Marcella Logli Responsabile Corporate Social Responsibility di Telecom Italia



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Transcript:

A ottobre 2013, Telecom Italia ha avviato un progetto di social writing con la Scuola Holden. I motivi di una tale scelta rientrano nella forte convinzione del Gruppo che la tecnologia possa contribuire in maniera incisiva a diffondere la Cultura e i suoi contenuti di eccellenza. Telecom Italia crede fortemente nella tecnologia e nei contenuti che può veicolare. Crede nell emozione del sogno. Martin Luther King, cinquanta anni prima, aveva sognato un mondo migliore, e aveva, attraverso il suo celebre discorso, intercettato il desiderio di milioni di persone, cambiando per sempre il corso della Storia. Quella Storia che ha visto l evoluzione di una società più solidale grazie alla sempre più evidente voglia delle persone di condividere idee, progetti, sogni. Ora abbiamo un alleato che cinquanta anni fa non era ancora disponibile, la tecnologia e la sua potenza digitale per connettere le persone in un concerto corale e universale. Le reti sociali, unite alla voglia delle persone di condividere, oggi ci fanno scoprire un mondo altrimenti invisibile, passioni altrimenti irrealizzabili, creatività altrimenti non diffondibili. Per festeggiare la forza che nasce dall unione delle idee, Telecom Italia ha messo a disposizione la propria esperienza per affidarsi alla voce dei più autorevoli testimonial che poteva mai sperare di avere. Tutti voi. La tecnologia abilita, ma sono le idee e i sogni che animano la vita e la rendono degna di essere vissuta. Con il progetto #WEHAVEADREAM, Telecom Italia ha voluto sottolineare l attenzione che pone alla responsabilità sociale d impresa di dare spazio e visibilità, grazie alla potenza delle connessioni tecnologiche, alle nuove e più corali connessioni umane. Grazie ai numerosi tweet e ai tanti racconti ricevuti, Telecom Italia, insieme a Scuola Holden, ha dato vita ad un esperimento unico: la scrittura collettiva di un discorso comune ispirato dal potere del sogno. Telecom Italia sostiene la modernizzazione del Paese con quello che di meglio ha, la volontà e l esperienza tecnologica da offrire a tutti gli italiani per partecipare alla costruzione di un mondo migliore. Il lavoro di Telecom Italia è nella proposta di una tecnologia utile e umana. È nell aiuto per permettere a tutti gli italiani di essere connessi, di avvicinare i sogni e le speranze di milioni di persone, di aiutare l Italia ad essere sempre unita e decisa. È soprattutto nel mettere a disposizione la propria esperienza umana e tecnologica per aiutare i talenti del Paese a rivelarsi al mondo. Solo dal talento e dalla sua messa in campo possiamo sperare di vivere in una società migliore. Per realizzare insieme a tutti la nostra vera grande missione: comunicare, connettersi, vivere. Marcella Logli Responsabile Corporate Social Responsibility di Telecom Italia

La narrazione cambia continuamente forme e direzioni, influenzata dai mezzi su cui vive e all interno dei quali si ambienta, evolvendosi sempre per non morire mai. Negli ultimi anni, una delle forme di narrazione più nuove è quella che si è sviluppata sui social network, Facebook e Twitter in particolare. Un modo di raccontare breve, conciso, che coinvolge migliaia di persone in tutto il mondo e che sta trasformando non solo la narrazione in generale, ma anche forme di racconto più specifiche, come il giornalismo su Twitter, dalla Primavera Araba al selfie della cerimonia degli Oscar, passando per l abbraccio tra Obama e sua moglie. Il progetto #WEHAVEADREAM si inserisce quindi in un contesto in cui parole come rete e condivisione assumono un importanza sempre maggiore e persone che non si conoscono possono entrare in contatto le une con le altre senza mai lasciare il loro computer. Un contesto che probabilmente avrebbe trovato l approvazione di chi, come Martin Luther King, lavorava proprio per abolire le barriere e i confini. Ecco perché, per noi di Scuola Holden che abbiamo a che fare tutti i giorni con le storie e con le parole, #WEHAVEADREAM è stato un progetto in cui abbiamo creduto molto, un esperimento collettivo di scrittura che ha aperto nuove strade e che ha coinvolto una moltitudine di persone. Un esperimento di scrittura fatto da persone con esperienze e background diversi, ma che ha dato vita ad un discorso finale con tematiche e aspetti comuni. Leggendo i tweet dei vincitori, infatti, si nota facilmente come i sentimenti e le emozioni che più tornano siano di ottimismo e fiducia, anche se controbilanciati da una grande concretezza che trova il senso e la felicità nelle piccole cose: il mare d estate, gli abbracci di chi amiamo, le risate, la luce quando fuori è notte. Citando gli stessi tweet: Una fede che guarda più all umano che al divino, una fede che non si rivolge più verso l alto, ma all orizzonte; una speranza che non dimentica mai di guardare al futuro, ma che ha fondamenta nel presente; una giustizia senza aggettivi e una fratellanza ancorata in ciò che ci rende terribilmente simili gli uni agli altri. Ne emerge quindi un discorso collettivo che non ha perso la fiducia e la speranza nel futuro, ma che sa bene come, per cambiare il mondo, sia importante prima di tutto partire da se stessi, da ciò che ci circonda e dalle storie che ognuno di noi custodisce. Lea Maria Iandiorio Direttore Operativo Scuola Holden

IL PROGETTO Nel 1963 Martin Luther King ha scritto il discorso più famoso della storia: I have a dream. 50 anni dopo, abbiamo deciso di celebrare quelle parole, scrivendo insieme un nuovo grande discorso collettivo con un esperimento di social writing: #WEHAVEADREAM. 1. SCOPRI IL TEMA Abbiamo scelto 10 parole che esprimono i valori di I have a dream. E abbiamo invitato 10 autori italiani a commentarle con i loro tweet, per riscoprire l importanza di quei grandi temi. Le parole: #FEDE; #LIBERTA ; #SPERANZA; #INIZIO; #GIUSTIZIA; #FELICITA ; #FRATELLANZA; #UGUAGLIANZA; #DIGNITA ; #RETTITUDINE 2. INVIA UN TWEET Per 10 settimane, tantissimi utenti hanno risposto ai tweet degli autori, inviando i loro tweet con l hashtag #wehaveadream. Tutti i tweet sono stati raccolti sul nostro sito (www.telecomitalia.com/wehaveadream), creando una grande narrazione collettiva sui 10 Temi. 3. SCRIVI IL TUO RACCONTO Scuola Holden ha selezionato 4 tweet al giorno. E ha chiesto ai loro autori di scrivere un breve racconto, per diventare autori del discorso collettivo. Tutti i racconti sono stati pubblicati sul sito, letti e votati dagli utenti. 4. PARTECIPA AL DISCORSO Per ogni Tema sono stati scelti 4 racconti, 3 da una commissione di Scuola Holden e 1 grazie al voto degli utenti. I 40 racconti selezionati hanno creato questa raccolta digitale, insieme ai nomi e ai tweet dei loro autori. Le frasi più suggestive sono state unite insieme, creando il discorso collettivo We have a dream.

