. Talmente controversa da non sorprendere più di tanto se la legge sulla tutela risparmio, smentendo la scelta fatta con il d.lg. 9 gennaio 2005, n. 5 il quale, lo si ricorda, aveva stralciato le fattispecie penali fallimentari dalla riforma delle procedure concorsuali ( 8 ) abbia deciso di anticipare la riformulazione dell art. 218 l. fall., nel tentativo per lo meno di rimediare ai principali inconvenienti della norma ( 9 ). Più precisamente, l art. 32 l. 262/2005 ha per un verso inasprito il trattamento sanzionatorio dell illecito, elevandone sia il minimo che il massimo edittale (v. infra 4) e, per altro verso, ha specificato che la condotta di cui all art. 218 l. fall. può essere sanzionata anche se il soggetto opera «al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti», lasciando così intendere ma è questo l aspetto più dibattuto e a cui sarà riservata maggiore attenzione (v. infra 3 ss.) che un tale delitto si perfeziona anche in assenza del fallimento ( 10 ). Di non minore rilevanza è poi l ampliamento dei soggetti attivi del reato, che solleva però problemi di coordinamento con altre disposizioni della legge fallimentare lasciate immutate (v. infra 5 ss.), nonché la precisazione dei presupposti della condotta di dissimulazione, la quale può avere adesso a oggetto, non solo lo stato di dissesto, così come accadeva un tempo, ma anche lo stato di insolvenza (v. infra 6). Infine ma non per importanza si segnala l eliminazione della clausola di sussidiarietà che apriva la precedente disposizione (v. infra 7), e l aggiunta di una circostanza aggravante speciale per l ipotesi in cui a ricorrere abusivamente al credito siano gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori di società quotate in mercati regolamentari. ( 5 ) In origine l art. 218 l. fall. così disponeva: «Salvo che il fatto costituisca un reato più grave, è punito con la reclusione fino a due anni l'imprenditore esercente una attività commerciale che, ricorre o continua a ricorrere al credito, dissimulando il proprio dissesto». ( 6 ) Così la Relazione ministeriale, 53 citata da PEDRAZZI, Commento all art. 218, in C. PEDRAZZI, F. SGUBBI, Reati commessi dal fallito, reati commessi da persone diverse dal fallito. Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare, Bologna, 1995, 193. ( 7 ) Stigmatizzava fra gli altri l incoerenza: PEDRAZZI, op. cit., 193. ( 8 ) In argomento, per tutti, GIUNTA, SCARCELLA, Riflessi penali della nuova disciplina del fallimento e delle procedure fallimentari, in NIGRO, SANDULLI (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Torino, 2006, vol. II, 1213 s. ( 9 ) Sottolinea comunque in modo critico come la riforma del solo art. 218 l. fall., svincolata da una più generale riflessione sugli assetti sanzionatori dell intera legge fallimentare, abbia determinato incoerenze sanzionatorie e difetti di coordinamento non trascurabili SEMINARA, Nuovi illeciti penali e amministrativi nella legge sulla tutela del risparmio, in Dir. proc. pen., 2006, 556 e 558. ( 10 ) Il nuovo testo dell art. 218 così dispone: «1. Gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti, dissimulando il dissesto o lo stato d insolvenza sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. 2. La pena è aumentata nel caso di società soggette alle disposizioni di cui al capo II, titolo III, parte IV, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. 3. Salve le altre pene accessorie di cui al libro I, titolo II, capo III, del codice penale, la condanna importa l inabilitazione all esercizio di un impresa commerciale e l incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni».

3 2. Da quando venne varata, nel 1942, la norma in esame è stata oggetto di un radicale contrasto interpretativo, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, che ha profondamente condizionato la stessa individuazione del bene giuridico tutelato ( 11 ). Come già si è accennato, infatti, non è mai stato pacifico se l originario art. 218 l. fall. prescindesse dalla dichiarazione di fallimento del soggetto agente, visto che la disposizione non ne faceva menzione ( 12 ), oppure la punibilità del reato fosse condizionata, non diversamente dagli altri illeciti concorsuali, dall intervento della sentenza dichiarativa di fallimento, concepita come condizione di punibilità ( 13 ). Accedendo al primo orientamento, che rinuncia a qualunque disvalore di risultato appiattendo l illiceità sulla mera dissimulazione dell insolvenza, il bene giuridico tutelato dall art. 218 l. fall. si ridurrebbe alla «fiducia» del creditore concedente il credito ( 14 ), ovvero, nella più concreta delle versioni, alla sicurezza del traffico giuridico intesa come lealtà e correttezza negli affari ( 15 ). Viceversa, richiedendosi il fallimento del soggetto agente quale condizione di punibilità del fatto, l offesa incriminata acquisterebbe una consistenza patrimoniale, disarticolandosi in quel caleidoscopio di interessi presidiati dalla procedura fallimentare ( 16 ). Era quest ultima, a ben vedere, la tesi che disponeva di maggiori supporti argomentativi. Vero è infatti come si limitava a osservare la giurisprudenza che la lettera dell art. 218 l. fall., differenziandosi da qualunque altra fattispecie penale concorsuale, non esplicitava il riferimento alla dichiarazione di fallimento. Non è men vero però che la presenza di una tale condizione di punibilità si desumeva da un gran numero di argomenti di ordine esegetico e sistematico ( 17 ). E difatti, anche senza considerare l inserimento dell art. 218 l. fall. nel Capo dei «Reati commessi dal fallito» nonché altri indizi analoghi arguibili dagli artt. 219 e 221 l. fall. ( 18 ) in favore di una tale soluzione militavano soprattutto le molte disparità di trattamento che si sarebbero altrimenti ingenerate in ragione della diversa qualifica soggettiva rivestita dall autore del reato. Va ricordato, infatti, che l art. 218 l. fall. il quale si riferiva un tempo esclusivamente all imprenditore individuale è richiamato da altre disposizioni della legge fallimentare, che ne estendono l operatività al socio illimitatamente responsabile (art. 222 l. fall.), agli amministratori della società (art. 225 l. fall.) e all institore (227 l. fall.): i quali però è questo il punto risultano penalmente responsabili solo se sia stata dichiarata fallita la società o l impresa in favore del quale il credito è stato contratto. Da qui si è concluso la necessità di supporre che la medesima condizione valesse anche per l art. ( 11 ) Sul tema, riassuntivamente, per tutti, LA MONICA, Oggetto giuridico e tipicità del delitto di ricorso abusivo al credito, Napoli, 1977, 11 ss., 24 ss., passim. Amplius, per un più aggiornato quadro del dibattito, CASAROLI, Commento all art. 218, in MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2000, 881 ss. ( 12 ) Così la prevalente ma non la più recente giurisprudenza della Cassazione e una parte autorevole della dottrina: v. per tutte Cass. pen., sez. V, 4 maggio 2004, Narducci, in Riv. pen., 2005, 778; Cass. pen., sez. I, 9 giugno 1997, Zarri, in questa Rivista, 1997, 1369 s.; nonché in dottrina: NUVOLONE, Ricorso abusivo al credito e insolvenza fraudolenta, in Temi, 1953, 408; DE SEMO, Sul reato di ricorso abusivo al credito, in Giur. pen., 1951, II, 85; LANZI, la tutela penale del credito, Padova, 1979, 127; MANGANO, Disciplina penale del fallimento, Milano, 2003, 174; CASA- ROLI, op. cit., 882; COCCO, Commento all art. 218, in PALAZZO, PALIERO, Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2003, 957. ( 13 ) In tal senso la maggior parte della dottrina seguita dalla più recente giurisprudenza: cfr. Cass. pen. sez. V, 4 maggio 2004, n , in Riv. pen., 2005, 778 secondo cui «il reato di ricorso abusivo al credito richiede che il soggetto al quale esso viene addebitato sia, successivamente, dichiarato fallito»; nello stesso senso: PROVINCIALI, op. cit., 184; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, vol. II, Milano, 2001, 178; CONTI, op. cit., 352 s.; LA MO- NICA, op. cit., 70; GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1999, 176 s., 462; PE- DRAZZI, op. cit., 193. ( 14 ) Per una tale accentuazione NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 410. ( 15 ) MANGANO, op. cit., 174; COCCO, op. cit., 955. ( 16 ) Interpretano l art. 218 l. fall. come fattispecie plurioffensiva a connotazione patrimoniale, fra gli altri, F. AN- TOLISEI, op. cit., 184; LA MONICA, I reati fallimentari, Milano, 1999, 564 s.; PEDRAZZI, op. cit., 193; PROVINCIALI, op. cit., 184. ( 17 ) Per una puntuale elencazione cfr. ANTOLISEI, op. cit., 176 ss.; LA MONICA, Oggetto giuridico, cit., 21 ss. ( 18 ) Cfr. ANTOLISEI, op. cit., 177.

