La comunità sefardita della Bosnia tra le comunità sefardite dell Europa e del Mediterraneo



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La comunità sefardita della Bosnia tra le comunità sefardite dell Europa e del Mediterraneo Muhamed Nezirović Mediterránea on line # 8 / giugno 2012 Mediterránea Centro di Studi Interculturali Dipartimento di Studi Umanistici Università di Trieste www.retemediterranea.it

Convergenze peninsulari: iberica, italica, balcanica Paradigmi della letteratura judeoespañola Trieste 15 marzo 2005 La comunità sefardita della Bosnia tra le comunità sefardite dell Europa e del Mediterraneo Muhamed Nezirović In primo luogo, vogliamo collocare il ruolo di Sarajevo e della Bosnia ed Erzegovina nel mosaico sefardita d Europa. Prima della Seconda Guerra Mondiale in questa capitale e in questo paese vivevano 11.800 ebrei divisi in venti comunità, dei quali più di dieci mila erano sefarditi. Gli altri erano ebrei ashkenaziti chiamati inizialmente Švabos judíos, ovvero, ebrei tedeschi. Dopo la quasi totale distruzione della comunità ebraica della Bosnia ed Erzegovina durante l ultima guerra mondiale, solamente 1.810 sopravvissero all Olocausto. La comunità sefardita della Bosnia ed Eerzegovina, soprattutto quella di Sarajevo, fu molto importante nonostante le sue esigue dimensioni. Nel periodo tra due guerre mondiali a Sarajevo vennero pubblicati due settimanali sefarditi: Jevrejski život (La vita ebraica) e Jevreiski glas (La voce ebraica). Un sefardita originario di Sarajevo, David Bajar Mose Atias, che viveva a Liorna nel secolo XVIII, fu il primo pubblicista e scrittore laico che già nel 1778 pubblicò in questa città italiana un libro miscellaneo dal titolo La Guerta de Oro. I sefarditi di Sarajevo furono i primi collezionisti di romanze sefardite, ossia: Il rabbino Ha Kohen Moise ben Mikael (1702). Il rabbino Ha Kohen Bahar Mose David (1794). La città di Sarajevo fu la culla dei rabbini. Tutti loro erano orgogliosi di essere nati a Sarajevo (chico Yerusalen): Meir tehila Saray, Yerushalaim Ketana. A Sarajevo prima dell ultima Guerra Mondiale si cantava una Canción de Roldán, l unica raccolta in un paese slavo. In realtà sotto il nome di Roldán si nasconde Bernardo del Carpio, figura leggendaria dell epopea spagnola. Delle cinquantacinque rarissime romanze di tutto l ispanismo, diciotto provengono, secondo don Ramón Menéndez Pidal, da Sarajevo e dalla Bosnia. La famosa Haggadah, scritta e portata alla luce nel secolo XIV a Barcellona, è conservata attualmente a Sarajevo, preservata dai mali e dalle guerre da musulmani e cattolici. I sefarditi di Sarajevo e della Bosnia-Herzegovina generalmente parlavano un purissimo spagnolo preclassico senza nessuna influenza gallica, in un periodo in cui il francese fu imposto ai sefarditi dall Alliance Israélite Universelle come lingua di promozione sociale. Questa istituzione non operò mai in Bosnia. Nonostante tutto, la comunità sefardita della Bosnia ed Erzegovina fu ed è tutt ora poco conosciuta.

