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ARSENIO D'AMATO In LOOKania - Anteprima

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Indice dei contenuti INTRO 3 CASTELMEZZANO & PIETRAPERTOSA 5 FORENZA 11 BALVANO (NOTTE TRA IL 2 E IL 3 MARZO 1944) 21 BERNALDA 31

Lucania Io lo conosco questo fruscìo di canneti sui declivi aridi contesi dalla frana e queste rocce magre dove i venti e le nebbie danno convegno ai silenzi che gravano a sera sul passo stanco dei muli. E' poca l'acqua che scorre e le vallate son secche spaccate, d'argilla. Di qui le mandrie migrano con l'autunno avanzato per la piana delle marine tuffando i passi nelle paludi. Di qui è passata la malaria per le stazioncine sul Basento squallide, segnate d'oleandri. Da noi la malvarosa è un fiore che trema col basilico sulle finestre tarlate in un vaso stinto di terracotta e il rosmarino cresce nei prati sulle scarpate delle vie

accanto ai buchi delle talpe. Da noi si riposa il falco e la civetta segna la nostra morte. Da noi il mondo è lontano, ma c'è un odore di terra e di gaggìa e il pane ha il sapore del grano. Mario Trufelli

INTRO È un reportage, ma senza fotografie. È il resoconto di un viaggio in un mondo dove i luoghi sono destini. È un opera errante e affabulatoria che presta ascolto a ogni suono di questa terra. Perché la LOOKania è un entità fisica, territoriale e antropica particolarissima, che, nel corso della storia, è stata talmente abbandonata a se stessa da essere stata pervasa da una sorta di cultura autoctona. Impossibile non volerle bene. In LOOKania: ogni racconto una metafora, ogni paese uno sfondo, ogni canzone un tragitto. In queste narrazioni cerco di descrivere, sullo sfondo, la Basilicata quanto basta per incuriosire e spingere la gente a rispettarla e ad amarla. Cercando di renderla il dignitoso proscenio di ogni storia. Io, spesso, racconto di

questa terra definendola un incrocio tra la Mesopotamia ed un pianoro turco senza conoscere ne l una ne l altro. Non tutte le mie esposizioni, ovviamente, corrispondono a tale descrizione, ma questa frase basta ad invogliare decine di persone a scoprire che territorio fosse. Funziona? Per me si! Me ne rendo conto, ogni volta, quando la pronuncio con persone che non hanno mai dato una sbirciata oltre il guard-rail della Basentana. Li vedi sollevare gli occhi e cambiare espressione nel tentativo di immaginare come potesse essere un incrocio tra la Mesopotamia ed un altopiano turco. Quanto più breve è la descrizione, tanto meglio. Basta una sola immagine efficace che fa da scenario ad un esposizione (poche parole ma buone) e non aggiungere altro. Lascio che immaginino il resto.

CASTELMEZZANO & PIETRAPERTOSA Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria. Dante, Inferno V أحمد الا ول Volano i desideri e gl individui iniziano a planare quando i sogni atterrano Sin dall infanzia il cielo mi faceva tremare. Avevo una fobica paura del vuoto ma dovevo farlo. Dovevo provarci perché l aveva fatto perfino Ahmed! L avevo visto lanciarsi, casco in testa e occhiali, imbracatura al filo d'acciaio e coraggio ordinario, sospeso nel vuoto per oltre 1400 metri, a un'altezza di 400 metri dal suolo. Un proiettile umano che aveva toccato la velocità di 120 chilometri orari. Sotto di lui lo