GENNARO BORRELLI @PocoDaRidere IL TWEET Cerchiamo una nuova fede nell Umano più che nel Divino: che il nostro credere non guardi verso l alto, ma all orizzonte. #wehaveadream #fede IL RACCONTO A sua immagine e somiglianza Lo chiameremo Il Pellegrino e tanto ci basterà, perché a parte qualche roccia e un paio di tronchi secchi annodati dal gelo non c è niente da cui distinguerlo. Non diremo neanche da dove viene perché ci interessa di più dove sta andando: in alto. Avanza con fatica nella neve. Un passo dietro l altro, affrontando il ruggito del vento e i dolori del corpo con la quieta determinazione di chi cerca qualcosa da così tanto tempo che non ha più fretta di trovarla. Sulla cima del Monte più Alto del Mondo vive l Ultimo Saggio della Terra. La leggende su quell uomo straordinario lo avevano raggiunto dall altra parte del mondo: Dio si era mostrato a quell uomo misterioso; Dio gli aveva rivelato tutte le risposte; Dio aveva impresso la sua immagine sul suo volto, come un marchio a fuoco. È lì che sta andando. A incontrare il Volto di Dio. Se la Montagna come ascesa spirituale è una metafora abusata al punto di aver trovato posto tra gli archetipi, è giusto ammettere fin da subito, a beneficio dei più smaliziati, che il Saggio della Montagna non è da meno: Egli Conosce-ogni-Cosa, ma Risponderà-a-Una-Sola-Domanda. L aveva distillata da un oceano di dubbi, la sua domanda, dopo mesi di digiuno, preghiera e meditazione, lontano dal rumore del mondo. E, una volta trovata, era partito. Che cos è l Uomo senza Dio? Presto l avrebbe scoperto. Ogni giorno il cielo è più vicino e la terra più lontana. Ovunque si posi il suo sguardo, incontra una bellezza sempre più assoluta e insostenibile. Una perfezione che basta a sé stessa. Più va avanti, più sente i confini del suo essere sfumare, confondersi col resto, in tratti sempre più vaghi e indefiniti. La sua coscienza arretra in un angolo della sua mente, braccata da quella grazia crudele, dissolvendosi nella pura contemplazione. A questa altezza è difficile respirare. contatto con il freddo, il calore del fiato forma piccole nuvole di fumo che subito si dissolvono, rapide così

com erano apparse. Si concentra per cogliere un significato profondo in quel continuo senso di nascere e morire. Non gli viene in mente niente. Non sente niente. Guarda in basso: un pallido strato di nuvole separa il suo sguardo dal mondo degli uomini. Sotto di sé, in quell istante, grovigli di strade brulicano di vita e di risate, di amore e tragedia, di sangue e di miseria, di pietà e di violenza, del tutto ignari della sua esistenza e del suo scopo. Resta a guardare per un po, come in attesa di una risposta che non arriva. Infine, riparte. Poi, in un momento del tutto privo di solennità, la montagna finisce, così com era cominciata. Non c è più niente da scalare. Ha raggiunto il limite estremo. La frontiera verticale del mondo. Non un rumore, tutto intorno. Silenzio. Così pesante da coprire ogni cosa. Può sentire il suo respiro e il pulsare del sangue ai lati della sua testa. Quando realizza di essere completamente solo si sente fragile e scoperto. Prova a dire qualche parola ad alta voce, per darsi coraggio, ma senza nessuno ad ascoltarle, le parole sono solo suoni sordi e piatti che si disperdono all istante senza lasciare traccia. Ogni cosa gli comunica che la sua presenza in quel luogo meraviglioso, è un caso. Un errore, forse. Senza nessun rumore terreno a proteggerlo dall anecoica armonia delle sfere celesti, senza la consolazione della condivisa fragilità umana, è alla mercé di una consapevolezza impossibile da sostenere. Non c è sfumatura, lì. La variabile umana non è necessaria. Peggio: non è desiderata. Rinuncerebbe a tutta la Bellezza del mondo per sentire ancora una volta il rassicurante vociare di un mercato. Che cos è l Uomo, senza Dio?, pensa, ma la domanda gli sembra artificiosa e superficiale e irrilevante. Quello che arriva ai piedi dell Ultimo Saggio è un uomo spogliato da ogni cosa. Solo un uomo, al cospetto della Faccia di Dio. Osserva l anziana figura che siede su un piccolo seggio, a occhi chiusi, in attesa della domanda per cui ha fatto così tanta strada. Poi, accade l incredibile. Un sorriso. Un segno umano potente e primordiale che risplende nelle tenebre del puro esistere, ricordandogli di non essere solo. Lassù. Osserva quel volto piccolo e scuro dai lineamenti semplici, segnato da rughe profonde ma morbide, come tracciate sull argilla. I suoi pochi capelli bianchi, le cicatrici sulla pelle, tutti i minimi dettagli della sua fisicità. E spoglio di ogni ricordo, di ogni dubbio, di ogni giudizio, riconosce la faccia dell uomo nella Faccia di Dio. E capisce che solo al cospetto di un altro sguardo in cui ancorare il nostro, un punto fisso nell infinito in cui

fermare la nostra anima tormentata dalle correnti, la vita ha davvero significato. Che cos è l Uomo senza l Uomo? Aveva attraversato il mondo per poter fare quella domanda. Come stai?, gli chiede.