In questo lavoro, il mio obiettivo o il mio escopo (termine spagnolo del Siglo de Oro ormai in disuso in Spagna ma conservato e utilizzato a Sarajevo e in Bosnia) è far conoscere questa comunità e lanciare un or hadash (una luce nuova) su questo gruppo sefardita della Bosnia-Herzegovina. Inizieremo il nostro lavoro con una frase scritta nel lontano 1931 nell edizione settimanale di Sarajevo Jevrejski glas (La voce ebraica) da un sefardita di nome Jelić, originario di Belgrado, dall indiscutibile talento letterario. Parlando dei suoi compatrioti di Sarajevo e desideroso di sottolineare le loro attività culturali, diceva: 2 Lus di saraj no aj in sjeti partis de el mundo Questa opinione di stima e di rispetto non fu un fatto isolato e casuale né un risultato dell autoinnamoramento (se possiamo chiamarlo così) nei confronti di tutto ciò che aveva a che fare con il suo popolo (elemento che non è poi così raro nelle nostre terre balcaniche), ma fu il frutto di un pensiero diffuso. Così, quasi contemporaneamente, don Manuel Ortega, presidente delle associazioni sefardite del Marocco e autore del famoso libro Hebreos de Marruecos, nel 1930 scriveva parole lusinghiere sulla comunità sefardita di Sarajevo in una lettera che inviò allo stesso settimanale della capitale: Precisamente il gruppo di Sefarditi di Sarajevo è uno di quelli che ci ha sempre preoccupato per la sua situazione privilegiata nell ambito delle correnti culturali dell Oriente europeo, dove tenevano così alta la bandiera della cultura ispanica tanto da rappresentarne la parte più consistente. 1 Quando si leggono queste righe prese a caso fra tante altre simili dovremmo certamente chiederci che cosa era questa comunità sefardita che arrivò a Sarajevo nel lontano XVI secolo, più esattamente nel 1566, una città giovane ma già ricca, potente e in piena espansione, situata nella parte più occidentale della Turchia europea, nella quale si accumulava e ristagnava una ricchezza immensa proveniente da vari campi di battaglia e campagne di guerra alle quali partecipava l Impero Turco all apice del suo potere. Successivamente, alcuni sefarditi stabilitisi a Sarajevo, guidati dal loro impulso industriale e dalle loro capacità, partiranno dalla capitale per poi diffondersi in tutti i centri di una certa importanza della Bosnia ed Erzegovina. Ma non dimenticheranno mai che Sarajevo fu un rifugio sicuro per la loro nuova vita e che la Bosnia fu per loro la nuova Sefarad. Bisognerebbe ricordare che nella storia non ci sono mai stati due paesi, fatta eccezione forse per l Albania, che si assomigliassero così tanto per il loro destino storico e spiritualità come la Spagna, l al-ándalus arabo o il Sefarad ebraico, e la Bosnia, il paese dei Balcani occidentali. La prima venne conquistata molto presto, all inizio del secolo VIII, quando i capi arabo-berberi sconfissero nell anno 711 presso il fiume Guadalete l esercito dell ultimo re goto Rodrigo. La seconda perse la sua indipendenza molto più tardi, nel 1463, quando i cavalieri turchi sconfissero e catturarono l ultimo re di Bosnia, Esteban Tomašević (sia detto che la Bosnia fu 1 Lettera inviata ad Alberto Atias, presidente della Comunità ebraica di Sarajevo, pubblicata su Jevreiski glas (Sarajevo) il 7 marzo 1930.

l ultimo paese indipendente a perdere la sua libertà nei Balcani). Proprio in quest epoca arrivò l implacabile declino della Spagna musulmana e del suo Regno nazarí. Ma in Bosnia, patria di eretici tartari, paese di boni cristiani, recentemente convertiti all Islam, come dice W. Miller: Preferivano essere conquistati dal sultano piuttosto che convertiti dal Papa; e appena conquistati non esitarono a cambiare religione. Il credo musulmano aveva parecchi punti di contatto con la loro propria eresia, così tanto disprezzata. Chi abbracciava la nuova religione poteva conservare le proprie terre e i propri privilegi feudali; così dunque la Bosnia ci si presenta con il curioso fenomeno di una casta aristocratica di razza slava, anche se maomettana di religione. 2 3 Questa Bosnia stava ripetendo il passato spagnolo. Ripeteva la Spagna delle tre religioni, Sarajevo ripeteva la Toledo di Alfonso X, il saggio. E non fu un caso che nel tragico 1992 la prima città a mandare la sua simpatia e il suo appoggio a Sarajevo fu questa Toledo, cuore del mondo, con la frase: Toledo saluta Sarajevo. I sefarditi non arrivarono in questa città direttamente dalla penisola iberica. Alcuni autori hanno paragonato l arrivo dei sefarditi ad una bomba, stavolta una bomba priva di pericolo, una bomba pacifica. I sefarditi sparsi nelle varie zone d Europa e dell Africa settentrionale trovarono una buona accoglienza nel suolo ospitale dell Impero Ottomano. E non è casuale che nel 1892, esattamente durante l occasione del quarto centenario dell espulsione dalla Spagna e dell arrivo dei sefarditi in Turchia, si potesse leggere in un giornale sefardita di Esmirna questi versi pieni di gratitudine nei confronti del paese di accoglienza: Et lorsque ceux qu'hier tout paraissait maudire entrèrent dans Stamboul, misérables et nus pour la première fois on put entendre dire: Vous êtes des proscrits, soyez les bienvenus! 