4 218 l. fall., ché altrimenti non si giustificherebbe il diverso e deteriore trattamento riservato all imprenditore individuale chiamato a rispondere penalmente ancorché in uno stato di perfetta solvibilità. Ragionando diversamente, del resto, si finirebbe per ingenerare una fattispecie di pericolo talmente presunto da incriminare anche colui che è pienamente in grado di soddisfare il credito pur abusivamente ottenuto. Ed è proprio questo aspetto, più di qualunque altra incoerenza, che induceva la dottrina a intravedere nell art. 218 l. fall. un reato condizionato. Per la verità, nella letteratura di settore, non sono mancati i tentativi di giustificare la diversa strutturazione del ricorso abusivo al credito societario rispetto a quello realizzato dall imprenditore individuale ( 19 ). Fra i più autorevoli, va ricordata per esempio la tesi di chi riteneva che il maggior rigore dimostrato dall originario art. 218 l. fall. nei confronti dell imprenditore individuale rispetto al più benevolo trattamento riservato dall art. 225 l. fall. agli amministratori e ai direttori generali dipendesse dal fatto che questi ultimi agiscono per il perseguimento di un interesse sociale, mentre l imprenditore si prefiggerebbe egoisticamente un utile proprio ( 20 ). D altro canto, ma con il medesimo intento, si è sostenuto che gli amministratori, ove dissimulino lo stato di dissesto per ottenere un credito, commetterebbero fatalmente una falsa rappresentazione delle condizioni economiche della società come tale sanzionabile dall art c.c.: una norma, questa, la cui automatica operatività finirebbe pertanto per rimediare alle disparità di trattamento ingenerate dal diverso tenore degli artt. 218 e 225 l. fall. ( 21 ). Sennonché, a ben riflettere, nessuna di queste argomentazioni è mai parsa del tutto immune da riserve. La prima, in particolare, ponendo l accento sulla prospettiva interiore dell agente, scade in un eccessivo soggettivismo, se non in un vero e proprio diritto penale d autore. La seconda quella che riconduce automaticamente la dissimulazione dello stato di dissesto al reato di false comunicazioni sociali si scontra con la tesi, già prevalente anche prima della riformulazione dell art c.c., secondo cui quest ultima fattispecie presuppone che la comunicazione falsificata sia rivolta a una categoria aperta di soggetti, e non già indirizzata a un destinatario determinato qual è il singolo creditore vittima della dissimulazione ( 22 ). A ciò si aggiunga che la condotta incriminata dall art. 218 l. fall. non richiede necessariamente un artefatta rappresentazione della situazione economica, ma è compatibile almeno per la giurisprudenza con un reticente silenzio sullo stato dell impresa ( 23 ), la qual cosa risulta notoriamente irrilevante ai fini dell art c.c. ( 24 ). A tutto concedere, rimarrebbe comunque la discutibile fisionomia del reato di pericolo presunto ingenerato dal ricorso abusivo al credito se ritenuto punibile in mancanza della dichiarazione di fallimento: una fisionomia tale da attrarre nell orbita della pena anche fatti concretamente inoffensivi rispetto a qualunque interesse patrimoniale che non sia il tradimento della «fiducia» del creditore, magari poi soddisfatto, cui è stato però nascosto lo stato di dissesto. 3. Quale che sia l interpretazione strutturale più convincente dell originaria fattispecie di ricorso abusivo al credito, l interprete è chiamato ora a confrontarsi con la nuova fisionomia dell illecito tratteggiata dall art. 32 l. 262/2005, il quale ha stabilito, fra l altro, che l art. 218 l. fall. trova applicazione «anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti». Da qui, secondo la maggior parte dei primi commentatori, la chiara volontà del legislatore di svincolare l area della pena dalla dichiarazione di fallimento quale tratto caratterizzante di tutte le altre fattispecie penali ( 19 ) Per un loro esame critico cfr. CONTI, op. cit., 353 s.; LA MONICA, I reati fallimentari, cit., 565 s. ( 20 ) Così NUVOLONE, Ricorso, cit., 408. ( 21 ) Per una tale argomentazione LANZI, op. cit., 130. ( 22 ) Per questo prevalente orientamento v. per tutti CRESPI, La comunicazione societaria con unico destinatario, in Riv. soc., 1988, 1121 ss. Sul recepimento di una tale impostazione nella nuova formulazione dell art c.c. cfr. ex plurimis GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell economia, Torino, 2004, 199 ss. ( 23 ) Nell ambito di un consolidato orientamento v. da ultimo G.i.p. Monza, 28 dicembre 2005, in Foro amb., 2005, 474. ( 24 ) Per un analogo rilievo v. già PEDRAZZI, op. cit., 194, nt. 4.

