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Tribunale Ordinario di Milano Sezione Lavoro ordinanza ex art. 28 d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150 Il giudice dr.ssa Giulia Dossi letti gli atti e i documenti del procedimento ex art. 28 d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150 iscritto al n. 9003 R.G.L. 2016, promosso da Rosa Irene HERNANDEZ VASQUEZ con i procc. domm. avv.ti Alberto Guariso e Silvia Balestro, corso di Porta Romana n. 6, Milano, - ricorrente - contro INPS Pagina 1 con il proc. avv. Giulio Peco, elettivamente domiciliato presso l Ufficio Legale Distrettuale, piazza Missori n. 8/10, Milano, - convenuto - sciogliendo la riserva assunta in data 28 ottobre 2016; OSSERVA: - con ricorso ex art. 28 d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, depositato in cancelleria il 18 agosto 2016, Rosa Irene HERNANDEZ VASQUEZ ha adito il Tribunale di Milano, quale giudice del lavoro, e premesso: - di essere cittadina salvadoregna, presente in Italia dal 2007, titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro; - di avere lavorato dall 1 gennaio 2015 al 31 agosto 2015 alle dipendenze di Walter Maffei in qualità di collaboratrice domestica; - di aver dato alla luce il 19 maggio 2015 il figlio Lorenzo Figueroa Hernandez; - di avere presentato all INPS, in data 21 luglio 2015, domanda di assegno di natalità ex art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190; - di avere ricevuto il versamento dell assegno per quattro mensilità, per un totale di 640,00; - che in data 16 novembre 2015 l INPS le aveva comunicato il rigetto della domanda di assegno, in quanto non risultava in possesso di utile titolo di soggiorno (permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo) ;

- che a seguito di tale comunicazione non aveva ricevuto alcuna ulteriore quota mensile dell assegno; - che tale diniego deve ritenersi illegittimo, costituendo violazione del principio di parità di trattamento riconosciuto dalle norme comunitarie; ciò premesso ha chiesto: previa eventuale rimessione degli atti alla CGUE per l esame della questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE inerente il prospettato contrasto tra la norma di cui sopra e l art. 12 direttiva 2011/98/UE; previa eventuale rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per il giudizio di costituzionalità sull art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190, per contrasto con gli artt. 3, 31 e 117, comma 1, Costituzione; accertare e dichiarare il carattere discriminatorio della condotta tenuta dall INPS consistente nell aver negato alla ricorrente l assegno di natalità di cui all art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190 in relazione alla nascita del rispettivo figlio; ordinare all INPS di cessare immediatamente la condotta discriminatoria di cui sopra e conseguentemente di riconoscere alla ricorrente il diritto all assegno di natalità; condannare l INPS a pagare alla ricorrente rispettivamente la somma di 1.760,00 a titolo di assegno di natalità come maturato fino al deposito del ricorso, nonché le ulteriori quote mensili, fino a che ne permangano le condizioni di reddito, oltre interessi; adottare, ove ritenuto opportuno, un piano di rimozione volto ad evitare il reiterarsi della discriminazione, che comprenda l ordine all INPS di pubblicare il testo dell emananda ordinanza sulla home page del proprio sito; con vittoria di spese e competenze di causa, da distrarsi in favore dei procuratori antistatari; - costituendosi in giudizio, l INPS ha chiesto, in via pregiudiziale, di dichiarare la nullità della notificazione del ricorso e l inammissibilità/improponibilità e improcedibilità del ricorso stesso per insussistenza dei presupposti di esercizio dell azione ex art. 28 d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150; nel merito, previa declaratoria di irrilevanza e manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità e di pregiudizialità sollevate da controparte, rigettare le domande avversarie perché infondate in fatto e in diritto nonché, in estremo subordine, previa rimessione alla Corte Costituzionale della questione di costituzionalità dell art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190 per contrasto con gli artt. 3, 31 e 117, comma 2, Cost., respingere il ricorso; con vittoria di spese e competenze di causa; - preliminarmente, in ordine all eccezione di nullità della notificazione si osserva che i vizi della notificazione non producono alcuna nullità se l'atto abbia raggiunto il suo scopo (art. 156, comma 3, c.p.c. e art. 160 c.p.c.), per effetto - tra l'altro - della costituzione del convenuto; - nella specie l INPS si è costituito in giudizio, dimostrando in tal modo che l'atto ha raggiunto il suo scopo, con conseguente sanatoria dei dedotti vizi della notificazione; - in udienza parte convenuta ha, altresì, dichiarato di rinunciare alla richiesta di termine a difesa, per non essere stato osservato il termine di trenta giorni tra la data della notifica del ricorso e la data fissata per la costituzione dell Istituto, a mente dell art. 702 bis, comma 3, c.p.c.; Pagina 2

