CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA SENTENZA 8211 DEL 12 APRILE 2011

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N 27/2011 27 Giugno 2011(*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. NELLE OPERAZIONI INESISTENTI I COSTI ED I RICAVI NON SONO SEMPRE SPECULARI. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA SENTENZA 8211 DEL 12 APRILE 2011 La Corte di Cassazione più volte si è pronunciata in materia di determinazione del reddito d impresa nel caso di fatture per operazioni inesistenti. L orientamento giurisprudenziale dominante in subiecta materia pone a carico dell Amministrazione finanziaria l onere di dimostrare la falsità del documento contabile e dunque l esistenza di un evasione fiscale quale conseguenza del maggior costo indebitamente sottratto. A tale riguardo, è necessario segnalare che l articolo 8 del decreto legislativo 74/2000 prevede che l'emissione di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti sia considerata un reato. 1

E, infatti, prevista la reclusione da 18 mesi a 6 anni per chiunque - al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sul valore aggiunto o sui redditi - emette fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. La sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8211 del 12/04/2011, in materia di operazioni inesistenti, ha stabilito che il contribuente non ha diritto alla detrazione dell Iva risultante da fatture passive emesse per operazioni inesistenti né tantomeno può portare in deduzione il relativo costo. La Suprema Corte, inoltre, ha statuito il principio che la rettifica in aumento del reddito del contribuente, conseguente al disconoscimento di costi afferenti a operazioni inesistenti, non implica, da parte dell Amministrazione Finanziaria, l obbligo di operare una variazione in diminuzione di pari ammontare nei confronti dei ricavi dichiarati nel medesimo periodo di imposta. La controversia esaminata dai Giudici del Palazzaccio trae origine dal recupero di imposte dirette effettuato nei confronti di una ditta individuale in relazione a costi afferenti operazioni inesistenti. In primo grado, la Commissione tributaria provinciale accoglieva parzialmente il ricorso ritenendo deducibili in parte i costi riportati in dichiarazione. In secondo grado, la Commissione tributaria regionale, confermava la pronuncia di prime cure ritenendo illogico il recupero operato dall Amministrazione, in quanto l ufficio, dal fatto noto concernente l emissione da parte di altra società di fatture per operazioni inesistenti, avrebbe fatto discendere l indeducibilità dei costi, senza però rettificare in diminuzione anche i ricavi da considerarsi, per logico corollario, anch essi inesistenti. Contro tale decisione, l Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione. I Giudici di Piazza Cavour investiti della questione, con la sentenza 8211/2011, hanno evidenziato - nelle motivazioni - come i giudici di primo grado hanno ben considerato l esistenza dei costi indebitamente dedotti in dichiarazione poiché legati ad operazioni inesistenti, ma l argomentazione che all indicazione di costi fittizi, derivanti da operazioni inesistenti, corrisponde sempre e comunque anche l indicazione di ricavi fittizi, è illogica. Tale illogicità consiste nel ritenere che per l inattendibilità riferita al solo dato contabile dei costi si possa estendere la rettifica a tutte le altre voci contabili anche ai ricavi. 2

In conclusione, secondo la Suprema Corte, una volta accertata l indebita deduzione dai ricavi di costi relativi a fatture per operazioni inesistenti consegue, per semplice calcolo matematico, l incremento del reddito imponibile ( ) per un importo corrispondente a quello indebitamente detratto mentre spetta al contribuente provare che i costi si riferivano ad operazioni effettivamente realizzate. NESSUNA DEROGA PER I REDDITI DI LAVORO AUTONOMO CHE VANNO DICHIARATI ESCLUSIVAMENTE PER CASSA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA SENTENZA 8626 DEL 15 APRILE 2011 I redditi da lavoro autonomo, anche se assoggettati a ritenuta d'acconto, vanno dichiarati secondo il principio di cassa e non di competenza. Questo, in sintesi, l insegnamento della Suprema Corte in materia di reddito professionale. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8626 del 15 aprile 2011, ha, infatti, stabilito che - indipendentemente dall'assoggettamento o meno a ritenuta d'acconto - il reddito del professionista è tassabile solo per cassa. Gli Ermellini, pertanto, hanno rigettato il ricorso di un professionista che, nell anno 1993, non aveva dichiarato i redditi effettivamente percepiti a seguito dell applicazione del criterio di competenza e non quello normativamente previsto per tale categoria - di cassa. La sentenza in esame richiama il disposto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 50, (applicabile ratione temporis, oggi sostituito dall'art. 54) statuente tassativamente che: "il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o della professione,.omissis.... Tale disposizione tassativa, asseriscono i Giudici nomofilattici, è chiara e non ammette interpretazioni diverse da quella secondo la quale i compensi vanno sottoposti a tassazione in relazione all'anno in cui sono stati percepiti (id: in claris non fit interpretatio!!!). 3