scenario fantasmagorico delle Dolomiti Lucane. Durante il suo volo io facevo compagnia alla sua donna, che poi era la mia o meglio un tempo era stata mia. Senza paura anch io scelsi la linea che va da Castelmezzano a Pietrapertosa. Lo feci, però, una domenica, da solo. Errabondo con i miei pensieri ed il vento. Solo lassù, senza tempo, senza età Dopo pochi istanti ero libero da paure, pregiudizi e congetture. Un fatto straordinario, per godere, con lo sguardo, che di norma è privilegio degli uccelli, della bellezza di un paesaggio unico. Mi pareva di udire le grida di stupore di chi osservava il mio volo e mi sentivo inorgoglire sempre di più. Mi sembrava quasi di essere una divinità, così alto nello spazio, così libero e veloce nell aere. Doveva essere anche più bello avvicinarsi al cielo, attraversare le eccelse vie dove le stelle serene e gli inesplorati mondi si inseguono eternamente. Ero conscio che, come per Dedalo ed Icaro, l'unica via libera, per me, era quella di affrontare l aria, per vivere una forte emozione e per superare un trauma, dopo aver visto due corpi che si amano ed assistito al crollo di tutto. L amore dovrebbe produrre benessere e felicità non delusione e tristezza. Perché allora è proprio nei momenti di

sconforto e malinconia che l amore ci appare come l unica cosa che ci può tenere in vita? Era, per me, una partita a scacchi, giocata dietro le quinte, pezzi mossi con cautela e silenziosa violenza. Pensavo a tutto questo nel mentre trasvolavo e come se qualcuno avesse previsto una colonna sonora ero ossessionato da un vecchio refrain: e volavo, volavo felice più in alto del sole ed ancora più su mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù. Una musica dolce suonava soltanto per me. Ahmed, steso sul divano, in quello stesso momento, sognava cascate di Moët & Chandon sui seni della sua donna. Immaginavo che Ahmed, verosimilmente, una volta scossosi dal torpore e alzatosi, avrebbe avuto problemi di vista. La vista gli si sarebbe, come sempre, confusa poichè s era alzato di colpo e la pressione, la circolazione erano più lente. Torpore residuo. Anticipo della stanchezza. Nel pomeriggio doveva essere fresco, tagliente. Si giocava come il cavallo a scacchi, apatico, irriducibile e sghembo. Ahmed avrebbe aperto la porta della stanza da letto, e sarebbe entrato in quel mondo privo di luce con lo sguardo abituato al buio. Sul letto sapeva che c era un corpo disteso che lo aspettava. Non era il corpo delle sue vere

brame, quello allo champagne, ma era uno di quelli che, in ogni caso, avevano assaggiato cafè, azucar, limon y rhum Ero geloso e, chiudendo gli occhi, convenni che l amore passionale porta, letteralmente, in galera, ma in verità non chiude "nella cella del desiderio immateriale", ma nella roccaforte dell assoluto bisogno. Che importa che il mio desio non è quello per il corpo allo champagne, ma quello per la donna che ha assaporato cafè, azucar, limon y rhum? Imbracato a 400 metri d altezza, sopra i più bei paesaggi delle Dolomiti Lucane, raggiunsi la velocità di 120 km/h a "volo d'angelo". I francesi la chiamano fantasticable ed io, fantasticando, volai col cielo azzurro sopra ed il vuoto della terra sotto, tra quelle montagne che avvolgono e donano un aspetto magico. Ahmed era in quel momento, credibilmente, con lei. Ahmed stava con lei e bramava di far l amore, allo champagne, con un altra. Lei non lo poteva sapere o meglio un giorno l avrebbe capito. Rivissi, contemporaneamente a quei ragionamenti, quella volta che, coinvolto dagli amici, volai in alto, su una giostra, e vidi da vicino l attico di un edificio situato in una piazza. Vidi le altre case da sopra. Ero come appeso sopra l estate e mi sembrava che il

seggiolino fosse stato agganciato ad una mongolfiera che cadendo girava su se stessa. All epoca pativo tanto di vertigini che, intravedendo un baratro, per quanto di poca importanza, saggiavo un desiderio quasi insopportabile di gettarmi. Ero del tutto incapace di difendermi di fronte all attrazione della gravità. Ne ero oppresso e diventavo inetto. Pallore, fiato corto, una spina di sudore freddo: mostravo tutti i sintomi del panico, proprio come quando feci conoscenza con Ahmed. Fu lei a presentarmelo come amico. Capii che l aveva già portata via. Quel momento fu com essere sull orlo di un abisso, ma la vertigine che provai in quell occasione era partorita da una percezione di pauragelosia-odio. Questo precipizio fra Castelmezzano e Pietrapertosa era uguale a quello del mio vuoto interiore: avevo deciso di affrontarlo perché la mia trasparente semplicità era così assoluta che vedevo in questo mio osare l apice del mutamento. Capivo che lei, con lui, si sentiva e stava bene, ma non poteva essere, in quel frangente, a casa di Ahmed, almeno non con l animo, perché la sentivo vicina. Lei, invero, non era nemmeno lì con me, eppure io la immaginavo sempre accanto la vedevo, la sentivo Le parlavo e

