TRIBUNALE ORDINARIO di BRESCIA lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria

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N. R.G. 2017/416 TRIBUNALE ORDINARIO di BRESCIA lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria Il giudice, sciogliendo la riserva assunta all udienza del 12 maggio 2017, letti atti e documenti, OSSERVA 1. Con ricorso depositato il 14 febbraio 2017 ai sensi degli artt. 28 D. Lgs. 150/2011, 44 T.U. immigrazione e 702 bis c.p.c., Liljana Jaku e Mama Janneh deducevano: a) di avere fatto ingresso in Italia, rispettivamente, Liljana Jaku nel 2010 con permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, poi convertito in permesso di soggiorno per lavoro, e Mama Janneh nel 2013 con permesso unico lavoro; b) di avere dato alla luce un figlio e, essendo in possesso delle condizioni reddituali previste dalla legge, di avere presentato, rispettivamente in data 18 novembre 2016 e 24 giugno 2016, domanda di assegno di natalità; c) che, con le determinazioni dirigenziali del 19 novembre 2016 e del 25 giugno 2016, l Inps aveva rigettato le loro domande in quanto non risultanti in possesso di utile titolo di soggiorno ; d) che il rigetto delle loro domande era illegittimo e costituiva una violazione del principio di parità di trattamento riconosciuto dalle norme di diritto europeo, rientrando la prestazione richiesta nell ambito di applicazione della Direttiva UE 2011/98. Le ricorrenti chiedevano, quindi, di accertare e dichiarare il carattere discriminatorio della condotta tenuta dall Inps, di ordinare a quest ultimo di cessare immediatamente tale condotta, di condannarlo a pagare, a titolo di assegno di natalità come maturato al gennaio 2017, a Liljana Jaku la somma di euro 480,00, oltre interessi, e a Mama Janneh la somma di euro 1.280,00, oltre interessi e di adottare ogni ulteriore provvedimento utile ad evitare il reiterarsi della discriminazione. Pagina 1

2. Si costituiva l Inps eccependo in via pregiudiziale l inammissibilità della domanda formulata dalle ricorrenti per insussistenza dei presupposti di esercizio dell azione ex art. 28 D.Lgs 150/2011 e chiedendo, nel merito, il rigetto del ricorso. L Istituto deduceva: a) che la prestazione assistenziale controversa non rientra nell ambito di applicazione della Direttiva 2011/98/UE richiamata da controparte; b) che in ogni caso tale direttiva non è stata recepita dal legislatore nazionale e che è priva di efficacia auto-esecutiva; c) che la normativa vigente e la stessa normativa comunitaria invocata erano state erroneamente interpretate. 3. Così ricostruito l iter processuale, si ritiene che il ricorso sia fondato e vada accolto. 3.1. Preliminarmente va respinta l eccezione di inammissibilità dell azione formulata da parte convenuta. Infatti, avendo la domanda ad oggetto l accertamento della discriminazione, la cessazione e la rimozione dei suoi effetti, il pagamento dei ratei dell assegno di natalità costituisce solo una conseguenza della richiesta principale. Risulta quindi corretto l esperimento dell azione civile ex art. 28 D.Lgs. 150/2011 e non di quella in materia di previdenza ed assistenza ex artt. 442 e ss. c.p.c.. 3.2. Entrando nel merito, le ricorrenti ritengono discriminatorio il diniego da parte dell Inps dell assegno di natalità di cui all art. 1 co. 125 della l. 190/2014, ai sensi del quale Al fine di incentivare la natalita' e contribuire alle spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 1º gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 e' riconosciuto un assegno di importo pari a 960 euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione. L'assegno [ ] e' corrisposto fino al compimento del terzo anno di eta' ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell'adozione, per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'unione europea o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all'articolo 9 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, residenti in Italia e a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l'assegno sia in una condizione economica corrispondente a un valore dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), stabilito ai sensi del regolamento di cui al decreto Pagina 2

