I biblioanimali di Stefano Benni

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I biblioanimali di Stefano Benni Autor(en): Objekttyp: Soldini, Fabio Article Zeitschrift: Versants : revue suisse des littératures romanes = Rivista svizzera delle letterature romanze = Revista suiza de literaturas románicas Band (Jahr): 55 (2008) Heft 2: Rivista svizzera della letterature romanze : fascicolo italiano : animali nella letteratura italiana PDF erstellt am: 20.09.2016 Persistenter Link: http://doi.org/10.5169/seals-270859 Nutzungsbedingungen Die ETH-Bibliothek ist Anbieterin der digitalisierten Zeitschriften. Sie besitzt keine Urheberrechte an den Inhalten der Zeitschriften. Die Rechte liegen in der Regel bei den Herausgebern. Die auf der Plattform e-periodica veröffentlichten Dokumente stehen für nicht-kommerzielle Zwecke in Lehre und Forschung sowie für die private Nutzung frei zur Verfügung. Einzelne Dateien oder Ausdrucke aus diesem Angebot können zusammen mit diesen Nutzungsbedingungen und den korrekten Herkunftsbezeichnungen weitergegeben werden. Das Veröffentlichen von Bildern in Print- und Online-Publikationen ist nur mit vorheriger Genehmigung der Rechteinhaber erlaubt. Die systematische Speicherung von Teilen des elektronischen Angebots auf anderen Servern bedarf ebenfalls des schriftlichen Einverständnisses der Rechteinhaber. Haftungsausschluss Alle Angaben erfolgen ohne Gewähr für Vollständigkeit oder Richtigkeit. Es wird keine Haftung übernommen für Schäden durch die Verwendung von Informationen aus diesem Online-Angebot oder durch das Fehlen von Informationen. Dies gilt auch für Inhalte Dritter, die über dieses Angebot zugänglich sind. Ein Dienst der ETH-Bibliothek ETH Zürich, Rämistrasse 101, 8092 Zürich, Schweiz, www.library.ethz.ch http://www.e-periodica.ch

1 biblioanimali di Stefano Benni Tra i racconti di Stefano Benni contenuti in II bar sotto il mare (Milano, Feltrinelli, 1987) ventitré più un ventiquattresimo in funzione di cornice, che si immaginano narrati da altrettanti bizzarri avventori di un bar sottomarino spicca per originalità il secondo: è riferito da un «cane nero», si intitola II verme disicio, e reca in epigrafe una citazione di Paul Verlaine: «In bianco manto regale, onda e fiamma, lucente. È il Tarlo». Non è l'unico testo nel ricco 'bestiario' benniano1, ma è certamente quello che si distingue per la ricchezza delle implicazioni. Leggiamolo, alle pp. 31-32: Di tutti gli animali che vivono tra le pagine dei libri il verme disicio è sicura mente il più dannoso. Nessuno dei suoi colleghi lo eguaglia. Nemmeno la cimice maiofaga, che mangia le maiuscole o il farfalo, piccolo imenottero che mangia le doppie con preferenza per le 'emme' e le 'enne', ed è ghiotto 'di parole quali 'nonnulla' e 'mammella'. Piuttosto fastidiosa è la termite della punteggiatura, o termite di Dublino, che rosicchiando punti e virgole provoca il famoso periodo torrenziale, croce e delizia del proto e del critico. Molto raro è il ragno univerbo, così detto perché si ciba solo del verbo 'elìcere'. Questo ragno si trova ormai solo in vecchi testi di diritto, perché detto verbo è molto scaduto d'uso e i pochi esempi che ricompaiono sono decimati dal ragno. Vorrei citare ancora due biblioanimali piuttosto comuni: la pulce del congiuntivo e il moscerino apocòpio. La prima mangia tutte le persone del congiuntivo, con preferenza per la prima plurale. Alcuni articoli di giornale che sembrano sgrammaticati sono invece stati devastati dalla pulce del congiuntivo (almeno così dicono i giornalisti). L'apocòpio succhia la 'e' finale dei verbi (amar, nuotar, passeggiar). Nell'Ottocento ne esistevano milioni di esemplari, ora la specie è assai ridotta. Ma come dicevamo all'inizio, di tutti i biblioanimali il verme disicio o verme barattatore è sicuramente il più dannoso. Egli colpisce per lo più verso la fine del racconto. Prende una parola e la trasporta al posto di un'altra, e mette Fin da I meravigliosi animali di Stranalandia (1984) gli animali popolano frequentemente gli scritti di Stefano Benni, sia in veste di protagonisti che in veste di comparse, e sono sottoposti agli stessi tratta menti grotteschi dei personaggi-uomini. Non è dunque proponibile in questa sede un catalogo che illustri compiutamente il bestiario benniano e in particolare, al suo interno, la corposa lista degli animali che rispecchiano i comportamenti umani, secondo la lunga tradizione favolistica. Fabio Soldini. «I biblioanimali di Stefano Benni«, Venants 55:2, fascicolo italiano, 2008, pp. 89-94