- alla luce di quanto esposto il contraddittorio deve ritenersi ritualmente instaurato; - deve essere poi disattesa l eccezione di inammissibilità dell azione proposta; - sotto un primo profilo si osserva che il petitum della domanda è l accertamento della discriminazione, la sua cessazione e la rimozione degli effetti; - l erogazione dei ratei dell assegno di natalità rappresenta lo strumento di rimozione degli effetti della denunciata discriminazione; - correttamente, dunque, è stata proposta azione civile contro la discriminazione ex art. 28 d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150 e non azione ex artt. 409 e 442 e ss. c.p.c. per il riconoscimento della prestazione; - non osta, poi, all ammissibilità del ricorso il fatto che l INPS abbia dato applicazione ad una norma di diritto positivo; - la nozione di discriminazione accolta dalla normativa europea e dalla legislazione nazionale, infatti, è di tipo oggettivo e ha riguardo all effetto pregiudizievole prodotto da qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, indipendentemente dalla motivazione e dall'intenzione di chi li pone in essere; - la nozione oggettiva di discriminazione (sia diretta che indiretta) ascrive rilevanza decisiva al risultato delle azioni, tra cui è compresa anche l applicazione delle norme positive; - nel caso in esame la ricorrente ha subito un indiscutibile pregiudizio dall applicazione dell art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190, che, come meglio di seguito si dirà, nega l assegno di natalità ai cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo: è pertanto astrattamente configurabile la discriminazione che legittima la presente azione; - non pare condizione ostativa all ammissibilità dell azione neppure la mancata proposizione, da parte di Rosa Irene HERNANDEZ VASQUEZ, di ricorso amministrativo avverso il provvedimento di diniego dell INPS; - come già osservato, la presente azione è azione contro la discriminazione e non azione in materia previdenziale: non si applica, pertanto, la norma di cui all art. 443 c.p.c. sulla rilevanza del procedimento amministrativo; - quand anche si ritenesse la norma applicabile e si volesse aderire alla tesi dell INPS, secondo cui l azione giudiziaria avrebbe dovuto essere preceduta da ricorso amministrativo al Comitato Provinciale, si dovrebbe rilevare che a mente dell art. 46, commi 5 e 6, legge 9 marzo 1989 n. 88, il termine per ricorrere al comitato provinciale è di novanta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento impugnato. Trascorsi inutilmente novanta giorni dalla data della presentazione del ricorso, gli interessati hanno facoltà di adire l'autorità giudiziaria ; - nel caso oggetto di controversia il provvedimento di rigetto dell INPS è stato comunicato il 16 novembre 2015 (cfr. doc. 7 fascicolo ricorrente); - al momento della proposizione del ricorso giudiziale (18 agosto 2016) era ampiamente trascorso il termine di 180 giorni, dato dalla somma dei termini fissati dalla legge per la proposizione del ricorso al Comitato Provinciale (90 giorni) e per la decisione del ricorso stesso (pure di 90): a tale data, pertanto, il provvedimento di rigetto era divenuto definitivo; Pagina 3

- nel merito, la ricorrente deduce il carattere discriminatorio del diniego dell assegno di natalità ex art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190 da parte dell INPS, fondato sull assenza del requisito del possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; - è pacifico tra le parti e documentalmente provato che Rosa Irene HERNANDEZ VASQUEZ sia titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro (cfr. doc. 2 fascicolo ricorrente) e che in data 19 maggio 2015 abbia dato alla luce un figlio (cfr. doc. 4 fascicolo ricorrente); - neppure è controverso il requisito economico (cfr. doc. 5 fascicolo ricorrente) per accedere al beneficio, che è stato richiesto con domanda in data 21 luglio 2015 (cfr. doc. 6 fascicolo ricorrente); - l art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190 così dispone: al fine di incentivare la natalita' e contribuire alle spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 1 gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 e' riconosciuto un assegno di importo pari a 960 euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione. L'assegno, che non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all'articolo 8 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, e' corrisposto fino al compimento del terzo anno di eta' ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell'adozione, per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'unione europea o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all'articolo 9 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, residenti in Italia e a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l'assegno sia in una condizione economica corrispondente a un valore dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), stabilito