Il primo anno di attuazione del Trattato di Lisbona.



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Il primo anno di attuazione del Trattato di Lisbona. Le due principali innovazioni. Nell autunno del 2009, ratificato finalmente il Trattato di Lisbona, ci si interrogava soprattutto sul come sarebbe stato attuato. Perché per superare la crisi dell Unione Europea determinata dal suo grande allargamento a 27 membri occorrevano certamente le riforme istituzionali - che erano state tanto a lungo discusse: prima nella Convenzione per un progetto di vera e propria Costituzione, e poi nella Conferenza Intergovernativa (CIG) costretta a ripiegare su un meno ambizioso nuovo Trattato. Ma per rilanciare effettivamente la costruzione europea occorre anzitutto che le riforme istituzionali siano attuate con concezione culturale e volontà politica comunitarie. Occorre che i gestori dei nuovi importanti incarichi sappiano e vogliano usarli per l integrazione non più solo economico-sociale ma anche politica dei popoli europei. Infatti le due innovazioni più incisive del Trattato di Lisbona - accanto a quelli, pur molto importante, che riguardano la riduzione dei veto in Consiglio dei Ministri, col conseguente ampliamento dei poteri legislativi del Parlamento Europeo) e la decisione di creare alcune nuove politiche comuni in campo economico e sociale - sono squisitamente politiche: la Presidenza del Consiglio Europeo (il vertice ) della durata di due anni e mezzo, rinnovabili una volta (quindi coincidente con le legislature quinquennali del Parlamento e degli incarichi della Commissione), e il ministro degli esteri (anch esso quinquennale ed eletto dal PE su designazione del vertice ) dotato di una vera e propria diplomazia (il Servizio Europeo di Azione Esterna - SEAE). Per questo motivo l attenzione (e le polemiche) si è concentrata sulla scelta delle personalità chiamate a assumere quegli incarichi per la prima volta. E bisogna riconoscere che i primi passi di tutti e due i presenti - Herman Van Rompuy alla Presidenza e Caterina Ashdot per gli Esteri - sono stati soddisfacenti. Il primo ha dimostrato di essere un autentico leader europeista (e non affatto un signor nessuno come era stato tacciato da chi avrebbe voluto una personalità di altissimo profilo e di grande notorietà internazionale). E la seconda sta dimostrando di saper usare la sua esperienza di Commissario europeo e il suo pragmatismo britannico nell avviare concretamente la realizzazione degli strumenti necessaria (a cominciare dalla diplomazia ) per la costruzione di una vera e propri PESC. La presidenza permanente. Infatti l ex Capo del Governo belga ha saputo usare subito la sua presidenza - non solo di lunga durata, ma anche eletta a maggioranza dal Consiglio Europeo stresso e totalmente impegnata perché libera da ogni altro impegno nazionale. E perciò più autorevole perché indipendente e non sospettabile di parzialità. Qualità e condizioni - queste - che sono fondamentali per dare attuazione alla più rivoluzionaria riforma istituzionale introdotta col Trattato di Lisbona, che è la comunitarizzazione del Consiglio Europeo, il suo inserimento fra le altre istituzioni comunitarie.

Questo Consiglio dei Capi di Stato e di Governo (da non confondersi col Consiglio d Europa inventato da Churchil nel 1948 ed esteso a tutti paesi democratici del Continente, ma con competenze limitate al campo del diritto e della cultura) era stato escogitato dal Presidente della Repubblica Francese Giscard d Estaing, ma non era stato concepito, né mai attuato, come un istituzione della CEE (e successivamente della UE, che non lo menzionava mai nei suoi trattati, neanche in quella di Maastricht che la ha costituita). Anzi: era diventato, di fatto, il più autorevole e potente baluardo del sistema intergovernativo contro l affermazione e l espansione del sistema comunitario in quella UE di cui, peraltro, non faceva parte formalmente. Il Trattato di Lisbona - seguendo su questo punto essenziale il progetto di Costituzione, che era stato elaborato nel 2003 dalla Convenzione proprio sotto la presidenza di Giscard d Estaing. - ha trasformato quell informale Consiglio Europeo in un istituzonre dell UE, accanto alle altre tre istituzioni (PE; Commissione e Consiglio dei Ministri), ma con funzioni essenzialmente politiche di guida generale dell UE. Cioè ne ha fatto una sorta di Governo dell Europa. È stato un passo decisivo verso la costruzione politica dell UE, che viene considerato addirittura rivoluzionario da tutti coloro che continuano a sostenere che, invece, la costruzione europea non debba esser altro che un Mercato Comune, un organizzazione mercantile, economica, non politica (e per taluni neppure sociale). Passo che è stato subito interpretato correttamente e avviato a coerente attuazione dal primo presidente