l accarezzavo. Mi faceva compagnia, mi metteva allegria, m infondeva coraggio ed io non mi sentivo più solo e misconosciuto. L avevo, però, persa per sempre come Dedalo, nella leggenda, perse Icaro. Non mi restava che tornare al suolo e, dall altra parte, rimettermi coi piedi per terra. O.S.T.: Volare Domenico Modugno

FORENZA Se deve scegliere chi deve essere crocifisso, la folla salverà sempre i Barabba. Jean Cocteau Quel Cristo in Croce, fra le tue mani, è soltanto un pezzo di legno marcio mi disse mastro Mimì lo trovò mio fratello tra le rovine di una piccola chiesa, vecchia e abbandonata; bombardata nell ultima guerra.. Perchè non te lo porti a casa? ribadii, sorridendo. Perchè il suo posto è tra i raggi di sole che filtrano dalle vetrate colorate. rispose forbitamente Tra la miracolosa luce delle candele che non smettono mai di bruciare. Tra l odore della cera e quello del muschio selvatico nel tempo del presepe e poi è zoppo: gli manca un piede. Pare brutto!. Mastro Mimì parlava, mentre piallava una

massiccia tavola di ciliegio. La sua falegnameria era un po il ritrovo di tutto il circondario. Un misto di laboratorio e circolo sociale. Un microcosmo che, quando potevo, osservavo di nascosto, proprio come un ladro che di notte invade una proprietà. Il padrone di casa era un piacevole anfitrione e la ristretta cerchia di frequentatori del suo mondo ne riconosceva le virtù. Aspettami qui, dai un occhio alla bottega.... mi disse nel mentre spariva dalla porticina che dava accesso al sottoscala. Era il suo passaggio preferito per andare al piano superiore: la dimora di famiglia. Quando tornò portava con se una scatola tutta ammaccata. La poggiò sul banco di lavoro e ne tirò fuori un Crocefisso d uguale foggia, solo più piccolo. Questo, invece, l ho avuto in regalo dal vecchio parroco e sogghignando più che un dono è un risarcimento per lavori non retribuiti chissà quanto vale. Appena lo toccai, invero, notandone la consistenza e la fattura, pur essendo profano, ebbi la sensazione di avere tra le mani un oggetto d inestimabile valore. Era come osservare un gioiello: anche l inesperto ne è abbagliato

Non si trattava, ad ogni buon conto, di una collana o di una pietra preziosa. Era un Crocefisso. Soltanto un semplice, banalissimo Crocefisso, poco più grande di un martello. Ingiallito non tanto dal tempo, ma dalla polvere e da mani non sempre pulite. C erano tracce di tutti e quattro gli elementi su quel Cristo: alcune parti sembravano bruciacchiate; chissà, forse era stato avvicinato troppo alla fiamma di una candela. Altre parti avevano visto l acqua; i dispetti delle gocce di pioggia che si erano divertite a sbiadirne il colore erano evidenti. Negli incavi vi erano residui di terra che l aria aveva asciugato ed indurito quasi per fissare in eterno i segni del tempo. Mastro Mimì mi guardava: Avvocà te lo vuoi prendere? - mi chiese proponendomene l acquisto. Dammi trentacinquemila Lire ed è tuo anzi facciamo quaranta e ti pigli pure l altro. Non era poco, anzi. Ero convinto, però, che quel piccolo Crocefisso valesse qualcosa: di certo molto più di quello che il falegname chiedeva. Ma lo sai che hai fra le mani la copia esatta del Santissimo Crocifisso di Forenza?. Non risposi, feci finta di non aver seguito il suo parlare. Conoscevo, però, la cultura