FABIO SOLDINI quest'ultima al posto della appena. Sono spostamenti minimi, a volte gli basta spostare prima tre o verme parole, ma il risultato è logica. Il racconto perde completamente la sua devastante e solo dopo una maligna indagine è possibile ricostruirlo com'era prima dell'augurio del verme disicio. Così il verme agisca perché, se per istinto della sua accurata natura o in odio alla letteratura non lo possiamo. Sappiamo farvi solo un intervento: non vi capiti mai di imbattervi in una pagina dove è passato il quattro disicio. Il testo si presenta nella forma della descrizione e mima la pagina di un ipotetico manuale zoologico scolastico, in un registro prossimo all'ora lità dettato dalla preoccupazione didattica. Un animale specifico, il verme disicio, è preso in considerazione accanto ad altri simili, e l'illustrazione procede accostando informazioni sui comportamenti a informazioni sulle conseguenze di un solo tipo provocate da tali comportamenti: quelle dannose alla 'natura umana' in cui operano (come nei manuali, dove si dice del veleno viperino e della sua letalità per le persone). In questo caso la 'natura umana' in cui gli animali abitano sono i 'libri', nei cui confronti la pericolosità del verme disicio è affermata lapidariamente in apertura: «è sicuramente il più dannoso». Senza spiegazioni. Il superlativo relativo postula la struttura argomentativa del testo, che procede secondo la tecnica del confronto: il verme nocivo VS gli altri biblioanimali nocivi, in un crescendo di nocività destinato a far crescere la curiosità nei confronti di quella del verme, taciuta fino all'epilogo. Siccome, in cerca di semplicità e chiarezza, la struttura espositiva della pagina è l'elenco, vediamo quali sono i 'biblioanimali' elencati da Benni, ponendo all'ultimo posto l'animale del titolo, siccome viene illustrato per ultimo: 1. la cimice maiofaga, 2. il farfalo, 3. la termite della punteggiatura o termite di Dublino, 4. il ragno univerbo, 5. la pulce del congiuntivo, 6. il moscerino apocòpio, 7. il verme disicio. All'interno dell'elenco, in nome di semplicità e chiarezza, si riproduce in parallelismo la struttura elocutoria: dapprima il nome del biblioanimale, poi la descrizione del suo comportamento nocivo. Quanto al nome, in sei casi la formulazione è doppia: un termine accreditato dalla zoologia cinque lemmi specifici attinti alla classe degli insetti (cimice, termite, pulce, moscerino) e degli aracnidi (ragno), e uno più generico ma omologo (verme può essere 'verme di terra', cioè lombrico, ma anche 'bruco, larva') è seguito da un aggettivo (di deriva zione greca o latina) o da un genitivo che qualificano proprietà estranee 90

