Il sogno dentro il sogno di Alessia Franco 1
Ho sognato di sognare. Ho sognato che il mio sogno era la realtà e che la mia realtà era solo un sogno. Ho sognato di sognare che, terminato il mio lavoro, rincasavo per cena. Mentre l ascensore mi portava su fino al mio piano, con quel suo rumore di stanco lavorio simile al russare sommesso di un mostro, sentivo lo stomaco contrarsi e strizzarsi come una pezza. Mi rigiravo le chiavi fra le dita, fissando un angolo annerito della luce al neon, finché l ascensore si fermava con un sussulto. Uscivo, percorrevo il pianerottolo e mi fermavo davanti alla porta, ansioso ed esitante. Continuavo a giocherellare con le chiavi e infine le infilavo nella serratura, spingevo la porta e mi immergevo nella penombra dell ingresso. Mi accoglieva una voce di donna: il suo tono piatto inanellava parole in rapida sequenza, parlava dei cinque in condotta che erano in aumento e dell istituto che ne contava di più in Italia. Il parlare professionale della giornalista televisiva veniva a tratti sopraffatto da un tonfo o da passi concitati. Posavo la valigetta su una poltroncina e infilavo la testa in cucina, 2
constatando che nessuno era accomodato intorno al tavolo per godersi il notiziario. Infilavo l indice dietro al nodo della cravatta e lo allentavo, percorrendo il corridoio verso la camera da letto. Nel momento di varcarne la soglia, venivo quasi investito da lei: indossava un abito scollato, ma era scalza e il trucco era ancora a metà. Mi salutava con qualche parola frettolosa, senza incrociare i miei occhi, e correva a chiudersi in bagno, dove finiva di truccarsi. Entravo in camera, mi sfilavo le scarpe e le abbandonavo su un angolo dello scendiletto. Spogliatomi della camicia, la posavo sul letto insieme alla cravatta. In quel mentre, lei tornava nella stanza, truccata come per una serata importante, raccoglieva da una mattonella i sandali il cui colore meglio si sposava con quello dell abito e si sedeva sul letto per allacciare comodamente i cinturini attorno alle caviglie. Le chiedevo dove stesse andando e lei mi farfugliava una risposta su Giorgia, qualche altra collega, qualcosa di simile a una cena di lavoro. Le chiedevo se i mariti non fossero invitati e lei eludeva la domanda con qualche scusa mal congegnata, insinuando forse che le avrei fatto fare tardi o che era una serata al femminile. Le chiedevo infine per che ora credeva di rientrare e le promettevo che mi avrebbe trovato sveglio ad aspettarla. Lei si gettava il coprispalle addosso, si appendeva la pochette al gomito, mi diceva che non sapeva e che non era 3
necessario. Poi mi faceva un cenno di saluto e usciva di casa, lasciando dietro di sé una scia di intenso profumo femminile. Mi sfilavo la cinta, lasciavo cadere anche essa sul copriletto e poi tornavo in cucina. Non c era niente di pronto, neppure niente da scaldare nel microonde né riposto nel frigorifero; non me ne rammaricavo troppo, poiché il mio stomaco era ancora stretto, come annodato, e il mio appetito ne risentiva. Prendevo una lattina dal frigo e mi sedevo a berla davanti ai titoli di coda del telegiornale. Più tardi tornavo in camera da letto, che era fredda come un sarcofago, e mi sfilavo anche i pantaloni e i calzini. Mi piegavo a prendere il pigiama sotto il cuscino quando un luccichio dal comodino più distante attirava la mia attenzione. E restavo così, curvo con il pigiama in mano, a guardare la fede di mia moglie lasciata sul centrino bianco. Qua finiva il mio sogno nel sogno, e mi risvegliavo sotto le coperte. L altra piazza del materasso era vuota: la sua parte di lenzuola e di copriletto era tirata su fino al cuscino. Mi stiracchiavo e cambiavo posizione, intenzionato a poltrire ancora un po. La sentivo: lei era nel corridoio, appena fuori dalla porta; stava tornando in camera, in punta di piedi. Appena entrata, vedeva i miei occhi socchiusi e faceva un sorriso colpevole, credendo di essere stata lei a svegliarmi. Raggiungeva il letto e si stendeva su un 4
fianco per guardarmi: era andata in bagno a lavarsi i denti e il viso; odorava di menta e le sue sopracciglia erano bagnate; i suoi capelli, simili ai nastri di un regalo arricciati con le forbici, erano fermati sulla nuca da una molletta colorata. Mi guardava teneramente e io sapevo che era tutta mia: glielo leggevo sulle labbra arcuate, nello scintillio degli occhi, nel modo devoto che aveva di posare la guancia sulle nocche di una mano per tenere il viso girato verso di me. Il mio sogno nel sogno sbiadiva e si sfilacciava, perché la sua espressione innamorata mi diceva che non avevo nulla da temere: aveva occhi solo per guardarmi e labbra solo per sorridermi. Qui è finito anche il mio sogno e mi sono svegliato davvero. Sono davvero sotto le coperte, e l altra piazza del letto è vuota. Il mio stomaco si contrae e la nausea mi dà il buongiorno. La sento: è nel corridoio, fuori dalla porta socchiusa della camera; crede che io stia ancora dormendo e non si cura di andare più lontano. La sento bisbigliare e ridacchiare, frivola e civettuola, invitare e accarezzare con tono languido e mellifluo il suo interlocutore telefonico. Mi copro la testa con le coperte e soffoco le lacrime nel cuscino, desiderando di stare ancora sognando. 5