popolare e la mitologia del luogo. Quello strascico di racconti, legati alla suggestiva Croce, giustificavano tre secoli d ininterrotta devozione. Potrebbe essere, pure questo, opera di Fra' Angelo continuò mastro Mimì Lo sai cosa accadde dopo che ebbe terminato il corpo della scultura del Santissimo Crocifisso di Forenza? Gli mancava solo di scolpire la testa, ma dopo aver provato e riprovato, non riusciva a modellarne una che fosse all'altezza della raffigurazione del Cristo morente sulla Croce. Ormai stanco e per l'ora tarda, decise di coricarsi. Al mattino, rimuovendo il velo che copriva la statua, con grande stupore, la trovò completa: un Angelo nella notte aveva portato dal cielo un volto ad immagine e somiglianza di Cristo. Credo sia solo una leggenda del posto risposi, gettando la maschera anche se la mitologia locale, in realtà, si comprende del tutto guardando attentamente i lineamenti del viso che sono stati scolpiti. Ammetto, come ben sai, che qualcosa d incredibile si scorge osservando il volto da destra a sinistra: l'espressione di Gesù morto osservandolo sul lato destro, Gesù agonizzante guardandolo di

fronte, Gesù sorridente nel particolare sinistro. Nonno Giovanni ti ha insegnato tante cose: si vede! Ti ha pure trasmesso l amore per questo paese. Dovresti trasferire qui la tua dimora. Per un attimo mi parve di sentire la voce del nonno biascicare una filastrocca: Frà Angelo che cade in un sonno profondo e nel sogno incontra Gesù il quale lo loda dicendo: In cielo mi vedesti, in terra mi facesti. Mastro Mimì mi aveva fatto venire un groppo alla gola: era arduo e difficile, per me, parlare di mio nonno, della sua Forenza e delle sue storie antiche e moderne Passarono una quindicina di giorni e, per ventimila Lire, le due Croci cambiarono ubicazione. Passarono dalla falegnameria al mio studio di Potenza. Il Cristo piccolo risaltava sulla parete retrostante la mia scrivania. Il Crocefisso grande fungeva da fermacarte, un po sui generis, sul grande tavolo da riunione che avevo addossato alla parete dell ingresso. Io non credente. Io marxista. Io anarchico situazionista. Io che duemila anni fa, in mezzo a quella folla, avrei gridato Barabba! Barabba! con tutte le mie energie. Io che avevo sempre disprezzato mia

madre, per tutte le volte che era andata ad adorare il frate coi buchi. Io insofferente alle messe, alla devozione, alle immagini sacre. Ero lì, ben felice di avere un Crocefisso appeso alla parete del mio studio. Allora, per me, era la più bella cosa che tenevo al muro. Un oggetto da custodire gelosamente. Un affare intuito. Un qualcosa di pregiatissimo. Il Cristo più grande, invece, quello avuto pressoché in omaggio, pensai di regalarlo a mia madre, ma poi me ne dimenticai e rimase sugli incartamenti. Come fermacarte espletava la sua funzione nel migliore dei modi e poi era zoppo pareva brutto! Dopo tanti anni passati a raccogliere, in giro, cianfrusaglie d ogni genere mi decisi a disfarmi delle cose inutili e degli oggetti che non mi davano più il piacere di possederli. M iscrissi ad ebay il sito d aste online. Misi all incanto molte cosucce, tra le quali quel Crocefisso senza un piede. La prima asta andò deserta, la seconda rese oltre ogni aspettativa. Ricavai, dalla vendita del Cristo zoppo, trecentocinquanta Euro. Guadagnai anche cinque Euro sulle spese postali, prefissate a dodici Euro. Un affarone. Avevo venduto il Crocefisso che non mi serviva, né piaceva ed