ai sensi del direttiva di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, non superiore a 25.000 euro annui. L'assegno di cui al presente comma e' corrisposto, a domanda, dall'inps, che provvede alle relative attivita', nonche' a quelle del comma 127, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Qualora il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l'assegno sia in una condizione economica corrispondente a un valore dell'isee, stabilito ai sensi del citato direttiva di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, non superiore a 7.000 euro annui, l'importo dell'assegno di cui al primo periodo del presente comma e' raddoppiato ; - parte ricorrente fonda la propria domanda sulla disciplina di fonte sovranazionale che, sancendo la parità di trattamento tra lavoratori nei settori della sicurezza sociale, imporrebbe la disapplicazione delle disposizioni interne che violino tale principio; - la domanda si ritiene fondata; - la direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i Pagina 4

lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro prevede all art. 12 quanto segue: i lavoratori di cui al paragrafo 1, lettere b) e c) beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne: [ ] e) i settori della sicurezza sociale come definiti dal regolamento CE 883/2004 ; - i lavoratori di cui al paragrafo 1 sono i cittadini dei paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall attività lavorativa a norma del diritto dell Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare (lett. b) e i cittadini dei paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi (lett. c); - secondo l art. 12, paragrafo 2, della direttiva in esame gli Stati membri hanno la facoltà di limitare la parità di trattamento limitando i diritti conferiti ai lavoratori di paesi terzi ai sensi del paragrafo 1, lettera e), senza restringerli per i lavoratori di paesi terzi che svolgono o hanno svolto un'attività lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e sono registrati come disoccupati e possono, inoltre, decidere che il paragrafo 1, lettera e), per quanto concerne i sussidi familiari, non si applichi ai cittadini di paesi terzi che sono stati autorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non superiore a sei mesi, ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi a scopo di studio o ai cittadini di paesi terzi cui è consentito lavorare in forza di un visto ; - lo Stato italiano ha dato attuazione alla direttiva 2011/98/UE attraverso il d.lgs. 4 marzo 2014 n. 40, che ha introdotto il permesso unico lavoro ; - il citato decreto legislativo nulla ha disposto in tema di parità di trattamento e non ha recepito il dettato dell art. 12 della direttiva, sopra esaminato; - il legislatore italiano non ha neppure introdotto le limitazioni che l art. 12, paragrafo 2, della direttiva consentiva; - per avvalersi di tale facoltà lo Stato avrebbe dovuto operare una scelta espressa, nel rispetto dei canoni e dei vincoli posti dalla direttiva stessa; - il termine per il recepimento della direttiva è scaduto il 25 dicembre 2013; - il principio di parità di trattamento nel settore della sicurezza sociale, sancito dall art. 12, paragrafo 1, della direttiva ( i lavoratori dei paesi terzi [ ] beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano ), è chiaro, preciso ed incondizionato, non essendosi lo Stato italiano, come evidenziato, avvalso della facoltà di introdurre limitazioni a tale principio in sede di recepimento; - ciò premesso, il regolamento CE 883/2004, richiamato dall art. 12 della direttiva 2011/98/UE, inserisce nel settore della sicurezza sociale anche le prestazioni familiari (art. 3, comma 1, lett. j); - a mente dell art. 1 lett. z) dello stesso regolamento che enuncia le definizioni applicabili nel proprio ambito - per prestazione familiare si intendono tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell'allegato I ; - secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, le prestazioni familiari sono destinate ad aiutare socialmente i lavoratori aventi carichi familiari, facendo Pagina 5

partecipare la collettività ai carichi stessi (v. sentenze del 4 luglio 1985, Kromhout, C-104/84, nonché del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand, C- 216/12 e C-217/12); - l'espressione compensare i carichi familiari, secondo la Corte, dev'essere interpretata nel senso che essa riguarda, in particolare, un contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli; - per altro verso, la Corte di Giustizia ha ripetutamente statuito che la distinzione tra prestazioni comprese o escluse dai settori di sicurezza sociale è basata essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, segnatamente sulle sue finalità e sui presupposti per la sua attribuzione, e non sul fatto che essa sia o no qualificata previdenziale da una normativa nazionale (cfr. sentenza 24 ottobre 2013; Caisse nationale des prestations familiales, C-177/12; sentenza 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, relative al regolamento CEE 