ANDREA FIAMMA @failflame IL TWEET Ho raccolto troppa uva per non credere nel vino. #wehaveadream #fede IL RACCONTO Fontanafredda Fontanafredda è piccolo e minuto ma sapeva di buono. Gli ci volle un po per capire il motivo dello stomaco rovesciato e delle fitte allo sterno. Il soffitto era ancora lì, una mano sul pettorale carnoso, l altra sulle lenzuola comprate durante il viaggio di nozze, in un bazar dove offrivano vinacci e pasticcini scadenti. Frequenza a riposo regolare, respiro eupnoico, il letto sfatto per metà. Tanta era stata la fatica per addormentarsi, dopo il rituale, una combinazione di battiti, preghiere o frasi da pronunciare in sequenza. Alzava il capo, controllava che non ci fossero suoni, batteva le dita sulla tastiera del letto, schioccava la lingua; se non ci riusciva al primo colpo - perché magari era andato fuori tempo o la lingua era scivolata sul palato - doveva arrivare a quattro e se lo superava era obbligato a raggiungere il nove o un pari. Mai il sei o un suo multiplo, eccezione fatta ai numeri che erano anche multipli di tre, quelli erano consentiti, anche se lo facevano sentire incompleto per il resto della giornata. Aveva fede che servisse a sistemare le cose, renderle giuste come le vuole lui. Ma certe sere, raggiunta una certa quantità di ripetizioni e pillole, avrebbe voluto ficcarsi il cuscino in bocca e soffocare. Cercò di stare immobile su un fianco; se avesse inspirato con forza avrebbe sentito la maglietta incollarsi all arco della schiena. Si sentiva decrepito, come fosse stato lasciato a invecchiare troppo. Sul comodino, Fontanafredda lo auscultava silenzioso, con l etichetta ritraente un melograno spaccato in due. In principio erano le scarpe di gomma, ben piantate a terra, i lacci avviluppati al collo del piede come radici, le fibre dei polpacci che guizzavano lungo le ossa, gli acini aggrappati al raspo. Le giovani braccia indurite dal lavoro, i tralci incurvati dal peso del frutto zuccherino. Il sole che picchiava sotto il capello di vimini sbalzato, fu lui a rendergli la pelle nera e coriacea come la scorza del cuoio. Tempo da uva, diceva il nonno: non dura molto e non bisogna stare tanto a chiedersi quando le nuvole arriveranno, quanto ci sarà la luce, come accade e se torna. Devi fidarti e andare. Succedeva contro il suo volere, contro quello di chiunque altro. All inizio credette che avrebbe avuto bisogno di vedere il vino, per potersi dire soddisfatto, ma realizzò che per credere avrebbe soltanto dovuto continuare a raccogliere grappoli e avrebbe sentito il fluire dei lieviti, le bollicine, sferiche e perfette, particelle quantistiche che sono salite e salgono sulla bottiglia, in movimento perenne e continuo. Anche se ora non c erano, aveva fede. E l uva era dolce, ma non c era solo quello. C era la chimica, che lui non capiva, c era l amore che lui non capiva. C era lei, che lui non capiva, ma si fidava. Lei, con i capelli lunghi, screziati di rame, gli occhi azzurro sporco, come due grossi acini di cabernet-sauvignon, la voce che lo guidava tra i corridoi del vigneto, dei tribunali sacri e profani. I polsi fini e i denti. Le piaceva la conversazione più di quanto volesse ammettere. La luce emaciata dell alba gli rabboccò negli occhi e la testa iniziò a frizzare. Lasciò decantare i pensieri finché il cervello non si ossigenò del tutto. Aprì gli infissi, una vetrata a nastro circondava la stanza come un cappio. Se ne stava dritto, i piedi nudi sui lastroni di rovere ossidato, a respirare l aria del mattino. In cima

al comodino le carte sulle quali aveva approntato il timbro circolare del bicchiere. Dalla finestra poteva vedere il giardino estendersi tanto da far diventare il cielo l unica cosa esentasse del panorama. Due filari di pioppi mostravano la via verso casa, una botte di calcestruzzo armato nel quale potevano farvi breccia soltanto Anna, il giovedì sera, e i giardinieri, ogniqualvolta avessero un conto da saldare. Guardava la rimessa, piena di macchine mai guidate, la cantina, svuotata d ogni memoria, e il campo da tennis - doveva averci battuto un solo match point. Per una strana ragione, l alcool o l insonnia, credeva che avrebbe avuto tempo per giocarci con Anna, che sarebbe bastato, in fin dei conti. Ora ha raccolto parecchi grappoli. Li mise nella cesta per portarli via, si asciugò la fronte con il dorso della mano e guardò il cielo. Tempo da uva.

FABIANA GIULIETTI @Fabiana_giuli IL TWEET E se perdi la fede, guardati le mani, cerca i tuoi occhi nello specchio. Ricomincia da te stesso. #wehaveadream #fede IL RACCONTO Il domatore di sdraie Il gazebo lasciava filtrare un po di luce, non così tanta da sentire il bisogno di ripararsi, ma quanto bastava per far sentire l estate ancora prossima, giusto dietro l angolo. Aveva piovuto solo per poche ore, ma si sa, a settembre inoltrato la pioggia ha un nuovo odore, sa di freddo e poco somiglia alla fragranza leggera della pioggia d estate. Ulisse si fermò un attimo a raccogliere qualcosa che gli era caduto dalle mani e lo fece guardandosi intorno, come a controllare che tutto fosse a posto. E lo era. Quando mi passò davanti mi salutò cordialmente come sempre, pare passata la pioggia, mi disse, e l accento romagnolo lo rese ancora più credibile, così annuii, e in effetti pareva passata davvero. La sabbia però era ancora umida, e un vento leggero faceva sentire il bisogno di coprirsi un po. Il mare a settembre è qualcosa di difficile da decifrare. Non è ancora autunno e, in effetti, se becchi la giornata buona puoi ancora andare in spiaggia in costume senza sentire freddo. Ma se piove, di colpo l estate pare lontana e già dimenticata e il sole tramonta presto, così la sabbia assume un colore ambrato che non si vede normalmente quando si va in villeggiatura. Ulisse chiamò Lorenzo e bofonchiò qualche ordine. Le sdraio erano già tutte impilate, una sopra l altra; come cavalli di un circo formavano una sorta di coreografia acrobatica e simmetrica. Da giorni assistevo al loro lavaggio lento e scrupoloso, che seguiva linee precise che chissà Lorenzo da quanto tempo conosceva. Poi entrambi si diressero verso il tavolo da ping pong che per l occasione ospitava dei secchi rovesciati lasciati lì ad asciugare. Parlavano di cose da fare, di quanto tempo ci sarebbe voluto prima di togliere gli ombrelloni delle ultime file, di quando far stare Linda, la ragazza del bar, a casa. Ma sì, vedrai che il prossimo weekend end sarà bello, qualcuno ancora ci sarà, diceva Ulisse, e Lorenzo annuiva e diceva magari il bar aspettiamo a chiuderlo, e mentre parlavano continuavano a fare cose, a tirare acqua con la pompa per terra, a spazzare un po intorno alle cabine, a spezzare con i gesti una sorta di malinconica conclusione difficile da accettare. Ulisse si fermò e guardò il mare, poi guardò Lorenzo e infine ancora il mare. E quando cominciò a piangere tutto parve come fosse giusto così, le sue lacrime scivolarono sull aria vicino alle sdraio impilate e ai secchi rovesciati sul tavolo, un panorama completo, la cosa più simile alla perfezione che avessi mai visto. E così piangendo, Ulisse si voltò a guardarmi e di colpo in quel panorama c ero anche io a renderlo completo. E anche per quest anno è andata - diceva - oh tu stagione effimera, doni forza e poi la togli e questa anima poetica non gliel avevo mai vista addosso, così sorrisi e Ulisse si fermò. Il silenzio intorno divenne leggero e, quando Lorenzo si mosse, spezzò qualcosa che pareva indistruttibile e io stesso restai in bilico, senza sapere se respirare o sospirare. Poi entrambi iniziarono a ridere e Ulisse con il dorso della mano si asciugò quegli occhi umidi di bagnino che aveva, sempre così devi fare, padre mio, disse Lorenzo alzandosi, che poi tra pochi mesi quelle mani già ritornano qui a decidere la mappa degli ombrelloni per la