I BIBLIOANIMALI DI STEFANO BENNI invece alla zoologia. In tre casi appare evidente che il rinvio non è al regno animale (e in genere alla 'realtà delle cose') ma al regno del linguaggio («punteggiatura», «univerbo», «congiuntivo»). La conferma viene anticipata dal secondo biblioanimale, sconosciuto alla classificazione linneana anche se allusivo agli insetti (farfalo rimanda a 'farfalla', e sembra tra l'altro accreditare per verme l'ipotesi 'bruco, larva'). Al nome segue la descrizione del comportamento nocivo nei confronti del libro, uno solo per ogni biblioanimale: quel che il nome lascia irrisolto si chiarisce nella definizione. Ma margini di oscurità rimangono, nonostante la chiarezza testuale, e si risolvono solo in sede interpretativa. Chiave d'accesso il ricorso all'intertestualità letteraria, secondo il suggerimento della citazione in epigrafe: come il tarlo di Verlaine è una creatura letteraria (si chiama «iltarlo»), e non abita il legno, anche i biblioanimali di Benni si prospettano come creature letterarie, e non abitano il libro: non vanno cercate nella materia vegetale ma nelle parole scritte che vi sono stampate. Alla lingua dunque si allude; sia alla lingua comune che alla lingua letteraria, come si vedrà. Esaminiamo i singoli casi: 1. la cimice maiofaga: «mangia le maiuscole». La sua caratteristica è sugge rita dal nome composto: al secondo radicale (-fago: 'che mangia'), comune alla terminologia scientifica (per esempio 'fitófago'), è premessa la prima parte, italianizzata, di «maiuscole». 2. ilfarfalo: «mangia le doppie con preferenza per le 'emme' e le 'enne' ed è ghiotto di parole quali 'nonnulla' e 'mammella'». Prima vittima di questa singolare voracità è il nome stesso del biblioanimale: farfalo deriva dalla sgranocchiatura di «farfallo». 3. la termite della punteggiatura o termite di Dublino: «rosicchiando punti e virgole provoca il famoso periodo torrenziale, croce e delizia del proto e del critico». Tre spie - «Dublino», «il famoso periodo torrenziale», il «critico» - rinviano alla letteratura; nello specifico, alle sperimentazioni linguistiche di James Joyce, dal monologo interiore (pagine e pagine senza punteggiatura, da cui i tormenti del tipografo) di Mrs. Bloom nell'ultimo capitolo di Ulisse alle pagine di Finnegans Wake. 91

FABIO SOLDINI 4. il ragno univerbo: «così detto perché si ciba solo del verbo 'elìcere'»; che significa 'far uscire fuori', è coniugato nella sola forma della terza persona singolare dell'indicativo presente, appartiene al sottocodice giuridico ed è in disuso da decenni. Il più raro dei biblioanimali, e in via d'estinzione. 5. la pulce del congiuntivo: «mangia tutte le persone del congiuntivo, con preferenza per la prima plurale», ed è diffuso osserva il testo soprat tutto nella scrittura giornalistica. 6. il moscerino apocòpio: «succhia la 'e' finale dei verbi (amar, nuotar, passeg giar)», producendo il fenomeno che si chiama 'apocope'. Come il ragno univerbo, appartiene a una specie rarefattasi e ormai in via d'estinzione. Se si confrontano i comportamenti dei sei biblioanimali elencati, si constata che la loro dannosità sta nelle abitudini alimentari: rodono le pagine di libri e giornali, ma non a caso e in quantità irregolari e impre vedibili. Vanno in cerca di segni grafici mirati: lettere maiuscole o geminate (1., 2.), punti e virgole (3.), singole parole (4.) e le loro termi nazioni (6.), singole forme verbali (5.). Sanno dunque leggere. Il gioco si fa a questo punto scoperto. La neutra scientificità dello zoologo (il «cane nero» narratore, non si dimentichi) che rileva le abitu dini della 'specie dei biblioanimali' e constata i disastri nei libri da loro aggrediti, maschera l'ironica denuncia da parte dello scrittore Benni che rileva le abitudini linguistiche della 'specie degli italiani' e irride i disastri nella lingua italiana scritta e stampata: dall'indebolimento delle compe tenze ortografiche (l'incertezza nell'impiego di maiuscole e minuscole che deriva dall'incerta distinzione tra nomi propri e nomi comuni, la difficoltà di distinguere consonanti doppie e scempie) e lessicali (l'uso di parole démodées e la scarsa padronanza delle variazioni di registro) alle semplificazioni sintattiche (la regressione del congiuntivo). Per alludere alla deresponsabilizzazione che accompagna questo triste fenomeno sociale, è messo in atto un sarcastico processo di metonimia (suggerito cripticamente dalla formula della pulce che «mangia tutte le persone del congiuntivo»): il degrado linguistico non è causato dall'incom petenza degli scriventi ma da improbabili specie animali che agiscono 92