1408/71 in materia di sicurezza sociale, poi sostituito dal regolamento CE 883/2004); - inoltre, la Corte ha avuto modo di precisare che caratteristiche puramente formali non devono essere considerate come elementi costitutivi ai fini della classificazione delle prestazioni (cfr. sentenza 11 settembre 2008, Petersen, C- 228/07); - in particolare, una prestazione può essere considerata di natura previdenziale se è attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione definita ex lege, e se si riferisce ad uno dei rischi espressamente elencati all'articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 1408/71 (v., in particolare, sentenza del 21 luglio 2011, Stewart, C-503/09 (così sentenza 24 ottobre 2013, Caisse nationale des prestations familiales, C-177/12, cit.) - i rischi elencati all art. 4, paragrafo 1, del regolamento CEE 1408/71 sono in gran parte coincidenti con quelli elencati all art. 3, paragrafo 2, del regolamento CE 883/2004; entrambe le elencazioni, in particolare, comprendono le prestazioni familiari ; - anche le modalità di finanziamento di una prestazione sono irrilevanti per la sua qualificazione come prestazione previdenziale, come attesta il fatto che ai sensi dell art. 3, paragrafo 2, (così come dell'art. 4, paragrafo 2, del precedente regolamento CEE 1408/71), l ambito di applicazione del regolamento CE 883/2004 si estende espressamente alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo; - più in generale, il meccanismo giuridico a cui lo Stato membro fa ricorso per attuare la prestazione non rileva ai fini della qualificazione di quest'ultima come prestazione previdenziale; - tanto premesso, alla luce del quadro normativo europeo e dell elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia sopra esaminati, l assegno di natalità ex art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190 - indipendentemente dalle classificazioni adottate dall ordinamento interno - deve essere qualificato come prestazione previdenziale secondo i criteri propri della normativa e della giurisprudenza comunitarie; Pagina 6

- esso è ascrivibile ai settori della sicurezza sociale come definiti dal regolamento CE 883/2004 ed in particolare alle prestazioni familiari di cui all art. 3 lett. j) di detto regolamento, essendo diretta a compensare i carichi familiari ; - si tratta, infatti, di una forma di contributo pubblico al bilancio familiare, che ha effetto per i primi tre anni di vita del figlio ed è finalizzato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli; - esso è attribuito sulla base di requisiti predeterminati ex lege, senza alcuna valutazione discrezionale; - tale prestazione non è compresa tra gli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell'allegato I del regolamento CE 883/2004, che l art. 1 lett. z) esclude dal novero delle prestazioni familiari ; - la prestazione in parola rientra, pertanto, nell ambito di applicazione del regolamento CE 883/2004; - se così è, la norma dell ordinamento interno istitutiva di tale prestazione (art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190) si pone in contrasto con l art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/98/UE, poiché la prima, nel subordinare il riconoscimento della prestazione in favore dei cittadini di Stati extra UE al possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, viola la parità di trattamento tra lavoratori nei settori di sicurezza sociale come definiti dal regolamento CE 883/2004; - l art. 12, paragrafo 1, della direttiva, infatti, riconosce parità di trattamento ai cittadini dei paesi terzi ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi (o ai quali comunque è consentito di lavorare), senza distinzioni inerenti al titolo di soggiorno nel territorio di tale Stato; - nelle materie in cui sono competenti gli organi della UE, le norme europee prevalgono su quelle statali ed il contrasto tra le stesse comporta la disapplicazione della norma interna contrastante con quella europea, sempre che si tratti di una norma provvista di effetto diretto; - sono provviste di effetto diretto le norme contenute nei trattati, nei regolamenti, le statuizioni risultanti dalle sentenze della Corte di Giustizia e le disposizioni delle direttive munite di efficacia diretta; - in particolare, la diretta applicabilità delle prescrizioni delle direttive richiede il riscontro di alcuni presupposti, vale a dire: la prescrizione deve essere chiara, sufficientemente precisa ed incondizionata e lo Stato destinatario nei cui confronti il singolo faccia valere tale prescrizione deve risultare inadempiente per non aver tempestivamente recepito la direttiva nel diritto nazionale o per averla recepita in modo inadeguato; - secondo quanto ripetutamente affermato dalla Corte di Giustizia, in virtù del principio del primato del diritto dell'unione, una normativa nazionale contraria, rientrante nell'ambito di applicazione del diritto dell'unione, deve essere disapplicata dal giudice nazionale, senza che a quest ultimo sia imposto di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale (cfr. Corte di Giustizia, 19 gennaio 2010, Kücükdeveci, C-555/07); - anche la Corte Costituzionale ha più volte chiarito, in merito alla competenza dei giudici nazionali a valutare la conformità di una normativa nazionale al diritto Pagina 7

