CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SEZIONE III, SENTENZA DEL 23 APRILE 2015, N : violazione di sigilli

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SEZIONE III, SENTENZA DEL 23 APRILE 2015, N. 16900: violazione di sigilli «il reato di violazione di sigilli previsto dall art. 349 c.p. si distingue dall ipotesi di agevolazione colposa di cui all art. 350 per l elemento psicologico, giacché nella prima fattispecie la condotta del custode della cosa in sequestro è dolosamente diretta a porre in essere la violazione dei sigilli, mentre nella seconda tale violazione è conseguente alla negligenza e trascuratezza del custode»

16900/15 REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE Composta da Claudia Squassoni Guida Mulliri Vito Di Nicola Gastone Andreazza Andrea Gentili - Presidente - - Relatore - Sent. n sez.)(ecip U.P. - 19/03/2015 R.G.N. 24929/2014 ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da : Martini Pietro, n. a Aprigliano il 10/07/1957; avverso la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro in data 11/03/2014; udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale G. Romano, che ha concluso per il rigetto; udito il Difensore di fiducia, Avv. G. De Marco, che si è riportato ai motivi; RITENUTO IN FATTO 1. Martini Pietro ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro di conferma della sentenza del Tribunale di Cosenza di condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 400 di multa per il reato di cui all'art. 349, commi 1 e 2, c.p. per avere violato in qualità di custode i sigilli apposti su un'area di sua proprietà.

2. Con un primo motivo lamenta la mancanza di motivazione e la violazione dell'art. 238 bis c.p.p nonché degli artt. 45, 349 e 350 c.p. in particolare deducendo la mancata argomentazione sul punto dirimente oggetto dell'atto di appello e rappresentato dal provvedimento di archiviazione adottato nei suoi confronti per il connesso reato di discarica abusiva, non essendo stato possibile identificare gli autori della stessa a fronte del fatto che la proprietà di Martini era accessibile a chiunque. Aggiunge come la mancanza di prova in ordine alla addebitabilità allo stesso del reato in oggetto sia connessa alla questione della differenziazione tra l'ipotesi, necessariamente dolosa, di cui all'art. 349 c.p., e quella, invece colposa, dell'art. 350 c.p. integrante illecito amministrativo. Di qui la eventuale derubricazione del fatto in quello di cui all'art. 350 c.p., incompatibile con la fattispecie contestata. 3. Con un secondo motivo lamenta l'omessa valutazione ed il travisamento di una prova rilevante essendo risultato univocamente dalle deposizioni testimoniali come mancasse un segno materiale esteriore, ben visibile, chiaro ed inequivoco volto a manifestare l'esistenza di sigilli apposti all'area in conseguenza del sequestro ed in ogni caso essendo risultato, dal verbale di sequestro, che l'accesso era libero a chiunque. Contesta in definitiva l'assunto delle sentenze di merito secondo cui l'alterazione dei luoghi deve essere addebitata al custode avendo questi sempre l'obbligo di impedirla. 4. Con motivi aggiunti depositati il 4/3/2015 ha reiterato la censura circa la violazione degli artt.349 e 350 c.p. in punto di necessità che la condotta della prima fattispecie sia sorretta dal dolo e non anche dalla sola negligenza o trascuratezza. CONSIDERATO IN DIRITTO 5. Inammissibili i rilievi con cui si contesta l'affermazione della sentenza secondo cui l'imputato, consapevole del sequestro in quanto custode, avesse l'obbligo di rispettare il vincolo reale sul bene a prescindere dalla visibilità dei segni esteriori, comunque regolarmente apposti dal personale del Corpo Forestale dello Stato al momento dell'esecuzione del sequestro, il ricorso è invece fondato laddove, con assunto che interessa trasversalmente tutti i motivi ed anche i motivi aggiunti (in realtà ripropositivi del primo motivo di ricorso), contesta la ritenuta integrazione 2

