Ecco, verranno giorni oracolo del Signore, nei quali con la casa

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V DOMENICA DI QUARESIMA Gv 12,20-33; Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9 Colletta Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi. Egli è Dio e vive e regna con te... Il cammino della Quaresima, sulle orme di Cristo, di Domenica in Domenica, ci ha portato a percorrere il deserto, a salire sul monte, a entrare nel tempio, a essere di casa nel mondo. È l itinerario del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, ma è anche la nostra strada. In questa domenica la Parola di Dio ci fa dare uno sguardo particolare al cielo. Dovremo pensare un po di più al cielo per riconoscere la nostra meta, per pensare a Dio. Il cielo non fa parte normalmente delle nostre quotidiane prospettive, dei nostri pensieri, dei nostri discorsi. Forse perché oggi stiamo tanto bene sulla terra. Tutti i discorsi, le parabole e le parole di Gesù vanno però in questa prospettiva. La stessa festa di Pasqua, che ci prepariamo a celebrare con la Risurrezione, ci fa guardare al Cielo. L affermazione di Gesù (Vangelo): «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me!», certamente indica la sua morte di Croce, che noi riviviamo nell Eucaristia, ma chiaramente si riferisce anche alla sua gloriosa Ascensione verso il cielo, pieno compimento della Pasqua. Nel profondo del nostro cuore c è il desiderio, come quello di quei Greci, di poter vedere Gesù, di incontrare Dio. Il cielo è già nel nostro cuore: lo afferma il profeta Geremia (I lettura); Dio già vi abita. Non pensiamo al cielo con un senso di paura, di dubbio, di insicurezza, di mistero: è la nostra meta, ma non è lontano. Se vogliamo siamo già in questa dimensione. Lo cantiamo nel salmo responsoriale, il famoso salmo 50, il Miserere: fammi gustare la gioia di sentirmi già salvato, di essere già alla tua presenza, già con te in cielo! La sua morte e risurrezione, ben descritta dalla parabola del chicco di grano, è avvenuta per fare di noi un cuor solo e un anima sola con lui. La croce è questo luogo, questa verità della comunione profonda, della salvezza eterna per quanti si radunano sotto quella luce. Non scordiamo che il primo gradino della salita verso il cielo è la croce, la sua croce. L evangelista Giovanni ci narra questa piccola Trasfigurazione. Come nei momenti più solenni - ricordiamo il Battesimo al Giordano e la Trasfigurazione sul Tabor - si apre il cielo e scende la voce del Padre. Viene la voce dal cielo, dal Padre, quasi a dire a Gesù: non sei solo, non sei senza di me; sono con te e lo sarò sempre. È questo il dramma per Gesù: sentirsi solo, essere gettato fuori, escluso dalla comunità degli uomini, della quale aveva voluto far parte. Lui, uomo di comunione, come esperienza eterna nel cielo, con il Padre e lo Spirito Santo, viene cacciato via. Ma alla fine ad essere cacciato fuori non sarà lui, ma il principe di questo mondo, il diavolo, colui che divide, che allontana, che genera divisione. Cristo invece è qui per riunire i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11, 52), per rinnovare con loro l alleanza. Un patto d amore.

PRIMA LETTURA Dal libro del profeta Geremìa (31, 31-34) Ecco, verranno giorni oracolo del Signore, nei quali con la casa d Israele e con la casa di Giuda concluderò un alleanza nuova. Non sarà come l alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l alleanza che concluderò con la casa d Israele dopo quei giorni oracolo del Signore : porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l un l altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande oracolo del Signore, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato. Parola di Dio. 2