permanente, Van Rompuy, dimostrando di essere ben altro che quel mister nobody che avevano ironizzato gli avversari! Interpretazione corretta e annunciata fin dall inizio con la dichiarazione che questo nuovo presidente dell UE non avrebbe fatto valere la sua opinione personale, ma avrebbe esercitato i suoi poteri per agevolare la formazione di posizioni europee da far conoscere a tutto il mondo come espressione, al massimo livello, delle opinioni e delle scelte politiche comuni dell UE. Ma affinché l interpretazione e l esecuzione della nuova (è così importante) istituzione siano corrette ed efficaci, è evidente che sarà necessario garantire l equilibrio istituzionale, cioè stabilire con precisione le funzioni e le relazioni fra le sperimentata e funzionanti istituzioni esistenti - PE, Commissione e Consiglio dei ministri - e la nuova, più forte istituzione dei Capi di Governo. Infatti un vertice non più solo informale ma con capacità di decisione, può essere tentato di interferire negativamente nelle funzioni legislative, che ora sono rese tipicamente comunitarie dal diritto di iniziativa della Commissione e dalla co-decisione legislativa Consiglio-PE. Ed inoltre può essere tentato di cercare sistematicamente in ogni decisione il minimo comune denominatore per ottenere l unanimità del consenso (visto che il voto a maggioranza è stato ammesso finora solo per l elezione del Presidente stesso del Consiglio e dei Presidenti della Commissione e della BCE). Che è, apponto, procedura tipicamente intergovernativa. Saper rispettare l equilibrio delle istituzioni e saper conciliarlo con l introduzione della nuova così potente istituzione (destinata a diventare il vero governo politico 2

3 della UE) sarà il difficile banco di prova dell europeismo comunitario di Van Rompuy. Ed effettivamente egli sta dimostrando di sapere e di volere farlo: con concretezza e prudente, ma anche con decisione. Non ha proclamato che farà del Consiglio Europeo il vero governo politico dell UE. Ma di fatto lo sta già facendo. Intanto ha stabilito che il Consiglio non si riunisca solo due volte all anno (com è avvenuto finora) ma ogni mese, per poter discutere e decidere tempestivamente sulla gestione della quotidianità, coinvolgendo gli stessi Capi di Governo nella gestione degli interessi comuni dell Europa. E, poiché la quotidianità dei primi mesi del suo mandato ha richiesto che l Unione dovesse affrontare la crisi economica, Van Rompuy non ha esitato a mettere subito sul tappeto la necessità di provvedere al coordinamento delle politiche economiche dei venticinque Stati membri, chiamando i Capi di Governo ad impegnarsi in quella che può essere considerata una sorta di governo economico dell UE. Oltretutto dimostrando di saper operare con realismo e tempestività. Nella sostanza: facendogli prendere decisioni in materie spinose come il patto di stabilità, le riforme del sistema finanziario e del suo controllo, ed anche con interventi per lo sviluppo (le reti intereuropee, la politica energetica, ecc.). Ma anche nella procedura: di fronte alla richiesta di Sarkozy e della Merkel di istituire un governo economico ad hoc per l Eurozona, respinta da molti altri (perché preconizzerebbe un Europa a due velocità e richiederebbe un altra riforma istituzionale e quindi un nuovo trattato) Van Rompuy ha saputo superare l impasse con un suo pragmatico - ma coraggioso - non ce n è bisogno, perché io stesso, in quanto presidente, possa convocare i Capi di Governo dell Eurozona in una sessione speciale in preparazione di ogni riunione del vertice. E lo ha fatto. E con successo. In particolare applicando, fin della prima riunione del Consiglio Europeo, la tesi secondo la quale tutte le materie che hanno interesse europeo e sono di competenza dell UE devono essere trattate secondo il metodo comunitario, salvaguardando le prerogative della Commissione e del Parlamento. Il Ministro degli Esteri. Non meno importante - e di buon auspicio - è l uso della personalità giuridica dell Unione ( per la prima volta riconosciuta e sancita in un trattato) per affermare sul piano internazionale la piena visibilità dell Europa. Infatti una delle prime decisioni del Consiglio Europeo, presieduto da Van Rompuy, è stata quella di compiere i passi politici e diplomatici necessari per poter rappresentare negli organismi internazionali (ONU, FMI, OIL, ecc..) l UE in quanto tale. Naturalmente per ora solo in quanto osservatore (perché il diritto di veto e la presenza permanente in Consiglio di Sicurezza restano prerogative nazionali) : tuttavia si tratta di un primo e significativo passo. Ora nelle grandi scelte politiche si saprà quale è la posizione di tutta l Europa, la quale potrà dare al suo peso politico ed economico una ben maggiore efficacia. Ma questo passo è destinato a chiedere e ottenere che le posizioni ed i comportamenti dei singoli Stati Membri siano in armonia con quelle dell Unione. Di