nuova stagione, e si capiva che era vero e che quel figlio conosceva a memoria quella routine di nostalgia ed esplosione che suo padre gli aveva insegnato. Si fece forza, Ulisse, e si appoggiò alle parole del figlio e anche alla sua mano, ché quella voce parlava con parole che lui stesso gli aveva insegnato. Quando Ulisse aprì l acqua la pompa tornò a fare rumore e le sdraio divennero lucide, pronte come le altre a fare acrobazie simmetriche e speciali. Sorge il sole ogni mattina, sul mare di settembre, Ulisse non dimentica, non lo dimenticherà.

NOEMI MILANI @NoeMilani IL TWEET Fede è credere che uno sconosciuto voglia salvarci. #wehaveadream #fede IL RACCONTO La lumaca di Porta Palazzo Credere permette agli uomini di esistere? Aveva chiesto il professore alla classe. Pensateci su e ne riparleremo. Anna camminava per il mercato di Porta Palazzo chiedendosi se davvero la fede fosse così importante. Erano passati tre giorni dalla lezione di filosofia e ancora non aveva trovato una risposta al quesito dell insegnante. Non basta pensare per poter esistere? Secondo Cartesio sì. Per Platone si esiste solo per volere di un ente superiore. Aristotele, Agostino, Tommaso non fanno altro che ripetere la nostra dipendenza da un immagine perfetta di cui siamo solo il riflesso incompleto. Anna era confusa. In cosa aveva fede? Non nel cristianesimo e nemmeno nelle altre religioni monoteiste, l aveva deciso da anni ormai. Nel Karma un pochino ci credeva perché solleva sapere che se si fa del bene se ne riceve altro in cambio e poi la fisica non dice qualcosa di simile? A ogni azione risponde una reazione uguale e contraria. I tarocchi l affascinavano e l oroscopo la incuriosiva, ma non ci credeva davvero. Aveva fede in un futuro migliore? Forse, in realtà sì. Aveva solo vent anni ed era certa che un giorno tutto sarebbe andato meglio: la crisi economica risolta da qualche giovane economista, al governo una nuova classe politica, l inquinamento abbassato a livelli preindustriali. Nella giustizia? Beh, in quella non tanto. Anna non credeva nella giustizia dei tribunali, troppo spesso le pene non erano proporzionate al delitto, la pena di morte la indignava e il problema delle carceri sovraffollate la intristiva, però aveva vent anni e credeva nel cambiamento. Il miglioramento, ecco qualcosa in cui Anna aveva fede. Ci credeva davvero, tuttavia non aveva ancora ben chiaro come ciò sarebbe potuto avvenire. Una rivoluzione? Anna si augurava di no, le guerre non le piacevano. Mentre si faceva tutte queste domande, Anna camminava lentamente tra le bancarelle del mercato di Porta Palazzo. La luce bianca di un mezzogiorno nuvoloso inondava la merce esposta, il vento trasportava l odore acre del pesce, le grida dei venditori si mischiavano alle chiacchiere dei passanti, ma Anna era così concentrata a cercare una risposta che attraversava tutto ciò senza vederlo. -Pesce fresco, pesce freschissimo!- Anna sussultò al grido di un venditore, una signora le tagliò la strada per avvicinarsi al banco. Negli altri bisogna avere fede? Si domandò Anna pensando alla moltitudine di esseri umani che la circondava nel mercato. Se la massaia non credesse al pescivendolo, non comprerebbe al suo banco. Però la fede nel venditore era basata su una prova tangibile: la qualità del prodotto. Si deve credere negli altri anche senza prove? Anna credeva che un economista potesse risolvere la crisi economica, quindi perché non credere anche in altri? Cristo, Maometto e Budda erano uomini e migliaia di persone hanno creduto in loro quando erano in vita. Certo, ora che sono morti hanno ancora più fedeli.

Allora bisognava avere fede nei morti? No, a che scopo? I morti non fanno niente a meno che siano figli o profeti di Dio. Pile di fagioli ancora nel baccello, olive di un verde splendente, funghi posati in letti di foglie, lumache con le cornette ritte che strisciavano le une sulle altre intrappolate in sacchi di rete. Anna le vide e si fermò. I piccoli invertebrati, ignari della loro triste sorte, si movevano lenti nel poco spazio a loro disponibile. Anna si avvicinò al banco per osservare gli animaletti, alcuni avevano il guscio marrone, altri biancastro come una conchiglia, i loro corpicini umidi si allungavano per lo sforzo ogni volta che muovevano un passo. A cosa credono le lumache? Forse a una divinità che le rispecchi, un grande lumacone onnisciente che non rischierà mai di finire in pentola. Anna sfiorò il guscio freddo di una lumachina, chissà se era cosciente del suo destino? Probabilmente no, come poteva sapere che era nata in un allevamento per essere poi venduta e mangiata? Se lo avesse capito, questa povera lumachina non avrebbe cercato una via di fuga? Avrebbe tentato di scappare dall allevamento strisciando sul suo corpicino e poi, accortasi della propria piccolezza davanti al destino, si sarebbe affidata a un entità superiore, al suo divino lumacone, l unico che l avrebbe potuta salvare. La divinità lumaca infatti, per sua stessa definizione, doveva essere dotata di poteri superiori a quelli di qualsiasi altro mollusco. Esiste un altro essere capace di salvare la lumachina? Anna si guardò attorno, il fruttivendolo stava discutendo animatamente con una cliente sul prezzo dei fagioli. Nessuno la vide sollevare dal mucchio la lumachina che aveva carezzato e mettersela in tasca. Esisteva un essere capace di salvare la lumachina, non grazie a poteri straordinari, ma per volontà mossa dal sentimento di pietas, d amore verso il prossimo. Se la lumachina, fin dall inizio, avesse avuto fede in uno sconosciuto che la volesse salvare? Anna si avvicinò a uno spazio erboso, prese la lumaca dalla tasca e la posò a terra. L animaletto strisciò sui ciuffi d erba muovendo le cornette qua e là. Anna le fece un cenno, si alzò e proseguì per la sua strada. Se non avesse creduto in una via verso la salvezza, come avrebbe potuto vivere fino a quel momento la povera lumachina? Anna era giunta alla risposta: la fede, sia essa in una divinità o in uno sconosciuto che decide di salvarci, permette di esistere.