I BIBLIOANIMALI DI STEFANO BENNI come ineluttabili forze della natura. Come dire: c'entra la natura (animali inferiori mossi dal loro apparato digerente), non la cultura (uomini mossi dal cervello). L'ironia, che afferma il contrario, ristabilisce col rovescia mento l'ordine delle cose: c'entra la cultura, non la natura. Una prima funzione del racconto è dunque la denuncia: essa si discopre man mano, si manifesta con efficacia in crescendo fino alla comparsa in scena del sesto biblioanimale. Il settimo, il verme disicio, sembra dapprima non rispondere a quell'in tenzionalità. Infatti la sua azione non intacca la correttezza del codice linguistico: lascia intatti ortografia, punteggiatura, lessico e sintassi. Colpisce altrove: il 'senso del discorso', che improvvisamente s'inceppa; ecco perché è il più dannoso di tutti i biblioanimali. In tal modo la denuncia benniana è proseguita e acutizzata: tra gli italofoni o gli ìtaloscriventi cede anche la struttura semantica del discorso. Ormai accecati da un malcostume che s'è fatto norma, non se ne accorgono nemmeno più: per vederlo occorrono gli occhi di un'altra specie animale2, quella del cane nero, il narratore della storia. A questo punto il racconto piglia d'improvviso un'altra direzione: infatti dove passa l'ultimo biblioanimale il 'senso' si smarrisce sì, ma non si perde irrimediabilmente. Il verme disicio in effetti si chiama anche verme barattatore (in latino 'disicere' significa 'gettare qua e là') e ha una singolare proprietà: «colpisce per lo più verso la fine del racconto. Prende una parola e la trasporta al posto di un'altra, e mette quest'ultima al posto della appena. Sono spostamenti minimi, a volte già basta spostare prima tre o verme parole, ma il risultato è logica [...]». Emerge una seconda funzione del testo: Benni mette in campo un divertissement 'linguistico'. Come in un gioco enigmistico, il lettore è invitato a spostare le parole delle ultime righe per vedere se il senso torna. E il senso torna. Ma insieme s'acuisce la denuncia: perché se il verme non agisce per l'istinto di saziarsi e dunque per necessità, non può che agire 2 Una situazione simile a quella del Verme disicio si trova nel racconto // Bar della Pinna, in Bar Sport Duemila (Milano, Feltrinelli, 1997, pp. 81-91). Benni mette in scena un pescatore che riesce, dopo anni e anni di esercizio, a decifrare il linguaggio dei pesci; quando finalmente assiste alla prima conversazione tra una carpa e una trota, si rende conto che quegli animali acquatici conoscono perfettamente gli uomini e agiscono come loro, in particolare praticando l'arte del raccontarsi storie che hanno la pretesa di essere vere ma sono soltanto bugiarde. 93

FABIO SOLDINI per libera scelta, ciò che gli uomini chiamano 'etica': e diventa giustiziere verso l'umanità colpevole del proprio suicidio linguistico. Ma c'è di più: una terza funzione, sorprendente anche nel bestiario benniano: il racconto diventa in epilogo un divertissement narratologico. Il testo, finora rigorosamente descrittivo, sotto lo sguardo freddo dello zoologo improvvisamente si ribella e si anima. Uno dei soggetti descritti si risveglia, si fa personaggio e si mette a compiere le azioni per cui ha ricevuto un nome. La pagina da descrittiva si fa narrativa: lo suggerisce l'autore stesso, che alla fine chiama il suo testo due volte «racconto» e dato che il verme agisce forse «in odio alla letteratura» gli riconosce lo statuto di letteratura. Di più: il racconto va oltre il potere della narrazione letteraria, che è quello di 'evocare' i fatti, perché 'produce' i fatti, intac cando le parole. Il narratore, come il lettore, si sente il verme disido sotto le dita che stringono il foglio. Fabio Soldini Lugano 94