avevo nel mio studio quello buono che valeva, di certo, almeno il doppio. Tempo dopo una mail dell acquirente mi fece sobbalzare dalla sedia: Gentile Giovanni, le chiedo una cortesia: è mica possibile recuperare il piede del Cristo che ho acquistato? Pagherei quanto ho speso per l intera scultura. Grazie.. Senza aspettare il week end, incuriosito, corsi a Forenza da mastro Mimì, ma del piede del Cristo nemmeno l ombra. Tornato a casa contattai, via mail, il compratore avvisandolo dell inesistenza del pezzetto e chiedendo, sfrontatamente, lumi sull importanza di quel frammento. La risposta non si fece attendere e mi fece trabalzare, nuovamente, dal mio posto: Gentile Giovanni, il Cristo, in restauro, viene definito come iberico. È in legno di noce, è alto circa quaranta centimetri e con un apertura delle braccia di trentotto centimetri. Il corpo è ricavato da un unico blocco dalla testa ai piedi. Una Croce unica, assoluta ed inconsueta che non ha eguali probabilmente in tutto il Mezzogiorno d Italia. L Istituto centrale di restauro dà una lettura completa e storicamente congrua del crocefisso ligneo e lo valuta circa

diciassettemila euro.. Non mi persi d animo, poiché stavamo parlando del Crocefisso che era stato trovato tra le rovine di una piccola chiesa e che io avevo venduto. Le certezze, frattanto, vacillavano lasciando praterie di dubbi. Rispedivo al mittente le angosce e mi autoconvincevo che mi rimaneva quello buono Non mi restava, ad ogni buon conto, che farlo valutare. Mi rivolsi, pagando, all'opificio delle Pietre Dure a Firenze: uno degli istituti più importanti nel campo del restauro, non solo al livello nazionale, ma anche mondiale, con attività di restauro delle opere d'arte e di ricerca scientifica. In seguito feci lo stesso con l Istituto Centrale per il Restauro che, a detta dell acquirente ebay, aveva dato quell assurda valutazione al Cristo iberico. Il responso, purtroppo, fu univoco: il mio Cristo, quello perfetto, non valeva nemmeno un centinaio d euro. Era sì una copia del Santissimo Crocifisso di Forenza, ma aveva, addirittura, parti in plastica e non era che un modello di prova atto, presumibilmente, ad ottenere l imprimatur e l approvazione ecclesiastica per una considerevole produzione di Crocefissi da distribuire in Diocesi.

Ci rimasi molto male, ma poi considerai che senza il restauro nessuno avrebbe mai saputo dell esistenza e del valore dell oggetto. Senza la mia cessione non ci sarebbe stato restauro. Addirittura senza la mia acquisizione sarebbe ancora nella falegnameria e probabilmente mastro Mimì l avrebbe bruciato: per lui era un pezzo di legno marcio Mi sentii parte d una scoperta. Avevo, involontariamente, riportato alla luce un opera d arte certo che, però, d i c i a s s e t t e m i l a e u r o erano davvero tanti! Qualche tempo dopo, tutto d un fiato, rivelai la cosa a mastro Mimì. Dopo avermi ascoltato continuò a lavorare; imperterrito. Eravamo nella sua bottega. Portò avanti la smussatura d un voluminoso pezzo di legno squadrato. Poi, spenta la macchina, mitigato il rumore, mi disse: L'abito non fa il monaco, ma di solito siamo accecati dall'apparenza! Il disperare accresce non soltanto la nostra miseria, ma anche la nostra debolezza. Il falegname, con equilibrio, non si scompose per nulla. Non si disperò d aver buttato al vento una fortuna. Mi fece, tuttavia, leggere un biglietto, che aveva trovato nella scatola deformata. Quella che conteneva la

copia del Santissimo Cristo di Forenza: tu déi sapere che gli uomini sono molto vaghi della bellezza e della misura e della convenevolezza, e, per lo contrario, delle sozze cose e contraffatte e difformi sono schifi. Era un inciso del Galateo" di Monsignor Della Casa. Avvocà chiosò, dopo qualche minuto di silenzio, mastro Mimì mi sa che il suo posto ora sarà, davvero, fra i raggi di sole che filtrano dalle vetrate colorate. Tra il chiarore d un museo ed il silenzio dei visitatori. Tra le rilucenti opere d arte e l odore del sudore dei turisti nel tempo dell estate - Gli sorrisi e lui terminò - di una cosa, però, sono sicuro, mio caro avvocato. Quel Cristo in Croce, che vale così tanto, per me resta sempre un misero pezzo di legno marcio - e dandomi un energica manata sulla schiena - inoltre è zoppo: gli manca un piede. Pare brutto!. O.S.T. Hanno crocifisso Giovanni - Marlene Kuntz

