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N 19/2013 20 Maggio 2013 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. LA VIOLAZIONE DELLE NORME IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO LEGITTIMA IL SEQUESTRO DELL INTERA AZIENDA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE - SENTENZA N. 18603 DEL 24 APRILE 2013. La Corte di Cassazione Sezione Penale -, sentenza n 18603 del 24 aprile 2013, ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo dell azienda che violi, in toto, le norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Nel caso de quo, il Giudice designato ad effettuare le indagini preliminari, relative all infortunio occorso ad un lavoratore, disponeva il sequestro della società datrice di lavoro, e dei relativi beni, attesa la grave carenza delle misure di sicurezza sul lavoro. Il Tribunale annullava tale provvedimento ablatorio ritenendo che lo stesso dovesse obbligatoriamente riferirsi alla singola res pertinente al reato e non alla intera azienda. Il Procuratore ricorreva in Cassazione. 1

Orbene, gli Ermellini, nell avallare la richiesta del Gip, hanno sottolineato come possa legittimamente disporsi il sequestro di un intera struttura aziendale, laddove sussistano seri indizi che i beni siano stati utilizzati per la consumazione del reato, essendo irrilevante che l azienda svolga anche normali attività imprenditoriali (cfr. Cass. n 27340/2008). Pertanto, i Giudici di Piazza Cavour hanno annullato l ordinanza di revoca del sequestro preventivo e rinviato gli atti al Tribunale competente per un nuovo esame. SPETTA ALL AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA L ONERE DI DIMOSTRARE LA NON INERENZA DI UN COSTO RISPETTO ALL ATTIVITA DELL IMPRESA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA SENTENZA N. 8072 DEL 3 APRILE 2013 La Corte di Cassazione - Sezione Tributaria -, sentenza n 8072 del 3 aprile 2013, ha affermato che le spese di pubblicità possono essere sempre detratte dall impresa e spetta, pertanto, all Amministrazione finanziaria l onere di provare la non inerenza delle spese medesime all attività d impresa. IL FATTO Ad una società veniva contestata, da parte dell Amministrazione finanziaria, la regolare deducibilità di spese di pubblicità in quanto ritenute non inerenti l attività svolta. La società contribuente risultava soccombente nel giudizio di primo grado ma, successivamente, la Commissione Tributaria Regionale, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, accoglieva l appello della società contribuente, annullando l avviso di accertamento oggetto del contendere. Di qui il ricorso per Cassazione dell Agenzia delle Entrate. Orbene gli Ermellini, richiamando quanto già espresso in precedenti pronunce (cfr. ex plurimis, Cassazione sentenze n.ri 10257/2008 e 6855/2002), hanno precisato che è onere del contribuente dimostrare l inerenza delle spese sostenute rispetto alle finalità dell impresa; tuttavia, laddove la stessa non risulti implicitamente dalla natura del bene acquistato, incombe sulla Amministrazione fornire prova contraria ai finì di una riqualificazione del costo, in difformità dalle valutazioni contabili operate dalla società. 2

Dunque, i Giudici nomofilattici, nel caso de quo, hanno ritenuto che, il Giudice di merito (id: la C.T.R.), con motivazione coerente e non censurabile sul piano del diritto, ha ben riconosciuto la legittimità della detrazione da parte della società contribuente in quanto, a fronte della qualificazione di spese di natura promozionale pubblicitaria da parte della contribuente, l Amministrazione finanziaria non è stata in grado di fornire prova contraria alla natura pubblicitaria dei costi sostenuti che, nel caso in specie, erano rappresentati dall acquisto di kit, magliette, bicchieri e caraffe, nell ambito di un operazione di marketing pubblicitario e promozionale di una nota casa produttrice di birra. L IMPRENDITORE CHE ASSUME UN PROPRIO PARENTE HA DIRITTO AL CREDITO D IMPOSTA DI CUI ALL ART. 7 DELLA LEGGE 388/2000. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 9298 DEL 17 APRILE 2013 La Corte di Cassazione - Sezione Tributaria -, sentenza n 9298 del 17 aprile 2013, ha statuito che può usufruire degli incentivi e delle agevolazioni fiscali, ex art. 7 Legge 388/2000, anche l imprenditore che ha assunto un proprio parente. IL FATTO Un imprenditore riceveva avviso d accertamento per il recupero del credito d'imposta per incremento dell'occupazione ex art. 7 L. n. 388/2000. La C.T.R. accoglieva l appello dell imprenditore che aveva impugnato la sentenza a lui sfavorevole della C.T.P. I Giudici di secondo grado procedevano all annullamento dell'avviso di recupero del credito d'imposta per l'incremento dell'occupazione ex art. 7 Legge n. 388/2000, ritenendo mancare un espresso divieto della legge agevolatrice in relazione all'assunzione di un familiare (padre), negando l'applicazione analogica dell'articolo 62 del DPR 917/86 (oggi art. 60) in base al quale: "non sono ammesse deduzioni a titolo di compenso del lavoro prestato o dell'opera svolta dall'imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti, nonché dai familiari partecipanti all'impresa di cui al comma 4, dell'art. 5. I compensi non ammessi in deduzione non concorrono a formare il reddito complessivo dei percipienti". 3

