La Legge 53 del 2000 è intitolata Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi nelle città. E una legge che ha introdotto significative innovazioni, non soltanto dal punto di vista terminologico, ma anche, principalmente, sotto il profilo contenutistico, rispetto all originaria disciplina in materia di astensione dal lavoro e di permessi per la cura e l assistenza dei figli, sia naturali che adottivi. Il nuovo assetto normativo, ossia la legge 53 del 2000, è poi confluita nel cosiddetto Testo Unico sulla tutela ed il sostegno della maternità e della paternità che è il Decreto legislativo n. 151 del 2001 (Testo Unico perché ha provveduto a riunificare e coordinare le disposizioni precedenti). L attuale disciplina costituisce, perciò, il risultato di un processo di riforma e di ampliamento del tradizionale sistema di tutele, incentrato sulla figura della lavoratrice madre, alla quale era riconosciuto il diritto all assenza dal lavoro nei due mesi precedenti al parto e nei tre mesi successivi; la facoltà di astenersi dal lavoro per successivi ulteriori sei mesi durante il primo anno di vita del bambino; nonché il diritto a periodi di riposo giornaliero per allattamento ed a permessi per le malattie del figlio di età inferiore ai tre anni: la lavoratrice madre restava, pertanto, la principale destinataria della legislazione di tutela. Radicalmente diverso è il principio sotteso alla disciplina introdotta dalla Legge 53 del 2000, che recepisce i principi contenuti nella Direttiva comunitaria n. 34 del 1996. Il principale elemento innovatore rispetto alla legislazione nazionale previgente è costituito dalla totale equiparazione del padre alla madre nelle attività di cura, assistenza ed educazione dei figli. Non solo; la Legge 53 del 2000 prima, e il Decreto Legislativo 151 del 2001 poi, hanno portato a compimento anche il percorso volto alla completa equiparazione dei genitori adottivi e affidatari rispetto ai genitori biologici. Tutto ciò è avvenuto, come anticipato poc anzi, in occasione del recepimento in Italia della Direttiva comunitaria che, proprio al fine di agevolare la conciliazione delle responsabilità professionali e familiari di entrambi i genitori che lavorano, ha imposto a tutti gli Stati membri dell Unione Europea di riconoscere ai lavoratori di ambedue i sessi il diritto individuale al congedo parentale, in occasione della nascita o anche dell adozione, o affidamento, di un bambino. Con la locuzione congedo parentale ci si riferisce al periodo di astensione facoltativa dal lavoro nei primi otto anni di vita del bambino; tale diritto viene riconosciuto ad entrambi i genitori come ha già accennato la mia collega - nel limite complessivo di dieci mesi (che può però essere esteso ad undici in una specifica ipotesi che vedremo di qui a breve). Il congedo parentale si affianca ed arricchisce gli istituti esistenti, del congedo di maternità e del congedo di paternità; è necessario, pertanto, non confondere il medesimo con gli altri due, che sono istituti distinti. Il congedo di maternità è quello che nel vigore della precedente disciplina era denominato Astensione obbligatoria dal lavoro per maternità e consisteva, come noto, nel divieto di adibire al lavoro le donne nel periodo dei due mesi antecedenti alla data presunta del parto, nel periodo eventualmente intercorrente tra la data presunta e quella effettiva, nonché nei tre mesi successivi al parto. La Legge 53 del 2000, confluita ora nel Testo Unico, ha innovato anche tale istituto, non solo sotto il profilo terminologico, perché adesso lo qualifica congedo di maternità, ma 22
anche sotto il profilo contenutistico, riconoscendo maggiore flessibilità alla lavoratrice madre; in particolare, riconoscendole la possibilità di far decorrere l astensione obbligatoria dal lavoro a partire da un mese precedente la data presunta del parto fino a 4 mesi successivi, mantenendo ferma invece la durata complessiva del congedo stesso, che resta di 5 mesi. Tale facoltà è ammessa, peraltro, a condizione che il Servizio Sanitario Nazionale certifichi che quest opzione non comporta un eventuale pregiudizio alla salute della madre o del nascituro. Inoltre questa stessa legge ha espressamente riconosciuto che, in caso di parto prematuro - quindi anticipato rispetto alla data presunta - la madre possa recuperare, dopo la nascita del figlio, il periodo di assenza dal lavoro effettivamente non fruito. Anche in questo la Legge colma una lacuna della disciplina previgente. Accanto all istituto del congedo di maternità la Legge 53 introduce il congedo di paternità, ossia attribuisce anche al padre un vero e proprio diritto di astenersi dal lavoro: ciò però soltanto in alcuni casi tassativamente elencati dalla