3 Nell Impero Ottomano iniziarono ad infilarsi, come perline di una collana, le città che accolsero i sefarditi: Esmirna, Bursa, Istambul, Salonicco, Adrianopoli-Edirne, Sofia, Rustcuk, Filipopoli-Plovdiv, Samokov, Istib-Stip, Monastir-Bitola, Escopia, Niš, Belgrado, Sarajevo, dove questi avevano vissuto e lavorato contribuendo alla prosperità dell intera popolazione. Non fu così in altri paesi. La ricca città di Amburgo li accolse per misericordia ma non si dimenticò di chiedere a ogni rifugiato mille marchi come contributo alla città. Il Senato non permetteva la costruzione di sinagoghe, ma solo l acquisto di terreni per i cimiteri. Probabilmente, è per questo motivo che in alcune coplas sefardite la Germania viene chiamata mala Alemania. Ma ritorniamo ai sefarditi di Sarajevo. La comunità, come abbiamo già detto, è sempre stata importante. I primi sefarditi arrivarono da Salonicco, secondo Moisé Franco, già nel 1530. Si trattava di una trentina di famiglie ebreo-portoghesi; secondo altri la data di arrivo risale 2 W. Miller, Essais in the Latin Orient, pág. 494, Cambridge, 1921, passaggio citato da H. C. Darby et alii in Breve historia de Yugoslavia, Colección Austral 1458, Madrid, 1972, p.75. 3 Le Monde dell 8 settembre 1986, p. 3.

al 1545, per altri ancora al 1566. Generalmente i sefarditi di Sarajevo e della Bosnia ed Erzegovina, a differenza delle altre città d Europa e del Nord Africa, non hanno mai vissuto in un ghetto e questa istituzione non è mai esistita in Bosnia... ma comunque loro volevano vivere insieme. Mosé (Rafael) Atias alias Zeky-effendi Rafaelović, autore di Istoria de los žudios de Bosna, rampollo di un antica, onesta e conosciuta famiglia sarajevita, ci da una prova che conferma questo fatto: 4 Ansi los žudios kontinuaron de gozar de una vuena reputasion entre los sibdadanos de las otras konfesiones ma eljos (los žudios) moraban espartidos los unos de los otros, kada uno en una kaleža de manera ke les era muj pezgado para reunirsen en okaziones de fiestas, bodas i en kazos de muerte, i aunke eljos se adresaban kon rogatibas a kada gobernador, les era rifuziado el derečo de akožersen todos por morar en una mahale (kuartal). En este estado vibjeron asta (1645) ke bino komo gobernador Sijabuš-paša (eks gran bezir) el kual se apijadu de la nasion žudia i deso fraguar una mahale a su nombre, la kual se ljama ainda oj Sijabuš-paša mahalesi (EI Kuartal de Sijabuš-paša). Este kuartal es un sirkulo de aproksimadamente dos mil metros kuadrados; todo su rededor bjenen fraguas de pjedra vjen solidas i el kortizo es vjen grande tubiendo un pozo de agua. 4 Queste righe testimoniano che il ghetto non esisteva a Sarajevo ma che i sefarditi desideravano vivere insieme per i motivi espressi o, come dice lo storico ebreo Samuel Grayzles: Les Juifs avaient toujours aimé vivre les uns près des autres, comme tout groupe uni par des liens puissants. 5 Questo desiderio di vivere insieme è presente nei proverbi sefarditi conservati fino ai giorni nostri. I proverbi dell epoca dicevano che un ebreo che viveva solo è un kazaliko medio kristianiko o un kazaliko medio blahito. Grazie alla possibilità di vivere insieme si ha l opportunità di rispettare le regole della Legge o della religione. Senza dieci uomini non era e non è possibile formare il miñan e senza miñan non c era e non c è la possibilità di leggere la Tora o Kadis e per questo motivo avevano la necessità di vivere in vicinati prossimi a Sarajevo. Nel frattempo vogliamo evidenziare un fatto. Gli ebrei volevano vivere insieme e vivevano a Sarajevo, nel loro Kortižo, come loro stessi chiamavano il proprio quartiere, in cui vivevano anche i musulmani, concittadini di buon vicinato. La popolazione ebraica di Sarajevo cresceva ed aumentava di numero molto rapidamente e fu sempre una popolazione cittadina. Le famiglie con dieci figli non erano un eccezione. Il clima di benessere e di tolleranza esisteva sia a Sarajevo che in tutta la Bosnia. Molti sefarditi erano funzionari delle autorità turche perchè i musulmani bosniaci imparavano con difficoltà la lingua turca, o come dice un autore francese, in cinque secoli di presenza turca, solo una cinquantina ha imparato bene questa lingua - vérité des choses, vérité des hommes. La popolazione sefardita non si differenzia molto, per quanto riguarda la vita 4 La alborada, Sarajevo, 17 maggio del 1901, p. 74. 5 S. Grayzler, Histoire des Juifs, Paris 1967, tomo II, p. 42.

