Liriche ed epigrammi

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Transcript:

Gaio Valerio Catullo Liriche ed epigrammi a cura di Gianfranco Nuzzo Palumbo

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO Dipartimento Culture e Società Volume realizzato con il contributo dei fondi dell Università degli Studi di Palermo This is a peer-reviewed book Copyright by G. B. Palumbo & C. Editore S.p.A. - 2015 Proprietà letteraria dell Editore isbn 978-88-6889-226-5

Indice Introduzione 1 1 Problemi cronologici 1 2 La storia d amore con Lesbia 3 3 Altri amori e altre donne 5 4 Varietà di temi 6 5 Poesia e arte 8 Nota critica 11 Nugae 14 Epigrammata 82 Indice dei nomi 115

Introduzione 1 Problemi cronologici Paolo Fedeli intitola Una biografia impossibile il primo capitolo della sua Introduzione a Catullo; e infatti, nelle pagine che seguono, dimostra con acume e dottrina l inanità degli sforzi di quanti hanno cercato, attraverso la lettura dei carmi catulliani, di ricostruire la successione delle vicende che contrassegnarono la breve esistenza del poeta veronese. In realtà sarebbe forse più esatto parlare di cronologia impossibile, dato che tali vicende in sé sono abbastanza note, pur con i tanti dubbi che permangono sulla loro dinamica temporale. Com è noto, i problemi cronologici iniziano addirittura rispetto all arco di vita del poeta veronese, che Gerolamo fa nascere nell 87 a.c. e morire «trentenne» nel 58. Anche se i copisti di tre codici geronimiani hanno sanato questa incongruenza anagrafica correggendo in 57 la data della morte, resta il fatto che in alcuni carmi (11, 29, 45) vi sono riferimenti alle campagne di Cesare in Gallia e in Britannia, cioè ad avvenimenti del 55-54 a.c.; senza contare che il viaggio in Bitinia al seguito di Memmio, uno dei pochi dati cronologici certi, si colloca fra il 57 e il 56 a.c. È perciò verosimile che la morte del poeta sia avvenuta nel 54 e che, dunque, la sua data di nascita vada posticipata all 84. Se fra le notizie date da Gerolamo non si può mettere in discussione quella relativa all età giovanile in cui il poeta morì, che è confermata da una testimonianza di Ovidio (Am. 3, 9, 61 s.), la svista sulla data di nascita potrebbe essere nata dal fatto che uno dei due consoli dell 87, L. Cornelio Cinna, ricoprì la stessa carica anche nell 84 e che morì nel

2 Liriche ed epigrammi corso del consolato, com era accaduto all altro console dell 87, Gneo Ottavio. Se le date non sono affatto certe, sicuri rimangono però i movimenti che vedono innanzitutto il giovanissimo Catullo trasferirsi a Roma dalla natia Verona, nella Gallia Cisalpina, e là fare le conoscenze che avrebbero segnato tutta la sua vita, prima fra tutte quella di Clodia, sorella del famigerato tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro, che egli canta nei suoi versi con lo pseudonimo di Lesbia. Ma a Roma Catullo stringe anche numerose amicizie in ambito intellettuale, entrando a far parte di quel sodalizio artistico detto dei poetae novi o neòteroi perché teso appunto a innovare profondamente la poesia latina, ancora in buona parte legata alla tradizione epico-tragica di matrice enniana: la raccolta di versi che ci è stata conservata, il cosiddetto Liber, ne rappresenta il più vivace manifesto, per noi pressocché unico nel naufragio quasi totale di quanto scritto dagli altri esponenti del circolo neoterico, i cui nomi, come quelli di Elvio Cinna e Licinio Calvo, compaiono spesso nelle liriche catulliane. Proprio sul Liber e sulla sua pubblicazione si incentra una vexatissima quaestio che muove dalla dedica a Cornelio Nepote, con cui si apre la raccolta. Infatti il termine nugae, con cui lo stesso Catullo designa le sue poesie, è parso inadatto a indicare tutti i componimenti della raccolta: se esso potrebbe ben definire i carmi polimetri (1-60) che ne costituiscono la prima parte, sembra inadeguato per i componimenti di maggior impegno ed estensione, i cosiddetti carmina docta, che occupano la parte centrale del Liber (cc. 61-68) e relativamente poco consono anche alle poesie in distici elegiaci che ne occupano la terza e ultima parte, poesie note col nome tecnico di epigrammata. Inoltre il diminutivo libellus usato nella dedica appare altrettanto strano se riferito a una silloge che risulta, nel complesso, di considerevole estensione. In realtà è pressocché certo che l editore del Liber non fu Catullo, morto prima che esso vedesse la luce definitiva, ma qualcuno (forse lo stesso Cornelio Nepote) che ordinò i carmi secondo un criterio metrico, riservando la parte centrale ai carmina docta e distinguendo i componimenti in vari metri lirici (le nugae vere e proprie) da quelli in distici elegiaci (gli epigrammi). Quanto alla dedica, collocata dallo stesso editore a inizio della raccolta, essa si riferisce con tutta probabilità a una precedente pubblicazione parziale dei carmi, curata dall autore e comprendente al più solo i primi sessanta componimenti. Ogni altra ipotesi, anche la più ingegnosa, basata sull esistenza di cicli riferibili ai medesimi temi e/o personaggi e utilizzabili anche ai fini della cronologia, si è rivelata

Introduzione 3 infruttuosa perché basata su indizi troppo labili o su supposizioni indimostrabili. Tuttavia, dato che la breve esistenza di Catullo non è poi così ricca di avvenimenti né tanto meno di coinvolgimenti nell attività politica, appare ragionevole suddividerla, come fa Francesco Della Corte, in periodi scanditi da eventi particolarmente significativi. Il periodo iniziale è quello veronese, che va dalla nascita alla prima giovinezza, cioè dall 84 al 66 a.c, anno in cui Catullo indossa per la prima volta la toga virile e si trasferisce a Roma. Questo primo soggiorno romano, che giunge fino al 60, vede sia gli esordi poetici sia l incontro con Lesbia e con una serie di personaggi assai in vista come l oratore Ortensio Ortalo e il tribuno della plebe Gaio Cornelio, nominati in alcune poesie. Intorno al 60 il poeta, prostrato dall improvvisa morte del fratello, ritorna a Verona e vi rimane fino al 58, componendo carmi pervasi di mestizia o dedicati a personaggi del piccolo mondo provinciale. Tornato a Roma, vi risiede per poco più di un anno, durante il quale il rapporto con Lesbia, nel frattempo rimasta vedova del marito Quinto Cecilio Metello, diviene sempre più tormentato. È forse anche per questo che Catullo nel 57 lascia ancora Roma e si reca in Bitinia, al seguito del pretore Gaio Memmio; là dimora fino al 56 e, passando per la Troade, visita la tomba del fratello Quinto. Tornato a Roma, vi trascorre l ultimo periodo della sua breve esistenza, dal 56 al 54, alternando la permanenza nella capitale con soggiorni a Tivoli, a Sirmione e a Verona. È in questi anni che, riannodato il suo legame con Lesbia, egli alterna rotture e riconciliazioni, fino al discidium finale segnato dal c. 11; intanto la sua vena satirica si fa sempre più mordace, ed egli scaglia velenose invettive contro diversi personaggi del sottobosco politico, soprattutto seguaci di Cesare. 2 La storia d amore con Lesbia La tormentata storia d amore fra Catullo e Clodia, fatta di continue rotture e riappacificazioni, è stata più volte e variamente ricostruita da chi ha tentato di dare un ordine cronologico alle poesie contenute nel Liber, ma, come si diceva, con esiti sempre incerti: quel che pare se ne possa ricavare con una qualche attendibilità è la progressiva maturazione del sentimento nutrito dal poeta verso la donna amata, sentimento che da lusus letterario va via via assumendo i connotati di un rapporto caratterizzato da passione crescente, illusoriamente e unilateralmente nutrita mediante un coinvolgimento emotivo che assume i tratti della fides, violata in modo sistematico dai continui tradimenti di Lesbia-