La nuova alleanza Gr 31, 31-33 Geremia è tra i profeti biblici quello di cui si hanno maggiori notizie biografiche. Secondo quanto dice la Bibbia è un uomo che deve eseguire una difficile missione: quella di sradicare e demolire, di distruggere e abbattere, per poi costruire e edificare. Deve predicare il ritorno a Dio e l abbandono di tutti i sogni e le speranze vane. Questo è il messaggio profetico di Geremia: non c è futuro in un presente in cui è assente la misericordia di Dio. Non ha fondamento una speranza che ignori la verità e i disegni di Dio. Non c è salvezza nei sogni rassicuranti di libertà creati secondo la convenienza dell uomo. Geremia è un giovanotto quando, nell anno 627 a.c., il Signore irrompe nella sua vita. La missione di Geremia implica sacrifici. Deve rinunciare all amore di Giuditta per fare il volere di Dio. Il suo compito conosce allora un secondo momento: edificare e piantare. Bisogna cioè cercare di sostituire le proprie attese umane con quelle che si basano sul volere di Dio. Questa capacità si chiama Fede. Dio prepara all uomo un futuro di pace e salvezza. Ma per comprenderlo l uomo deve essere capace di rinunciare a una pace e a una salvezza ingannatrici. Gli interventi di Geremia sono generalmente un ammonimento al popolo, per il loro comportamento scorretto, soprattutto su due temi fondamentali: la pratica di culti idolatrici e l ingiustizia sociale. Il profeta ammonisce senza ritegno, invita al pentimento e annuncia quali saranno le tristi conseguenze per coloro che non si allontaneranno dalla strada del male. Solo una condotta retta è la garanzia e la speranza di salvezza, davanti alle minacce imminenti di distruzione. Il problema religioso del rifiuto di Dio e della sua misericordia è, nella grande intuizione di Geremia, un problema importante da affrontare. Vivissimo presupposto di questa idea è la coscienza della fragilità dell uomo rispetto a Dio. La condanna del peccato e le sue profezie di sventura, sono però sempre legate a un messaggio di speranza, alla prospettiva di una rinascita, del ritorno dall esilio babilonese: anche Cristo, d altronde, per affermare la vittoria sulla morte, dovrà prima passare attraverso la Croce. Ma soprattutto Geremia è l annunciatore della speranza, della ricostruzione, del futuro luminoso di Israele, della nuova alleanza che deve essere scritta nel cuore del popolo di Israele. Vi sarà una distruzione, ma non sarà mai totale, e dal resto sopravvissuto la nazione verrà ricostituita, e le dispersioni verranno raccolte; e il nuovo miracolo sarà maggiore di quello antico dell uscita dall Egitto. Il discorso diventa più articolato e ricco nei capitoli dal 30 al 33, che insistono sul ritorno degli esuli e la ripresa della vita, sotto il segno della fedeltà irrevocabile di Dio al suo popolo. Nella misericordia di YHWH il popolo sperimenterà l alleanza nuova, mediante una legge scritta nel cuore (Ger 31,31-34). C era già una alleanza: sul Sinai Dio consegnò a Mosè le tavole della Legge. L alleanza esigeva l adesione esclusiva al Signore, e questo si realizzava nel compimento della legge e dei comandamenti. Per questo la legge era formulata con chiarezza e coronata da una duplice serie di benedizioni e maledizioni. La legge era una realtà esterna, che l uomo riceveva da Dio, scolpita su una pietra, tramite un mediatore, Mosè. Essa era una serie di comandamenti e di proibizioni, ma l uomo, nella storia non fu capace di essere fedele a questa legge (v. 32). Ora Dio ne dona una nuova. Quattro sono le caratteristiche della nuova alleanza: «Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi 3

saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l un l altro, dicendo: Conoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato» (vv. 33-34). È l esperienza dell alleanza definitiva, promessa di misericordia e perdono. Geremia preannuncia una conoscenza di Dio non più attraverso la mediazione della Legge, ma attraverso l esperienza interiore: la conoscenza di Dio entra nel cuore dell uomo. Questo non esclude l importanza di seguire le indicazioni di una disciplina, ma ci ricorda che innanzitutto c è il nostro rapporto personale con Dio. Questa è la grande soluzione di Dio: entrare nel cuore dell uomo, nell interno della sua vita, di tutto il suo essere, affinché l uomo non possa più rifiutarlo, respingerlo, abbandonarlo, allontanarlo. Dio entra nel cuore dell uomo perché questi si apra a Lui suscitando nell uomo il desiderio di adesione e della fede. Non più dunque su tavole di pietra, ma sui cuori; non più una legge esterna, ma una legge interiore. La nuova legge è lo "spirito nuovo", lo Spirito Santo. Essa coincide, infatti, con il passaggio dalla vecchia alla nuova alleanza, dalla legge alla grazia. Il peccato, a cominciare da quello di Adamo, è consistito nell aver voluto essere come Dio, nell aver desiderato e pensato di poter esistere senza di lui. Il peccato originale si situa prima della stessa trasgressione del precetto divino: consiste nell essersi disamorati di Dio e nell essersi messi interiormente in contrasto con lui. La disobbedienza alla legge di non mangiare dall albero è la manifestazione e l effetto di questo contrasto interiore, come, fino a quel momento, l osservanza della stessa legge era stata l effetto, non la causa, dell interiore amicizia con Dio. Ecco perché il peccato di fondo che è l egoismo, l amore di sé contro Dio, non può essere tolto dalla legge, ma solo dal ristabilimento in quello stato di amicizia che c era all origine e che il serpente, per invidia, ha indotto l uomo a distruggere. Finché l uomo vuole essere come Dio e vive in regime di peccato, Dio gli appare inevitabilmente come l avversario, come l ostacolo. C è tra lui e Dio una sorda inimicizia che la "legge" non fa che mettere in evidenza. Nella grazia, nella nuova alleanza, Dio cessa di essere l altro, l ostacolo. Non perché l uomo cambia la sua tendenza innata, ma perché Dio viene verso di lui e annulla, di sua iniziativa, l inimicizia. Ecco allora la novità della nuova alleanza annunciata dal Profeta Geremia: mentre prima l uomo portava conficcato nel fondo del cuore un sordo rancore contro Dio, ora viene in lui una parte di Dio, suscita in lui un altro uomo che ama Dio e fa volentieri le cose che egli gli comanda. Dio gli è favorevole, è suo alleato, non nemico; gli mette sotto gli occhi tutto ciò che Dio Padre è stato capace di fare per lui, conquista, insomma, il suo cuore, sicché faccia volentieri ciò che egli gli comanda. La legge nuova è la vita nuova. Per questo molto più spesso che legge nuova è detta semplicemente grazia: "Non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia" (Rm 6,14; Gv 1, 17). Dall uomo vecchio all uomo nuovo: ecco quello che Dio ha voluto dire attraverso Geremia, un passaggio necessario da compiere. 4

SALMO RESPONSORIALE (dal Salmo 50) (51) Crea in me, o Dio, un cuore puro. Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. R/. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. R/. Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso. Insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a te ritorneranno. R/. SALMO 50 (51) Pietà di me, o Signore Questo salmo la tradizione lo dice scritto da Davide dopo il suo peccato, e durante la congiura del figlio Assalonne, dove Davide vide avverarsi la sventura sulla sua casa annunciatagli dal profeta Natan. Fa un po di difficoltà all attribuzione a Davide del salmo l ultimo versetto dove l orante invoca che siano rialzate le mura di Gerusalemme, poiché questo porterebbe al tempo del ritorno dall esilio. È comune, tuttavia, risolvere il caso dicendo che è un aggiunta messa durante l esilio per un adattamento del salmo alla situazione di distruzione di Gerusalemme. Ma considerando che il salmo non poteva essere adatto in tutto alla situazione dell esilio, bisogna pensare che le mura abbattute siano un immagine drammatica della presa di possesso di Gerusalemme da parte di Assalonne; Gerusalemme era conquistata e come Città di Davide veniva a finire. L orante si apre a Dio in un invocazione di misericordia. Domanda pietà. Si sente imbrattato interiormente. Il rimorso lo attanaglia, si sente nella sventura. Non ricorre alla presentazioni di circostanze, di spinte al peccato, lui coscientemente l ha fatto. Quindi innalza a Dio un grido per essere purificato, per essere liberato dalle sventure che lo colpiscono. E prosegue la sua supplica chiedendo: Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Il peccato lo ha indebolito, gli sta sempre dinanzi e vorrebbe non averlo commesso. E umile, pienamente umile, e domanda a Dio di non essere respinto dalla sua presenza e privato del dono del suo santo spirito ; quel santo spirito che aveva ricevuto al momento della sua consacrazione a re. Quel santo spirito che gli dava forza e sapienza nel governare e nel guidare i sudditi al bene, all osservanza della legge. Consapevole della sua debolezza ora domanda umilmente di essere aiutato: sostienimi con uno spirito generoso. Ha creato del male ad Israele col suo peccato, ma rimedierà, con l aiuto di Dio: Insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a te ritorneranno. 5

SECONDA LETTURA Dalla lettera agli Ebrei (5, 7-9) Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono. Parola di Dio. CANTO AL VANGELO (Gv 12,26) Lode e onore a te, Signore Gesù! Se uno mi vuole servire, mi segua, dice il Signore, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Lode e onore a te, Signore Gesù! 6