legge. In ogni caso questo diritto si aggiunge al periodo che può essere fruito dal padre come congedo parentale. Le ipotesi in cui il padre lavoratore ha diritto di fruire del congedo di paternità sono, come detto, tassative si tratta di casi abbastanza gravi -, proprio perché la naturale funzione di allattamento nell immediatezza del parto è chiaramente devoluta alla madre. I casi comunque sono i seguenti: la morte o la grave infermità della madre, oppure l abbandono del figlio da parte della stessa, o l affidamento del bimbo esclusivamente al padre. Per quanto riguarda il trattamento economico, durante il congedo di maternità o di paternità è corrisposta un indennità giornaliera, e quindi poi mensile, pari all 80% della retribuzione media globale, indennità che peraltro è solitamente migliorata dalla contrattazione collettiva (nella maggioranza dei contratti si arriva a riconoscere il 100% della retribuzione). Inoltre questo periodo di congedo è computato nell anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità, alla gratifica natalizia e alle ferie. E importante sottolineare che il diritto al congedo di maternità è oggi riconosciuto dalla legge anche alle lavoratrici che abbiano adottato, oppure ottenuto in affidamento, un bambino di età inferiore ai 6 anni, limitatamente, però, al periodo di 3 mesi successivi all effettivo ingresso del bimbo nella famiglia. (Questo limite è spiegabile alla luce del fatto che in questo caso non c è un parto, quindi non possono essere previsti i 2 mesi o il mese antecedente al parto; lo sono invece i 3 mesi successivi). In caso di adozione o di affidamento preadottivo internazionale, i 3 mesi di congedo di maternità spettano alla madre anche se il bambino abbia superato i 6 anni di età e fino al compimento della maggiore età. Ciò è determinato dalle difficoltà oggettive sussistenti in codeste fattispecie, connesse alla lingua, alle difficoltà di inserimento e di adattamento, di relazioni, ecc.; quindi la norma ha lo scopo di favorire una relazione stretta anche col bambino non italiano. Questo congedo, qualora non venga richiesto dalla madre, è riconosciuto, alle stesse condizioni, anche al padre. Ulteriore aspetto che dev essere sottolineato riguarda il divieto di licenziamento per maternità ed il diritto al rientro sul posto di lavoro. Già la precedente normativa sanciva il divieto di licenziamento della lavoratrice dall inizio del periodo di gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino: oggi la Legge, oltre a confermare questo divieto per la lavoratrice madre, lo estende anche al padre lavorato- 23
re - naturalmente in caso di fruizione del congedo di paternità - per la durata dello stesso e, comunque, fino al compimento del primo anno di vita del bambino. Inoltre, sia alla madre che al padre è riconosciuto il diritto alla conservazione del posto di lavoro, il diritto a rientrare nella stessa unità produttiva che occupava precedentemente, o in un altra situata comunque nell ambito dello stesso Comune, e di rimanervi sino al compimento di un anno di età del bambino, e il diritto ad essere adibiti alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte. Infine, le eventuali dimissioni volontarie della lavoratrice in gravidanza o del lavoratore in congedo di paternità - e fino al compimento del primo anno di vita del bambino, o, in caso di adozione o di affidamento, entro un anno dall ingresso del minore in famiglia - devono essere convalidate dal Servizio Ispettivo del Ministero del Lavoro competente per territorio, al fine di garantire la genuinità del consenso, potendosi presumere che le dimissioni volontarie in questo periodo non siano in realtà genuine, ma frutto di qualche pressione. 24
Accanto a questi istituti la Legge 53 prevede anche quello del congedo parentale. Come anticipato, si tratta di un astensione facoltativa dal lavoro, riconosciuta ad entrambi i genitori, per un periodo massimo continuativo o frazionato - di 6 mesi per ciascun genitore, fino al compimento di 8 anni di vita del bambino. E da sottolineare che questo periodo massimo di 6 mesi è peraltro elevabile a 7 mesi, per il solo padre lavoratore, nell ipotesi in cui egli eserciti il diritto al congedo parentale per un tempo minimo di 3 mesi. Il legislatore ha evidentemente voluto incentivare l utilizzo di questo strumento introducendo una sorta di bonus : in altri termini, nell ipotesi in cui il padre fruisca del congedo per almeno 3 mesi, ha diritto ad un mese di congedo in più rispetto ai 6 mesi massimi previsti. Quindi, alla fine, il periodo complessivo di congedo parentale può arrivare ad 11 mesi, fruibili insieme dai genitori (se la madre ne fa 6 il padre ne potrà fare 4, -o 5-; se la madre ne fa 5 il padre potrà