del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, non superiore a 25.000 euro annui. [ ]. L Inps ha ritenuto di non riconoscere tale prestazione alle ricorrenti per mancanza del requisito del possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo ed è pacifico che le ricorrenti non siano in possesso del medesimo. 3.3. Tuttavia l articolo 12 della Direttiva 2011/98/UE stabilisce che I lavoratori dei paesi terzi di cui all articolo 3, paragrafo 1, lettere b e c), beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne:[ ] e) i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004; [ ], e richiama l articolo 3, secondo il quale la direttiva si rivolge: b) ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno stato membro a fini diversi dall attività lavorativa a norma del diritto dell Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002; c) ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno stato membro ai fini lavorativi a norma del diritto dell Unione o nazionale. 3.4. Quanto all applicabilità della Direttiva 2011/98/UE alla fattispecie in esame, essendo l articolo 12 finalizzato a garantire la parità di trattamento tra i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi ovvero a fini diversi ai quali è consentito lavorare e i lavoratori cittadini dello stato membro in cui soggiornano, si ritiene, per ciò che attiene al profilo soggettivo, che le ricorrenti siano ricomprese tra i destinatari individuati dalla norma. Infatti Liljana Jaku è stata ammessa nel territorio italiano con permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, poi convertito in permesso di lavoro subordinato e Mama Janneh con permesso di lavoro subordinato. Sotto il profilo oggettivo, si osserva che la prestazione richiesta, ossia l assegno di natalità, rientra nel settore della sicurezza sociale oggetto del regolamento comunitario richiamato dalla direttiva, in quanto costituisce una forma di contributo pubblico diretto a tutelare economicamente la maternità e la paternità, corrisposto in modo continuativo per i primi tre anni di vita del figlio e sulla base di requisiti predeterminati dalla legge. Ed invero, l articolo 3 del regolamento CE 883/2004, richiamato dalla direttiva 2011/98/UE, inserisce nel settore della sicurezza sociale anche le prestazioni familiari, identificate dall art. 1 dello stesso in tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi Pagina 3

familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell allegato I. e, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, esse sono destinate ad aiutare socialmente i lavoratori aventi carichi familiari, facendovi partecipare la collettività. 3.5. È pur vero che secondo l art 12 paragrafo 2 della direttiva gli Stati membri hanno la possibilità di apportare una deroga al principio di parità di trattamento limitando i diritti conferiti ai lavoratori di paesi terzi ai sensi del paragrafo 1, lettera e), senza restringerli per i lavoratori di paesi terzi che svolgono o hanno svolto un attività lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e sono registrati come disoccupati. Inoltre, gli Stati membri possono decidere che il paragrafo 1, lettera e), per quanto concerne i sussidi familiari, non si applichi ai cittadini di paesi terzi che sono stati autorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non superiore a sei mesi, ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi a scopo di studio o ai cittadini di paesi terzi cui è consentito lavorare in forza di un visto;[ ] ma lo Stato italiano, nel dare attuazione alla direttiva con D. Lgs. 40/2014, non si è avvalso di tale facoltà, omettendo di operare una scelta espressa in tal senso nel rispetto dei canoni previsti dalla direttiva stessa, il cui termine di recepimento è peraltro scaduto il 25 dicembre 2015. 3.6. Tutto ciò premesso, per ciò che concerne l attribuibilità all Inps di una condotta discriminatoria per aver escluso le ricorrenti dalla prestazione in oggetto, si ritiene che l art. 1 co. 125 l. 190/2014 sia in contrasto con l articolo 12 della direttiva 2011/98/UE, poiché, richiedendo ai cittadini extraeuropei il possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo ai fini del riconoscimento dell assegno di natalità, viola la parità di trattamento, riconosciuta dall articolo 12 senza distinzioni inerenti al titolo di soggiorno, tra lavoratori nel settore della sicurezza sociale. Per tale motivo, in virtù dei principi in tema di gerarchia delle fonti, la prima norma va disapplicata. Ed invero, sebbene il D. Lgs. 40/2014, con cui lo Stato italiano ha dato attuazione alla direttiva 2011/98/UE, nulla ha previsto in tema di parità di trattamento e non ha recepito il dettato dell articolo, non vi è dubbio che tale norma, stante la chiarezza del precetto e l assenza di attività da parte dello Stato ai fini della sua applicazione, sia dotata di efficacia diretta e che trovi quindi ingresso nell ordinamento interno senza necessità di alcuna norma di recepimento. Pagina 4

Peraltro, come risulta dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, l obbligo di applicazione diretta della norma comunitaria grava su tutti gli organi dello stato, ivi comprese le pubbliche amministrazioni. Dunque l Inps, nel caso di specie, aveva l obbligo di disapplicare la norma interna e così, rigettando la domanda delle ricorrenti, ha tenuto una condotta oggettivamente discriminatoria, a prescindere dal relativo intento. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. 1) in accoglimento del ricorso, dichiara il carattere discriminatorio della condotta posta in essere dall Inps e, per l effetto, ordina all Inps di cessare la condotta discriminatoria e di rimuoverne gli effetti, riconoscendo alle ricorrenti la somma corrispondente a titolo di assegno di natalità come maturato sino alla data di deposito del ricorso, nonché le ulteriori quote mensili, fino a che permangono le condizioni, con interessi legali dalle scadenze al saldo; 2) condanna l Inps a rifondere alle ricorrenti le spese di lite, liquidate in euro 2.000,00 per compensi oltre accessori di legge, con distrazione in favore dei procuratori antistatari. Brescia, 5 giugno 2017. Il giudice Laura Corazza Pagina 5