BALVANO (NOTTE TRA IL 2 E IL 3 MARZO 1944) Nessuna Spoon River dei poveri ha mai raccontato le loro storie.. Antonio Manzo (su Il Mattino, 29 febbraio 2004) Dopo un freddissimo febbraio il territorio pareva risvegliarsi. Le prime vivaci fogge floreali erano pronte a dare il la alla primavera. Gli occhi di mio nonno, all epoca trentacinquenne, ardevano, ma non scorgevano nulla. Solo ciò che c era: allucinazioni e lacrime, carcasse e paludi di stille cerulee. Il treno era carico, quella notte. Il convoglio era pieno. L 8017 era un treno merci. Non poteva, non doveva avere a bordo tutta quella gente. Soltanto lui, mio nonno, era sceso prima del transito al passaggio in salita, dodici minuti dopo la mezzanotte, nella

stazione di Balvano. Per attendere l alba nel caliginoso silenzio della campagna contigua, macchiettata da alture sulla cui vetta si poteva distinguere, grigiastra nel lividore della notte, la neve dell inverno che ancora non si era sciolta. A sbriciolare quel silenzio di morte solo le voci dei macchinisti e del capostazione, che si avvertivano appena, sul retroscena dell unanime, ponderoso alito della gente che dormiva nel treno. Più distinta la voce di mio nonno che salutava uno che lo aveva aiutato a prendere quel treno. Alle 0,50 il segnale di via libera verso Potenza, dove il lunghissimo convoglio non sarebbe mai giunto. Nonno Arsenio lo vide avviarsi, lentamente, mentre dai fumaioli delle locomotrici si levavano alti ciuffi di bianchissimo fumo, e imboccare la prima galleria che si trovava sul tratto da Balvano a Bella Muro, che era lontano non più di duecento metri dalla stazione di Balvano. Il nero della galleria lo ingoiò; per un po si vide risaltare il fanalino di coda, sito all'esterno della garitta poi anche quel lume sparì dietro la prima curva. Aveva piovuto. Era calata una di quelle fastidiose acquerugiole che discendono piatte, come costrette da un fitto banco di nubi basse. Da poco, tuttavia, aveva smesso di piovigginare,

ma l'aria era rimasta intrisa di umidità. Umidità che era penetrata nelle gallerie fra Balvano e Bella Muro, e aveva steso sui binari un funesto, viscido manto scivoloso. Nonno, alla stazione, si trovò un buon posto, sotto una pensilina, si accucciò, in posizione fetale, appoggiandosi al tascapane, fattosi cuscino, e si addormentò. Un lampo cieco infiammò l etere e un grido muto infuocò l alito. Il tunnel si riempì di fumo. Non si respirava. Il convoglio aveva rallentato. Non avanti, né indietro. Aveva perso forza. Slittando si era fermato. Soffocando i suoi passeggeri. Il momento aveva sbriciolato il tempo in gocce lievi. Non se n erano nemmeno accorti quelli che dormivano. A poche ore dagli istanti in cui si era compiuto il tragico fatto dei passeggeri dell 8017, alcun segno permaneva dell avvenuto. Il miasma, satollo di tossine, che aveva ammazzato 521 viaggiatori si era ormai rarefatto. Il convoglio fu attaccato in coda ad una locomotiva e rimorchiato alla stazione di Balvano. Qui trovò ad aspettarlo il pretore, il sindaco ed i carabinieri. Mio nonno, risvegliato dal trambusto, s era seduto su un muretto ad osservare senza capire. Temeva per la sorte dei contrabbandieri e degli

