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Transcript:

500 km di cammino a piedi a Santiago de Compostela, per percorrere una strada che porta ad una Tomba, sono ammessi, approvati, appoggiati dalla società. 18 km di cammino alla ricerca della vita, fatta del calore del sole, di ruscelli d acqua fresca, del profumo dell erba coperta di rugiada, sono una follia, è un cammino che può fare solo una pazza. Arrivai al lavoro in macchina, entrai in ufficio, sembrava che mi mancasse il respiro, desideravo respirare aria fresca. Uscii e andai nel campo vicino e mi stesi nell erba per assaporarne il profumo. Mi avviai poi per fare una passeggiata, avanti trecento metri, mi raggiunse mio padre in auto dicendomi di tornare a casa. Non lo ascoltai e proseguii, ritornò per riprendermi dopo altri cento metri, ancora non gli diedi ascolto. Avevo un estremo bisogno di respirare; salire in auto mi dava l impressione che dentro non ci fosse aria, l auto mi dava la sensazione di qualcosa di meccanico, mentre sentivo l esigenza di stare in mezzo alla natura. Così proseguii il mio cammino, i pensieri erano tanti e probabilmente anche un po confusi: ricordo che i pensieri negativi, i contrasti con mio marito, la situazione lavorativa conflittuale con mio papà, il non sentirmi compresa, la perdita precoce di un bimbo, mi rabbuiavano, e io riflettevo la mia tristezza all esterno, vedendo rovi, ortiche, cassonetti della spazzatura pieni di sporco, sentivo cani che abbaiavano arrabbiati, macchine che aumentavano la velocità. Mentre quando avevo pensieri belli, vedevo gli ulivi, il lago dove si specchiava il sole. Mia mamma mi raggiunse a Moniga del Garda, dove mi accompagnò per un tratto di strada, tenendomi sotto braccio, voleva che mi mettessi il cappellino, perché c era molto sole, e ripeteva a bassa voce: guarda che figlia che ho! Quasi tutti i familiari tentarono di farmi desistere, ma io continuavo per la mia strada. Allora arrivarono i Carabinieri, probabilmente chiamati da qualcuno, dissi il mio nome e detti la mano, e i Carabinieri, come erano arrivati, se ne andarono. Arrivò poi un auto ambulanza, con alcuni infermieri, volevano farmi una puntura, ma io non volevo, così proposero ai miei genitori di portarmi in Ospedale. Accettai, solo che, come all inizio del mio Cammino, non volevo salire su un mezzo meccanico. Il papà mi propose di salire su una macchina a scelta tra quelle che c erano: la sua, o quelle dei miei fratelli, ma io continuavo a rifiutarmi. Allora lui mi prese in braccio, e mi costrinse a salire sulla sua. In macchina c era lui alla guida, io a fianco e mia mamma dietro con mio fratello Davide. Sicuramente ero un po fuori, però non stavo facendo del male a nessuno.

Mi portarono all Ospedale di Salò. Mia mamma scese per parlare con il Medico che poi uscì per accogliermi, mi disse che ero senza scarpa, infatti l avevo persa in macchina, quando ero salita, perché mi era venuto un crampo. Mia mamma me la portò, la misi, ed entrai in Ospedale. Il Medico mi disse di accomodarmi in una stanza, dove c era un lettino Ospedaliero. Mi fece stendere, e lui si sedette vicino su una sedia. Mi pose delle domande, che ora non ricordo, gli dissi di questo mio cammino per raggiungere la montagna, dove mi vedevo con mio marito, su due cavalli bianchi. Il colloquio durò circa un ora, dopo di che mi disse che mi avrebbero fatto una puntura, e mi avrebbero portato in reparto. Mi addormentai e quando mi svegliai ero stesa in un letto regolabile, con la testiera sollevata. Cercavo di aprire gli occhi, ma c era il sole che mi abbagliava, ogni tanto si oscurava, e mi accorsi che c era la testa di mio padre che copriva i raggi, allora riuscivo a guardare: vedevo il suo profilo, lui si girava a guardarmi. Più volte il sole mi abbagliava, e più volte vedevo il viso di lui. Mia mamma mi portò molta frutta, fra cui le fragole, che per quella stagione erano primizie, ma io non avevo molta voglia di mangiare. Si può dire che negli ultimi tempi ero dimagrita, e, nonostante in quel momento desiderassi qualcosa di fresco, facevo fatica a mandar giù qualcosa, anche la frutta. Un giorno volli mangiare una mela, chiesi all infermiere un coltello per sbucciarla, lui mi disse di riportarlo appena avessi finito di usarlo, perché poteva essere pericoloso, visto il reparto dove mi trovavo. Dopo averlo usato, glielo riportai. Il giorno successivo mi sentii un po meglio, e andai a mangiare in salone dove c erano anche gli altri pazienti. Il salone aveva una forma ovale, dove c erano delle grandi finestre, da cui si vedeva il lago, dove si specchiava il sole; uno spettacolo molto bello. Mi sedetti al tavolo con altre due donne, una mi disse : ma tu non sei malata. Le chiesi come mai mi diceva così, e lei rispose, che era perché sorridevo, per cui, non ero malata. Le dissi invece che anch io lo ero. Il giorno dopo, venne un medico, e mi disse che mi avrebbero trasferito a Castiglione delle Stiviere perché quello non era il reparto adatto a me. Il giorno successivo feci la valigia delle mie cose, salii in Auto ambulanza, e arrivai all SPDC di Castiglione, mi sembrò di essere venuta via dal Paradiso, per arrivare in