4 Liriche ed epigrammi Clodia, passione divenuta alla fine un taeter morbus, un «male oscuro» da cui il poeta, nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce a guarire e che forse contribuirà alla sua fine prematura. Punto di partenza potrebbe essere il c. 51, una riscrittura della celebre ode di Saffo (31 Voigt) in cui la poetessa greca descrive la sintomatologia della passione amorosa: il metro della lirica, la strofe saffica, è lo stesso del già ricordato c. 11 e costituisce, insieme con quello, un unicum in tutta la raccolta, quasi a segnare i due punti estremi, l inizio e la fine, della storia d amore con Lesbia. Anche i carmi in vita e in morte del passerotto di Lesbia (2 e 3) e quelli in cui compare il tema dei baci e del malocchio (5 e 7) sono quasi certamente riferibili agli inizi del rapporto fra i due amanti: il tono è giocoso anche quando si atteggia a patetico, e innumerevoli sono le riprese dagli autori greci. Di ardua collocazione è il c. 8, in cui Catullo piange sui giorni perduti e cerca di convincersi che tutto è finito: se, come appare più verosimile, il tono è realmente drammatico, bisogna ascriverlo a una fase avanzata della love story, se non addirittura a quella conclusiva; ma c è anche chi preferisce leggerlo in chiave autoironica, il che rimetterebbe in discussione il dato cronologico. Se si fa eccezione per il c. 58, una disperata invocazione a Celio perché sia testimone del punto di depravazione cui è giunta Lesbia, le nugae non contengono altri riferimenti alla donna amata. Gli sviluppi della storia d amore con Lesbia si trovano soprattutto nella sezione contenente gli epigrammi, molti dei quali fanno riferimento a momenti diversi della vicenda, scanditi da un evoluzione del lessico adoperato per descrivere i termini in cui il rapporto si va modificando. Lo testimonia la ricorrenza di termini tratti dal linguaggio etico-religioso, quali fides e foedus, per designare la profondità di un legame che, pur non consacrato dalle nozze, il poeta sente come un vero e proprio vincolo matrimoniale, che richiederebbe sincerità di intenti da entrambe le parti. A questo tema si lega quello del contrasto fra amare e bene velle (cc. 72, 75), contrasto determinato dalla delusione per il disinvolto atteggiamento della donna amata, i cui continui tradimenti mettono in crisi ogni sentimento di stima e di tenerezza, anche se finiscono, paradossalmente, per acuire il desiderio e la passione, in un disperato anelito al possesso di chi si sottrae costantemente a qualunque tentativo di stabilizzare in senso affettivo un legame fondato solo sul rapporto fisico. Da qui la lacerante antitesi dell odi et amo (c. 85) e l amara consapevolezza che le promesse di Lesbia sono destinate a svanire come trascinate via dal vento o dall acqua che scorre (c. 70). E il tormento

Introduzione 5 di un male che viene avvertito come inguaribile sfocia infine nella lunga e calda preghiera rivolta agli dèi (c. 76), forse una delle ultime poesie scritte da Catullo, l amaro bilancio di un esistenza consacrata a un ingratus amor, tutta dedicata a volere il bene di chi lo ha contraccambiato solo col male. Adeguandosi alla concezione romana del do ut des applicata anche alla sfera religiosa, nell ultimo verso il poeta chiede agli dèi, in contraccambio della sua pietas, la liberazione dal taeter morbus che continua a tormentarlo (O di, reddite mi hoc pro pietate mea, v. 26), ma in cuor suo sa che la guarigione dipende solo da una forza interiore che difficilmente egli riuscirà a trovare, essendosi già dichiarato impotens, «incapace di autocontrollo» (c. 8, 9), al di là di tutti gli sforzi compiuti per dimenticare Lesbia. 3 Altri amori e altre donne Anche se l amore per la sorella di Clodio si presenta come un sentimento tanto unico quanto devastante, la poesia di Catullo conosce l eros anche in forme più leggere e disimpegnate, nelle quali è arduo stabilire quanta parte abbia il gioco letterario ispirato ai poeti alessandrini, soprattutto a quelli epigrammatici. Uno dei cicli che si è voluto individuare all interno del Liber è quello dedicato a un giovinetto di nome Giovenzio (Iuventius), cui sono più o meno direttamente indirizzati i cc. 15, 21, 24, 48, 81, 99, inferiori per numero solo a quelli che hanno al centro Lesbia. Capriccioso e volubile come tutti gli efebi della tradizione pederotica, egli infligge al poeta tormenti che sanno alquanto di letterariamente costruito, nemmeno lontanamente paragonabili alla struggente passione che questi prova per la donna amata. Si tratta probabilmente di un ragazzo appartenente alla gens Iuventia, una famiglia la cui presenza a Verona è attestata da diverse epigrafi, forse conosciuto nella città natale e poi ritrovato a Roma. Rivali in amore di Catullo sono Aurelio e Furio, gli stessi cui è indirizzato il c. 11 e che sono protagonisti di un altro ciclo, per lo più caratterizzato da feroci invettive nei loro confronti. Un altro personaggio cui il poeta dovette dedicare, senza troppa fortuna, le sue attenzioni è Aufillena, il cui nome si incontra nei cc. 100, 110 e 111 e alla quale Catullo si rivolge in toni alquanto insultanti, deluso dal fatto che la donna non mantiene le sue promesse e, dopo aver ottenuto da lui dei costosi doni, finisce poi col negargli i propri favori, comportandosi dunque peggio di una prostituta. Come Giovenzio, anche Aufillena appartiene a una famiglia veronese e ha come spasimante un certo Quinzio, che forse finisce pure per