esteriore, dall ambito balcanico orientale e slavo musulmano. Una scena del racconto Un kal viežu (Una vecchia sinagoga) di Avram Romano Buki, autore sefardita già citato, conferma questo aspetto: Los primeros son viežižikos. Ejos aparesen bjen vestidos kon sus barvas penjadas, sus djubes, sus anteris, škarpas alumbrantes, la varda no paresen akejos de entre simana. Komo entran en kal, bezan la mezuza i si aparan kon sus manus avijertus (uzu turku) dizen matovu, si pasan las manus pur la kara i si van a su lugar. Aki si kitan las škarpas, s'asentan, travan los pies para ariva, si los tapan kon el anter i ansina arimadikos asperan el empesižo di orasion. 6 5 Può essere che a causa di tutto ciò le autorità turche e soprattutto la popolazione slava musulmana desse non solo protezione ai cittadini sefarditi ma che si comportase con loro in maniera molto amichevole. È interessante un fatto storico: i musulmani di Sarajevo si sollevarono nel 1819 contro Mehmed Ruzdi, altezzoso governatore turco di Bosnia che incarcerò un gruppo di onesti sefarditi capeggiati dal rabbino Mose Danon. Il governatore aveva bisogno di denaro e voleva togliere questo denaro alle sue vittime: C'est leur richesse qui les perdsi diceva spesso degli ebrei durante il Medioevo. La comunità ebraica di Sarajevo chiese aiuto ai musulmani slavi della città. Duecento cinquanta fra i più onesti sottoscrissero una petizione chiedendo al sultano di liberare immediatamente gli ebrei innocenti. La risposta fu immediata e positiva. L altezzoso pascià venne destituito e incarcerato. Una poesia che nel judeoespañol di Bosnia porta il titolo di Una kantika komponida i eskrita por la istoria ke akapito al rav Mose Danon djunto los grandes de la komuna de Sarajevo al 4 merhesvan 5580 (1819), ma più conosciuta con il titolo di Historia de los Prisoneros o Megila de Sarajevo, descrive tale avvenimento. Di questo lungo poema, noi ne esamineremo solo alcuni versi: Haj vekajam meleh rahman Baldo pensjero de Aman Los turkos de la sivdad Se selaron de su krueldad Kontra el si levantaron i a los Djidios asoltaron... 7 Questa storia ha un suo continuo e una sua eredità. I musulmani di varie città della Bosnia ed Erzegovina, con le cosiddette Risoluzioni musulmane dirette alle autorità naziste, vollero esigere la cessazione della crudeltà contro gli ebrei e i serbi ortodossi praticata durante la seconda Guerra Mondiale. È molto importante sottolineare che i sefarditi bosniaci non dimenticarono mai la lingua spagnola preclassica, quella di Cervantes, cosa che invece accadde già da secoli agli ebrei di Francia e, un poco più tardi, a quelli d Italia. 8 Nel Nord Africa, in Turchia, in Bulgaria, in Romania, in Macedonia, la lingua spagnola si conservò, ma questa lingua è piena di francesismi a causa dell attività 6 A. Romano Buki, Un kal viežu en Jevreiski glas, 35 (1930), p. 5. 7 S. M. Elazar, El Romancero Judeoespañol, Sarajevo, 1987, p. 193. 8 E. Romero, La Creación literaria en lengua sefardí, Madrid, 1992, p. 284.

