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L INPS RENDE NOTI, PER L ANNO 2013, I MINIMALI ED I MASSIMALI DI CONTRIBUZIONE.

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ARTICOLO 23 DEL D.L. 5/2012 CONVERTITO DALLA LEGGE 35 DEL 4 APRILE 2012

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LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA DEL DIPENDENTE CHE VIOLA I DOVERI DI CORRETTEZZA E BUONA FEDE NEI COMPORTAMENTI EXTRALAVORATIVI.

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Scritto da Alessandro Ingrosso Giovedì 21 Aprile :34 -

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ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi O. Baroncelli N 13/2016 Napoli 11 Aprile 2016 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA IRROGATO AL DIPENDENTE CHE TIMBRA IL CARTELLINO PER CONTO DI UN COLLEGA ASSENTE DAL LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 5777 DEL 23 MARZO 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 5777 del 23 marzo 2016, ha statuito che il licenziamento per giusta causa irrogato al dipendente che timbra il cartellino, attestante la presenza, per conto di un suo collega, assente dal luogo di lavoro, è pienamente legittimo. Nel caso in disamina, un dipendente di un'azienda agricola veniva pizzicato a registrare la presenza di un suo collega di lavoro, utilizzandone il badge personale ed incedibile, mentre quest'ultimo non era sul luogo di lavoro. Soccombente in entrambi i gradi di merito, il prestatore ricorreva in Cassazione. Orbene, gli Ermellini, nel confermare integralmente il deliberato dei gradi di merito, hanno evidenziato che il comportamento del dipendente che registri la presenza di un altro lavoratore, utilizzandone il badge, è connotato da una gravità tale da ledere irrimediabilmente 1

l'imprescindibile vincolo fiduciario intercorrente fra il datore di lavoro ed il proprio subordinato. Pertanto, atteso che nel caso de quo, nel corso del procedimento istruttorio, era emersa, in modo incontrovertibile, l'illecita timbratura del badge di altro dipendente, assente dal luogo di lavoro, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso confermando la legittimità dell'atto di recesso datoriale. LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE CHE DURANTE IL PERIODO DI MALATTIA VÌOLA L'OBBLIGO DI ASTENERSI DA CONDOTTE CHE RITARDANO LA GUARIGIONE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 6054 DEL 29 MARZO 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 6054 del 29 marzo 2016, ha ribadito che è pienamente legittima la scelta aziendale di sanzionare con licenziamento il lavoratore che durante il periodo di malattia assume condotte che ritardano la guarigione o, parimenti, utilizza impropriamente congedi parentali. Nel caso in esame, una società datrice di lavoro, prendendo spunto da irregolarità accertate in occasione di un'assenza per malattia, con procedimento disciplinare sfociato nel licenziamento, aveva contestato ad un lavoratore anche analoghi episodi avvenuti in precedenza, tutti caratterizzati dal fatto che il lavoratore, in occasione di brevi riposi per turnazione, si era recato in una cittadina ungherese e ivi giunto aveva inviato una certificazione di malattia, prolungando così il soggiorno per più giorni, talvolta immediatamente antecedenti a festività. La società aveva contestato che talune assenze erano da attribuire alla partecipazione a battute di caccia e che tali comportamenti, considerati unitamente all'impiego per finalità analoghe di permessi per congedi parentali, costituivano grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede, anche sotto il profilo della astensione da viaggi e attività venatorie che avrebbero impedito la pronta guarigione. La Corte d'appello di Firenze aveva accolto l'appello della società, in riforma della sentenza di primo grado. Il lavoratore soccombente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza. Orbene, la Suprema Corte, ha rigettato il ricorso del lavoratore avallando il decisum della Corte territoriale che aveva accertato che oggetto della 2

contestazione disciplinare non erano soltanto le irregolarità rilevate in occasione dell'ultima assenza per malattia bensì, analoghi episodi verificatisi con modalità identiche. La condotta del lavoratore, hanno concluso gli Ermellini, è da considerarsi, nell'insieme, riprovevole sotto il profilo della violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., sia per ciò che concerne l'obbligo del lavoratore di astenersi da attività lesive dell'interesse datoriale di ricevere la prestazione lavorativa che per l'utilizzo di congedi parentali per finalità diverse da quelle proprie dell'istituto. IL REATO DI DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA PER FALSA FATTURAZIONE SUSSISTE TANTO NELL IPOTESI DI INESISTENZA OGGETTIVA DELL OPERAZIONE, QUANTO NEL CASO DI INESISTENZA DEI SOGGETTI COINVOLTI. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE - SENTENZA N. 5703 DELL 11 FEBBRAIO 2016 La Corte di Cassazione - Sezione Penale -, sentenza n. 5703 dell 11 febbraio 2016, ha statuito che si configura il reato di dichiarazione fraudolenta, ex art. 2 D.lgs. n. 74/2000, anche nel caso in cui i soggetti che appaiono emittenti del documento siano inesistenti (trattandosi, per esempio, di nomi di fantasia), o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto con il contribuente che utilizza il documento medesimo. Nel caso di specie a carico di un contribuente veniva contestato il reato di dichiarazione fraudolenta per aver indicato nelle dichiarazioni annuali a fini IVA elementi passivi fittizi, con centinaia di fatture contraffatte e beneficiando di indebite detrazioni di imposta per oltre un milione di euro. Orbene, investiti della questione, gli Ermellini prendendo le mosse da un principio oramai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, con la sentenza de qua, hanno statuito che il reato ex articolo 2, D.lgs. 74/2000, sussiste in tutte le ipotesi di fatture emesse a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte, ovvero indicanti i corrispettivi o l imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero riferenti l operazione a soggetti diversi da quelli effettivi. La falsità, hanno concluso i Giudici delle Leggi, può pertanto ricadere sia sul contenuto della fattura (o di altro documento fiscale), in cui si 3