6 Liriche ed epigrammi sposare. Ma anche dopo il matrimonio la donna rimane, si fa per dire, piuttosto irrequieta, e si dice che intrattenga addirittura una relazione con lo zio. Come si può vedere, la dinamica di questa love story ambientata a Verona presenta più di un punto oscuro, ma poco o nulla essa interferisce con la vicenda amorosa legata al nome di Lesbia. Del resto nel canzoniere catulliano si incontra anche un altra figura femminile, una certa Ipsitilla (ma la lettura del nome è incerta) con cui il poeta sembra avere una qualche consuetudine erotica (c. 32), ma forse si tratta solo di una relazione mercenaria o, comunque, di un rapporto che non implica alcun coinvolgimento sentimentale. Senza nome rimane la donna cui è indirizzato il c. 42: a essa il poeta chiede, ricorrendo scherzosamente alla prassi della flagitatio, la restituzione di certi pugillaria o codicilli, bigliettini amorosi che la sfacciata si rifiuta di rendergli; i toni insultanti con cui egli si rivolge alla donna farebbero escludere che si tratti di Lesbia, ma nient altro è possibile dire sulla sua identità. Nel Liber compaiono poi altre donne, che non hanno rapporti amorosi con Catullo e che quasi mai vengono descritte in termini lusinghieri. Un febriculosum scortum viene definita la ragazza con cui l amico Flavio intrattiene una relazione clandestina (c. 6, 4 s.), e scortillum, sia pure non sane illepidum neque invenustum, è detta l amichetta di Varo in 10, 3 s. Particolarmente bersagliata è Ameana, amante del detestato Mamurra, che nel c. 41 è sprezzantemente definita puella defututa (v. 1) e che viene poi dileggiata per i suoi difetti fisici, stigmatizzati con una serie di litoti nel c. 43. L unica eccezione in questa galleria di sordidi ritratti è Acme, la donna dell amico Settimio (c. 45), la quale incarna quelle doti di purezza e di fedeltà che il poeta aveva invano sperato di trovare nella volubile Lesbia. 4 Varietà di temi Ma l amore non è il solo argomento del Liber, giacché insieme alle poesie di contenuto erotico contiene anche molto altro: le amicizie e le inimicizie, gli affetti familiari, le caricature di personaggi laidi e corrotti, le invettive giambiche, le giocose liturgie di una vita salottiera e gaudente che il poeta vive sì intensamente, ma non così profondamente da cancellare del tutto la propria anima di provinciale legato ai ricordi della sua terra lontana, nella quale certo egli tornò frequentemente, riannodando legami mai del tutto troncati: si pensi al carme dedicato a Sirmione (c. 31), scritto dopo il ritorno dalla Bitinia, o allo stesso ciclo di Aufillena. Se si volesse trovare un corrispettivo moderno del-

Introduzione 7 l anima poetica catulliana si potrebbe fare il nome di Pier Paolo Pasolini, profondamente immerso nella torbida atmosfera di un altra Roma, quella dei «ragazzi di vita», ma anche indissolubilmente legato ai ricordi della sua patria friulana, vista come eden perduto ma sempre vivo nella memoria. Fra gli svariati temi che si possono trovare nel canzoniere catulliano un posto di rilievo occupa senz altro l amicizia, intesa non tanto come in genere nella tradizione romana quale sodalizio politico e sociale, ma piuttosto come sentimento soggettivo e sincero, affinità elettiva di matrice epicurea, che unisce i poetae novi nella condivisione di una stessa visione della vita e della poesia. Come l amore, anche l amicizia si presenta talvolta coi toni giocosi e goliardici del lusus, talvolta invece con quelli religiosi del foedus, del patto giurato la cui violazione corrisponde al tradimento della fides. Il ritorno di un amico da un lungo viaggio (c. 9) o il singolare invito a pranzo rivolto a un altro (c. 13) offrono al poeta l occasione per scrivere dei bigliettini in versi la cui fresca spontaneità non esclude la cura per la ricercata forma letteraria, spesso derivata da modelli greci. Non mancano tuttavia testi più seri e addirittura drammatici, in cui il raffinato gioco letterario cede il posto all amarezza per l affetto tradito, come nel c. 30. In altri casi il rapporto amicale si fonde con gli interessi letterari e porta Catullo a improvvisare un appassionante gara poetica con Licinio Calvo (c. 50) o a esprimere giudizi lusinghieri sulle opere dei suoi sodales, come Elvio Cinna, celebrato quale autore del poemetto Zmyrna nel c. 95. Non un amico, ma il fratello morto prematuramente il poeta piange nel c. 101, una mesta elegia composta quando, durante il suo soggiorno in Oriente, egli poté visitarne la tomba e compiere su di essa i prescritti riti funebri: nel componimento il motivo del viaggio odissiaco in terre lontane si innesta su quello degli affetti familiari, cui Catullo è particolarmente sensibile. La profondità con cui il poeta sente il legame dell amicizia trova il suo antitetico corrispettivo nell intensità con cui egli sa odiare gli avversari. Contro di loro scaglia invettive modulate sui toni più vari, che vanno dalla tagliente ironia alla sapida caricatura fino all insulto condito con espressioni scurrili. La polemica del poeta si rivolge sia contro rivali in amore e in poesia, sia contro personaggi pubblici del calibro di Cesare, definito con acuto sarcasmo imperator unicus (c. 29, 11) e osservato con sprezzante indifferenza insieme con gli uomini del suo seguito, come Mamurra, l osceno uomo-mentula. Tuttavia la satira catulliana non presenta connotazioni propriamente politiche e/o etiche,