dell'unione europea, che qualora si tratti di disposizione del diritto dell'unione europea direttamente efficace, spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilità comunitaria della normativa interna censurata, utilizzando - se del caso - il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e nell'ipotesi di contrasto provvedere egli stesso all'applicazione della norma comunitaria in luogo della norma nazionale (cfr ordinanza n. 207 del 2013; nello stesso senso si vedano le sentenze n. 75 del 2012, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 284 del 2007); - alla luce di quanto precedentemente esposto l art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/98/UE si ritiene norma dotata di efficacia diretta; - per il suo chiaro tenore letterale, d altra parte, l art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190 non si presta ad un'interpretazione conforme a detta norma; - al fine di garantire piena efficacia al principio di parità di trattamento sancito dalla direttiva 2011/98/UE, la norma interna deve essere, quindi, disapplicata nella parte in cui prevede, quale requisito per l attribuzione dell assegno di natalità, il possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; - secondo consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, l obbligo di applicazione diretta della norma comunitaria grava su tutti gli organi dello Stato, ivi comprese le pubbliche amministrazioni (cfr. sentenza 22 giugno 1989, Fratelli Costanzo s.p.a, C- 103/88); - l INPS, dunque, aveva l obbligo di disapplicare la norma interna, creando tale disposizione una situazione di disparità di trattamento ai danni della ricorrente; - l ente previdenziale, omettendo di disapplicare la norma interna nel caso di specie e rigettando la domanda di assegno di natalità presentata da Rosa Irene HERNANDEZ VASQUEZ, per mancanza del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (cfr. doc. 7 fascicolo ricorrente), ha tenuto una condotta oggettivamente discriminatoria, avverso la quale è esperibile la presente azione; - accertato il carattere discriminatorio della condotta in contestazione, deve essere ordinato all INPS di cessarla e di rimuoverne gli effetti, a norma dell art. 28, comma 5, d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150; - l INPS deve quindi porre fine alla condotta discriminatoria, riconoscendo alla ricorrente la quale risulta in possesso di tutti gli altri requisiti previsti dall art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190 l assegno di natalità con decorrenza da maggio 2015 (mese di nascita del figlio); - a titolo di rimozione degli effetti l Istituto previdenziale è poi tenuto ad attribuire alla ricorrente, lesa dal comportamento discriminatorio, quelle stesse utilità che la stessa avrebbe conseguito in assenza della discriminazione e perciò a corrisponderle i ratei dell assegno di natalità maturati da maggio 2015 sino a tutto luglio 2016, pari ad 1.760,00 (sulla base dell importo mensile di 160,00 spettante per 11 mesi, tenuto conto che INPS ha inizialmente versato l assegno per 4 mesi), nonché le ulteriori quote mensili, fino a che permangano le condizioni reddituali, con interessi legali dalle scadenze al saldo; - nei limiti sopra precisati le domande meritano quindi accoglimento; Pagina 8

- tenuto conto della novità delle questioni trattate e dell esistenza di divergenti orientamenti giurisprudenziali in materia, si ritengono sussistere le condizioni per compensare tra le parti le spese di lite nella misura di metà; le ulteriori spese sono regolate secondo il criterio della soccombenza e, pertanto, poste a carico dell INPS nella misura liquidata in dispositivo e distratte a favore dei procuratori della ricorrente, dichiaratisi antistatari; P.Q.M. DICHIARA il carattere discriminatorio della condotta posta in essere dall INPS, consistente nell aver negato a Rosa Irene HERNANDEZ VASQUEZ l assegno di natalità ex art. 1, comma 125, legge 23 dicembre 2014 n. 190 per mancanza del requisito del possesso di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e, per l effetto, Pagina 9 ORDINA all INPS di cessare la condotta discriminatoria e di rimuoverne gli effetti, riconoscendo alla ricorrente la somma di 1.760,00 a titolo di assegno di natalità come maturato sino alla data di deposito del ricorso, nonché le ulteriori quote mensili, fino a che permangano le condizioni reddituali, con interessi legali dalle scadenze al saldo; CONDANNA l INPS a rifondere alla ricorrente metà delle spese di lite che, in tale proporzione, liquida in 800,00 oltre rimborso forfettario per spese generali al 15% ed accessori di legge e distrae a favore degli avv.ti Balestro e Guariso dichiaratisi antistatari, dichiarandole compensate per la restante metà. Si comunichi Milano, 1 dicembre 2016 Il giudice Giulia Dossi