VINCENZA IOVINELLA @vickyiovinella IL TWEET Cedere il posto all anziano che racconta l anima della città, ti fa piangere tutte le lacrime della libertà di abbandonarla. #wehaveadream #libertà IL RACCONTO Allontanarsi dalla linea gialla Queste mattonelle, lastricate di corse feriali e addii festivi, non mi sono mai apparse più sconnesse. Eppure continuo a camminare per inerzia. Il corpo conosce, meglio di chiunque altro, buche e avvallamenti del percorso e lascia libera la mente. La #libertà è il mio tormento. Libertà di cambiare rotta, di lasciar partire le navi in totale assenza di vento, libertà di abbandonare il sentiero, di voltare tutte le pagine fino alla quarta di copertina. Libertà di modificare il titolo sul dorsetto e riscrivere il libro per intero, fin dal principio. Quanta fatica del cuore mi costerà lasciare su quest asfalto tutti quei pezzi che sono ancora in vita penso. Non ho mai creduto che si vivesse più leggeri senza il peso degli affetti. Ho conosciuto il dolore della perdita imposta e quasi mi rifiuto di ammettere la possibilità di una perdita inflitta, pianificata. In parte desiderata. Quanto entusiasmo per il futuro a venire. Quanta angoscia per quello altrui a cui si sta per rinunciare. Ogni ruolo richiesto o naturalmente ottenuto s infrange in una valanga di ore d attesa, d impotenza, di lontananza. Appare sempre inconcepibile quella forma di vita nuova che ci costringe, per rinascere, a stare a guardare mentre un po della sua essenza muore. La metro è stracolma come sempre e sono finita, mio malgrado, a guardare le mie scarpe rosse a distanza ravvicinata. Sedersi è una condizione ambita, in questo caos. Eppure riesco a ottenerla sempre quando non mi sforzo di raggiungerla, appunto nel memorandum delle piccole leggi della vita. Il passaggio dalle mie alle sue, di scarpe, mi sembra un raccordo perfetto. Non mi ero neanche accorta fosse lì e lo guardo assorto nel mio stesso metodo di raccoglimento Non ho niente che possa valere la pena perdere sembra pensare fuorché questi piedi e queste scarpe. Niente che possa procurarmi la pena della resa. Cosa vuoi che sia un giorno in meno se smetti di contarli?. Il suo volto comunica in un espressione muta, scolpita dai dissapori e dalla malnutrizione. Si vuole sedere penso tra me. Si vuole sedere? grido nel rumore. Lui si guarda intorno per un momento e poi s illumina. Io vado sempre a piedi tutti i giorni, da casa mia alla metropolitana. Vado a Mergellina. Pure se gli occhi non mi

funzionano tanto bene, lo posso sentire con il naso e pure con le orecchie. Cosa? gli chiedo io. O mare Io mi sono innamorato due volte nella mia vita, signurì. Quando ho conosciuto mia moglie, che adesso non c è più, e quando ho visto per la prima volta il mare. Sorrido perché la riconosco, questa storia. È così che questa città ti frega. Ti costringe a sapere ogni segreto, a riconoscere ogni angolo buio, a stare alla larga da ogni faccia storta, a fare il callo alla paura e poi ti mostra il mare. E tu le perdoni ogni tradimento, anche solo per quel momento. Successe anche a me. Quando mi capitò di svegliarmi in città. È una bella sensazione, quasi inspiegabile. E come lo spiegate, signurì? mi richiama Certe cose mica si spiegano? Che pure se uno le spiega, l altro mica le capisce? Io pure mi sono innamorato come voi, guardando il mare a prima mattina. Ma per me era diverso. Io non stavo qua. Io stavo in Germania. Ci sono andato perché ci dovevo andare. Qua non ci stava niente e io tenevo già due figli. Ci sono andato, si, ma senza voglia. Ho lavorato, eh se ho lavorato! Però non mi riuscivo a rassegnare. Si poteva bere ma vi restava la sete, non so se mi capite. Mi credete se ve lo dico? Io così ho capito che dovevo tornare, perché mi svegliavo e quando aprivo gli occhi vedevo il mare. Mia moglie diceva che ero pazzo. Ma poi qua non mi è successo più. Come mai secondo voi? Uno il cuore lo lascia dove lo lascia. Fa finta di dimenticare dove lo mette ma quello glielo ricorda e dice vienimi a prendere, io sto qua, vicino al mare. Faccio fatica a trattenermi. Cedere il posto all anziano che racconta l anima della città, ti fa piangere tutte le lacrime della libertà di abbandonarla. Abbasso lo sguardo. Le scarpe mi sembrano scomparse proprio adesso che le cerco per nascondermi. Deve aver capito perché mi tocca la spalla. Si è alzato. È arrivato alla sua fermata. La mia è già passata da un pezzo. Non vi preoccupate, signurì, a voi non vi succede. Voi sapete da dove venite. E quando ve ne andate voi, vi portate appresso pure il mare. C è una nuova macchia sulla sua scarpa destra ma lui non ci fa nemmeno caso e io sono incapace di seguire oltre, con lo sguardo, la sua figura che si allontana. Decido di scendere alla fermata successiva. Dovrò prendere un altra corsa, andare in un altra direzione, cercare un altra coincidenza. Dovrò varcare la soglia. Farmi coraggio. Muovere il primo passo. Allontanarsi dalla linea gialla. Attendere il treno, camminando a un altro ritmo. Quello che ti danno le scarpe di chi appartiene al mare.