8 Liriche ed epigrammi ma soprattutto estetiche, giacché i suoi bersagli mancano quasi sempre di quelle doti di urbanitas ritenute fondamentali dagli esponenti del circolo neoterico. Quanto a Cesare, egli può permettersi di farne oggetto di ironia dati i rapporti di amicizia che legavano a suo padre il futuro dittatore, spesso ospitato nella villa di famiglia a Sirmione in occasione dei suoi ritorni dalle campagne militari in Gallia. Vere e proprie caricature sono in particolare alcuni carmi dedicati a personaggi che il poeta giudica spregevoli o sciocchi, come il fastidioso Asinio Marrucino, un cleptomane che crede di essere spiritoso (c. 12), o come il fatuo Egnazio del c. 39 e l insopportabile Arrio del c. 84, sbeffeggiati rispettivamente per il vezzo di sorridere nei momenti meno opportuni e per quello di aspirare la vocale iniziale in tutte le parole. Altre volte il gioco si fa più pesante, e gli avversari, come Furio e Aurelio, vengono aggrediti con quello che oggi riterremmo vero e proprio turpiloquio, ma che rientra pienamente nell antica tradizione della poesia giambica greca (c. 16). In questo ambito va segnalato l ennesimo ciclo, quello di Gellio, cui vengono attribuite turpitudini di ogni genere, dall adulterio, all incesto, alla fellatio effettuata perfino come pratica autoerotica, e nel cui nome si chiude la sezione degli epigrammi (c. 116). 5 Poesia e arte Catullo inaugura una nuova stagione nella letteratura latina e nella poesia dell Occidente. Con la sua opera il termine lirica assume una valenza assai vicina a quella che si attribuisce modernamente a questo vocabolo, valenza meno immediatamente applicabile all antica poesia greca di solito designata con lo stesso nome. Infatti nella lirica greca l io del poeta coincide il più delle volte con un noi riferibile al gruppo sociale e/o politico del quale anch egli fa parte e dei cui valori si rende interprete. Al contrario Catullo, pur condividendo in buona parte gli ideali del circolo neoterico, esprime nella sua poesia sentimenti e stati d animo soggettivi. Anche la sua visione dell esistenza è del tutto personale ed egli, spesso in contrasto con la morale corrente, propone modelli etici alternativi. Questa rivoluzione catulliana (per riprendere il titolo di un celebre libro di Kenneth Quinn) si manifesta sia sul piano dei contenuti sia su quello delle forme stilistiche. Dal punto di vista tematico la novità più rilevante della poesia di Catullo è data dalla centralità assoluta della sua vita interiore, che si riflette nella concezione del sentimento amoroso come valore assoluto e nella rilevanza della figura femminile, considerata fulcro dell esistenza e

Introduzione 9 fonte di stati d animo contraddittori: dalla gioia al tormento, dalla speranza alla disillusione, dall esaltazione alla disperazione. Lacerante è in particolare l antitesi fra sentimento e ragione, espressa talvolta nella forma drammatica del dialogo con se stesso (c. 8). In questi casi egli non cessa di interrogarsi sulla compresenza nel suo cuore di sentimenti contrastanti, senza peraltro giungere a una ricomposizione del proprio animo lacerato, che viene messo a nudo dinanzi al lettore con sconcertante sincerità. Ma forti contrasti sono anche quello tra fascino delle terre lontane e richiamo del focolare, rappresentato dai luoghi della sua fanciullezza, o quello tra un atteggiamento anticonformistico e ribelle, rivolto a scandalizzare i benpensanti, e un forte attaccamento ai valori tradizionali che, come la fides e la pudicitia, vengono rinnovati e rivalutati all interno del rapporto personale con la donna amata. Non si cada però nel facile equivoco di un Catullo «premier romantique» (la definizione è di Nicolae Herescu) che scrive di getto quello che Amore gli «ditta dentro». Senza voler mettere minimamente in discussione la sincerità dei suoi sentimenti, non si può fare a meno di notare che l apparente semplicità e spontaneità di molti carmi cela in realtà un raffinatissimo magistero di stile, costruito in buona parte su quella cui Giorgio Pasquali ha dato il nome di arte allusiva, un abile gioco di rimandi agli autori del passato soprattutto greci finalizzato a suscitare nel lettore e/o nell ascoltatore il sottile piacere di ritrovare un testo sotto un altro, ciò che Giovanni Nencioni ha chiamato agnizione, vocabolo mutuato dal linguaggio teatrale in cui indica il riconoscimento di un personaggio, il più delle volte finalizzato allo scioglimento dell intreccio. Ovviamente ciò presuppone la complice intesa con un pubblico doctus tanto quanto il poeta, cioè in grado di percepire immediatamente questo procedimento lusorio e di prendervi parte: basti pensare al componimento catulliano celebrato come il più romantico, il distico che inizia con le parole odi et amo (c. 85), in realtà tutto costruito su un sapiente gioco retorico di antitesi e ispirato a un verso del poeta greco Anacreonte. In questo senso, al di là delle apparenze, a livello profondo non esiste una sostanziale differenza fra carmi minori e maggiori (i cosiddetti carmina docta), perché gli uni e gli altri sono il prodotto di un sapiente labor limae, un paziente lavoro di rifinitura per il quale risultano altrettanto curati ed elaborati: il diverso effetto che hanno sul lettore dipende solo dalla differenza dell argomento e dell atmosfera reale o mitica da essi evocata.

10 Liriche ed epigrammi Si diceva poc anzi come sia in parte da correggere l immagine vulgata di Catullo quale poeta d amore spontaneo e immediato, che nelle proprie liriche effonde sentimenti genuini e sinceri, poco o nulla mediati da filtri culturali. Si tratta di una visione certo suggestiva ma in buona parte fuorviante. Infatti, nonostante l apparente immediatezza, le liriche catulliane presentano un repertorio di circostanze e stati d animo che, se da un lato esprimono la sensibilità individuale del poeta, d altro canto si riallacciano a una precisa serie di topoi e situazioni consacrati da una lunga tradizione letteraria di matrice soprattutto ellenistica. Leggere i carmina solo come quadri di vita reale o come tappe di un amore realmente vissuto in tutti i particolari sarebbe dunque limitante. Anche sul piano strettamente formale il linguaggio adoperato nel Liber consiste proprio nella virtuosistica commistione di espressioni colloquiali attinte dal sermo cotidianus e di termini dotti e ricercati, in una varietà di forme che ne fanno un testo esemplare di quella poikilìa teorizzata da Callimaco, nume tutelare dei poetae novi. A proposito del registro basso, è caratteristico l uso del diminutivo con valore intensivo e affettivo, sia che si applichi agli aggettivi, come in misellus, turgidulus o tenellulus, sia che riguardi i sostantivi, in vocaboli come labella, latusculum o scortillum. Forme colloquiali sono anche bellus in luogo del classico pulcher; basium, termine forse di origine gallica corrispondente a osculum (da cui anche il verbo basiare); russus per ruber. Abbastanza frequenti sono pure i grecismi, specie quelli concernenti la sfera sessuale, come pedicare, cinaedus, moecha, ma se ne incontrano pure di appartenenti ad altri ambiti lessicali, come catagraphus e palimpsestos. Motivi di ordine pratico ci hanno indotto a escludere dalla presente edizione catulliana i carmina docta, il più esteso dei quali, il LXIV, è stato tuttavia già fatto oggetto di un edizione critica con versione e commento da parte di chi scrive: il lettore che volesse prenderne visione può trovarlo nella collana «Hermes» delle edizioni Palumbo col titolo Epithalamium Thetidis et Pelei, Palermo 2003.