del reato di violazione di sigilli di cui all'art. 349 c.p. sul mero presupposto dello specifico obbligo di vigilanza incombente sul custode. In effetti la sentenza impugnata, con riguardo all'aspetto della riconducibilità all'imputato della violazione contestata si è limitata, richiamando espressamente l'indirizzo giurisprudenziale sul punto, a ricollegare alla veste di custode giudiziario quale soggetto destinatario di uno specifico obbligo di vigilanza sulla cosa, affinché ne venga assicurata o conservata la integrità, la responsabilità ipso iure per la violazione dei sigilli salvo che lo stesso custode non dimostri l'ipotesi del caso fortuito o della forza maggiore. Ritiene tuttavia il collegio che tale assunto, già recepito da questa Corte in più di una pronuncia (Sez. 3, n. 29040 del 20/02/2013, Conti e altro, Rv. 256670; Sez. 3, n. 19424 del 24/05/2006, Donato, Rv. 233830; Sez. 3, n. 2989 del 28/01/2000, Capogna, Rv. 215768; Sez. 3, n. 4815 del 26/02/1993, Pistillo, Rv. 194548), non possa essere condiviso. Va infatti posto in rilievo che una affermazione di responsabilità semplicemente riposante sul mancato adempimento dell'obbligo di vigilanza incombente sul custode inteso ad impedire che altri possa violare i sigilli equivale, evidentemente, a fondare la stessa, tanto più ove, come nella specie, non risulti che il custode sia stato a conoscenza di comportamenti in corso altrui di tal fatta, su un'omissione di natura colposa. Ma una tale conclusione, oltre a comportare possibili attriti con il principio di corrispondenza tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza ove il primo sia configurato (come nella specie) in termini attivi e di diretta causazione della violazione ed il secondo invece, appunto, in termini di omessa vigilanza rispetto ad una violazione di terzi, finisce, a ben vedere, ancor prima, da un lato, per contraddire al carattere necessariamente doloso della violazione di cui all'art. 349 c.p. (cfr. Sez. 3, n. 22784 del 05/03/2004, Castiello, Rv. 228611) e, dall'altro, per risolversi in una interpretatio abrogans dell'ipotesi di agevolazione colposa di cui all'art. 350 c.p. (disposizione che prevede, infatti, che "se la violazione dei sigilli è resa possibile, o comunque agevolata, per colpa di chi ha in custodia la cosa, questi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929"). E' infatti evidente che se il reato di violazione di sigilli viene ad essere integrato dal custode per effetto del mancato adempimento dell' obbligo di vigilanza sullo stesso incombente, nessuno spazio residua per l'applicabilità dell'art. 350 c.p. E' per tali ragioni, dunque, che appare maggiormente in linea con la voluntas legis chiaramente diretta a distinguere le condotte rispettivamente contemplate dagli artt. 349 e 350 c.p. l'impostazione, già accolta in passato da Sez. 3, n. 3

22784 del 05/03/2004, Castiello, Rv. 228611 e Sez. 3, n. 28904 del 27/05/2003, Monti ed altri, Rv. 225551, che esclude che il reato possa sussistere in ragione di una mera condotta inerte di fronte ad iniziative altrui. 6. Ribadito dunque che il reato di violazione di sigilli previsto dall'art. 349 c.p. si distingue dall'ipotesi di agevolazione colposa di cui all'art. 350 per l'elemento psicologico, giacché nella prima fattispecie la condotta del custode della cosa in sequestro è dolosamente diretta a porre in essere la violazione dei sigilli, mentre nella seconda tale violazione è conseguente alla negligenza e trascuratezza del custode, la sentenza va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Catanzaro che si atterrà, nel valutare l'attribuibilità all'imputato della violazione contestata, ai principi qui affermati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altre sezione della Corte d'appello di Catanzaro. Così deciso in Roma il 19 marzo 2015 Il CoØiere, tensore Il Presidente GastY Anjeazza Claudia Squassoni 4