5 concorsuali ( 25 ). Una linea interpretativa, questa, che troverebbe ulteriore conferma, oltreché nella ratio dell intero provvedimento legislativo quale più penetrante strumento di tutela del credito e del risparmio ( 26 ), anche nell ampliamento del novero dei soggetti attivi direttamente considerati dall art. 218 l. fall. (v. infra 5 ss.): ciò che finirebbe per dissolvere le disparità di trattamento che un tempo caratterizzavano la previgente frammentazione soggettiva della fattispecie (v. supra 2). Sennonché, anche fra i primi commentatori della riforma, non è mancato chi ha cercato di sminuire la portata innovativa delle suddette correzioni, ritenendo che l area di operatività dell art. 218 l.f. continui, tuttora, a essere implicitamente delimitata dalla dichiarazione di fallimento. Il tutto sulla base della considerazione che «non [sembrano] venute meno le ragioni che avevano indotto ad annoverare il ricorso abusivo al credito tra le fattispecie per le quali il fallimento funge da condizione di punibilità» ( 27 ). È benvero, infatti, che il legislatore ha ampliato il novero dei soggetti attivi direttamente incriminati dall art. 218 l. fall., riducendo così i rischi di potenziali disparità di trattamento. L estensione si rivela tuttavia parziale, rimanendovi ancora al di fuori, sia l institore (art. 227 l. fall.), sia i soci illimitatamente responsabili (art. 222 l. fall.) ( 28 ). Due categorie di soggetti attivi, quindi, che per espressa e incontrovertibile previsione di legge continueranno a rispondere di ricorso abusivo al credito solo nel caso di fallimento dell impresa o della società: e ciò fungerebbe da tertium compartionis atto a svelare la persistente irragionevolezza dell art. 218 l. fall. ove interpretato come reato non (analogamente) condizionato. A ciò si aggiunga che la legge n. 262/2005, pur avvertendo l esigenza di anticipare la riformulazione dell art. 218 l. fall. rispetto alla riforma delle altre fattispecie concorsuali, non ha ritenuto di modificarne l originaria collocazione sistematica, inserendo il delitto tra i reati contro il patrimonio, così come sarebbe stato invece corretto ove si fosse ritenuto che la sua consumazione prescinde dalla dichiarazione di fallimento ( 29 ). Il persistente inserimento del reato tra quelli «commessi dal fallito» deporrebbe quindi contro l esistenza di una rinnovazione strutturale. Tanto più che un effetto così rivoluzionario si dovrebbe desumere secondo i primi commentatori dalla sola interpolazione di un incidentale in verità ambigua (quella secondo cui l art. 218 l. fall. trova applicazione «anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti»), laddove il legislatore, se avesse realmente perseguito un tale intento, avrebbe avuto a disposizione espressioni ben più eloquenti e univoche, stabilendo per esempio che l art. 218 l. fall. opera «anche in mancanza del fallimento». Né, contro un tale rilievo, gioverebbe replicare che l espressione «anche fuori dei casi di cui agli articoli precedenti» altro significato non può avere che quello della punibilità in «mancanza di fallimento». Una tale sinonimia non è affatto scontata, sol che si pensi al fatto che il credito abusivo costituisce spesso il mezzo o la forma di realizzazione di altre modalità di offesa già autonomamente incriminate dagli art. 216 e 217 l. fall. ( 30 ). Vero ciò, nulla impedisce di sostenere che l espressione «anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti», anziché valere come sinonimo di «mancanza di fallimento», stia in realtà a significare che il ricorso abusivo al credito è comunque e di per sé stesso punibile: ossia anche quando non è servito a realizzare una distrazione, ovvero quando non è qualificabile come grave imprudenza volta a ritardare il fallimento. ( 25 ) Così, a una prima lettura, SANDRELLI, La riforma della legge fallimentare: i riflessi penali, in Cass. pen., 2006, 1299; SEMINARA, op. cit., 556; LUNGHINI, MUSSO, Falso in bilancio e altri reati a tutela del risparmio: le novità penali ed amministrative, in Dir. prat. soc., 2006, n. 3, 60. ( 26 ) Valorizzava già in passato questa prospettiva di tutela per imporre l emancipazione dell originario art. 218 l.f. dalla dichiarazione di fallimento CASAROLI, op. cit., 882. ( 27 ) Così PERINI, Prime osservazioni sui profili penali della nuova legge sul risparmio, in Giur. it., 2006, 879. ( 28 ) Sottolinea quest ultima lacuna PERINI, op. loc. ult. cit. ( 29 ) Per una tale e più corretta collocazione sistematica della fattispecie di ricorso abusivo al credito ove considerata indipendente dalla dichiarazione di fallimento v. NUVOLONE, Fallimento (reati), in Enc. dir., vol. XVI, 1967, 494 s. ( 30 ) Si pensi alla «distrazione di beni» (art. 216, n. 1, l. fall.), alla «grave imprudenza per ritardare il fallimento» (art. 217, n. 3, l. fall.) o all «aggravamento del dissesto mediante astensione della dichiarazione di fallimento» (art. 217, n. 4., l. fall.: amplius per un panorama delle fattispecie penali fallimentari integrabili dal c.d. credito rovinoso COCO, I rapporti tra banca e impresa in crisi: problemi di responsabilità penale, in Riv it. dir. proc. pen., 1989, 529 ss.

6 4. In ogni caso, un argomento decisivo a favore della tesi che interpreta il ricorso abusivo al credito come reato necessariamente condizionato si desume dal ruolo politico-criminale assunto da tale delitto nel quadro del diritto penale dell economia: un ruolo reso ancor più evidente dal nuovo regime sanzionatorio prescelto dal legislatore per qualificare il disvalore del fatto. E invero: dato che l art. 218 l. fall. incrimina come ritiene la maggior parte della dottrina, unitamente alla Relazione di accompagnamento alla legge fallimentare una forma particolare di truffa, assimilabile all insolvenza fraudolenta, sarebbe illogico, se non fonte di illegittimità costituzionale, che esso preveda un trattamento sanzionatorio perfettamente identico a quello dell art. 640 c.p., e maggiore di quello dell art. 641 c.p., rinunciando però a selezionare l area di punibilità in funzione di un disvalore d evento, così come invece accade nelle omologhe disposizioni codicistiche. Il risultato sarebbe quello d incriminare la semplice condotta dissimulatoria un ipotesi che forse non raggiunge nemmeno gli estremi dell artificio e del raggiro al pari di una truffa vera e propria ( 31 ). Anzi, peggio: prescindendo dal fallimento, l art. 218 l. fall. finirebbe per comminare la stessa pena prevista dall art. 640 c.p. a una condotta che non raggiunge nemmeno lo stadio del tentativo di truffa, giacché per l esistenza di quest ultimo sarebbe pur sempre necessario che l evento offensivo non si verifichi (lo impone l art. 56 c.p.), mentre chi ricorre abusivamente al credito incorrerebbe nell art. 218 l. fall. anche se dovesse poi adempiere l obbligazione e procurare quindi nessun danno al creditore. Da qui la paradossale conseguenza che la migliore linea difensiva per l imputato chiamato a rispondere di ricorso abusivo al credito prima del fallimento sarebbe quella di autoincolparsi più gravemente: di sostenere cioè che non di semplice dissimulazione si è trattato, ma di un vero e proprio raggiro perpetrato ai danni del creditore, di modo che l assenza del fallimento, e il conseguente adempimento del credito, basterà a assicurargli la mancanza di qualunque conseguenza sanzionatoria ai sensi dell art. 56 c.p. Tutto ciò considerato, si ha un bel dire che l irrilevanza del fallimento nell art. 218 l. fall. deriverebbe dalla necessità di una più penetrante tutela del risparmio (alias del credito) quale interesse strumentale al patrimonio ( 32 ). Per quanto condivisibile sia una tale impostazione, la si può sostenere e praticare alla sola condizione ripetutamente sottolineata in dottrina che la tutela anticipata del bene intermedio (il risparmio oppure la fiducia del creditore) venga meno ogni qual volta non si riscontri, in concreto, un reale nocumento dell interesse finale ( 33 ). Vero ciò, è proprio questa l essenziale funzione svolta dalla dichiarazione di fallimento nel contesto del ricorso abusivo al credito: una tale condizione di punibilità si presta infatti a selezionare l offesa penalmente rilevante al bene intermedio in ragione del suo effettivo sviluppo in una lesione del bene finale ( 34 ). Ben lungi quindi dal porsi in contrasto con le moderne istanze garantistiche del diritto penale, la tecnica del reato condizionato arricchisce l autonomo disvalore del fatto tipico, consentendo, da un lato, di descrivere la tipicità penale, e quindi la norma di condotta, in funzione dell aggressione al bene intermedio o funzionale, senza però rinunciare ad affidare le sorti della norma giudizio, e del principio ( 31 ) Si spiega così la ragione per cui SEMINARA, op. cit., 556 confrontando la fattispecie di cui all art. 640 c.p. con quella del nuovo art. 218 l. fall., interpretata come fattispecie non condizionata ritiene che «la riformulazione dell art. 218 l. fall. si è risolta in una grave incongruenza» [il corsivo è aggiunto]. ( 32 ) In termini più generali, sul risparmio quale bene strumentalmente presidiato, cfr. SGUBBI, Il risparmio come oggetto di tutela penale, in Giur. comm., 2005, I, 340 ss. ( 33 ) Per questo tradizionale insegnamento v. fra gli altri M. GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen., 1969, 8 ss.; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, 3 a ed., Milano, 2004, 343 s.; CATENACCI, Offensività del reato, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da CASSESE, Milano, 2006, Per la diffusa applicazione di un tale criterio nello specifico settore del diritto penale dell economia v., GIUNTA, op. cit., 43 s., passim. ( 34 ) Sulla moderna e garantistica funzione delle condizioni obiettive di punibilità, operanti come filtro ulteriore rispetto alla tipicità, tali da selezionare i fatti da punire in funzione della considerazione di interessi eteronomi, o semplicemente aggiuntivi, rispetto a quelli che hanno trovato spazio nell enucleazione del fatto di reato, v. fondamentalmente, NEPPI MODONA, Concezione realistica del reato e condizioni obiettive di punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1971 ss., 184 ss.; ID., Condizioni obiettive di punibilità, in Enc. giur., vol. VII, 1988, 1 ss.; ANGIONI, Condizioni obiettive di punibilità e principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 1440 ss., 1465 ss., passim.