Nota critica Di Catullo ci sono complessivamente giunti poco più di cento manoscritti, cui vanno aggiunte le prime edizioni a stampa e la tradizione indiretta rappresentata dalle citazioni degli autori antichi. Il più vetusto manoscritto catulliano è rappresentato dal cod. Thuaneus Parisinus 8071 (T), un florilegio di vari poeti risalente al IX secolo che contiene anche il carme 62 di Catullo. Nel secolo successivo il vescovo veronese Raterio leggeva un esemplare completo del Liber, che però finì con l eclissarsi per circa tre secoli, fino a quando intorno al XIV secolo forse lo stesso codice venne riscoperto da Benvenuto de Campesani ( 1329), che salutò l avvenimento con un epigramma intitolato De resurrectione Catulli poete Veronensis, in verità piuttosto criptico riguardo alla provenienza del manoscritto. Questo codice, detto Veronensis deperditus e indicato con la sigla V fu certamente trascritto in diversi esemplari e letto anche da altri letterati del 300, fra cui lo stesso Francesco Petrarca. Di questi apografi o subapografi sono giunti a noi tre codici: G Germanensis Parisinus 14137 (1375); O Oxoniensis Bodleianus Canonicianus Latinus 30 (sec. XIV); R Romanus, Vaticanus Ottobonianus 1829 (1400 c.ca). G ed R presentano numerose affinità e parrebbero discendere da un perduto codice comune, di solito indicato con X. Per ciò che riguarda i codici di età propriamente umanistica, due sono certamente databili all inizio del secolo XV:

12 Liriche ed epigrammi m Marcianus Venetus Latinus cl. XII, lat. 80; A Ambrosianus M. 38 sup. Gli altri codici più recenti (apographa recentiora) sono collocabili entro fasce cronologiche di solito determinate dall indicazione di una data precisa in uno degli esemplari del gruppo di appartenenza, utilizzato come terminus ante quem. Questi codici si sogliono indicare con le lettere dell alfabeto greco: a b g d e z h q codici anteriori al 1412, data in cui venne terminato il Bononiensis 2621; codici anteriori al 1424, anno dopo quello in cui fu ultimato il Parisinus Latinus 7989; codici anteriori al 1453, data del Leidensis Vossianus Latinus oct. 59; codici anteriori al 1450, fra cui Berolinensis Diezianus B. Sant. 36; codici databili intorno al 1450, fra i quali il Mediolanensis Braidensis AD. XII 37 n. 2; codici scritti verso il 1460, come il Datanus (Berolinensis Diezianus B. Sant. 37) del 1463; codici collocabili fra il 1460 e il 1480, come il Vicetinus Berolianus G.2.8.12 del 1460; codici scritti intorno al 1470, lo stesso anno del Pisaurensis Oliverianus 1167. Con la lettera greca p indichiamo il cod. Petropolitanus (già Leningradensis ), Cl. lat. 4 o V 6 (sec. XV). Con la sigla Ital. vengono inoltre indicati la maggior parte dei codices Italici deteriores. Gli esponenti 1 e 2 aggiunti alla sigla dei vari codici indicano rispettivamente correzioni dovute allo stesso copista o a mani successive. Fra le prime edizioni a stampa, spesso ricche di preziose congetture, sono da citare in ordine cronologico: Ven. editio princeps Veneta 1472; Parm. editio Parmensis 1473; Rom. editio Romana circa annum 1475; Calph. Calphurnii editio Vicentina 1481; Avant. Avantii emendationes Catullianae, Venetiis 1481; Parth. Antonii Parthenii editio Brixiensis 1485;

Nota critica 13 Pall. Palladii Fusci editio Veneta 1496; Ald. 1 Avantii editio Aldina, Venetiis 1502; Ald. 2 Avantii editio Aldina, Venetiis 1515; Guar. B. et A. Guarini editio Veneta 1521; Trinc. Victorii Trincavelli editio Veneta 1535; Stat. Achillis Statii editio Veneta 1566.

Nugae 1 Cui dono lepidum novum libellum arida modo pumice expolitum? Corneli, tibi: namque tu solebas meas esse aliquid putare nugas 5 iam tum, cum ausus es unus Italorum omne aevum tribus explicare chartis, doctis, Iuppiter, et laboriosis. Quare habe tibi quidquid hoc libelli, qualecumque: quod, o patrona virgo 10 plus uno maneat perenne saeclo. 2 Passer, deliciae meae puellae, quicum ludere, quem in sinu tenere, 1,1. cui V: quoi Ital. Ven. 2. arida Serv.: arido V 8. habe tibi h: tibi habe V. 1. Rimane incerto se la dedica del libellus si riferisca a tutta la raccolta o soltanto a una parte di essa, forse da circoscrivere alle cosiddette nugae (v. 4), poesie leggere in metri lirici che occupano la prima parte del Liber, oppure anche solo ad alcune di queste (vedi c. 14a). La pomice menzionata al v. 2 serviva a rifilare i bordi del rotolo di papiro (volumen), ma potrebbe anche alludere all opera di minuziosa rifinitura dei componimenti. Il dedicatario della lirica è Cornelio Nepote, erudito dell età cesariana, a noi noto per alcune sopravvissute opere di contenuto biografico (Vitae), ma qui ricordato come autore di una perduta storia universale in tre libri

Liriche 1 Piacevole e moderno il mio libretto appena rifilato dalla pomice ruvida. A chi lo offro? A te, Cornelio, a te, che delle mie cose da nulla eri solito dire: «Ma non sono poi tanto male!». Erano i giorni in cui t avventuravi, unico in Italia, a snocciolare tutte le vicende del mondo in tre volumi: una fatica da erudito, perdìo! Dunque il libretto sia tuo, per quanto piccolo e modesto, e tu, dea che mi assisti, fa che resti in vita più d una generazione. 2 Passero, svago della mia ragazza, che con te gioca sempre, che ti tiene (Chronica). La patrona virgo invocata al v. 9, da alcuni erroneamente identificata con Pallade, è quasi certamente la Musa, genericamente indicata con questa espressione. La Musa è del resto invocata anche in un epigramma di Meleagro (A.P. 4, 1, 1) che potrebbe essere stato uno dei modelli del poeta: «Diletta Musa, a chi tu rechi questo canto colmo di frutti?». 2. Le poesie dedicate ad animali domestici costituivano un vero e proprio motivo letterario, soprattutto in ambito epigrammatico (in questo campo è soprattutto da menzionare la poetessa Anite di Tegea, vissuta verso la fine del IV secolo