CRISTINA LI CAVOLI @Crili83 IL TWEET Disegno la libertà cancellando barriere e catene, sfumando colori diversi, creando vortici interconnessi #wehaveadream #libertà IL RACCONTO Compagne di banco Dice non voglio andare, ma le sue parole si perdono nella routine mattutina. Lunedì, martedì, mercoledì, i risvegli di Giulia sono sempre gli stessi: trauma, sottomissione, meccanicità. Le prime urla arrivano dalla cucina Colazione pronta!, continuano in bagno Lava bene faccia e denti, continuano nuovamente nella stanza da letto Hai messo tutto nello zaino? Ricordati la merenda e finisce sulla soglia di casa Andiamo che è tardi!. E poi c è la scuola, i rientri pomeridiani il martedì e il giovedì, le lezioni di danza il mercoledì e il venerdì, di pianoforte il sabato, d inglese il lunedì, il coro la domenica e la piscina la sera. Da non dimenticare i compiti e le ripetizioni di matematica. Una vita frenetica, occidentale. Giulia ride e porta sulle spalle il peso del suo zainetto pieno di raccomandazione e aspettative. Dice non voglio andare e spesso il suo desiderio è esaudito, ma oggi no. Lunedì, martedì, mercoledì, i risvegli di Sania sono esperienze sensoriali: rumori, odori, percezioni. Urla esterne senza sosta; quelle interne in ogni stanza: mormorii nella stanza da letto Fai attenzione quando ti muovi, dialoghi incomprensibili in cucina Solo oggi andare, domani mercato, liti davanti al bagno Ci sono prima io! e infine per le scale Sbrigati che perdi l autobus. E poi c è la scuola, i corsi di recupero il martedì e il giovedì disertati puntualmente il mercato il lunedì, il mercoledì e il venerdì e il negozio dello zio il martedì e il giovedì, il sabato e la domenica variano a seconda delle esigenze familiari. Una vita frenetica, orientale. Sania sorride e porta una borsa piena di raccomandazioni e sacrifici. Giulia e Sania sono in classe, stessa età, stesso banco. Non hanno scelto di sedersi vicine, è stata la maestra a decidere per loro. Parlano poco, non conoscono le loro vite, ma in quel momento sono fisicamente nello stesso luogo, fianco a fianco: si guardano, ridono e disegnano. Sania ha matite e gomme speciali, Giulia ha quaderni e portacolori magici. Strappano i fogli, tirano fuori i pennarelli e i pastelli, condividono le matite e le gomme. Quello spazio che fino a poco tempo prima era ordinato, limitato, si trasforma in un campo senza confini, caotico. A me piace disegnare dice Sania, a me piace colorare dice Giulia. Disegniamo insieme? chiede Sania alla sua compagna di banco e senza aspettare la risposta crea vortici interconnessi. Giulia ride divertita da quel movimento fluido e inizia il suo lavoro sfumando colori diversi. Si avvicinano e si respingono, si chiedono scusa e continuano a divertirsi. Non si conoscono, probabilmente non usciranno mai insieme dopo la scuola, non saranno mai migliori amiche e continueranno a trascorrere le giornate ognuna nella propria normalità. Adesso disegnano e colorano, cancellando barriere fisiche e catene sociali; poi ritornerà tutto al proprio posto: pennarelli e pastelli nel portacolori, quaderni nello zaino, matite e gomme nella borsa. Cosa disegni Sania? E tu Giulia? chiede la maestra, le bambine si lancino sguardi complici, Giulia risponde senza esitare la libertà e Sania ribadisce: disegno la libertà.

ANGELA DI SALVO @anysputnik IL TWEET libertà è il concetto più astratto dell umano che interposto tra due parole vita/morte ci consente di dire #wehaveadream #libertà IL RACCONTO L incantesimo della libertà ci ha reso invisibili Non impiegò più di venti secondi per prendere le sue cose, sbattere la porta, infilare il lungo corridoio e allontanarsi da lì a passo svelto. Arrivata al portone per abitudine svoltò a sinistra e continuò a camminare con la determinazione di chi sa dove sta andando. In realtà lei sapeva solo che niente l avrebbe più riportata a quella penombra, a quelle perenni luci elettriche e a quelle interminabili discussioni imbastite su strategie sofisticate e tattiche demenziali che detestava e alle quali era costretta a partecipare, con l aggravante del ruolo insignificante e subalterno della segretaria che quando offre la soluzione a un problema, lo deve fare con un gioco alchemico e lasciare la constatazione della trasmutazione ad altri. Nelle vene sentiva ancora un sovraccarico di adrenalina e di rabbia, quel giorno la sua vita avrebbe fatto ancora un giro a trecentosessanta gradi, tornando al grado zero, che nella vita reale non ha lo stesso valore immutabile dei numeri e quel grado zero diventava sempre più simile a un insignificante puntino. La consapevolezza che questo tipo di libertà si paga, le veniva dall esperienza. Ma poi il ricordo dell espressione attonita e ottusa del suo capo mentre ascoltava le sue taglienti parole dette con spietato garbo, in punta di piedi, ma inesorabili, le strappò una risata. Non si era preparata niente e il motivo scatenante era stato uno dei soliti insulsi commenti che lui era solito fare ai fatti del giorno mentre sfogliava il giornale. Era stata un improvvisazione la sua, nata nell ordinarietà della stanza che condividevano in quel momento come un tornado che apparentemente aveva lasciato tutto al suo posto, solo il fragoroso rumore di una porta che sbatte. Ma non per lei. Senza rendersene conto era arrivata nel territorio del diavolo così usava definirlo con le sue amiche quando si davano appuntamento per la pausa pranzo: un minuscolo giardinetto urbano con le panchine, due imponenti platani e tutto il traffico rumoroso come contorno. Sedette sulla prima panchina che le capitò di incrociare ai piedi della quale qualcuno aveva sparso del riso e c era un grande affollamento di piccioni, reclinò la testa e abbandonò lo sguardo tra le foglie giovani del platano, brillanti come solo a primavera possono essere in città. I piccioni non la smettevano di creare un certo trambusto attorno ai suoi piedi, come sanno fare loro: veloci nel raccogliere il bottino, mai veramente spaventati dalla presenza di un umano ma pronti a cambiare posizione. In quel posto li aveva visti sempre, ma solo quella mattina guardandoli si chiese perché mai si ostinassero a vivere negli spazi residui di una città. Improvvisamente la domanda nella sua mente prese proporzioni bibliche, le vennero in mente i gabbiani e poi i tordi e poi ancora un gruppo di pavoni allevati in una loggetta di un palazzo famoso e che l abitavano come ne fossero gli unici proprietari. Ricacciò indietro quei pensieri e quella banale quanto vera risposta che le era balenata per un secondo che finiva per accomunare tutto il vivente alla dura legge della sopravvivenza. Non era la giornata giusta per domande del genere e distolse lo sguardo dai piccioni.