Purgatorio. A Salò da qualunque finestra guardassi c era il lago, dove il sole si specchiava. A Castiglione per avere un po di chiaro, bisognava accendere la luce. Entrai nel reparto, un paziente era nel corridoio, mi accolse con una frase sull ora, guardando l orologio. Mi sentii ben accolta. Era l una, mangiai, gli infermieri avevano tenuto in parte il pasto per me. Li ringraziai per avermi aspettato. Da quel giorno mangiai sempre ad ogni pasto. Iniziai a sentirmi a casa. Mi diedero una stanza dove avrei dormito da sola, l armadietto aveva il numero uno. Mi sentii importante. Una cosa che mi accompagnò sempre anche nei miei ricoveri successivi, era il desiderio di studiare gli altri pazienti. Un mio pensiero delirante era che lo scopo dei miei deliri fosse capire perché le persone si ammalavano di questo tipo di patologie. L uomo che disse la frase sull ora, aveva la passione per i Dinosauri, e quando la sua salute peggiorava, questa passione si manifestava in modo molto accentuato. Lo incontrai molto tempo dopo e mi disse rispondendo alla mia domanda: perché i dinosauri avevano molta memoria. Rimasi ricoverata 15 gg, Diciamo che un po mi ripresi, il primario mi invitò, una volta uscita dall Ospedale, a farmi seguire da uno psichiatra e da una psicologa. Feci un colloquio con lei prima di essere dimessa, e mi diede appuntamento per quando sarei uscita dall Ospedale. Dopo la dimissione, mi recavo due volte la settimana da lei, e una volta ogni 15 gg. dallo psichiatra per i farmaci. Poi gli appuntamenti con la psicologa andarono diradandosi, ma io sentivo il bisogno di vedere o una psicologa o un terapeuta almeno tre volte la settimana e di averlo alle spalle. Allora non sapevo cos era la psicanalisi, ma sentivo l esigenza di questo tipo di terapia. Era il 1991, ricordo molto bene quell anno, desideravo fortemente avere una figlia, mio marito diceva che non sarei stata capace di fare la mamma. Ma penso che, vedendo il mio grande desiderio, non poteva togliermi la possibilità di realizzare questo sogno, inoltre credo che abbia pensato che se avessi avuto un figlio, sarebbe migliorata la mia salute mentale. Comunque verso Luglio di quell anno rimasi incinta. Vissi la gravidanza in modo molto intenso, desideravo fortemente avere la mia bambina. Nacque l 11 Marzo 1992. La Sonia.