16 Nugae cui primum digitum dare adpetenti et acris solet incitare morsus, 5 cum desiderio meo nitenti carum nescioquid lubet iocari, et solaciolum sui doloris, credo, et tum gravis acquiescet ardor. Tecum ludere, sicut ipsa, possem 10 et tristis animi levare curas. 2a tam gratum est mihi quam ferunt puellae pernici aureolum fuisse malum, quod zonam soluit diu ligatam. 3 Lugete, o Veneres Cupidinesque, et quantum est hominum venustiorum. Passer mortuus est meae puellae, passer, deliciae meae puellae, 5 quem plus illa oculis suis amabat; nam mellitus erat suamque norat ipsam tam bene quam puella matrem, nec sese a gremio illius movebat, sed circumsiliens modo huc modo illuc 10 ad solam dominam usque pipiabat. Qui nunc it per iter tenebricosum illuc, unde negant redire quemquam. 2,8. et tum Baehrens: ut tum B. Guar. et cum R ut cum G O acquiescet V: acquiescat B. Guar. acquiescit Lenchantin 2a,3. ligatam Priscian. G 2 m Ven.: a.c). Solo per curiosità va ricordata l interpretazione oscena (passer = phallus) che del carme diede l umanista Angelo Poliziano; nonostante essa sia da escludere, è tuttavia evidente che nel componimento si respira un atmosfera di sottile erotismo, a partire dal senso etimologico di deliciae (v. 1), da connettere forse con de+lacio nel senso di «irretire», «allettare». 2a. I manoscritti non recano alcun segno di separazione fra questi tre versi e quelli finali del carme precedente, ma la maggior parte dei critici li considerano il frammento di un altra poesia. La pernix puella menzionata è Atalanta, disposta a sposare solo chi l avesse battuta nella corsa: fu sconfitta con l astuzia da un suo

Liriche 17 sempre in grembo, che sempre offrendo il pollice al tuo becco proteso, si fa mordere a sangue. È il passatempo che più ama lei, mia luce e mio spasimo: così consola un poco il suo dolore e, credo, smorza il fuoco opprimente che la brucia. Potessi anch io con te fare i suoi giochi e alleviare la pena che mi accora! 2a mi piace quanto alla fulminea vergine del mito piacque quella mela d oro che le disciolse il cinto a lungo stretto. 3 Piangete, Amori e Veneri, e con voi pianga chiunque ama il bello. È morto il passero della mia donna, il passero, lo svago della mia donna, che lo amava ancora più dei suoi occhi. Era uno zuccherino, e la riconosceva come bimba quando vede la mamma; né dal grembo le si staccava mai, ma saltellandole intorno qua e là faceva sempre pio pio soltanto alla padrona. Ora va sul sentiero tenebroso da cui si dice che non c è ritorno. negatam V R 2 m 2 3,10. pipiabat codd. Brix. VII, 7 Harl. 2574 in marg.: piplabat V pipilabat z h. pretendente, Ippomene, che ne rallentò la velocità gettando sul terreno della gara l uno dopo l altro tre pomi d oro, dono di Afrodite, che la fanciulla si chinò di volta in volta a raccogliere. 3. Ritorna, sotto forma di epicedio, il tema del passer. Oltre che dalla già ricordata Anite, il motivo dell epigramma funebre per animali venne trattato anche da altri poeti greci compresi nel libro VII dell Antologia Palatina, quali Simia di Rodi e Archia di Antiochia. Le Veneres invocate al primo verso sono menzionate come ipostasi plurale di Afrodite anche da Callimaco: «Le Afroditi: infatti la dea non è una sola» (fr. 200 Pf.).

18 Nugae At vobis male sit, malae tenebrae Orci, quae omnia bella devoratis: 15 tam bellum mihi passerem abstulistis. O factum male! o, miselle passer! Tua nunc opera meae puellae flendo turgiduli rubent ocelli. 4 Phaselus ille, quem videtis, hospites, ait fuisse navium celerrimus, neque ullius natantis impetum trabis nequisse praeterire, sive palmulis 5 opus foret volare sive linteo. Et hoc negat minacis Hadriatici negare litus insulasve Cycladas Rhodumque nobilem horridamque Thracia Propontida trucemve Ponticum sinum, 10 ubi iste post phaselus antea fuit comata silva: nam Cytorio in iugo loquente saepe sibilum edidit coma. Amastri Pontica et Cytore buxifer, tibi haec fuisse et esse cognitissima 15 ait phaselus; ultima ex origine tuo stetisse dicit in cacumine, tuo imbuisse palmulas in aequore, et inde tot per impotentia freta erum tulisse, laeva sive dextera 20 vocaret aura, sive utrumque Iuppiter simul secundus incidisset in pedem; neque ulla vota litoralibus deis sibi esse facta, cum veniret a mari novissimo hunc ad usque limpidum lacum. 4,2. celerrimus Parth. ex Catal. 8,2: cele(r)rimum V 3. impetum trabis Avant.: impetum tardis V 11. Cytorio h: citeorio V 13. Cytore h: citheri V 24. novissimo z h: novissime V. 4. Diversi gli interrogativi posti dal componimento. Il phasellus potrebbe essere quello, ora in disarmo, su cui Catullo compì il suo viaggio in Bitinia (in questo caso l erus del v. 19 sarebbe lo stesso poeta) oppure l imbarcazione di un amico che lo sta ospitando; c è anche chi ha pensato a un modellino utilizzato come ex voto. Così pure il lago presso cui il battello è ancorato è di incerta identificazione: molti

Liriche 19 Vi maledico, tenebre maligne dell Orco, ingorde di ogni cosa amabile: mi avete tolto un amore di passero. Che guaio! Che infelice passerotto! Adesso a causa tua quegli occhi belli sono gonfi e arrossati per le lacrime. 4 Guardate quel battello, amici miei. Dice di essere stato la più rapida fra le navi e che mai lo vinse abbrivo di legno galleggiante, sia che remi sia che fossero vele ali al suo volo. E non possono dice non ammetterlo l infida costa adriatica e le Cicladi, Rodi famosa e il freddo mar di Màrmara lungo la Tracia, e il livido mar Nero. È là che lui, poi diventato nave, fu prima selva dal fogliame folto quando in cima alle rupi del Citòro parlò con cupo sibilo di fronde. Amastri in riva al Ponto, e tu, Citòro ricco di bossi, dice che ogni cosa vi fu ed è arcinota, e che in un epoca lontana si drizzò sulla tua cima, che immerse i remi dentro le tue acque, e che di là condusse il suo padrone per tanta furia d onde, sia che il vento lo chiamasse da dritta o da mancina, sia che il soffio di Giove gli investisse propizio l una e l altra delle scotte. Dice che mai dovette fare voti a dèi costieri, quando da un remoto mare raggiunse questo lago limpido. pensano al lago di Garda, escluso però da altri i quali fanno osservare che a quel tempo il Mincio non era navigabile e pensano a uno specchio d acqua dell Asia Minore (il lago di Apollonia o quello di Nicea). Quanto alle località menzionate nel componimento, il Citòro è un monte della Paflagonia (Anatolia centro-settentrionale), di cui Amastri era la capitale. Castore e Polluce, detti Dioscuri (figli di Zeus), erano i protettori dei naviganti.

