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Dante e la montagna Autor(en): Objekttyp: Fasani, Remo Article Zeitschrift: Quaderni grigionitaliani Band (Jahr): 71 (2002) Heft 4: La montagna PDF erstellt am: 26.01.2017 Persistenter Link: http://doi.org/10.5169/seals-54524 Nutzungsbedingungen Die ETH-Bibliothek ist Anbieterin der digitalisierten Zeitschriften. Sie besitzt keine Urheberrechte an den Inhalten der Zeitschriften. Die Rechte liegen in der Regel bei den Herausgebern. Die auf der Plattform e-periodica veröffentlichten Dokumente stehen für nicht-kommerzielle Zwecke in Lehre und Forschung sowie für die private Nutzung frei zur Verfügung. Einzelne Dateien oder Ausdrucke aus diesem Angebot können zusammen mit diesen Nutzungsbedingungen und den korrekten Herkunftsbezeichnungen weitergegeben werden. Das Veröffentlichen von Bildern in Print- und Online-Publikationen ist nur mit vorheriger Genehmigung der Rechteinhaber erlaubt. Die systematische Speicherung von Teilen des elektronischen Angebots auf anderen Servern bedarf ebenfalls des schriftlichen Einverständnisses der Rechteinhaber. Haftungsausschluss Alle Angaben erfolgen ohne Gewähr für Vollständigkeit oder Richtigkeit. Es wird keine Haftung übernommen für Schäden durch die Verwendung von Informationen aus diesem Online-Angebot oder durch das Fehlen von Informationen. Dies gilt auch für Inhalte Dritter, die über dieses Angebot zugänglich sind. Ein Dienst der ETH-Bibliothek ETH Zürich, Rämistrasse 101, 8092 Zürich, Schweiz, www.library.ethz.ch http://www.e-periodica.ch

REMO FASANI Dante e la montagna II progetto di dedicare un numero dei Quaderni alla montagna e di dare cosi un contributo per l'anno che alla montagna e consacrato a livello planetario, dimostra come la rivista, pur rimanendo fedele al mondo che e il nostro, si apra sempre piü al mondo tout court. Giä i numeri unici su Segantini, Varlin e Alberto Giacometti, artisti che da noi sono nati o hanno vissuto e che godono di vasta fama, andavano in questa direzione. Ma tanto piü dovrebbe andare il nuovo numero, sia perche la montagna e l'ambiente in cui viviamo, sia perche il primo autore che, almeno in Europa, ha descritto la montagna e Dante, e perche Dante ci appartiene grazie all'opera di Scartazzini. E proprio dal sommo poeta, a mio giudizio, il nostro numero dovrebbe cominciare. Anzitutto, Dante non e solo il primo poeta della montagna, ma in un certo senso ne e il creatore. Fino alla sua Divina Commedia, i regni d'oltretomba erano soltanto l'in ferno, che dava spazio anche al Purgato rio, e il Paradiso. Ma questa compresenza di dannati e di salvati non doveva piacere S.S".ssss a Dante per due ragioni: una morale e una estetica. (Nei grandissimi, a differenza di tessssss quanto si predica oggi, morale ed estetica sono tutt'uno). Ecco che allora egli concepisce il Purgatorio come un regno a se ter: teste teos: stante, con la forma di un'altissima mon teoss- SS SSS tagna che si leva in mezzo al mare dell'emisfero meridionale e che bisogna sca- SSS s-sssssss lare per giungere al Paradiso terrestre po sto sulla sua cima, da cui si e poi attirati verso il cielo. Jte La descrizione della grande montagna e il racconto della sua scalata, questo e dunque il Purgatorio di Dante. Ed e an che, per la sua duplice invenzione, il piü nuovo dei regni olremondani. I Greci e i Latini conoscevano bensi la montagna, ma solo di veduta. Quanto a praticarla e a esplorarla, si tenevano ai valichi, che e poi sempre un rimaner nelle valli. Dante, al contrario, ha di fronte una montagna vera, nell'antipurgatorio affatto impervia, e nel jsiiilllig :«: v m»ip Ils 11

La montagna e il poeta Purgatorio traversata da tanti gironi quanti sono i peccati capitali, e qui con una scala nella roccia tra un girone e l'altro. Per questo, e nell'antipurgatorio che piü si mostra, come oggi si direbbe, l'impresa alpinistica di Dante. Eccone il passo principale, i versi 31-56 del canto IV. Noi salavam per entro '1 sasso rotto, e d'ogne lato ne stringea lo stremo, e piedi e man volea il suoi di sotto. Poi che noi fummo in su l'orlo suppremo de l'alta ripa, a la scoperta piaggia, «Maestro mio», diss'io, «che via faremo?». Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia; pur su al monte dietro a me acquista, fin che n'appaia aleuna scorta saggia». Lo sommo er'alto che vincea la vista, e la costa superba piü assai che da mezzo quadrante a centro lista. Io era lasso, quando cominciai: «0 dolce padre, volgiti e rimira com'io rimnago sol, se non restai». «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira», additandomi un balzo poco in süe, che da quel lato il poggio tutto gira. Si mi spronaron le parole sue, ch'i' mi sforzai carpando appresso lui, tanto che '1 cinghio sotto i pie mi fue. A sede ci ponemmo ivi ambedui volti a levante ond'eravam saliti, che suole a riguardar giovare altrui. Gli occhi prima drizzai ai bassi liti; poscia li alzai al sole [...] Si noti che Dante non sale da solo, ma guidato da Virgilio, il «Maestro»; che il «sasso rotto» e una fessura nella roccia; la «ripa», come ancora la «riva» nel mio dialetto, l'erto pendio; la «scoperta piaggia», come la «spiagia» in dialetto, il pendio piü dolce e aperto; «Nessun tuo passo caggia» (cioe «cada»), «non dare indietro» (Scartazzini); «pur su al monte», sempre verso l'alto; «scorta saggia», uno che sappia la strada: Virgilio, abitante del Limbo, non conosce il Purgatorio; «da mezzo quadrante...», un'inclinazione di 45 gra di; «lasso», stanco; il «balzo» e il «cinghio», un ripiano e non ancora un girone. Del passo citato, do ora l'interpretazione che si trova nel mio libro // poema sacro, anche perche oggi non saprei far meglio: Per chi e dimestico della montagna, questo racconto la contiene quasi tutta. C'fe dapprima il duro eimento con la roccia: il salire usando «piedi e mani», il «carpare», il «tirarsi» fino al prossimo ripiano, che dice una fatica ormai appena sop- 12