Cercavo di essere una brava mamma, ma il pensiero che il mio latte non fosse abbastanza nutriente, il continuo dubbio se le davo da mangiare abbastanza, l ansia di non capire mai il motivo per cui piangesse. I disaccordi con mio marito. Vorrei dare colpa a tutti questi motivi, ma il motivo vero non lo so, si da il caso che nel Novembre 1992 feci un altro delirio. Mi svegliai verso le sei del mattino, accanto avevo mio marito che dormiva, nella stanzetta di fronte c era Sonia, aveva otto mesi, anche lei addormentata. Volevo andare a vedere se i miei genitori stavano bene. Solo che volevo andarci come al solito, a piedi, ( i miei genitori abitavano a 13 Km di distanza ), così uscii di casa e mi avviai. Mentre camminavo vedevo le case e i loro muri di cinta che si sgretolavano, come una Roma Antica in decadenza. Ma man mano che proseguivo il mio cammino, vedevo i muri che si ricostruivano; come nuovi. Sentivo gli uccelli cinguettare, i falegnami che segavano il legno, i fabbri che battevano il ferro, insomma come una città che rinasce e che con la luce del giorno si risveglia. Camminai per circa tre chilometri, mi ritrovai alla periferia del paese, dove iniziavano le strade sterrate e la campagna. Ero molto stanca, e avevo bisogno di ossigeno. Mi fermai e mi sedetti in terra, vidi dei ciuffi d erba, e mi chinai per respirarne il profumo, lì mi addormentai. Mi svegliai poco dopo, e vidi l auto di mio papà. Lui e mio fratello Davide erano venuti a cercarmi. Mi vennero incontro, mi fecero salire sulla macchina e mi accompagnarono a casa, dove c erano mio marito, la sua mamma e mia figlia ad aspettarmi. Davide e papà, mi lasciarono con loro. Mi misi a gattonare con mia figlia, io seguivo lei, e lei seguiva me. Cercavo di capire se voleva dirmi qualcosa. Decisero di portarmi in Ospedale. Non ricordo di preciso quella permanenza nell SPDC, ricordo che studiavo gli altri pazienti, sempre per il motivo detto sopra. Rimasi in Ospedale 13 gg. Passarono cinque anni prima del terzo ricovero. Allora lavoravo come impiegata presso una casa di riposo. Un giorno avevo l impressione che l Istituto fosse come un campo di concentramento, dove gli ospiti venivano messi nelle camere a gas. Non so dire quale situazione avesse

mosso in me tale sensazione; a distanza di anni, potrei dire che per come venivano trattati gli ospiti percepivo una certa freddezza degli operatori nei loro confronti. Comunque ero stravolta. Mia sorella mi accompagnò all Ospedale, dove vi rimasi 11 gg. Il quarto ricovero è avvenuto nell Ottobre 1998. Non ricordo cosa combinai quella volta. So che volli recarmi al C.P.S. a piedi. Così, accompagnata da mia sorella e per mano mia figlia, percorsi i 3 Km che dividevano la nostra casa dal C.P.S. Rimasi ricoverata 3 gg., poi mi trasferirono al C.R.T. L ultimo ricovero, fu un mese dopo, ricordo molto bene la motivazione: volevo tagliare i ponti con la società. Pensavo che avessero posizionato delle telecamere nella mia casa, e ritenevo che tagliando tutti i fili dell elettricità, avrei eliminato questa intrusione. Inoltre volevo dividere le cose buone da quelle cattive; buttai via i vestiti neri e bruciai gli oggetti che ritenevo negativi. Il ricovero durò 14 gg. Scrivere questo periodo della mia vita, durato 7 anni, per me è liberatorio. E mi fa riflettere. Dopo il 98, non sono stata più ricoverata, ma il cammino è stato duro, perché altre volte ho avuto dei deliri, non da essere ricoverata, ma da perdere più volte il lavoro. Diciamo che l ombra dei deliri mi ha sempre seguito. Adesso sto bene dal punto di vista della malattia mentale; quando ho capito i fattori che innescavano i miei deliri, ho cercato di allontanarli. E una cosa molto importante : ho iniziato a fare le cose che mi piacciono; quelle che mi danno soddisfazione, quelle che mi realizzano. Ho imparato a dosare le mie forze, a non sprecare energie, soprattutto quelle mentali, e ad indirizzarle verso progetti che posso realizzare. Adesso sono alla continua ricerca di cose che appaghino il mio intelletto. In questo cammino di vent anni, mia figlia è stata la persona che più mi ha dato la forza per superare le difficoltà; quando era piccola, perché cercavo di star bene per poterle dare il meglio di me. Man mano che diventava grande, mi dava la certezza che i miei deliri non influivano negativamente su di lei. Inoltre, diventando adulta, ha costruito le sue idee con molto senso critico, ed è per me una persona con cui posso confrontarmi. In questo cammino, durato vent anni ho capito che se il mondo non è come lo vorrei io non posso cambiarlo.