dell Alliance Israélite Universelle che consigliava ai sefarditi, come già abbiamo detto, lo studio del francese come lingua di promozine sociale e culturale o, come cantava Jakim Behar nella sua Lengua y Nación Israelita (Istambul, 1910): A la hebrea, somos atados al judaísmo A la francesa camino de luz y cultura Todos los tres obligo santo de la natura. 9 6 L Alliance Israélite Universelle non operò mai in Bosnia-Herzegovina ed è per questo motivo che qui la lingua è più pura, nella migliore tradizione di Salonicco, la Salonicco antecedente l Alliance. La parlata dei sefarditi di Bosnia si è arricchita di molte parole turche e bosniache slave. Secondo una lista non molto esaustiva, nella lingua sefardita si incontrano 265 sostantivi, 39 aggettivi, 15 verbi e 16 parole di altre categorie, per un totale di 336 turchismi. Il secondo contributo lessicale non fu meno importante. Si tratta dell influsso slavo. Dopo la Prima Guerra Mondiale molte parole slave della Bosnia entrarono a far parte della lingua sefardita. Cosicchè in una sola frase si possono trovare tutti questi strati linguistici: Yo tomi un kafe para razbiar el mamurluk. In una sola frase il verbo spagnolizzato razbiar e il sostantivo turco el mamurlk (assai conosciuto tra i balcanici) e tutto ciò con una base spagnola che significa: Io mi sono preso un caffè per togliere la sbornia. Un altro esempio tratto dal racconto dello scrittore Avrama Romano Buki, in cui l autore imita la parlata delle donne sefardite di Sarajevo: parlano una madre e una figlia e la figlia parla della creazione letteraria di Tolstoi: Uh, mama baš sos čudnovata. Tu mos keris a mozotrus sporediar stesu komu i Tolstoi. Tu di todo te rugejas. Si tu savias ki grandi filozof ki esti Tolstoi. El mundu entero lo hvaleja. Ma Sarajevo, capitale della Bosnia, continuava ad essere il centro in cui convivevano quattro religioni provenienti dalla stessa fonte divina. I sefarditi ricevevano la loro educazione in questo clima tollerante, multireligioso e multiculturale che si sarebbe potuto paragonare a quello della Toledo di Alfonso X il saggio, la Toledo Cabeza y corazón del mundo o ad Amsterdam, la Nuova Gerusalemme dei sefarditi cacciati dalla Spagna e dal Portogallo. Per quasta ragione, non senza amore per la patria e senza motivazione, sottolinea Eliezer Jichak Papo, rabbino di Silistria, ma originario di Sarajevo che fu: Meir tehila Saraj, Yershalaim ketana, La famosa città di Sarajevo, chico Jeruzalén. Tutto ciò ha reso possibile che Regina-Gina Camhy di Sarajevo, la quale viveva a Parigi e che morì recentemente nella capitale francese, dicesse, parlando della sua città natale: 9 A. Romano-Buki, Los Aparežos en Jevreiski glas, 40, Sarajevo, 1940, p. 4.