fare gli altri 5, -o 6-; se la madre ne fa 4 il padre potrà farne 6, o 7-; la madre potrà invece farne sempre massimo 6). Questo meccanismo di elevazione di un mese della durata complessiva del congedo parentale va letto in una prospettiva di promozione della condivisione e, quindi, di una maggiore ripartizione dei ruoli e dei compiti familiari. A questo punto è necessario chiarire le diverse ipotesi in cui: entrambi i genitori siano lavoratori subordinati, oppure la madre sia lavoratrice autonoma o imprenditrice agricola o artigiana o esercente un attività commerciale, o, ancora, il caso in cui un genitore sia lavoratore autonomo e l altro lavoratore subordinato, oppure ci sia invece un unico genitore. Innanzitutto, come vi ha anticipato la dottoressa Poggio, la Legge ribadisce che nell ipotesi in cui entrambi i genitori siano lavoratori subordinati, ambedue hanno il diritto al congedo parentale, ed ambedue per un tempo massimo di 6 mesi (salva l elevabilità a 7 mesi per il padre, precedentemente esaminata), per un periodo complessivo di 10 mesi (o, eccezionalmente, di 11). Ciò vale sia per l impiego privato che per l impiego pubblico privatizzato. Nell ipotesi, invece, di lavoratrici autonome o di artigiane o di esercenti un attività commerciale o di imprenditrici agricole, le madri lavoratrici hanno diritto al congedo parentale per un periodo massimo di 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino. Quindi si tratta di un diritto parimenti riconosciuto, ma sensibilmente ridotto, quantomeno riguardo al numero di mesi. Analogo diritto è riconosciuto, a parità di condizioni, in caso di adozione e di affidamento. Nell ipotesi, invece, in cui ci sia compresenza di un genitore lavoratore autonomo e di un altro genitore lavoratore subordinato, bisogna distinguere a seconda che il lavoratore autonomo sia la madre oppure il padre. Questo perché, se lavoratrice autonoma è la madre, ella avrà diritto - come vi ho appena chiarito ai 3 mesi di congedo, ed il padre, lavoratore subordinato, all utilizzo dei 6 mesi di congedo parentale (7 nel caso in cui ne utilizzi quantomeno 3), e si perverrà, anche in codesto caso, ad un periodo complessivo di congedo parentale di 10 mesi. Nell ipotesi, invece, in cui lavoratore autonomo sia il padre, la normativa è diversa: la legge non prevede - per il lavoratore autonomo padre - il diritto al congedo parentale e quindi la famiglia potrà fruire soltanto del congedo parentale riconosciuto alla madre, cioè i 6 mesi previsti dalla Legge 53 del 2000, nei primi 8 anni di vita del bambino. L ultima ipotesi a cui ho accennato ricorre quando il genitore è unico: in questo caso la Legge riconosce il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 10 mesi. Al riguardo sorge spontanea una domanda: Quando il genitore può considerarsi unico? Evidentemente, nell ipotesi di morte della madre, di abbandono del figlio da parte della madre, di affidamento esclusivo del bimbo al padre ed anche nell ipotesi di non riconoscimento del 25
figlio. Quest ultima ipotesi è rilevante perché significa che le situazioni di ragazza madre e di genitore single non sono considerate dalla legge di per sé ipotesi di genitore unico : è necessario, in questo caso, per poter fruire del periodo di congedo di 10 mesi, il mancato riconoscimento del figlio da parte dell altro genitore: solo in tale ipotesi vi è l unicità del genitore. Nell ipotesi invece di genitore di minore con handicap in situazione di gravità - situazione che, peraltro, deve essere accertata dalla competente Azienda Sanitaria Locale - è riconosciuto alla madre, in alternativa al padre, il prolungamento del congedo parentale sino ai 3 anni; tutto questo, a meno che il bambino sia ricoverato, a tempo pieno, in un istituto specializzato (in tale ipotesi mancano i presupposti per poter godere di tale diritto). Il Legislatore quindi è stato sensibile anche sotto questo profilo, perché ha avuto presente la situazione di un minore con handicap grave che richiede un assistenza costante, profonda e lunga. Per quanto riguarda le modalità di esercizio, va precisato che l esercizio del diritto a fruire del congedo parentale è subordinato al solo obbligo di preavviso non inferiore a 15 giorni, mentre non è consentito al datore di lavoro rifiutare il congedo parentale oppure posticiparlo, cioè concederlo successivamente, adducendo giustificati motivi organizzativi dell azienda. Proprio con riferimento a quest ultimo aspetto, in effetti, la giurisprudenza si era già pronunciata nel senso della illegittimità del comportamento di quel datore di lavoro che avesse impedito la fruizione del congedo parentale adducendo la necessità di soddisfare esigenze organizzative imprenditoriali. Ancora: anche