più: ciò significa porre in modo ancor più pressante la necessità che si giunga finalmente a realizzare la PESC come una politica estera realmente comune. E qui che emerge in tutto il suo valore l altra grande innovazione istituzionale del Trattato : la trasformazione dell Alto Rappresentante in Ministro degli Esteri. Anche se è vero - non si chiama così perchè non solo nella Convenzione, ma anche nella Conferenza Intergovernativa ci sono stati quelli - gli inglesi soprattutto - che hanno imposto che neanche la terminologia lasciasse pensare alla comunitarizzazione della PESC. Ma si tratta proprio di questo perchè, di fatto, il potenziamento è tale da farne un vero e proprio Ministro degli Esteri dell Unione. Ed infatti, benché non gli sia attribuita la facoltà di definire e di decidere la politica dell Unione (perché il suo compito è limitato ad agevolare la formazione di una politica comune e di prepararne la discussione e le conseguenti decisioni su proposte comunitarie e non solo sulle iniziative dei singoli Governi), ma ha il potere di presiedere stabilmente (non semestralmente) il Consiglio Relazioni esterne, (cioè dei ministri degli esteri) dove tali discussioni vengano svolte e tali decisioni vengono prese. Inoltre ha a sua disposizione - novità assoluta nelle istituzioni europee - una vera e propria struttura diplomatica (il Servizio Europeo di Azione Esterna - SEAE), che oltretutto assorbe e sostituisce le delegazioni della Commissione in tutto il mondo ( le quali così diventano una sorta di ambasciata, la Delegazione dell Unione Europea ). Da ultimo, ma non meno importante, l Alto Rappresentante della politica esterna diventa anche Vicepresidente della Commissione. Cioè, pur essendo eletto dal Consiglio in regime intergovernativo, diventa membro della Commissione in regime comunitario. Viene creata, così, una nuovissima forma di stretto legame fra i due metodi che hanno caratterizzato fin qui tutta la costruzione europea. Quindi si compie un altro passo assai rilevante nella evoluzione in senso federalistico della costruzione europea, proprio nel settore politicamente più decisivo qual è la PESC. A cui si deve aggiungere, sempre in materia di politica estera, i primi tentativi di avviare anche una politica di difesa (la PESD) per mezzo del inserimento nel Trattato delle cosiddette cooperazioni rafforzate, cioè della possibilità di creare - anche solo a maggioranza - forme di gestione comunitaria in campo militare: dall industria bellica all organizzazione delle forze armate. (Cosa, peraltro, vista con diffidenza da un certo numero di Stati membri che non intendono parteciparvi e anche qui temono che si profili un Europa a due velocità ). Quindi il Trattato di Lisbona ha escogitato nuovi validi strumenti per mettere l UE in condizione di elaborare e adottare una sua politica estera efficace perché unitaria e sostenuta da ben 27 Stati, da una grande potenza economica e da centinaia di milioni di cittadini europei. Ora si tratta di sapere e volere usarli, questi strumenti. L incarico specifico di dirigerli è stato dato a Caterine Ashton. Non senza esitazioni e polemiche. L essere una laburista inglese faceva sorgere molti dubbi sulla sua idoneità. Ma l aver fatto l esperienza della Commissione apriva la speranza di una buona gestione di questo così impegnativo suo nuovo incarico. Ed infatti le sue prime azioni sembrano alimentare questa speranza. Ha precisato: non sono un Ministro degli esteri perché 4

5 non c è una PESC. La PESC la farà il Consiglio Europeo. Io posso essere solo uno strumento per prepararla. Così, consapevole dei suoi limiti e verosimilmente anche in coerenza con l europeismo tiepido e molto pragmatico del suo partito, la Ashton si è subito impegnata a creare e a metter in funzione il principale strumento che è stato messo nelle sue mani. Allestire in pochi mesi un organismo sovranazionale composto da migliaia di persone di elevate qualità professionali, da impiegare non solo nella sede centrale a Bruxelles, ma anche in centinaia di sedi periferiche, sparse in tutto il mondo, non era un impresa facile. Tanto più che non disponeva dell autonomia di un vero Ministro degli Esteri, ma doveva rispondere a molte autorità : la Commissione di cui è vicepresidente, il Parlamento Europeo, che vuole affermare la propria funzione di controllo democratico, e soprattutto il Consiglio dei Ministri degli Esteri che la considera una propria delegata. Ma lo ha fatto con determinazione, e anche con successo, pur avendo dovuto superare grosse difficoltà operative create dalle diffidenze e dalle gelosie delle diplomazie dei singoli Stati membri. E interessante notare come l elaborazione della PESC da parte del Ministro degli Esteri, di cui la Ashton