7 politico-criminale di extrema ratio, al parametro del bene finale ( 35 ). Il tutto si badi bene senza alcun appesantimento processuale (in termini di accertamento del dolo) e senza neppure ledere il principio di colpevolezza, la cui salvaguardia si desume, quanto meno, dall alternativa riduzione della rimproverabilità alla mera volontarietà del pericolo ( 36 ). 5. Una delle differenze più evidenti tra la vecchia e la nuova formulazione dell art. 218 l. fall. riguarda l individuazione dei soggettivi attivi del reato: in precedenza la disposizione menzionava esclusivamente l «imprenditore esercente un attività commerciale»; attualmente l art. 32 l. 262/2005 vi ha aggiunto anche «gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori». Una simile modifica i cui effetti innovativi risultano ovviamente condizionati dall interpretazione del previgente assetto normativo ha tuttavia una portata assai più modesta rispetto a quanto sulle prime potrebbe apparire Onde apprezzare la scarsa rilevanza pratica delle novità in materia di soggetti attivi, basta considerare l unica autentica ipotesi di ampliamento: ossia quella che riguarda l inserimento dei liquidatori accanto agli altri organi di gestione della società che già in passato rispondevano dell illecito ai sensi dell art. 225 l. fall. ( 37 ). In effetti, va ricordato che l assenza dei liquidatori dal novero dei soggetti attivi di questo reato proprio era già stata riscontrata in dottrina ( 38 ), dove tuttavia non la si era considerata irragionevole, in virtù dei limitati poteri di gestione riconosciuti a quest organo (v. l art c.c.): poteri così ristretti da non offrire a ben riflettere alcun terreno fertile per la realizzazione di un ricorso abusivo al credito ( 39 ). Né, del resto, varrebbe eccepire che il liquidatore ben può violare i limiti di cui all art c.c. e compiere atti di gestione tali da integrare una condotta punibile ai sensi del 218 l. fall. Quand anche ciò accadesse, infatti, egli finirebbe per assumere il ruolo di un amministratore di fatto, incorrendo così nel rigore dell art. 218 l. fall., non già in ragione della sua formale qualifica, bensì per le funzioni di fatto svolte, posto che nel diritto penale fallimentare le qualifiche soggettive sono notoriamente interpretate, almeno da parte della giurisprudenza, in termini sostanziali ( 40 ), non diversamente da quanto ha stabilito l art c.c. nel diritto penale societario ( 41 ). A tutto concedere, esiste comunque un ulteriore e assorbente ragione tecnica che rende superfluo l inserimento dei liquidatori tra i soggetti attivi del reato. Valga considerare quanto paradossale sia l ipotesi, supposta dall art. 32 l. 262/2005, che un liquidatore, presentandosi come tale, sia realmente in grado di dissimulare lo stato di dissesto, posto che la sua qualifica è già di per sé sintomatica di una precipua e notoria fase economica dell impresa, tale da rendere inverosimile la possibilità di nasconderla ( 42 ). A meno che, è ovvio, non si supponga l esistenza di un creditore così ingenuo, sprovveduto o negligente da non richiedere al liquidatore alcuna informazione sullo stato di salute dell azienda. E tuttavia, quand anche ciò si verificasse, sarebbe per lo meno dubbio che un si- ( 35 ) Sulla necessità che l opzione incriminatoria assuma sempre il bene finale quale parametro di extrema ratio v. per tutti PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, in AA.VV., Studi in memoria di P. Nuvolone, vol. I, Milano, 1991, 382 ss. ( 36 ) Su quest ultimo aspetto v. diffusamente ANGIONI, op. cit., 1510 ss. ( 37 ) Sottolinea la presenza di questa novità, fra gli altri, SANDRELLI, op. cit., Va comunque ricordato che, già in passato, anche i liquidatori potevano rispondere di ricorso abusivo al credito almeno fino alla modifica dell art. 203 l. fall. operata dall art. 99 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 qualora l impresa beneficiaria del credito fosse posta in liquidazione coatta amministrativa: cfr. per tutti CONTI, op. cit., 349. ( 38 ) Amplius sulla posizione dei liquidatori nel diritto penale fallimentare CASAROLI, Bancarotta c.d. impropria: note su alcuni punti-chiave in tema di soggetto attivo del reato, in Ind. pen., 1979, spec. 237 ss. ( 39 ) Così LA MONICA, I reati fallimentari, cit., 568. ( 40 ) Cfr., da ultimo, PALLADINO, L amministratore di fatto tra reati fallimentari e reati societari, in Cass. pen., 2005, 3088 ss.; nonché per un più ampio panorama interpretativo cfr. CASAROLI, Commento all art. 223, in MAFFEI ALBERTI, Commentario, cit., 904 ss. ( 41 ) Sul punto, anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici, GIUNTA, Lineamenti, cit., 153 ss. ( 42 ) In argomento, per tutti, CONTI, op. cit., 357, ove si ritiene che «il reato non sussiste per difetto di un elemento essenziale (la dissimulazione di un fatto ignoto) quando il dissesto si rivela evidente».