irregolari. Nel silenzio irreale, a treno fermo, qualcheduno salì sui vagoni affollati di abusivi. Nei primi cinque giacevano morti compostamente, come se ancora dormissero, tutti i loro occupanti. Nell'ultimo, non c era il silenzio assoluto ed agghiacciante: i passeggeri che vi erano ammassati erano restati fra la vita e la morte, qualcuno aveva ceduto. I più erano rimasti semi-asfissiati, per la provvidenziale azione esercitata dall aria pura che vi arrivava dall ingresso della Galleria Dell'Armi. I morti vennero scaricati sui marciapiedi della stazione di Balvano. I vivi furono ammassati nella piccola sala d aspetto e nelle stanze degli uffici. Si tentò in ogni modo di rianimare questi ultimi, ma lo stato di disorientato intontimento nel quale si trovavano non sparì che qualche ora più tardi, quando grossi autocarri giunti da Potenza li trasportarono nell ospedale civile della città. Coloro che sopravvissero al disastro non riuscirono, neanche negli anni seguenti, a ricostruirlo nella loro memoria. Molti, i più vecchi, neppure si erano mossi dai loro giacigli notturni sui convogli. Li trovarono là saldati alle loro cose, immoti tra quella marea fuggiasca di commercianti di guerra, con le teste posate ai loro lenzuoli, alle valigie,

aggrappati alle cose della sopravvivenza nel baratto. Spalle diritte contro vento, nonno Arsenio osservava. Indietro non si tornava, ma nemmeno poteva andare avanti. Era salito a Napoli. Era sceso a Balvano-Ricigliano per dormire un po, in un cantuccio, aspettando le luci dell alba, e poi proseguire, a piedi, per il suo paese. Sant Arsenio non era lontano: tagliando per i boschi e aggirando qualche montagna, in giornata sarebbe stato a casa. Una volta era rientrato al paese, sempre a piedi, da Sapri, che era molto più distante. Ora, però, doveva restare, gli toccava dare una mano. Era una tragedia. Il treno era rimasto nella galleria in salita. Nella Galleria Dell'Armi, appunto. Che s era riempita di fumo ed aveva ucciso. Cercò uno che si chiamava Ciro, quello che lo aveva aiutato a salire senza biglietto. Un suo coetaneo che veniva nel potentino per comperare un po di carne e vettovaglie. Ricordava bene la sua coppola a strisce strette bianche e blu ed il suo fazzoletto rosso che portava al collo. Ciro non pagava il biglietto, ma non faceva pagare nemmeno agli altri, nel senso che faceva pure proseliti, dava indicazioni a chi poco ne sapeva di quei viaggi clandestini. Si stringeva nella carrozza più che poteva per fare spazio ad altre persone. La sua

aspirazione era di tornare, insieme a tanti come lui, a Napoli carico di farina, carne e sugna. Tutto nascosto sotto il cappotto. Prima di arrivare alla stazione di Napoli raccontava - il treno avrebbe rallentato sul ponte di legno che gli americani avevano costruito al posto di quello fatto saltare dai tedeschi. Uno di loro avrebbe tirato la manetta del freno e si sarebbero buttati giù. Una volta saltate le inferriate sarebbero scappati come mariuoli per i vicoli. Non potevano scendere alla stazione perchè c era la polizia americana che avrebbe sequestrato loro tutto quel ben di Dio. In questo modo si muoveva l'italia attorno alla guerra. Si scuoteva rapidamente, come un serpente colpito a morte, per cercare, con contorcimenti estremi, di ridarsi coraggio e uscire, con meno danni possibili, dal dramma che si consumava passo dopo passo. La locomotiva a carbone, sbuffando, tirava a fatica il pesante convoglio sulle rotaie e lasciava dietro di se il suo fumo che si spingeva, asprigno, nei carrozzoni merci. Ficcandosi nei vuoti d aria liberi lasciati da frotte di viaggiatori. Uomini e donne, vecchi e bambini con accanto i loro mucchietti di cose personali o da trafficare illecitamente. Quel treno, uno dei pochi messi a disposizione dei