documenta un operazione in realtà non eseguita o eseguita in misura diversa da quella reale, sia sull indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l operazione. In particolare, l indicazione di soggetti diversi da quelli effettivi si realizza indicando in fattura: soggetti che in realtà non hanno preso parte all operazione; soggetti inesistenti, perché, ad esempio, si tratta di nomi di fantasia; soggetti che non hanno mai avuto alcun rapporto di natura commerciale con il contribuente che utilizza il medesimo documento. In tutte queste ipotesi, infatti, il contribuente pone in essere un comportamento che causa una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale (cfr Cass. Sent. n. 27392 del 27/04/2012). IL REATO DI EMISSIONE DI FATTURE FALSE E QUELLO DI TRUFFA AGGRAVATA NON SONO CUMULABILI AI FINI DELLA CONFISCA DEI BENI. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE SENTENZA N. 12872 DEL 30 MARZO 2016 La Corte di Cassazione -II Sezione Penale -, sentenza n 12872 del 30 marzo 2016, ha statuito che i reati di emissione di fatture false e quello di truffa aggravata si pongono in un rapporto di specialità, e, pertanto, essi non sono cumulabili ai fini della confisca, la quale va dunque revocata con restituzione dei beni sequestrati. Nel caso di specie, gli Ermellini, hanno accolto le doglianze di un imprenditore, contenute nel ricorso avverso la sentenza con cui era stato condannato per i reati di frode fiscale e di truffa aggravata ex art. 640 comma 2 C.P. in concorso, con contestuale confisca di beni. In particolare, i Giudici di Piazza Cavour hanno avallato in toto la tesi secondo cui il delitto di frode fiscale, ergo l emissione di fatture per operazioni inesistenti, si pone in un rapporto di specialità rispetto a quello di truffa aggravata, in quanto connotato da uno specifico artificio e da una condotta a forma vincolata. L elevato danno, non può essere sufficiente a porre le varie norme, cioè quella tributaria e quella comune, in rapporto di specialità reciproca, perché il suo verificarsi è stato deliberatamente posto dal legislatore al 4

di fuori della fattispecie oggettiva, rendendo così indifferente che esso si verifichi e postulandosi come necessaria soltanto la sussistenza del collegamento teleologico sotto il profilo intenzionale. Inoltre, per la S.C. non è configurabile nemmeno l eventuale rapporto di cui all'art. 15 C.P., in quanto mancherebbe l identità naturalistica del fatto al quale le norme si riferiscono, dal momento che la frode fiscale, richiede un artificio peculiare, mentre la truffa, necessita invece di elementi, quali induzione in errore e il danno, assolutamente ininfluenti per il reato tributario. In nuce, essendo il rapporto de quo tra le norme risolvibile in base al principio di consunzione, nello specifico una condotta viene assorbita dalla previsione dell altra per la quale è comminata la pena più grave. IL RIPRISTINO DEL RAPPORTO SI RIPERCUOTE SULLA CESSIONE DELL AZIENDA APPLICANDOSI L ART. 2112 C.C. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 6388 DEL 1 APRILE 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 6388 del 1 aprile 2016, ha ritenuto applicabile l'art. 2112 del c.c. in materia di trasferimento d'azienda nella ipotesi di ripristino di un rapporto di lavoro, per simulazione del contratto di fornitura, in capo ad una società che aveva, poi, ceduto il proprio ramo d azienda. Nel caso in commento, la Corte d'appello di Torino, in conferma di quanto stabilito dal Tribunale di Pinerolo, riteneva nullo il contratto di fornitura stipulato in data 03/06/2003 ed il rapporto di lavoro intercorso riconducibile alla società utilizzatrice. Nonostante il trasferimento del ramo d'azienda della società utilizzatrice, a partire dal 01/01/2010, la lavoratrice comunque era da ritenersi in organico al momento del trasferimento d'azienda, non risultando derogabile l'art. 2112 cc con un contratto di cessione. Nel caso de quo, gli Ermellini, in linea con i giudici di merito, hanno ribadito un principio consolidato secondo cui, in materia di trasferimento d'azienda, l'effetto estintivo del licenziamento intimato anteriormente al trasferimento, e ripristinato fra le parti originarie, si trasferisce in capo al cessionario ai sensi dell'art. 2112 del cc e in applicazione della Direttiva 77/187/CE. Detti principi, sono validi anche per la fattispecie in commento, risultando il rapporto di lavoro ripristinato in capo alla società 5

utilizzatrice/cedente sin dal 2003 e quindi da ricomprendere nell'atto di cessione avvenuto nel 2010. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo. Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro 6