» La montagna e il poeta portabile; c'fe poi la psicologia stessa di chi sale: la tentazione quasi irresistibile, dopo l'esperienza del primo sforzo, di sottrarsi alla legge del monte, di piegare a destra o a sinistra, o perfino di retrocedere, quasi ci fosse altrove una via piü agevole; il senso di scoraggiamento, anzi d'impotenza che a questo punto, quando l'occhio di nuovo si rivolge verso l'altura e non ne scorge la fine, s'impadronisce dell'animo; e, da ultimo, la vista che spazia liberamente, il nuovo respiro di chi, arrivato a una certa altezza. ha come conquistato una parte di mondo. E ciö non solo una volta, ma tante volte quante sono le balze. % &%i * ej ' Ä?s x^if-, -. - ' ;* >:- JUJUaßKJDOOif Uli 1^ Dante e il suo poema, Domenico di Michelino. 1466. Duomo di Firenze IAI IL ssso,.,oj.tvsa»ll5tdaotswaclytmf^)rsntis\saf.pf.s L'altra pagina che, dopo quella dantesca, ci parla della montagna, b la lettera di Petrarca (Familiari, IV, 1) sull'ascensione del Mont Ventoux nel 1336. Non so esatta mente per quali ragioni, ma questa impresa e oggi messa in dubbio. Ne posso dire se si siano osservate, nel testo petrarchesco, le relazioni che ha con quello dantesco e che qui cerco di mostrare. Come Dante, anche Petrarca non sale da solo, ma col fratello Gerardo, piü giovane di lui e poi fattosi frate. Ora, durante la salita, Gerardo si comporta esattamente come Virgilio: va innanzi «per una scorciatoia», e Francesco, da parte sua, fa esattamente il L3

La montagna il e poeta contrario del monito «Nessun tuo passo caggia»: non ascolta il fratello che lo chiama, anzi ridiscende verso il basso e va in cerca di un accesso meno impegnativo; poi ritorna e sale un pezzo insieme al fratello; poi esita altre due volte; e finalmente, tra le risa di Gerardo, raggiunge la cima. Senza bisogno di smentite storiche, si puö dire che giä questo tipo di racconto infirma la veridicitä dell'impresa. Cosi non si comporta chi deve scalare una montagna, e Petrarca stesso deve confessarlo: «non puö darsi che un corpo, scendendo, pervenga in alto». L'inverosimiglianza e poi confermata dall'assenza, in tutta la sua pagina, di ciö che primeggia in quella dantesca e che ho definito il cimento con la roccia. Come se Petrarca, salendo il Ventoux, avesse «smarrito la diritta via» e si fosse perso in un la birinto: quello del suo eterno distrarsi dal cammino che porta alla «vita beata» e di cui parla nel Canzoniere: «nel laberinto intrai, ne veggio ond'esca» (CCXI, 14). In questo modo, la scalata del monte, che per Dante si deve fare, come dice prima del passo ci tato, «con l'ale snelle e con le piume / del gran desio», in Petrarca diventa un pretesto. II «gran disio» («cupio») abita anche in lui, ma rimane infiacchito dalle tentazioni ter rene. Ed e l'esame di tale dissidio interno, non l'esperienza esterna, che forma il vero contenuto del suo testo. Se ora si fa un bilancio, la pagina piü moderna sembra quella di Petrarca; e cosi, infatti, si e sempre creduto. Ma, guardando piü da vicino, si vede che puö essere il contrario. Petrarca, alla fine, non ha fatto la sua ascensione che per aprire a caso, giun to sulla vetta, il suo Sant'Agostino. II quäle gli da questo responso: «E gli uomini se ne vanno ad ammirare le alture dei monti e gli ingenti flutti del mare e 1'amplissimo corso dei fiumi e la vastitä dell'oceano e il cammino degli astri, e trascurano se stessi». Que sta e ancora una visione medievale. Lo conferma anche la reazione di Petrarca, che si adira con se stesso per il suo desiderio di ammirare le cose terrene e conclude che solo l'anima e grande. Nel poeta della Commedia, al contrario, tra il desiderio e l'anima c'e una perfetta corrispondenza. La montagna sta li, davanti a lui, non come motivo di un discorso, ma di un'azione; e in questa azione, che ha tutti i crismi della realtä, anima e desiderio diventano una cosa sola. Anziehe ripudiato, il mondo viene ora, per cosi dire, umanificato, e l'uomo, a sua volta, mondificato. Cosi, non siamo piü nel Medioevo, ma nel Rinascimento. E questo e il miracolo che non la storia (Petrarca nasce dopo Dante), ma solo compie la poesia. 14