Fu in quel momento che la notò. Seduta su una panchina all altro estremo del giardino c era una donna che si alzava e sedeva tutta presa da una conversazione fatta ad alta voce, ma era sola, con una serie di buste di plastica piene che la circondavano e che aveva disposto con un certo ordine davanti a sé. Era difficile darle un età, sprofondata sotto una stratificazione di abiti e di un enorme cappello di lana. Una delle tante donne solitarie, perse in una città che le guarda senza vederle e che non ne comprende i soliloqui deliranti di tante guerre perse, pensò mentre notava il gesto elegante ma ossessivo con cui si sistemava il cappello troppo grande. Le sembrò che quella donna cercasse di trattenere accuratamente in quel cappello qualcosa di importante, forse tutti i fantasmi di una vita. Rimase a guardarla con uno sguardo sempre più cupo poi si alzò con uno scatto improvviso che mise in fuga i piccioni e inaspettatamente disse a voce alta: I tuoi fantasmi Donna sento che potrebbero essere i miei. Si spaventò di quello che aveva appena fatto, ma l altra continuava a parlare gesticolando alle sue buste, né dimostrava di averla sentirla, poi lentamente alzò lo sguardo e la fissò con uno sguardo lucido e penetrante. Avrebbe giurato di averla sentita esattamente la frase che accompagnò quello sguardo, le suonò come un ordine, si girò e si diresse nuovamente verso la strada, ma in un altra direzione.

OMBRETTA PIANA @19op IL TWEET Ho respirato davvero Libertà, quando mi hai abbracciato senza chiedermi niente e raccontandomi tutto. Libertà...#wehaveadream #libertà IL RACCONTO Un mondo senza confini Le porte del London Heathrow Airport si aprirono repentinamente e un aria frizzantina le schiaffeggiò affettuosamente il viso scarmigliandole capelli. Fu questione di un attimo, giusto il tempo di ritrovare il proprio baricentro. A quel punto Sharima alzò lo sguardo e tra la moltitudine di persone in attesa al gate 27 arrivi da Baghdad riconobbe immediatamente Kim che, a sua volta, le corse incontro. Si abbracciarono senza chiedersi nulla, ma raccontandosi tutto. Sharima era così entusiasta ed emozionata che dovette socchiudere gli occhi e respirare a fondo. Solo allora realizzò che non si era mai sentita così libera. Si trovava a Londra per incontrare una delle registe più conosciute del momento, persona che lei stimava infinitamente. Inoltre, aveva appena conosciuto la sua migliore amica, una ragazza che si era rivelata un sincero aiuto e un caro affetto nelle situazioni più strane e grottesche della sua esistenza, ma che fino a qualche secondo prima, non era altro che un puntino lampeggiante sullo schermo di un computer. Le era già sembrato sconcertante riuscire a sopravvivere alla guerra, ma in quel momento si sentiva così piacevolmente frastornata, che le pareva di esser appena scesa dalla macchina del tempo. Tutto ciò che le stava accadendo era iniziato in maniera sorprendente. Alla riapertura delle università a Baghdad, dopo il periodo di guerra in Iraq, Sharima riprese gli studi, determinata più che mai a laurearsi in Storia Contemporanea. Adorava la materia, ed era alla continua ricerca di materiali interessanti. Fu per questo che un giorno, seduta ad uno di quei cyber café che da qualche tempo popolavano i quartieri della sua città, si perse a leggere informazioni su di un blog concernente la vita e la produzione di quella regista che aveva già prodotto svariati documentari e due bellissimi film a fondo storico che, naturalmente, Sharima era riuscita a non perdere. Sulla pagina web, vi era l opportunità di postare un commento o di scrivere un messaggio all autore. Fu così che Sharima preparò il suo testo in un inglese quasi perfetto e lo spedì. Qualche giorno dopo, seduta allo stesso caffè, accese il PC e trovò la risposta, una risposta così dettagliata da farle credere che stesse parlando con la regista in persona. Strabuzzò gli occhi e sentì il cuore smettere di battere fino al momento della rielaborazione della sua profonda emozione. Per questo rilesse attentamente e rispose, a sua volta, con una certa immediatezza. Solo al messaggio successivo, Sharima realizzò che non stava chiacchierando con il personaggio pubblico che tanto ammirava, ma con una delle sue fans, fanatica quanto lei e patita di storia, una ragazza europea che aveva aperto un blog per specialisti e appassionati. La delusione per l accaduto lasciò immediatamente spazio alla comicità della situazione. Ripensando all avvenimento, ancora ridono gli occhi di Sharima dietro i suoi occhiali da sole occidentali, mentre ammira il profilo della capitale britannica disegnarsi all orizzonte. Anche Kim ama ricordare quello strambo qui pro quo, perché è il luogo in cui è nata la loro amicizia. Un territorio senza confini né barriere

al quale si accede tramite il pass della complicità. A partire da quel buffo episodio iniziò una fitta corrispondenza fatta di mail intrise di silenzi e cariche di parole che volavano oltre i fusi orari. Inafferrabili, attraversavano gli ultimi check-point presidiati da soldati americani, solcavano il deserto e si perdevano tra cielo e mare per raggiungere la loro destinazione. Sharima amava raccontare il suo mondo a Kim perché Kim l ascoltava, senza chiedere né più, né meno di ciò che Sharima scriveva. La stranezza stava nel fatto che era proprio Sharima quella abituata ad ascoltare, tanto che aveva quasi scordato la piacevole sensazione di essere accolta e di volersi rivelare senza difendersi. Rivivere quella sensazione riempì di umanità la vita apparentemente normale della giovane bagadese. Erano semplici mail dove Sharima, però, poteva finalmente narrare una città viva e vivace. Nelle sue lettere il parco Zawra era di nuovo affollato da giovani e bambini che camminavano senza più temere attentati terroristici; il mercato di Soha, Al-Obeïdi nel quartiere di Mansour pullulava di prodotti moderni ed occidentali come i cellulari all ultimo grido o qualche i-pod. Anche i cyber café ora erano presenti nel numero di tre o quattro in ogni quartiere ed era solo un avventuroso ricordo quello che la riportava alle ore di cammino su sentieri inesistenti, dopo il coprifuoco, per raggiungere un Internet Point. La paura delle bombe? Certo. Ma quel timore non era nulla di fronte al rischio di poter vivere. Vedendo Londra per la prima volta, Sharima realizza che a Baghdad possa esserci posto per tutto attualmente, persino per la voglia di diventare occidentali, ma dopo aver conosciuto Kim, è anche convinta che questi confini entro cui qualcuno ci colloca non esistano. Proprio in quell istante, le due ragazze escono dalla stazione metropolitana di Kensignton Garden e si incamminano verso la vicina sala congressi. Arrivano giusto in tempo per ammirare Mia Heley mentre sale le scale e si volta a salutare i suoi fans prima di inabissarsi tra la folla di reporter che la circonda. A Kim e Sharima, contente ed esterrefatte, non resta che entrare e vivere insieme questa ennesima bella avventura. La vita.