In buona sostanza, secondo i giudici di Legittimità e stante un disposto normativo così chiaro, non si può argomentare diversamente, né vale richiamare altri principi, a sostegno della propria tesi difensiva, come quello relativo al divieto della doppia imposizione di cui all articolo 67 del D.P.R. n. 600/1973 che non può dirimere il caso in esame. Inoltre, poiché il nostro sistema tributario è improntato secondo il principio della progressività, i Giudici del Palazzaccio osservano che, sotto il profilo delle conseguenze tributarie, l'utilizzo del principio di competenza anziché di quello di cassa non è irrilevante. Infatti, l'aliquota applicabile può variare passando da un anno all'altro, in quanto l'imposta disciplinata (id: l IRPEF) è progressiva e non fissa, per cui lo spostamento dei compensi da un anno all altro potrebbe far variare, in virtù del totale degli importi sottoposti a tassazione, l ammontare dell imposta che ne deriva e ciò, pertanto, non può considerarsi irrilevante, sotto il profilo delle conseguenze tributarie. IL MANCATO PAGAMENTO DELLE RATE DI CONDONO EX LEGGE 413/91 RIMETTE IN TERMINI L AGENZIA DELLE ENTRATE. CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE TRIBUTARIA ORDINANZA 9654 DEL 2 MAGGIO 2011 La Corte di Cassazione, con l ordinanza n 9654 del 2 maggio 2011, ha stabilito che il mancato pagamento di una rata del condono ai sensi della legge 413/1991 determina la reviviscenza del diritto di accertamento in capo all Amministrazione finanziaria dei periodi di imposta definiti a seguito della presentazione della dichiarazione integrativa ex art. 32 della predetta normativa. Tale disposizione normativa, infatti, prevedeva che agli effetti dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell'imposta locale sui redditi, nonché delle relative addizionali, dovute per i periodi di imposta relativamente ai quali il termine per la presentazione della dichiarazione annuale scadeva anteriormente al 30 novembre 1991, i contribuenti, sempreché non fosse intervenuto accertamento definitivo, erano ammessi a presentare dichiarazioni integrative in luogo di quelle omesse e per rettificare in aumento quelle già presentate. 4

La Suprema Corte ha, con l ordinanza 9654 del 2 maggio 2011, respinto il ricorso di un contribuente presentato contro un accertamento notificato dall'agenzia delle Entrate nonostante la presentazione della dichiarazione integrativa. Secondo i Giudici nomofilattici, infatti, il condono si perfeziona con la presentazione dell'integrativa e con il versamento delle somme dovute. In carenza del pagamento di quanto dovuto, "l'amministrazione riacquista il potere di esercitare l'azione di accertamento con riferimento a tutti i periodi d'imposta indicati nella dichiarazione integrativa". L INDENNITA DI TURNO INCIDE NEL CALCOLO DELLA RETRIBUZIONE INDIRETTA SE IL CCNL NON DISPONE DIVERSAMENTE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 9612 DEL 2 MAGGIO 2011 La Corte di Cassazione, sentenza n. 9612 del 2 maggio 2011, respingendo il ricorso presentato da un datore di lavoro, ha affermato che, in assenza di diversa pattuizione, le maggiorazioni per turni, previste per i lavoratori a ciclo continuo, competono al lavoratore anche per i periodi di ferie o per le giornate di domenica non lavorate. Nel giudizio de quo i lavoratori hanno visto soddisfatte le proprie richieste in tutti i gradi di giudizio vedendosi riconoscere dai giudici le maggiorazioni medie vantate di ammontare ben superiore al 15% erogato dall azienda. Gli Ermellini, in particolare, hanno affermato che, mancando nel caso specifico qualunque pattuizione di senso contrario, trovano applicazioni i criteri di cui all art. 12 L. 153/1969 e della consolidata giurisprudenza, dovendosi considerare le maggiorazioni corrisposte una componente non accidentale delle retribuzioni il cui ammontare deve essere pertanto fermamente considerato nella determinazione del quantum dovuto per le giornate non lavorate. Pertanto, il principio affermato dai Giudici di Legittimità è che in caso di assenza di regole pattizie sul punto delle assenze retribuite, le maggiorazioni medie di turno costituiscono una componente essenziale della retribuzione, su cui calcolare l'indennità spettante in caso di assenza per malattia, infortunio o ferie. 5

IL TRASFERIMENTO ILLEGITTIMO DA ORIGINE AD UN RISARCIMENTO DEL DANNO IN FAVORE DEL LAVORATORE INTERESSATO, DA CALCOLARSI SE NON DIVERSAMENTE DETERMINABILE IN VIA EQUITATIVA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 9619 DEL 2 MAGGIO 2011 La Suprema Corte, sentenza n. 9619 del 2 maggio 2011, è tornata ad occuparsi delle conseguenze connesse alla mancanza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive in caso di trasferimento del lavoratore. In particolare, i Giudici di Piazza Cavour hanno decretato che in caso di trasferimento illegittimo (id: carente cioè delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive richieste dall'art. 2103 codice civile) - il dipendente ha diritto oltre che al reintegro nella sua sede abituale di lavoro, al risarcimento del danno patito che può ben essere determinato dal giudice in via equitativa, in ottemperanza alle previsioni di cui all art. 1226 c.c.. Nel caso esaminato dagli Ermellini il lavoratore, dopo esser stato trasferito ad altra unità produttiva aziendale, non aveva prestato la propria opera lavorativa per il datore di lavoro per il quale era stato assunto bensì era stato distaccato presso un soggetto terzo. In primo grado, tuttavia, le doglianze del lavoratore non venivano accolte. I Giudici di Appello riformavano, però, la sentenza del Giudice monocratico riconoscendo, peraltro, al dipendente ricorrente la liquidazione del danno patito in connessione dell illegittimo trasferimento, danno determinato in via equitativa. I Giudici del Palazzaccio, aditi dall azienda, richiamando anche la precedente pronuncia in materia di trasferimento illegittimo n. 21253/2004, hanno confermato il deliberato della Corte di Appello statuendo, altresì, che nel comportamento aziendale era ravvisabile una condotta antisindacale poiché risultava essere violato l art. 22 della L. 300/70 (id: che regolamenta il trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali). Gli Ermellini, in nuce, hanno confermato la correttezza del decisum del Tribunale di Appello anche in merito alla liquidazione del danno in via equitativa. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO 6

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!! HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI E GIUSEPPE CAPPIELLO. HA COLLABORATO ESPOSITO GIOSUE 7