8 mile fatto rientri nell area di tipicità dell art. 218 l. fall., vuoi perché sarebbe difficile parlare di autentico nascondimento rispetto a chi non è interessato a sapere, vuoi perché una tale fattispecie, non diversamente dalla norma madre, la truffa, richiede una delimitazione di carattere vittimodogmatico atta a escludere, in termini di sussidiarietà, la rilevanza penale di condotte rivolte a soggetti che abbiano essi stessi rinunciato a tutelare i propri interessi ( 43 ) Quanto alle altre qualifiche soggettive richiamate dall art. 218 l. fall., il significato del loro incremento varia radicalmente in funzione del modo in cui si interpreta la struttura della fattispecie di reato (v. supra 3). Invero, dalla nostra angolazione, secondo cui il delitto di ricorso abusivo al credito presuppone necessariamente (ora come un tempo) la dichiarazione di fallimento, una tale modifica tenderebbe solo a correggere la previgente frammentazione soggettiva della fattispecie. Ove invece si accolga la tesi secondo cui l art. 218 l. fall., a differenza dell art. 225 l. fall., non delineerebbe un reato condizionato, la trasmigrazione degli «amministratori» e dei «direttori generali» dalla loro originaria collocazione sotto l art. 218 l. fall. avrebbe una ripercussione strutturale, stando a testimoniare la volontà di punire il ricorso abusivo al credito commesso in ambito societario anche in mancanza del fallimento ( 44 ). Sennonché, quest ultima interpretazione, per quanto appaia coerente con il plausibile spirito della riforma, non riesce a convincere del tutto. In primo luogo, si può osservare come lo spostamento degli amministratori e dei direttori generali sotto l art. 218 l. fall. non è stato accompagnato dall abrogazione dell art. 225 l. fall. ( 45 ): la qual cosa rende per lo meno dubbia la decisione di prescindere dal fallimento nel delitto societario di ricorso abusivo al credito. Certo, si potrebbe sostenere che il legislatore non ha brillato in perizia tecnica, scordandosi in realtà dell esistenza dell art. 225 l. fall., la cui abrogazione tacita sarebbe comunque desumibile, ex art. 15 disp. prel., per incompatibilità con il sopravvenuto stato di diritto ( 46 ). Sarà anche così: resta comunque il fatto che la tesi volta a sostenere la sopravvenuta irrilevanza della dichiarazione di fallimento per il ricorso abusivo al credito commesso dagli amministratori e dai direttori generali impone di rettificare in via interpretativa giacché nulla più che interpretazione è l abrogazione tacita ( 47 ) l assetto del diritto positivo, il cui esplicito tenore è in realtà di segno esattamente opposto. D altro canto, onde avvalorare un così profondo aggiustamento ermeneutico del dato positivo, non gioverebbe osservare che esso è imposto dalla necessità di rimediare alla precedente disomogenità strutturale tra il ricorso abusivo al credito commesso dall imprenditore individuale e quello realizzato in ambito societario (v. supra 3). Un tale modo di ragionare si scontrerebbe infatti col rilievo che l evocata disparità di trattamento, lungi dall essere ineluttabile, è in realtà originata dalla stessa difettosa interpretazione dell art. 218 l. fall. quale reato non condizionato. Soluzione, questa, contraddetta però proprio dall attuale riforma la quale ha continuato a lasciare nel sistema concorsuale ipotesi di ricorso abusivo al credito per la cui consumazione è inequivocabilmente richiesta la dichiarazione di fallimento (v. l art. 222 l. fall. relativo ai soci illimitatamente responsabili e l art. 227 l. fall. concernente l institore). Sarebbe quindi ben strano che il legislatore si sia deliberatamente prefisso di uniformare la struttura dell illecito, indipendentemente dalla qualifica dell autore, ma ( 43 ) Su tale impostazione, ben più proficuamente sviluppata nella cultura giuridica tedesca, v. per tutti M. EL- LMER, Betrug und Opfermitverantwortung, Berlin, 1985, 206 ss., 271 ss., passim; DEL TUFO, Profili critici della vittimo-dommatica, Napoli, 1990, 75 ss.; CAGLI, Condotta della vittima e analisi del reato. Profili problematici e di teoria generale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, spec ss. ( 44 ) Per questa seconda linea di lettura v., fra gli altri, BRICCHETTI, PISTORELLI, Ricorso abusivo al credito: reclusione fino a tre anni, in Guida al dir., 2006, n. 4, 157. ( 45 ) Lo sottolinea criticamente SEMINARA, op. cit., 558. ( 46 ) Così per esempio SANDRELLI, op. cit., 1298, il quale, più precisamente, parla di «perdita di rilevanza» dell art. 225 l. fall. ( 47 ) Per un tale consolidato insegnamento v., ex plurimis SORRENTINO, L abrogazione nel quadro dell unità dell ordinamento giuridico, in Riv. trim. dir. pubb., 1972, 3 ss., 11 ss.; GUASTINI, Le fonti del diritto e l interpretazione, Milano, 1993, 292 ss.; ID., Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, 1998, 190 ss.

9 abbia poi assolto in modo parziale a un tale compito. Ovvio: anche in questo caso si potrebbe sostenere che l incoerenza dipende dalla solita imperizia del legislatore; ma a forza di evocarla, la sciatteria legislativa rischia di tradire la debolezza dell interprete Non è tutto. La tesi secondo cui il nuovo art. 218 l. fall. non delineerebbe un reato condizionato, talché lo spostamento degli amministratori e dei direttori generali sotto una tale norma dipenderebbe proprio dalla volontà di chiamarli a rispondere, per ricorso abusivo al credito, a prescindere dal fallimento della società, trova ulteriore ostacolo in una circostanza che pare sinora sfuggita ai primi commentatori della riforma. Il riferimento è alla stravagante disciplina sanzionatoria che si otterrebbe, per questa via, qualora l ottenimento del credito abusivo contribuisse effettivamente a cagionare il fallimento. Ebbene, in presenza di una simile eventualità, occorrerebbe paradossalmente concludere che l imprenditore individuale continuerebbe a rispondere solo del reato di cui all art. 218 l. fall.; mentre l amministratore e il direttore generale finirebbero per rispondere della fattispecie di «operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento», rispetto alla quale l art. 223, comma 2, n. 2, l. fall. prevede una pena da tre a dieci anni di reclusione ( 48 ). Soluzione, questa, che è già stata per il vero prospettata dalla più recente giurisprudenza di legittimità ( 49 ): e tuttavia, mentre nel passato ciò era dipeso da una macroscopica interpretatio abrogans dell art. 225 l. fall. ( 50 ), attualmente la strada per un tale soluzione risulta spianata dalla ipotizzata abrogazione tacita di quest ultima norma (v. supra 5.2). Il tutto si badi bene con una definitiva metamorfosi storica del ricorso abusivo al credito, il quale, da ipotesi sintomatica di bancarotta semplice (v. supra 1), si troverebbe oggi assimilato, almeno in ambito societario, alla bancarotta fraudolenta tout court. A parte la notazione storiografica, la disomogenità sanzionatoria resterebbe comunque eclatante. L imprenditore individuale, ove ricorra abusivamente al credito, sarebbe esposto a una pena massima di tre anni di reclusione, indipendentemente dal fatto che si verifichi o meno del fallimento. Gli amministratori e i direttori generali subirebbero, invece, per lo stesso fatto, un draconiano incremento sanzionatorio (fino a dieci anni di reclusione) ogni qual volta la condotta dissimulatoria sia seguita dall evento di danno. Un risultato, questo, di fronte al quale è curioso pensare che un tempo chi sosteneva l irrilevanza del fallimento nell ambito dell art. 218 l. fall. si trovava costretto a spiegare le ragioni per cui era giusto che gli amministratori e i direttori generali godessero di un trattamento più favorevole ai sensi dell art. 225 l. fall. ( 51 ). Oggi, dopo la riforma, la dottrina che intendesse sostenere questa stessa impostazione strutturale si troverebbe viceversa costretta ironia della sorte ad argomentare in senso esattamente opposto, giustificando cioè le ragioni per cui il ricorso abusivo al credito commesso in ambito societario, se seguito dal fallimento, sarebbe assoggetto a una pena grandemente più elevata rispetto a quella applicata all imprenditore individuale per il medesimo fatto di reato. In realtà, i rapporti tra il ricorso abusivo al credito societario (artt 218 e 225 l. fall.) e la fattispecie di operazioni dolose di cui all art. 223, n. 2, l. fall. sono ben diversi da quelli sinora delineati. E tuttavia, per esigenze di ordine espositivo, conviene occuparsene in chiusura del lavoro (v. infra 8), dopo avere accennato alla struttura oggettiva dell illecito, blandamente interessata dalla riforma. ( 48 ) In argomento, fondamentalmente, CASAROLI, La causazione dolosa del fallimento della società da parte di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, in Ind. pen., 1978, 411 ss., nonché per un più aggiornato quadro interpretativo di quest ultima fattispecie, da considerarsi «uno dei problemi di più ardua soluzione dell intera normativa penale fallimentare», v. ID., Commento all art. 223, cit., 913 ss. ( 49 ) Il riferimento è a Cass. pen., sez. V, 14 gennaio 2004, Iride, in Riv. pen., 2004, 843. ( 50 ) In effetti, secondo Cass. pen., sez. V, 14 gennaio 2004, Iride, cit., l applicazione dell art. 223 l. fall., in luogo del combinato disposto tra gli art. 218 e 225 l. fall., sarebbe imposta, nel caso di ricorso abusivo al credito che cagioni il fallimento della società, dall operatività della clausola di riserva che un tempo apriva l art. 218 l. fall. (applicabile «Salvo che il fatto costituisca un reato più grave»). E tuttavia, se così fosse, viene spontaneo chiedersi quando mai si sarebbe potuto applicare autonomamente l art. 225 l. fall., il quale cedendo automaticamente il passo all art. 223, n. 2, l. fall., sarebbe stato così destinato a una fatale e ineluttabile interpretatio abrogans. ( 51 ) Il riferimento è chiaramente a NUVOLONE, Ricorso, cit., 408 (v. supra 2).