FEDERICA BETTI @decodificare IL TWEET La speranza è energia proiettata al futuro, la perseveranza al presente. Sperare e perseverare significa inpegnarsi a vivere. #wehaveadream #speranza IL RACCONTO All alba di una svolta Oggi mi sono svegliata con un idea fissa, strampalata, ma fissa. Voglio un deodorante per ambiente. Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che è il primo desiderio di senso compiuto capace di insinuarsi inaspettatamente nell automatismo artificiale della mia routine quotidiana, in quella scansione monocorde che però da settimane mi permette di rimanere a galla. Un deodorante per ambiente: non lo desidero, non ne ho necessità né urgenza, semplicemente lo voglio. Chiudo la porta dietro di me, non prima di voltare inevitabilmente il viso indietro per una frazione di secondo, giusto il tempo di accogliere l eco di un mancato saluto e di riascoltarne mentalmente un altro, quello che fino a qualche settimana fa mi accompagnava fin sulla soglia dell ascensore. E così questo Vuoto prepotente mi assale, e così questo pianerottolo assume le sembianze di sabbie mobili. Inchiodata nell angolo di una fredda panchina piantata in una girandola di negozi, stringo in mano l oggetto delle mie ricerche. Siamo soli io e lui, io e il mio deodorante per ambiente. Mi prende una rabbia furiosa e un altrettanta furiosa frustrazione nel pensare alla grande beffa che da sola inconsapevolmente avevo ordito contro me stessa, la convinzione che un inutile prodotto commerciale avrebbe potuto cambiare le cose, che solo l atto di comprarlo mi avrebbe fatto stare meglio. Ora cosa me ne faccio di questo stupido oggetto? Potresti iniziare con il metterlo sul tavolo o su una libreria.... Non mi ero accorta della coppia carica di buste seduta accanto a me, né avevo voglia di essere disturbata. scusi? Non mi era sembrato di aver parlato ad alta voce. Dicevo che la sistemazione ottimale è il salone. Hai fatto proprio bene a comprarlo, d altronde si comincia sempre dalle piccole cose. Ha colto nel segno. Ma io non ho voglia di ricominciare, né dalle grandi né dalle piccole cose perché c è qualcosa che mi trattiene e che mi tira indietro, o meglio, è l assenza di qualcosa, di quella speranza che mi ha portato negli ultimi mesi a lottare e resistere. Ecco di nuovo il vuoto, ecco di nuovo la perdita. A volte è difficile. Non avrei voluto rispondere ma c è qualcosa nello sguardo di quest uomo che mi ha reso impossibile non farlo. È una trasparenza, una luce eterea di chi guarda al futuro con slancio, di chi crede in quel futuro indipendentemente da tutto e di chi rende tale luce energia. Lo so, risponde lui soprattutto ai miei pensieri ora pensi di averla persa, in realtà semplicemente non la vedi. La vita cambia di continuo nel suo vorticoso sali e scendi e lei a volte si nasconde dietro i muri eretti dalle insidie; ogni tanto però fa capolino perché sa di non poterti abbandonare e quando meno te lo aspetti, lei ti si riaccosta come una vecchia amica. Sta a te riplasmarla, prenderla sottobraccio e trasformarla in energia da proiettare al futuro. Negarsi la speranza significa condannarsi al qui e all ora,

significa ridurre il futuro a sterile sommatoria di giorni presenti. La fai un po riduttiva, si intromette la donna finora rimasta in disparte. Tanto luminoso lo sguardo di lui tanto di brace lo sguardo di lei. Ci fai poco con la speranza se ti manca la perseveranza, cemento di qualsiasi progetto di vita. Se non si persevera, se non ci si impegna ogni giorno con azioni concrete, la speranza da sola non basta, la rendi fuoco fatuo e riduci il futuro a nube dorata, tanto sfavillante quanto inconsistente. Se solo sapessero lo sforzo che faccio per mantenermi viva, non parlerebbero così. Lei ancora una volta intercetta i miei pensieri, gli occhi ancora più penetranti pensi che sia facile vivere? pensi che significhi limitarsi a respirare e muoversi? vivere è un impegno Federica, bisogna impegnarsi a vivere. Mi giro di scatto per rispondere ma sono spariti, neanche il tempo di chiedere il perché sapessero il mio nome. Torno a casa con la bustina nelle mani, ha un peso diverso ora. Posiziono il deodorante esattamente al centro di quel tavolino di vetro davanti al televisore. La lastra circolare lo accoglie, e lui è lì, solo al suo centro, ergersi con una fierezza discordante dalla sua natura voluttuaria. Eppure è proprio tale contrasto a nobilitare l oggetto, reso ancora più piccolo rispetto al tavolo; ancora più piccolo rispetto alla libreria in mogano che lo osserva severa dall alto; puntino infinitesimale rispetto al salone in penombra su cui galleggia denso quel silenzio carico dei mille suoni che ci sono stati. Eppure a dispetto di tutto lui troneggia fiero perché sa di essere il primo. Il primo oggetto nuovo entrato in casa. Ora non mi sembra più uno stupido deodorante per ambiente. Senza saperlo sto riponendo in quell insignificante suppellettile tutte le mie speranze: quella di cancellare profumi passati e immetterne altri nuovi, quella di apportare novità a questa casa troppo vuota eppure troppo piena, quella di ricominciare da piccole cose, ma pur sempre ricominciare. Lui rappresenta l innesto per la ridefinizione della mia speranza. Lo guardo meglio, e mi accorgo che forse accanto ci starebbe bene quell orso in porcellana che avevo visto mesi addietro. Potrei comprarlo domani e renderlo fiero di essere il secondo oggetto nuovo entrato in casa. Le parole della coppia mi risuonano nelle orecchie come echi ovattati e capisco: oggi ho compiuto la prima azione per impegnarmi a vivere. Inaspettatamente, sorrido.