Tout y est maintenu: le judeo-espagnol, le folklore, les usages et les coutumes de jadis. 10 Di ciò fu cosciente il mentore dei nostri studi, don Ramón Menédez Pidal, che raccomandava ai giovani ricercatori di romanze nel 1906: Allí en Bosnia las mozas a sus fregados y las viejas acunando a sus nietos usan de cantar tales cantares. 11 7 Ma la caratteristica di questi ebrei bosniaci fu l amore per la propria terra natale, la Bosnia, e uno speciale sefardismo. Citeremo un frammento del racconto di Laura Papo- Bohoreta, autrice e poetessa sefardita di Sarajevo. Il racconto si intitola Morena, dal nome dell eroina principale: Morena, la giovane bosniaca che studiava in Germania prima dell ultima Guerra Mondiale, incontrò per la prima volta l imposizione dei numerus clausus per gli studenti ebrei nelle università tedesche. Il suo fidanzato, Rauben, le dice di non aver paura perché lui le starà vicino. Morena gli risponde: Ken se espanta? Ke vengan, veremos. Yo vo azer lo mio. Debaldes no nasi yo en Bosnia. Batir lo voy komo la lana. I ja trija muestra Bosnakita. Hartonear kiere. 12 E infine, alcune parole sullo speciale sefardismo degli ebrei di Sarajevo, spesso accusati da alcuni ebrei dalle differenti idee politiche. Così leggiamo nel giornale ashkenazita di Sarajevo: E questo sefardismo di Sarajevo, un sefardismo assolutamente distaccato e separatista che vuole vedere Sarajevo come un centro del pansefardismo perché Sarajevo, secondo l opinione dei promotori di questa idea, è la capitale e la città più centrale di tutto il mondo sefardita. Ma qui non parleremo dell attitudine decisamente ingiusta nei confronti degli ebrei ashkenaziti. 13 Questo amore per Sarajevo, il suo chico Jeruzalém, la città dalle otto sinagoghe, non è mai venuto a mancare nello spirito sefardita bosniaco. Durante il martirio di Sarajevo, nel 1994, il poeta Isak Papo canta a Zagabria: SARAJEVO MI SEVDAD DE ORO Estremesido miro el televizoro: destruido se esta mi Saray de oro. Nunka pensava ke pudia ser verdad, tanta inhumanidad i terrible krueldad. Lo ke se pasa azen sus sevdadinos ayer amigos i muestros vizinos. 10 G. Camhy, L'Etat actuel dans le monde sefardi in Le Judaisme Sephardi, 28, Paris 1960, p. 1198. 11 Ramón Menéndez Pidal, Los Romances de América, colección Austral, 55, Madrid, 1972, p. 129. 12 Laura Papo Bohoreta, Morena in Jevreiski život, 38, Sarajevo, 1924, p. 2. 13 Jevreiski život, 2 Sarajevo, 1924, p. 5.

La kruela politika todo derroka, enteramente a la djente troka. Andzeles divinos, onde vos topas agora, en esta, sinsero dicho, la mala ora? 8 Atras ochenta anyos en Saray me nasi de mi chikez toda la vida ayi pasi. Me rekordo del meldar i ham Daniel el primero alefebet ambezandolo de él En kaza uzavamos la lingva espanyola, kon los amigos la lingva de la eskola. De la Espanya trusimos la kultura i tradision, la lingvua i romansas kultivimos kon emosion. 14 Oggi la popolazione ebraica di Sarajevo (di circa mille membri della comunità, il 70% è sefardita) continua a vivere nella capitale della Bosnia ed Erzegovina, sviluppando la propria attività non solo nell associazione culturale La Benevolencia (fondata nel 1892) ma anche attraverso altre strutture della città. A Sarajevo viene pubblicato El Boletín de la Comunidad Judía de Bosnia- Herzegovina e sia i sefarditi che gli ashkenaziti sono una parte rappresentativa e inseparabile del paese, i quali continuano a vivere nel loro chiko Jeruzalén in quanto los arboles viežos, come dice un proverbio sefardita bosniaco, no se transplantan. METODO DI LETTURA: Si scrive: č š ž h j si pronuncia: come lo spagnolo ch (mucho) come il francese ch (chambre) come il francese j (jamais) si pronuncia come la jota spagnola si pronuncia como la y spagnola (ya) 14 Isak Papo ed altri, Cuentos sobre los Sefardíes de Sarajevo, ed. Logos, Spalato, 1994, p. 12.

GLOSSARIO: hay vakayam meleh rahman (ebr.) bas (turco), adv. čudnovata (slavo), agg. hvalear (slavo), vb. mamurluk (turco) sm. matovu (decir), ebr. mezuza sf. (ebr.) rugearse (slavo), vb, razbiar (slavo), vb. sporediar (slavo), vb. - Benedetto sia il nostro Re Salvatore - davvero - strana - lodare, complimentarsi - sbornia - preghiera che si recita quando si entra in una sinagoga - rotolo di pergamena che contiene alcuni passi della Bibbia - burlarsi - rompere - confrontare 9 Traduzione di Laura Gando