10 6. Com è noto, l art. 218 l. fall. delinea un reato a condotta mista, in tanto in quanto richiede, per la sua realizzazione, sia il ricorso al credito o la continuazione nel rapporto creditizio, sia la dissimulazione della reale situazione economica del debitore. Una struttura, questa, che non è stata sostanzialmente intaccata dalla riforma: la quale si è limitata a precisare il presupposto della dissimulazione penalmente rilevante, stabilendo che essa può avere a oggetto, oltreché il «dissesto», così come previsto dall originario art. 218 l. fall., anche lo «stato di insolvenza» del debitore, che fa dunque la sua prima comparsa nel diritto penale fallimentare ( 52 ). Il senso e l utilità di quest ultima precisazione rimangono tuttavia incerti. Secondo il prevalente orientamento interpretativo, infatti, il concetto penalistico di dissesto altro non sarebbe che un sinonimo dello «stato di insolvenza» che, ai sensi dell art. 5 l. fall., dà luogo alla dichiarazione di fallimento ( 53 ), l unica differenza potendo semmai consistere nell assenza, nel primo, di quei fatti esteriori che legittimano una vera e propria declaratoria fallimentare ( 54 ). Si spiega così la ragione per cui una parte della dottrina ritiene che il dissesto rappresenti un quid minoris rispetto all insolvenza, ossia uno stato di pericolo serio, ma non ancora sufficiente a imporre il fallimento ( 55 ). Nessuno però ha mai ipotizzato l inverso, ossia che lo stato di insolvenza esprima, in termini oggettivi, qualcosa in più del dissesto, sicché non si vede proprio quale significato possa assumere l aggiunta operata dall art. 32 l. 262/2005. A meno che è ovvio non si ritenga che l insolvenza si configuri in forza del solo discredito soggettivo dell imprenditore circa la sua solvibilità, ancorché in mancanza di quel reale sbilancio tra attivo e passivo in cui consiste il dissesto. Questa sì che sarebbe un interpretazione capace di attribuire carattere innovativo alla precisazione introdotta dall art. 32 l. 262/2005. Eppure v è seriamente da dubitare che una siffatta concezione meramente soggettiva dello stato insolvenza sia compatibile con la necessaria offensività e materialità dell illecito penale ( 56 ) Per il resto la riforma non ha ritenuto di modificare la condotta tipica del ricorso abusivo al credito, la cui descrizione legale se si eccettua la coniugazione al plurale dipesa dall incremento del numero di intranei è ribadita negli stessi esatti termini, con conseguente riproposizione di tutte le incognite che caratterizzavano la previgente formulazione. Al riguardo, basta considerare l espressione «ricorrono o continuano a ricorrere al credito» che è stata riproposta dall art. 32 l. 262/2005. Ebbene, non è mai stato del tutto chiaro se una tale puntualizzazione sottenda una mera ridondanza, incapace come tale di riflettersi in termini strutturali ( 57 ), oppure si presti ad articolare il reato in termini eventualmente abituali ( 58 ), ovvero, ancora, modifichi l area di illiceità sino a comprendervi la prosecuzione dei rapporti creditori instaurati in condizioni di normalità, ma successivamente protrattisi dopo l intervento dello stato di dissesto ( 59 ). Parimenti invariato è rimasto, inoltre, anche il concetto di «credito», che funge, peraltro, da linea di demarcazione tra l art. 218 l. fall. e il delitto di insolvenza fraudolenta previsto dall art. 641 c.p. (v. infra 7). A questo proposito si badi nessuno dubita che la nozione di credito sia la più lata possibile e tale quindi da comprendere qualsiasi qualificazione giuridica del rapporto negoziale ( 52 ) Sulla preferenza del legislatore penale a utilizzare i concetti di dissesto e di fallimento, in luogo di quello di insolvenza, pur definito dall art. 5 l. fall., onde delimitare le fattispecie incriminatrici concorsuali, v. PERINI, Il «cagionamento del dissesto»: la nuova «bancarotta da reato societario» al banco di prova della causalità, in questa Rivista, 2004, 721 ss. ( 53 ) Su tale sinomia v. per tutti ANTOLISEI, op. cit., 180 s.; PEDRAZZI, op. cit., 195. ( 54 ) Amplius LA MONICA, I reati fallimentari, cit., 550 ss.; PERINI, op. ult. cit., 724 ss. ( 55 ) DE SEMO, op. cit., 88; PUNZO, Il fallito non può commettere il reato di ricorso abusivo al credito, in Giust. pen., 1954, II, 222. ( 56 ) Nello specifico, sulla «natura reale dello stato di insolvenza, quale situazione non meramente soggettiva ma di fatto» v., sia pur con riferimento all art. 641 c.p., AZZALI, Insolvenza fraudolenta, in Enc. dir., vol. XXI, 1971, 786 s. ( 57 ) Così PEDRAZZI, op. cit., 200, con la cui valutazione qui si concorda. ( 58 ) Soluzione questa contraddetta però dall art. 219, comma 2, n. 1, l. fall. che configura una circostanza aggravante nel caso di pluralità di fatti di ricorso abusivo al credito: cfr. CONTI, op. cit., 359. ( 59 ) Così LA MONICA, op. ult. cit., 567.