Gesù sacerdote misericordioso Eb 5,7-9 Nella seconda sezione dello scritto (3,1-5,10) viene affrontato il tema del sommo sacerdote «misericordioso e fedele», preannunciato in 2,17-18. Gesù può e deve essere considerato come il sommo sacerdote «fedele». Ma Gesù è anche un sommo sacerdote «misericordioso»: questa prerogativa viene spiegata in 4,14-5,10. In Eb 4,14-5,10 l autore mostra come la piena solidarietà di Cristo con gli uomini rappresenti un elemento costitutivo del suo sacerdozio. Il testo si può dividere in due parti: la prima (4,14-16) ha carattere esortativo («...manteniamo ferma la professione della nostra fede... Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia»); la seconda contiene invece una descrizione del ruolo e della condizione del sommo sacerdote dell AT, cui fa seguito l applicazione a Cristo (5,1-10). La liturgia propone solo il brano Eb 5,7-9. L autore mostra come il sacerdozio di Cristo debba essere compreso specialmente a partire dal suo atteggiamento di solidarietà e compassione nei confronti dei peccatori. A tale scopo egli propone anzitutto una definizione di sacerdote quale emerge dall esperienza del popolo ebraico e poi la applica a Cristo (5,1-10). La liturgia omette la descrizione del sacerdozio levitico e le affermazioni riguardanti la chiamata di Cristo come sacerdote, proponendo soltanto i versetti riguardanti la sua solidarietà con l umanità, quale appare dalla sua preghiera per essere liberato dalla morte: «nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (v. 7). Se è vero infatti che per ottenere il sommo sacerdozio bisognava essere chiamati, è vero anche che esso era un onore, per ottenere il quale parecchi erano disposti persino ad affrontare aspre guerre. Il sacerdozio di Cristo invece è tale che neppure l unico abilitato ad esercitarlo aveva il desiderio di accedervi perché implicava già in partenza l identificazione con la vittima, e quindi la totale offerta di sé al Padre; l onore certamente sarebbe venuto con l ingresso nei cieli, ma la via per accedervi passava per la croce. È questo che ha spaventato Cristo stesso quando stava ormai per raggiungere il culmine della sua opera sacerdotale. Egli infatti, giunto al termine della sua vita terrena «offrì» a Dio preghiere e suppliche. Prima che sulla croce, la sua offerta sacrificale ha avuto dunque luogo nell orto degli Ulivi, dove ha rivolto al Padre la sua preghiera, accompagnata da «forti grida e lacrime». Le «preghiere e suppliche con forti grida e lacrime» sono quasi certamente quelle che Cristo ha elevato a Dio durante la sua passione. Nel testo della Passione non si parla di «forti grida e lacrime», ma solo di una preghiera accorata di Cristo: è chiaro che l autore di Ebrei, pur avendo in mente i fatti accaduti nel Getsemani, non si riferisce ai vangeli scritti, ma alla tradizione orale. Più difficile da spiegare è il significato di «venne esaudito». Se con la sua preghiera Gesù voleva ottenere di essere liberato dalla morte, di fatto non è stato esaudito. Perciò alcuni studiosi hanno supposto che nel testo originale fosse scritto che egli «non» fu esaudito, sebbene fosse figlio di Dio; in seguito il «non» sarebbe stato eliminato per motivi dottrinali. Questa ipotesi però non è accettabile, in quanto non è suffragata da testimonianze o varianti di codici. Altri invece traducono così il passo: «... fu esaudito (venendo liberato) dalla paura (della morte)». Ma anche questa spiegazione non convince, perché Gesù ha realmente pregato per essere liberato dalla morte, come risulta anche dal racconto dei vangeli. 7