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno rilevato che, la normativa sugli incentivi per la nuova occupazione elenca in maniera chiara ed inequivocabile requisiti soggettivi e oggettivi tassativi ai fini della fruizione dei benefici, senza alcun riferimento alla esclusione dell agevolazione per l'assunzione dei familiari, dovendosi, pertanto, desumere a contrario che non sia esclusa la possibilità di godere dell agevolazione per l assunzione di questi. Fra l altro, hanno precisato gli Ermellini, diversa è la ratio delle due normative, mentre l articolo 62 del TUIR esenta da tassazione in capo al lavoratore le somme non ammesse in deduzione dal reddito del datore di lavoro, l agevolazione per l'incentivo dell occupazione, ai sensi dell articolo 7 della Legge n. 388/2000, assume la veste di credito d imposta, senza incidere nella determinazione del reddito d impresa. NON SI CONFIGURA IL REATO DI TRUFFA PER IL DATORE DI LAVORO CHE SI LIMITI ALLA ESPOSIZIONE NELLA DENUNCIA CONTRIBUTIVA DI NOTIZIE FALSE. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE - SENTENZA N. 18762 DEL 29 APRILE 2013 La Corte di Cassazione - II Sezione Penale -, sentenza n 18762 del 29 Aprile 2013, ha affermato che l omessa corresponsione da parte del datore di lavoro dell indennità di malattia a favore del lavoratore, con la conseguente esposizione nella denuncia contributiva del credito nei confronti dell ente assicuratore, non integra il reato di truffa. Nel caso in specie, il GIP del Tribunale di Cagliari, pronunciandosi sulla richiesta del P.M. di emissione del decreto penale di condanna, dichiarava l improcedibilità dell azione penale, per insussistenza del fatto, nei confronti dell amministratore unico e liquidatore di una S.r.l. che aveva omesso di corrispondere al proprio dipendente l indennità di malattia e gli assegni familiari a carico dell INPS. Il datore di lavoro, nella fattispecie, aveva, comunque, portato la somma a conguaglio nel modello DM10, evidenziando la propria posizione creditoria nei confronti dell Istituto assicuratore. Secondo il Giudice di merito, la condotta dell imputato escludeva la messa in atto di quegli artifizi e raggiri necessari, affinché possa configurarsi il reato di truffa. 4

Il Procuratore Generale, ricorrente in appello, deduceva, ex adverso, che, nella fattispecie in esame, l artificio sarebbe stato costituito dalla fittizia esposizione in un modello ufficiale (modello F24 e DM-10) di somme non corrisposte effettivamente al lavoratore, con conseguente induzione in errore dell INPS sul diritto ai conguagli di dette somme mai corrisposte e conseguente ingiusto profitto per l agente. Ebbene, la Suprema Corte, investita della vicenda, ha preliminarmente puntualizzato che il credito della lavoratrice era esistente, così come era esistente il suo credito alla retribuzione e che, conseguentemente, l amministratore imputato aveva l obbligo di anticipare per conto dell I.N.P.S. gli assegni familiari e l indennità di malattia, malattia la cui esistenza non era stata contestata in sede ispettiva. E stato escluso, pertanto, che il datore di lavoro abbia messo in atto dei raggiri nei confronti dell ente previdenziale, evidenziando nella denuncia contributiva il suo debito nei confronti del lavoratore in relazione alle indennità che non erano state di fatto erogate. Nel caso di specie, nei modelli DM 10, la falsa rappresentazione aveva riguardato non l esistenza del debito portato a conguaglio ma, solo l anticipazione delle relative somme al lavoratore. Pertanto, nel rigettare il ricorso, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato che, allorché il datore di lavoro si limiti ad esporre dati e notizie false in sede di denunce obbligatorie, non è configurabile il reato di truffa per il quale, oltre alle false dichiarazioni, devono sussistere artifici e/o raggiri di altra natura che, in ipotesi, potrebbero ravvisarsi ove all I.N.P.S. fosse simulata la situazione all origine (id: stato di malattia ) del debito portato a conguaglio. Nella condotta ascritta all imputato, potrebbe, invece, eventualmente configurarsi il reato di appropriazione indebita nei confronti del lavoratore da parte del datore di lavoro, avendo trattenuto le somme indebitamente portate a conguaglio, in relazione a prestazioni di cui si è sostanzialmente riconosciuto debitore per conto dell ente previdenziale e corrispondenti a somme di denaro determinate nel loro ammontare e già fatte figurare come erogate al lavoratore. 5

IL DATORE DI LAVORO DEVE SEMPRE PROVARE IL GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO POSTO A BASE DEL LICENZIAMENTO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 10000 DEL 24 APRILE 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 10000 del 24 aprile 2013, ha ritenuto legittimo il licenziamento irrogato da un associazione culturale a seguito della drastica riduzione del numero degli iscritti. Come noto, l art. 3 della L. 604/1966 (id: norme sui licenziamenti individuali) disciplina il recesso datoriale motivato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa (id: giustificato motivo soggettivo e/o oggettivo). Nel caso de quo, un associazione culturale, a seguito del drastico calo degli iscritti, provvedeva al licenziamento di due insegnanti di lingue straniere per giustificato motivo oggettivo. I lavoratori adivano la Magistratura. Orbene, i Giudici dell organo di nomofilachia, chiamati a pronunciare l ultima parola sulla querelle giudiziaria, hanno sottolineato come l onere di dimostrare l esistenza delle motivazioni addotte in sede di irrogazione del licenziamento sia posto a carico del datore di lavoro. Pertanto, atteso che nel caso di specie l associazione aveva dato prova inconfutabile della crisi finanziaria patita e che i lavoratori avevano fornito prove contraddittorie in merito alle proprie doglianze, i Giudici del Palazzaccio hanno confermato la legittimità dell atto di recesso unilaterale. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! 6

HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA ED ISTITUZIONALE DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI, GIUSEPPE CAPPIELLO E PIETRO DI NONO. 7