11 (prestiti, finanziamenti, acquisti a rate, cauzioni dai dipendenti, depositi irregolari, eccetera) ( 60 ). Il problema riguarda semmai la sua differenziazione dal concetto di «obbligazione» che compare nell art. 641 c.p. Sul punto, sembra tuttavia mantenere tutto il proprio valore quell autorevole opinione secondo cui, per «credito», non è da intendersi qualunque rapporto obbligatorio, bensì solo i rapporti connotati da un significativo distacco temporale tra prestazione e controprestazione, giacché solo in tal caso maturerebbe quello stato di affidamento la cui lesione costituisce il tratto specifico dell art. 218 l. fall. rispetto a qualunque altro reato patrimoniale ( 61 ) Infine, l art. 32 l. 262/2005 non ha ritenuto di migliorare nemmeno la descrizione della condotta tipica dell art. 218 l. fall., sebbene l interpretazione del concetto di «dissimulazione» abbia sempre segnato in termini problematici il destino applicativo della fattispecie. Sul punto meritano comunque di essere ricordati per lo meno i due principali orientamenti soffermatisi a considerare, in particolare, il rapporto esistente tra la condotta di dissimulazione e quella tipica della truffa. Da un lato, v è infatti chi ritiene che la dissimulazione si porrebbe in termini di alternatività con gli artifici e raggiri: giacché la prima consisterebbe nel nascondimento di uno stato di insolvenza tale per cui la vittima è mantenuta in una condizione di ignoranza, laddove l azione truffaldina causerebbe un errore sullo stato di solvibilità ( 62 ). Dall altro lato, v è invece chi sostiene che anche la dissimulazione sfrutti un errore della vittima (dipeso da ignoranza) circa la solvibilità del reo: con la conseguenza che la condotta di cui all art. 218 l. fall., lungi da porsi in rapporto di alternatività con gli artifici e raggiri, ne costituirebbe semmai un ipotesi specifica ( 63 ). É questo, tuttavia, un contrasto che merita di essere ridimensionato, essendo, nei fatti, risolto il problema pratico da cui traeva origine: vale a dire il problema concernente la rilevanza penale o meno del mero silenzio o della semplice menzogna ai sensi dell art. 218 l. fall. É intuibile, infatti, che movendo dalla tesi secondo cui la dissimulazione è un ipotesi specifica di raggiro, si pongono le premesse per negare il carattere dissimulatorio del mero silenzio, posto che quest ultimo non dovrebbe rilevare neppure ai sensi dell art. 640 c.p. Preferendo invece la tesi della alternatività tra dissimulazione e artificio e raggiro, si è indotti viceversa a dilatare il concetto di condotta dissimulatoria sino a includervi anche il mero silenzio o la reticenza. In realtà, però, una tale questione ha perso completamente di significato dal momento in cui la giurisprudenza si ostina a ritenere che la menzogna, o anche il silenzio maliziosamente serbato, sono già sufficienti a integrare una truffa ( 64 ). Stando a questa premessa, diviene chiaramente superfluo stabilire se la dissimulazione sia specifica o alternativa rispetto agli artifici e raggiri, posto che, se la truffa già viene configurata in termini omissivi, così da attribuire rilevanza al silenzio, un tale comportamento non potrà che rilevare anche ai sensi dell art. 218 l. fall. 7. Una delle principali novità introdotte dall art. 32 l. 262/2005 riguarda la scomparsa della clausola di riserva più tecnicamente una clausola di sussidiarietà che apriva la previgente disposizione dell art. 218 l. fall. Non che in passato una tale clausola fosse riuscita a chiarire ogni interferenza applicativa tra il ricorso abusivo al credito e le fattispecie incriminatrici limitrofi. Certo è che una tale innovazione, unita all inasprimento del regime sanzionatorio (v. supra 4), finisce per spostare i termini della questione. L argomento, va comunque precisato, non può essere qui esaminato in tutta la sua complessità, subendo esso l influenza di diverse variabili teoriche, non ultima la struttura che si riconosce al reato di cui all art. 218 l. fall. e il numero di criteri diagnostici utilizzati per ( 60 ) Cfr., anche per i puntuali riferimenti giurisprudenziali, CASAROLI, Commento all art. 218, cit., 882. ( 61 ) Così GIULIANI BALESTRINO, op. cit., 469; PEDRAZZI, op. cit., 195. ( 62 ) Così in primis e fondamentalmente PEDRAZZI, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955, 266; ID., Commento, cit., 198; nonché negli stessi termini ex plurimis F. MANTOVANI, Insolvenza fraudolenta, in Dig. disc. pen., vol. VII, 1993, 124. ( 63 ) Diffusamente sul punto AZZALI, op. cit., 790 s. ( 64 ) Con riferimento alla rilevanza del mendacio e del semplice silenzio nella giurisprudenza sulla truffa v. rispettivamente Cass. pen., sez. II, 19 maggio 2006, M.F., in Dir. pen. proc., 2006, 1381 ss., con nota di PISA, CALCA- GNO, Mendacio e truffa; Cass. pen., sez. IV, 10 aprile 2000, Salerno, in Cass. pen., 2002, 610.

12 dirimere il concorso apparente di norme. In questa sede pare comunque utile per lo meno sintetizzare i termini delle principali relazioni. a) Ebbene: per quanto riguarda il rapporto tra ricorso abusivo al credito e il delitto di insolvenza fraudolenta di cui all art. 641 c.p., al di là delle molteplici differenze individuate al riguardo dalla dottrina ( 65 ), va ribadito con decisione che le due fattispecie si pongono tra loro in rapporto di radicale alternatività, a causa della loro diversa ambientazione negoziale (v. supra 6.1). Nell art. 218 l. fall., infatti, il soggetto agente dissimula il proprio dissesto al fine di ricorrere al credito, il che significa che agisce nell ambito di un rapporto negoziale caratterizzato da una netta divaricazione temporale tra il momento della fruizione del bene o del servizio e il momento della controprestazione. Viceversa, nell art. 641 c.p. non a caso usualmente denominato reato di scrocco il soggetto agente dissimula la propria insolvenza nell ambito di un rapporto obbligatorio sinnallagmatico le cui prestazioni sono destinate a un esecuzione pressoché contestuale ( 66 ). Ne deriva, quindi, che non v è possibilità alcuna di instaurare un concorso formale tra gli artt. 641 c.p. e 218 l. fall. b) Con riferimento al reato di mendacio bancario, ripristinato dall art. 33 l. 262/2005, il rapporto con il ricorso abusivo al credito viene invece risolto sulla base della clausola di sussidiarietà che apre l art. 137 d.lgs. 1993/385. Dalla sua operatività ne deriva che il mendacio bancario risulta autonomamente sanzionato, ex art. 137 d.lgs. 1993/385, con la pena della reclusione fino a un anno e con la multa fino a euro Se, invece, un tale mendacio ha a oggetto lo stato di insolvenza e di dissesto ed è commesso da colui che richiede alla banca il credito, allora troverà applicazione il solo art. 218 l. fall., sempreché beninteso il reo non riesca a restituire quanto dovuto, giacché ove ciò accedesse tornerebbe a doversi applicare il solo art. 137 d.lgs. 1993/385 a causa della mancata verificazione della condizione obiettiva che subordina la punibilità del reato di cui all art. 218 l. fall. c) D altro canto, il rapporto tra il ricorso abusivo al credito e il delitto di truffa va risolto sulla base del criterio generale predisposto dall art. 15 c.p. E invero, per le ragioni già illustrate, sembra agevole concludere per il carattere speciale della fattispecie di cui all art. 218 l. fall. rispetto a quella delineata dall art. 640 c.p. Una specialità, questa, che riguarda si badi bene non solo la tipologia di condotta, ma anche il disvalore d evento (la mancata controprestazione quale ipotesi speciale di danno), la cui imputazione soggettiva è affidata al criterio di ascrizione previsto dall art. 44 c.p. ( 67 ); criterio che si presta a un più agevole accertamento processuale rispetto alla prova del dolo di danno richiesto nella truffa. d) Per quanto riguarda il rapporto tra ricorso abusivo al credito e i delitti di bancarotta, considerata l indubbia autonomia delle fattispecie, è da sempre prevalente in dottrina l opinione che si possa instaurare tra loro un concorso di reati ( 68 ). L unica eccezione in tal senso era rappresentata dalle operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento di cui all art. 217, n. 3, l. fall.: ipotesi, questa, che veniva considerata speciale rispetto all art. 218 l. fall. e in quanto tale considerata prevalente, anche perché sanzionata, un tempo, con una pena più elevata (nel minimo) rispetto al ricorso abusivo al credito ( 69 ). Sennonché, l eliminazione della clausola di sussidiarietà che apriva l art. 218 l. fall., unitamente al radicale incremento sanzionatorio previsto per quest ultimo delitto, sembrano imporre adesso un totale ribaltamento di piani ( 70 ). A ben vedere, infatti, è la fattispecie di ricorso abusivo al credito che, atteggiandosi quale ipotesi specifica del più generale concetto di operazione volta a ritardare il fallimento, si pone quale ipotesi speciale rispetto all art. 217, n. 3, l. fall. Logico quindi che sia quest ultimo a soccombere in caso di concorso: tanto più che esso presenta ( 65 ) Cfr. per un dettagliato riscontro CASAROLI, Commento all art. 218, cit., 884. ( 66 ) Così, per tutti, GIULIANI BALESTRINO, op. cit., 469. ( 67 ) In argomento, per tutti, CASAROLI, Commento all art. 44, in T. PADOVANI (a cura di), Codice penale, Milano, 2005, 262 ss. ( 68 ) Ex plurimis ANTOLISEI, op. cit., 184. ( 69 ) Così, fra gli altri, CONTI, op. cit., 362. ( 70 ) Già in precedenza nel senso del testo ANTONIONI, La bancarotta semplice, Napoli, 1962, 166 s.