si è impegnata a rendere conto al PE in tutte sue successive fasi, apre nuove possibilità di inserimento del Parlamento stesso nella PESC. Anche se, in verità, questo inserimento ha una lunga storia. Si iniziò sin dalla prima legislatura ( 79-84) realizzandolo - come prevedevano i trattati, i regolamenti e la prassi - quasi esclusivamente con i dibattiti sulle cosiddette urgenze di politica internazionale, che peraltro si concludevano senza ordini del giorno, né mozioni, ma solo con risoluzioni, senza alcuna possibilità di partecipare alle scelte e alle decisioni. Poi si cercò di utilizzare le competenze del Parlamento in materia di bilancio per influenzare gli statuti dei servizi della Commissione all estero e per controllarne le spese (in particolare nell esecuzione della politica di aiuti allo sviluppo). Inoltre si usò le competenze parlamentari in agricoltura e commercio estero, che forniscono materia abbondante alla PESC stessa. Ora il PE ritiene che sia giunto il momento per attribuirsi la discussione e la definizione delle linee direttrici, come è auspicato dalla relazione dell on. italiano Pino Arlacchi, che sarà presentata alla Plenaria nel prossimo autunno. Il modo con cui sarà accolta questa presa di posizione del Parlamento e l impegno per darvi pronta attuazione da parte del Consiglio dei Ministri, sarà il banco di prova del europeismo pragmatico che la Ashton vorrà dimostrare per costruire quella PESC che lei - non a torto - constata non esistere ancora. Le nuove politiche comuni Dunque si può constatare con soddisfazione che il Trattato di Lisbona ha cominciato a funzionare. E proprio per quanto riguarda le due più importanti riforme istituzionali della Presidenza permanente e del potenziamento della gestione della PESC (ed anche per un embrione della PESD), aprendo la strada all ulteriore sviluppo della costruzione europea anche su quel terreno politico che, finora, sembrava precluso e su cui, comunque, la maggior parte dei Governi (ma anche delle forze politiche) era stata riluttante.

6 Tutto ciò non significa, ovviamente, che si possa sottovalutare il grande contributo ad una maggiore integrazione dell Europa che potrà essere dato dall attuazione delle nuove politiche comunitarie discusse e decise a Lisbona. Energia, trasporti ed ambiente, immigrazione e sicurezza interna, lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, toccano indistintamente tutti i cittadini dell Unione. E quindi interpellano direttamente gli aspetti fondamentali delle politiche economiche e sociali che ogni Stato membro sa di non poter affrontare efficacemente da isolato, ma solo nell ambito di politiche comuni. Consapevoli di ciò, i 25 Capi di Governo firmatari del Trattato di Lisbona hanno voluto che esso indicasse esplicitamente talune politiche come obiettivi essenziali della rinnovata e rafforzata organizzazione comunitari. Per farlo non era (non è) necessario una riforma istituzionale. Non occorrevano nuove istituzioni (come era stato necessario, invece, per la politica estera e di difesa, per l espansione dell Unione dal piano economico e sociale a quello politico). Bastavano il consolidamento ed il potenziamento - e la coerente messa in opera - delle istituzioni esistenti. C è piuttosto da deplorare che, passato già un anno, le istituzioni europee - forse perché troppo impegnate a contrastare la debacle finanziaria e i rischi delle conseguenti depressione economica ed inquietudine sociale - non si siano ancora mosse. A cominciare dalla Commissione, che tarda ad esercitare la sua principale prerogativa di iniziativa legislativa, al PE e al Consiglio che non vengono messi di fronte al loro dovere di dare concreta attuazione a quella iniziativa, mediante il tempestivo uso del loro diritto-dovere di co-decisione legislativa. E passato un anno. E tempo che - superata la buriana finanziaria, usciti dalla paura della recessione economica ed avviati verso la ripresa produttiva e commerciale le istituzioni comunitarie mettano mano senza ulteriori esitazioni anche alle nuove politiche comuni che il Trattato di Lisbona impone. Certo, non basteranno a fare gli Stati Uniti d Europa! Non saranno il grande balzo verso la realizzazione dell ideale federalistico. Saranno semplicemente un ulteriore progresso dell integrazione economica e sociale dei popoli europei. Ma. questa volta contestualmente ad un primo, rilevante passo verso l unità politica. Gli europeisti coi piedi a terra sono convinti che questa non è l ora di crogiolarsi nei propri ideali rievocare sogni federalistici. E l ora di impiegare quello spirito e quegli ideali per stimolare l uso coerente ed efficace delle nuove istituzioni e delle nuove politiche comunitarie per vivificare e consolidare la costruzione europea, tanta faticosamente avviata in mezzo secolo. Napoli, settembre 2010 Paolo Barbi