Secondo una terza interpretazione, l autore non intenderebbe semplicemente la morte fisica, ma il tipo di morte affrontata da Cristo. La morte è intesa come lo strumento mediante il quale gli uomini sono tenuti sotto la schiavitù del diavolo, e di conseguenza riguarda direttamente solo i peccatori. Da questa morte Cristo è stato effettivamente liberato non solo perché Dio gli ha dato la forza per superare la prova, ma anche e soprattutto perché si è servito della sua morte fisica per eliminare la morte stessa in quanto realtà strettamente collegata con il peccato, trasformandola in un grande gesto di affidamento a Dio. L autore fa poi una riflessione: «Pur essendo Figlio, imparò l obbedienza da ciò che patì» (v. 8). L «obbedienza» che Cristo imparò dalla sua sofferenza consiste nell adesione radicale al progetto di Dio, che lo ha guidato nelle scelte decisive della sua vita. La sottomissione alla volontà del Padre viene presentata spesso nel NT come un aspetto caratteristico del comportamento di Gesù. Paolo in modo speciale sottolinea come l obbedienza di Cristo si sia manifestata nella sofferenza della morte. Ma ciò che la lettera agli Ebrei mette maggiormente in luce, in piena sintonia con il racconto evangelico della passione, è il fatto che questa obbedienza non è stata spontanea e quasi scontata, ma ha richiesto una notevole dose di impegno e di fatica per superare la naturale paura della morte. L aspetto più specifico del sacerdozio di Cristo sta quindi nell accettazione libera, anche se sofferta, della morte, che certo non è stata voluta dal Padre, ma imposta dalle circostanze concrete della storia. Dall esperienza terrena di Cristo l autore ricava questa conclusione: «Reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (v. 9). Proprio a causa della sua obbedienza Cristo «fu reso perfetto». Nell AT l appellativo di «perfetto» compete non a Dio, ma all uomo che adempie tutto ciò che, in campo morale o rituale, è richiesto per poter accedere a Dio. La «perfezione» ottenuta da Cristo non deve però intendersi in senso morale: essa è piuttosto quella che gli deriva dall aver raggiunto il «fine» della sua esistenza terrena, cioè dall attuazione della salvezza che il Padre aveva progettato di realizzare per mezzo suo in favore degli uomini. L obbedienza di Cristo ha come risultato la salvezza eterna di tutti coloro che «gli obbediscono». Obbedire significa qui accettare la totalità del messaggio di Cristo, ma soprattutto seguire l esempio che egli ha offerto a tutti nel suo affidarsi all amore del Padre, anche quando poteva sembrare che il Padre l avesse abbandonato. L autore della Lettera agli Ebrei si è assunto l arduo compito di presentare la vicenda umana di Gesù in termini sacrificali. Il concetto di sacerdozio implica la possibilità di compiere un efficace mediazione tra Dio e gli uomini. La mediazione perfetta però esige che il sacerdote sia veramente rappresentativo delle due parti in causa: solidale con Dio e al tempo stesso con gli uomini. In questo senso Gesù rappresenta il sacerdote ideale, perché è il «figlio di Dio», ma nello stesso tempo si è fatto simile a noi. La prova più grande a cui è stato sottoposto Gesù nel suo radicale assimilarsi agli uomini, è la morte: da essa egli, in quanto Figlio, aveva il diritto di essere esentato, e invece le è andato incontro coscientemente, pur sentendone la naturale ripugnanza (5,7). Nell accettazione, pur sofferta, della morte Gesù realizza il massimo di amore verso Dio e verso gli uomini. Verso Dio tale amore si manifesta in forma di radicale «obbedienza» (5,8); verso gli uomini assume i caratteri della più totale «condivisione». Proprio per questa dimensione di amore, totalmente libero e perciò anche estremamente sofferto, la morte di Cristo è presentata come un vero «sacrificio»: la stessa preghiera, con cui domanda di essere liberato dalla morte, ma al tempo stesso si affida al Padre, diventa un offerta sacrificale (5,7). Non stupisce pertanto che il Padre gradisca questa offerta al punto tale da farla rifluire, come dono di salvezza, su tutti gli uomini. 8

VANGELO Dal vangelo secondo Giovanni (12, 20-33) In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l ora che il Figlio dell uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire Parola del Signore. 9