nell ipotesi di fruizione del congedo parentale, come già abbiamo visto per il congedo di maternità e di paternità, il lavoratore o la lavoratrice che usufruiscono di tale diritto hanno diritto alla conservazione del posto, ovvero, di rientrare nella stessa unità produttiva precedentemente occupata, o comunque, in un altra sita nello stesso Comune, ed hanno diritto di rimanervi quantomeno fino al compimento del primo anno di vita del bambino e di essere adibiti alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte. Per quanto riguarda il trattamento economico, invece, è prevista un indennità pari al 30% per un periodo complessivo massimo di 6 mesi fino al compimento del terzo anno di vita del bambino, salva, naturalmente, l eventuale disciplina migliorativa, sempre possibile, del contratto collettivo. E noto, infatti, che la legge indica i minimi retributivi indispensabili al di sotto dei quali non si può scendere, ma la contrattazione collettiva spesso innalza queste percentuali, quantomeno per i primi mesi di congedo parentale. Per i congedi che eccedono i 6 mesi, oppure goduti dopo i primi 3 anni di vita del bambino, l indennità retributiva del 30% è prevista soltanto in presenza di soglie minime di reddito: è quindi un indennità strettamente commisurata al reddito individuale di chi intende godere del congedo. Va poi sottolineato - ma di questo ci parlerà poi anche il padre attivo - che la disciplina vigente non contiene disposizioni regolative del regime transitorio, ossia relativo ai figli nati prima dell entrata in vigore della Legge del 2000 ma che non abbiano ancora compiuto 8 anni, e che quindi rientrerebbero nella facoltà di utilizzo del congedo parentale. Al riguardo si ritiene, in effetti, che il congedo parentale possa essere fruito anche da questi genitori ma, naturalmente, dovrà essere sottratto il periodo di astensione facoltativa eventualmente già fruito in forza della vecchia normativa. 26
Qualche parola va spesa anche per i c.d. riposi giornalieri. Il Decreto legislativo 151 ha introdotto il diritto, per le lavoratrici madri, di ottenere, durante il primo anno di età del bambino, due periodi di riposo giornaliero di un ora ciascuno. Questi permessi sono ridotti alla metà nell ipotesi in cui nella struttura - quindi nell azienda, pubblica o privata che sia - sia istituito un asilo nido, così come le stesse due ore vengono ridotte ad un ora nel caso, invece, in cui la giornata lavorativa sia complessivamente inferiore alle 6 ore. Anche il padre ha diritto ai riposi giornalieri qualora non vi sia la madre: quindi, nell ipotesi di morte della madre o di sua grave infermità, nell ipotesi di abbandono del figlio o di affidamento esclusivo al padre, o anche nell ipotesi in cui la madre non se ne avvalga. Come vedete, c è una leggera differenza rispetto agli altri istituti: in questo caso non c è un pari diritto del padre e della madre a fruire dei riposi giornalieri perché il diritto del padre è subordinato al fatto che la madre vi rinunci perché non se ne avvale, altrimenti è riconosciuto in prima battuta alla madre. Una disciplina particolare è riscontrabile, poi, nel caso di parto plurimo (parto gemellare o tri-gemellare.): in tali casi il permesso è raddoppiato (non moltiplicato quanti sono i figli: quindi se 2, 3 o più gemelli il permesso rimane raddoppiato). Il diritto ai riposi giornalieri ed ai permessi spetta anche in caso di adozione o di affidamento, comunque entro il primo anno dall ingresso del bambino nella famiglia. 27
Infine un accenno merita anche l istituto del congedo per la malattia del figlio. E noto che la precedente disciplina prevedeva il diritto della madre lavoratrice o, in alternativa, del padre lavoratore, ad assentarsi dal lavoro durante la malattia del bambino di età inferiore ai 3 anni. Anche in riferimento a questo istituto la disciplina innova in maniera sensibile, perché il diritto di astensione dal lavoro è riconosciuto oggi sia alla madre che al padre per tutto il periodo della malattia, senza limiti di tempo, fino al compimento del terzo anno di vita del bambino (termine che, in caso di adozione o di affidamento, è elevato ai 6 anni).tale diritto all astensione viene invece limitato a 5 giorni all anno per ciascun genitore, dai 3 agli 8 anni di età del figlio (e dai 6 agli 8 anni in caso di adozione o di affidamento). C è da sottolineare, infine, che nel caso in cui entrambi i genitori siano lavoratori subordinati, essi non possono usufruire contemporaneamente di queste astensioni per malattia, e quindi il genitore che se ne avvale deve presentare una dichiarazione, nelle forme di un autocertificazione, che attesta che l altro genitore non è in congedo nello stesso periodo, per le stesse ragioni. 28