20 Nugae 25 Sed haec prius fuere: nunc recondita senet quiete seque dedicat tibi, gemelle Castor et gemelle Castoris. 5 Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus assis. Soles occidere et redire possunt: 5 nobis, cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda. Da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum, deinde usque altera mille, deinde centum. 10 dein, cum milia multa fecerimus, conturbabimus illa, ne sciamus, aut nequis malus invidere possit, cum tantum sciat esse basiorum. 6 Flavi, delicias tuas Catullo, ni sint illepidae atque inelegantes, velles dicere nec tacere posses. Verum nescioquid febriculosi 5 scorti diligis: hoc pudet fateri. Nam te non viduas iacere noctes nequiquam tacitum cubile clamat 5,3. aestimemus: extimemus V 8. dein mille Calph.: deinde mille V dein Ald. 1 : da G 2 R 2 m deinde V 11. conturbabimus q: conturbavimus V 6,2. ni q Calph.: ne V nei Lachmann. 5. Quello che in Orazio sarà il motivo del carpe diem, ossia l invito a godere le gioie dell esistenza, è qui anticipato da Catullo, che lo riprende a sua volta da poeti greci come Asclepiade, di cui il v. 7 è una vera e propria traduzione: «Fra non molto tempo, / infelice, riposeremo in quella lunga notte» (A.P. 12, 50, 7 s.). La conturbatio basiorum finalizzata a neutralizzare l invidia è motivo apotropaico di sapore popolare.

Liriche 21 Ma è roba d altri tempi: adesso invecchia in riposo appartato e a te, gemello Castore, si consacra e al tuo gemello. 5 Assaporiamo il frutto della vita, Lesbia, e pensiamo solo a questo amore: un sordo brontolio sono i mugugni dei vecchi moralisti, e tutti insieme per noi valgono meno di un centesimo. Albe e tramonti: alterna la vicenda dei giorni che ritornano e dileguano, ma breve è questa luce in cui viviamo: quando si spegnerà per non riaccendersi, non vi sarà speranza di risveglio dal sonno di una notte senza fine. Tu mille baci dammi e quindi cento, ed altri mille e poi di nuovo cento, e poi ancora altri mille e altri cento, fino a sommarne insieme più migliaia. Allora giocheremo a mescolarli, a confonderne il numero: così ne perderemo il conto pure noi, e non potrà gettarvi obliquo sguardo chi vuole il nostro male, se saprà che ci siamo scambiati tanti baci. 6 Flavio, se quei piaceri che ti prendono non fossero volgari e grossolani, certo ne parleresti al tuo Catullo e non potresti più startene zitto. Ma ora hai per le mani qualche peste di sgualdrinella, e ti vergogni a dirlo. Tu non passi da solo le tue notti e invano vuoi zittire la tua alcova 6. Il motivo del silenzio dell innamorato capovolge quello canonico della sua loquacità (vedi c. 55, 20: verbosa gaudet Venus loquella). Ignota è l identità del Flavio cui il componimento è indirizzato.

22 Nugae sertis ac Syrio fragrans olivo, pulvinusque peraeque et hic et ille 10 attritus, tremulique quassa lecti argutatio inambulatioque. Nil stupra valet, nihil tacere. Cur? Non tam latera effututa pandas, ni tu quid facias ineptiarum. 15 Quare, quidquid habes boni malique, dic nobis: volo te ac tuos amores ad caelum lepido vocare versu. 7 Quaeris, quot mihi basiationes tuae, Lesbia, sint satis superque. Quam magnus numerus Libyssae harenae laserpiciferis iacet Cyrenis, 5 oraclum Iovis inter aestuosi et Batti veteris sacrum sepulcrum; aut quam sidera multa, cum tacet nox, furtivos hominum vident amores: tam te basia multa basiare 10 vesano satis et super Catullo est, quae nec pernumerare curiosi possint nec mala fascinare lingua. 8 Miser Catulle, desinas ineptire, et quod vides perisse perditum ducas. 6,12. Nil stupra valet Scaliger: inista prevalet V nil ista valet Lachmann 7,4. iacet: iaces O. 7. Strettamente connesso col c. 5, il componimento ne sviluppa il motivo aritmetico in una dimensione geografica, con la citazione di diversi toponimi che alludono alla regione di Cirene, patria di Callimaco. L oracolo di Giove è quello che sorgeva presso l oasi di Siwah, nel deserto libico, consacrato alla divinità grecoegizia Zeus-Ammon, mentre Batto è il mitico fondatore di Cirene e antenato di Callimaco, perciò spesso indicato col patronimico Battiades. La pointe finale riprende il motivo apotropaico dell invidia (qui fascinum).

Liriche 23 odorosa di fiori e sirio unguento che lo grida. E lo grida anche il cuscino con due impronte e il tuo letto sussultante che cigola e cammina a balzelloni. A nulla serve, credimi, tacere sul sesso. E mi domandi anche perché? Se tu non fossi dedito a cazzate di questo tipo, non andresti in giro così sfiancato dal continuo fottere. Narrami dunque questa tua avventura, per lieta o triste che ne sia la sorte: voglio innalzare te e i tuoi amorazzi fino alle stelle con festosi versi. 7 Mi chiedi, Lesbia, quanti dei tuoi baci bastino a farmi sazio. Quanti sono tutti i granelli delle sabbie d Africa dov è stesa Cirene, che di silfio abbonda, tra l oracolo di Giove ardente e il sacro tumulo di Batto, l antico eroe; quante sono le stelle che nel silenzio della notte spiano gli amori clandestini dei mortali: altrettanti e più ancora sono i baci che devi dare al tuo pazzo Catullo, e i curiosi non possano conoscerne il numero preciso, né vi gettino una fattura le lingue maligne. 8 Triste Catullo, smetti ormai di dare i numeri, falla finita giacché vedi che è finita. 8. Si tratta di una sorta di monologo interiore in cui Catullo si rivolge a se stesso in terza persona, creando un forte contrasto fra sentimento e ragione: il fulcro del componimento sta appunto nell aggettivo impotens «incapace di autocontrollo», con cui il poeta designa se stesso al v. 9. Le disperate domande che marcano la parte finale del componimento lasciano intendere che, al di là delle ripetute affermazioni in senso contrario, il discidium da Lesbia non sarà affatto definitivo.