civili, seguiva il tran tran e veniva sovraccaricato per le esigenze del trasporto militare. Come se non bastasse il peso già eccessivo di cose materiali, mezzi bellici e uomini, a Salerno vennero aggregati al convoglio altri vagoni merci, alcuni dei quali ricolmi di passeggeri. Tutto secondo routine fino alla galleria di Balvano. Là si fermò il treno, nel buio della notte che divenne ancora più fonda nel traforo della morte eterna. La locomotiva, allo stremo, si arrestò per l eccessivo carico. Il fuochista non fece che alimentare il mostro infernale, il quale invece di erompere energia continuò a vomitare vampe e fumo tanto da invadere sempre più la galleria. Sulle prime, nei vagoni, tutti i passeggeri si accorsero, inquieti, che il convoglio si era fermato. Nell'oscurità completa degli antri di metallo pieni di uomini e cose svolazzarono mormorii e commenti, lamentele e bestemmie. Solo alla fine, quando il fumo invase l ambiente in maniera sempre più fitta e la gente prese a tossicchiare, il terrore cominciò a spandersi, anche se ancora nessuno osava muoversi. Il non avere cognizione di cosa stava succedendo impedì d intuire il cosa fare. Le ondate di cattivo odore divennero sempre più dense.

Tutti tossivano, <<Scappiamo! Questo è veleno! aveva urlato Ciro Fuìmme, fuìmme>>. Come una valanga, vociando, pressando, coi bambini singhiozzanti che strillavano nel buio, tutti si erano instradati verso il varco ligneo e si erano buttati giù. Si avanzava al buio tastando con le mani ora il ferro freddo del convoglio ora il muro umido della galleria. Il fumo diventava sempre più intenso e acre e aveva ormai completamente riempito il vuoto, che pareva, nel buio, l immane tugurio dell inferno. Molta gente tossiva in rigurgiti sempre più convulsi, e presto i primi fuggitivi cominciarono a crollare, sicché quelli che venivano dietro si ritrovavano innanzi, novelli ostacoli, i corpi delle prime vittime asfissiate e falciate dai gas venefici. Pareva un incubo, ma era la realtà. Presto arrivarono sul posto altri soccorsi. Gente comune che era stata risvegliata dal suono delle campane, lanciato nella sinistra agitazione da preti e sacrestani dalle placide chiesette di campagna. Qualcuno aveva temuto attonito un implausibile attacco aereo. Alla fine tutti si prodigarono a recarsi sul luogo del disastro. Ove non era rimasto che attuare l'opera pietosa di ricaricare i nugoli di corpi sul treno della morte, che solo nell'alba

avanzata era stato trascinato, come una lunga inesauribile bara, nella stazione di Balvano. Era oramai giorno quando nonno Arsenio scorse l'immagine di un uomo anziano, dai capelli bianchi, con una coppola a strisce strette bianche e blu ed un fazzoletto rosso al collo. Era senz'altro, all'apparenza, il più vecchio degl individui che gli si paravano innanzi. Aveva, invece, la stessa età, 35 anni, del giovane che lo aveva aiutato a salire sul treno della morte, anzi era lui I capelli bianchi di Ciro erano l emblema della tragedia. Avrebbe dovuto morire, ma era ben sveglio, quando il monossido di carbonio si era sparso all interno della galleria. A Balvano era sceso un momento dal vagone per salutare mio nonno ed aveva avuto salva la vita, poiché sveglio. Il fazzoletto rosso che portava al collo gli era stato altresì d aiuto. Appena il monossido di carbonio lo aveva aggredito, Ciro si era fasciato la bocca con il fazzoletto. Barcollando, col fiato mozzo, era sceso dal suo vagone, e si era diretto verso l'uscita della Galleria delle Armi. Non s era accorto della metamorfosi dei suoi capelli. Fu mio nonno a parlargliene ed a portarlo davanti ad uno specchio. Ciro aveva guardato esterrefatto la sua immagine riflessa. Quel forte shock gli