13 attualmente un trattamento sanzionatorio inferiore, il che corrobora anche in termini di sussidiarietà e di consunzione la validità di una tale conclusione. 8. Una considerazione a parte merita, infine, l esame dei rapporti tra il ricorso abusivo al credito realizzato in ambito societario e l ipotesi di bancarotta fraudolenta societaria di cui all art. 223, n. 2, l. fall. Ebbene: se si muove dalla tesi secondo cui l art. 225 l. fall. sarebbe stato tacitamente abrogato dalla riformulazione dell art. 218 l. fall., il quale incrementando il novero dei soggetti attivi ne a- vrebbe eroso l ambito applicativo (v. supra 5.2), allora occorrerebbe concludere che il rapporto tra le due fattispecie è quello che intercorre tra un reato di mera condotta e un reato d evento omogenei in termini lesivi. Con altre parole si configurerebbe il reato di cui all art. 218 l. fall. se gli amministratori e i direttori generali si limitano a ricorrere abusivamente al credito; qualora una tale condotta sfoci nel fallimento della società, la fattispecie concreta sarebbe invece automaticamente qualificata come «operazione dolosa» che ha cagionato il fallimento e sottoposta, ex art. 223 l. fall., alla pena della reclusione fino a dieci anni. Sennonché, la singolarità di quest ultima conclusione rispetto alla storia di emancipazione del ricorso abusivo al credito (che tornerebbe così a essere assimilato alla bancarotta fraudolenta); lo straordinario incremento sanzionatorio che ne sortirebbe, tale da comportare una triplicazione del regime punito; le disparità di trattamento che si configurerebbero tra ricorso abusivo al credito societario e ricorso abusivo al credito dell imprenditore individuale (che sarebbe in ogni caso sottoposto alla pena di tre anni di reclusione, quand anche dovesse verificarsi il fallimento), sono tutti argomenti sui quali già ci si è soffermati che depongono a sfavore di tale impostazione (v. supra 3 s. e 5.2 s.). Ben più lineare e coerente risulterebbe invece il rapporto tra l art. 223, n. 2, l. fall. e l art. 218 l. fall. ove si preferisse ritenere che quest ultimo delinea un reato condizionato. Da tale angolazione, infatti, altra soluzione non vi sarebbe, per evitare un interpretazione abrogans dell art. 225 l. fall., che interpretare in termini di alterità il rapporto tra ricorso abuso al credito societario e operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento. Alterità si badi bene che non riguarderebbe tanto il diverso grado di volontarietà dell evento, che nell art. 218 l. fall. subisce un ascrizione oggettiva, ex art. 44 c.p., mentre nell art. 223, n. 2, l. fall. sarebbe imputabile a titolo di dolo eventuale o preterintenzionale ( 71 ). Sotto questo profilo, infatti, nulla esclude che anche una condizione obiettiva di punibilità sia ascritta, nel caso specifico, a titolo di dolo o di colpa in tanto in quanto direttamente perseguita dall agente o da lui prevedibile ed evitabile. Semmai l alterità riguarderebbe la tipologia di credito fraudolento che occorre realizzare per dare corpo alle due distinte fattispecie di reato. E invero, nell art. 218 l. fall. deve trattarsi di un credito abusivo perché ottenuto, mediante dissimulazione, ai danni dell ignaro creditore, il quale assumerà pertanto il ruolo della vittima. Viceversa, nell art. 223, n. 2, l. fall. deve trattarsi di credito rovinoso ossia architettato dall agente con lo stesso concorso del creditore ai danni della futura massa fallimentare. Si spensi, per esempio, all ipotesi accusatoria che caratterizza il caso Parmalat, in cui taluni istituti bancari sono chiamati a rispondere di concorso nel reato di cui all art. 223, n. 2, l. fall. per avere orchestrato in concorso con il debitore operazioni finanziarie ai danni dei piccoli risparmiatori. In ogni caso, al di là delle possibili esemplificazioni, la differenza tracciata è assai nitida in termini vittimologici, giacché il ricorso a- busivo al credito è un reato con la cooperazione della vittima; dal canto suo, l art. 223, n. 2, l. fall. assume invece, in ambito creditizio, una natura plurisoggettiva, tale cioè da richiedere la cooperazione di un debitore (quello forte e prevaricatore) ai danni degli altri più deboli : ed è anzi proprio un tale condotta di concorso a sancire la trasformazione del credito da abusivo in rovinoso. ( 71 ) Per queste due interpretazioni del criterio di ascrizione dell evento nel reato di «operazioni dolose» di cui all art. 223, n. 2, l. fall. v., rispettivamente, VENTURATI, Le operazioni dolose nella bancarotta societaria, in questa Rivista, 1990, 579; PEDRAZZI, op. ult. cit., 322 s.

14 ABSTRACT Nell ambito di un rafforzamento della tutela penale risparmio, l art. 32 l. 28 dicembre 2005, n. 262 ha riformulato la fattispecie di ricorso abusivo al credito di cui all art. 218 l. fall., prevedendone fra l altro un deciso inasprimento sanzionatorio. I primi commentatori hanno intravisto in una tale riforma l obiettivo di risolvere l annoso contrasto interpretativo sulla struttura del reato in esame, optando per la tesi secondo cui il suo perfezionamento non richiederebbe la dichiarazione di fallimento dell accipiens, ma il semplice ottenimento del credito mediante dissimulazione dello stato di dissesto. L Autore si contrappone però a tale impostazione, la quale finirebbe per ritenere sanzionabile anche l imprenditore che ha saputo poi adempiere il credito pur abusivamente ottenuto. La fattispecie di cui all art. 218 l. fall. questa è la tesi principale del lavoro non può prescindere da un disvalore d evento, che per ragioni di semplificazione processuale il legislatore opportunamente qualifica come condizione obiettiva di punibilità. Né tale soluzione risulta in contrasto con il tenore letterale della vigente disposizione incriminatrice, la quale, al di là di talune persistenti ambiguità, depone anzi a favore dell esistenza di un reato condizionato.

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