La glorificazione attraverso la morte Gv 12,20-33 Nella terza parte del c. 12, dopo l unzione di Betania e l ingresso in Gerusalemme, l evangelista riporta una breve sezione che rappresenta la conclusione del «libro dei segni». Essa si divide in due parti che contengono rispettivamente un annuncio della glorificazione di Gesù attraverso la morte (vv. 20-36), e una nuova condanna dei giudei per la loro incredulità (vv. 37-50). La liturgia propone solo parte della prima. Dopo aver raccontato l ingresso in Gerusalemme, l evangelista aveva riportato un amaro commento dei farisei: «Ecco che il mondo gli è andato dietro». Quasi a conferma di ciò, egli ricorda che in quella occasione alcuni greci hanno espresso il desiderio di vedere Gesù. Essi si rivolgono, forse per il suo nome greco, a Filippo, il quale con Andrea, il cui nome è anch esso greco, fa presente a Gesù la loro richiesta (vv. 20-22). La risposta di Gesù consiste in una collezione di brevi detti. Anzitutto egli annuncia che è giunta l ora in cui il Figlio dell uomo sarà glorificato (v. 23); porta poi l esempio del chicco di grano, che porta molto frutto solo se cade sotto terra e muore (v. 24); inoltre afferma che solo chi odia la propria vita in questo mondo, cioè sa perderla, la conserverà per la vita eterna (v. 25); infine a tutti coloro che vogliono servirlo, rivolge l invito a seguirlo, perché siano con lui e vengano onorati dal Padre (v. 26). Il concetto fondamentale espresso in tutti questi detti è quello di una morte che rivela al mondo la gloria di Dio in quanto coinvolge tutti gli uomini in una vita di comunione piena con lui. In questa dinamica di morte e di vita anche i discepoli sono invitati a inserirsi, per collaborare fino in fondo al progetto del loro Maestro. A prima vista questi detti non hanno nulla a che vedere con la richiesta dei greci; con essi però l evangelista vuole affermare che anche i non giudei potranno vedere Gesù, accettando la nuova vita da lui annunciata, ma solo dopo che egli, con la sua glorificazione, avrà portato a termine l opera che il Padre gli ha affidato. In altre parole, per Giovanni la missione nel mondo greco sarà un opera del Cristo glorificato. Infine l evangelista inserisce un brano in cui viene anticipato il racconto sinottico della preghiera di Gesù nel Getsemani. Gesù confessa il suo «turbamento». Di fronte all avvicinarsi della sua ora si rivolge al Padre chiedendo non che lo salvi dalla morte, alla quale si è orientato in tutta la sua vita, ma che glorifichi il suo nome; al che una voce dal cielo risponde: «L ho glorificato e lo glorificherò ancora!» (vv. 27-28). La voce viene udita dai presenti, alcuni dei quali dicono che è stato un tuono, mentre altri commentano che un angelo gli ha parlato; ma Gesù risponde che essa non è venuta per lui, ma per loro (v. 30), e prosegue: «Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (vv. 31-32). E l evangelista commenta: «Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (v. 33). Abbiamo qui il terzo annuncio della morte in croce, presentata come un «innalzamento» (cfr. 3,14-15; 8,28): questo, alla luce del quarto carme del servo di JHWH (cfr. Is 52,13), non ha solo un carattere spaziale, ma rappresenta il vero successo di Gesù, il quale, morendo sulla croce, unisce a sé tutta l umanità, coinvolgendola nel suo ritorno al Padre; di riflesso la morte in croce è presentata come un «giudizio» mediante il quale sono vinte le potenze del male che dominano il mondo. L evangelista ha concentrato in questa piccola raccolta di detti di Gesù una profonda interpretazione della sua morte, di cui parlerà subito dopo nel racconto della passione. È Gesù stesso che mette in luce come proprio a partire dalla morte si può capire a fondo il senso di tutta la sua vita. È significativo che questi detti siano pronunciati, secondo 10

Giovanni, in occasione della visita di alcuni greci. Mentre i giudei si sono ormai chiusi al suo annuncio, si prospetta un grande successo del suo messaggio tra i gentili. Ma essi non sono ancora preparati ad accoglierlo. Ciò avverrà solo dopo che avrà portato a termine la sua missione sul legno della croce. Da questo brano, pieno di un ricco simbolismo ricavato dall AT, risulta chiaramente che la vita annunciata da Gesù non è solo una realtà che succede alla morte, ma prima di tutto è il frutto, già ora disponibile, di una morte accettata e vissuta fino in fondo come dono di sé e come espressione di fedeltà a Dio e agli uomini. Questa morte rappresenta l «innalzamento» del Figlio e la sua «glorificazione», in quanto essa rivela la vera natura di Dio e il rapporto indissolubile che intercorre tra lui e il Figlio. Con la sua glorificazione, attuata mediante la sua morte in croce, Gesù porta a termine l opera di Dio, che aveva già annunciato e anticipato durante la sua vita terrena compiendo i segni rivelatori del progetto di Dio. 11