24 Nugae Fulsere quondam candidi tibi soles, cum ventitabas quo puella ducebat, 5 amata nobis quantum amabitur nulla. Ibi illa multa tum iocosa fiebant, quae tu volebas nec puella nolebat. Fulsere vere candidi tibi soles. Nunc iam illa non volt: tu quoque, impotens <,noli,> 10 nec quae fugit sectare, nec miser vive, sed obstinata mente perfer, obdura. Vale, puella, iam Catullus obdurat, nec te requiret nec rogabit invitam. At tu dolebis, cum rogaberis nulla. 15 Scelesta, vae te, quae tibi manet vita? quis nunc te adibit? cui videberis bella? quem nunc amabis? cuius esse diceris? quem basiabis? cui labella mordebis? At tu, Catulle, destinatus obdura! 9 Verani, omnibus e meis amicis antistans mihi milibus trecentis, venistine domum ad tuos penates fratresque unanimos anumque matrem? 5 Venisti. O mihi nuntii beati! Visam te incolumem audiamque Hiberum narrantem loca, facta, nationes, ut mos est tuus, applicansque collum iocundum os oculosque saviabor. 10 O quantum est hominum beatiorum, quid me laetius est beatiusve? 10 Varus me meus ad suos amores visum duxerat e foro otiosum, 8,9. volt: vult V noli add. Avantius: om. V 9,1. Verani z: Veranni V 2. antistans Avant.: antistas V 4. unanimos h: uno animo V anumque Faernus: sanamque O. 9. Da accenni contenuti in altri componimenti (12, 28, 47) si ricava che Veranio, cui il carme è dedicato, fece parte, insieme a Fabullo, altro amico di Catullo,

Liriche 25 Sorsero un tempo per te giorni luminosi, quando accorrevi ovunque ti voleva lei, amata quanto più nessuna sarà mai. Allora là quei molti giochi si facevano che tu volevi e che anche lei non ti negava. Sorsero certo per te giorni luminosi. Ora non vuole più: benché tu sia incapace di dominarti non volere neanche tu, e se ti sfugge non cercare di inseguirla, non ti dannare, ma ostinato tieni duro Addio, ragazza. Ormai Catullo tiene duro, se tu non vuoi, lui non ti cerca né ti prega: ma soffrirai se non sarai mai più pregata. Ah, sventurata! Ma che vita dovrai vivere? Chi ti verrà a cercare? Chi dirà «sei bella»? Chi amerai? A chi diranno che appartieni? Chi bacerai? A chi tu morderai le labbra? Ma tu, Catullo, tieni duro e incaponisciti. 9 Veranio, tu che stai di mille miglia avanti agli altri amici, è proprio vero? Sei tornato alla casa dei tuoi avi e ai fratelli amorevoli e alla vecchia madre? Sì! Che bellissima notizia! Ti vedrò sano e salvo e della Spagna ti udrò narrare luoghi, fatti e popoli, come sai fare tu: stretto al tuo collo ti bacerò le dolci labbra e gli occhi. Tra gli uomini felici ora chi c è più contento di me, chi più felice? 10 Mentre bighellonavo per il Foro l amico Varo mi condusse in visita di coorti pretorie, prima in Spagna (60 a.c.) e poi in Macedonia (57 a.c.). Al v. 6 Hiberum è genitivo plurale. 10. Il carme si può datare al 56 a.c., subito dopo il ritorno di Catullo dal viaggio in Bitinia. Il praetor di cui si parla al v. 13 è Gaio Memmio, al cui seguito il poeta si era appunto recato in Asia Minore. Il Varo qui nominato potrebbe essere

26 Nugae scortillum, ut mihi tum repente visum est, non sane illepidum neque invenustum. 5 Huc ut venimus, incidere nobis sermones varii, in quibus, quid esset iam Bithynia, quo modo se haberet, et quonam mihi profuisset aere. Respondi, id quod erat, nihil neque ipsis 10 nec praetoribus esse nec cohorti, cur quisquam caput unctius referret, praesertim quibus esset irrumator praetor, nec faceret pili cohortem. «At certe tamen inquiunt quod illic 15 natum dicitur esse, comparasti ad lecticam homines». Ego, ut puellae unum me facerem beatiorem, «Non inquam mihi tam fuit maligne, ut, provincia quod mala incidisset, 20 non possem octo homines parare rectos». At mi nullus erat nec hic neque illic, fractum qui veteris pedem grabati in collo sibi collocare posset. Hic illa, ut decuit cinaediorem, 25 «Quaeso inquit mihi mi Catulle, paulum istos commoda; nam volo ad Serapim deferri». «Mane inquii puellae ; istud quod modo dixeram me habere, fugit me ratio, meus sodalis, 30 Cinna est Gaius, is sibi paravit. Verum, utrum illius an mei, quid ad me? Utor tam bene quam mihi paratis. Sed tu insulsa male et molesta vivis, per quam non licet esse neglegentem». 10,8. et quonam: et quoniam V ecquonam Stat. 10. nec: om. R nunc Westphal 11. referret: referet R 24. decuit q: docuit V 27. inquii Stat.: me inquit V. Alfeno Varo (menzionato nel c. 30) oppure Quintilio Varo, la cui morte Orazio piangerà nell ode 1, 24. I lettighieri di importazione orientale (ce n erano anche di Siri e Cappadoci) dovevano essere evidentemente considerati un must di gran lusso. Il culto di Serapide (v. 26), divinità greco-egizia di epoca ellenistica, era molto diffuso nel I secolo a.c. Gaio Elvio Cinna (v. 30) è amico di Catullo ed esponente del circolo neoterico; fu autore di un epillio intitolato Zmyrna, celebrato da Catullo nel c. 95.

Liriche 27 da un amichetta, una sgualdrinella non priva d eleganza né di spirito (così almeno mi parve a prima vista). Giunti da lei, prendemmo a conversare del più e del meno, ed ecco che il discorso cadde sulla Bitinia: quale fosse, il suo stato attuale e che ci avessi guadagnato durante il mio soggiorno. Dissi la verità, cioè che per noi, per i pretori e per lo stesso sèguito non c era nulla per cui si potesse tornare con la testa impomatata, specie con quello stronzo di pretore che s infischiava della sua coorte. «Ma senza dubbio avrai comprato almeno dicono ciò che è un tipico prodotto di quella terra, i lettighieri insomma». E io, soltanto per sembrare agli occhi della ragazza un po più fortunato di tutti quanti gli altri, le risposi: «Benché mi sia toccata una provincia di merda, non mi è andata tanto male che non potessi procurarne otto alti e robusti». Ma nessuno avevo né a Roma né in Bitinia che potesse poggiarsi sulle spalle anche soltanto il piede rotto di un vecchio lettuccio. E allora quella lì sfrontatamente mi dice: «Catulluccio, te ne prego, prestami un attimino i lettighieri: voglio recarmi al tempio di Serapide». «Ma veramente aspetta un po chissà dove avevo la testa! le rispondo ciò che ho detto di avere un mio compagno Cinna sì, Gaio, è lui che li ha comprati. Ma cosa importa se son miei o suoi? Sei davvero antipatica e seccante se non permetti a uno di distrarsi!».