JOSEPHINE ANGELINI. Traduzione di Marco Rossari



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Transcript:

JOSEPHINE ANGELINI Traduzione di Marco Rossari

Titolo originale: Dreamless Copyright 2012 by Josephine Angelini All rights reserved. http://y.giunti.it 2012 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 50139 Firenze Italia Via Dante 4 20121 Milano Italia ISBN 9788809775824 Prima edizione digitale: giugno 2012

A mio marito, con tutto il mio amore.

Prologo Lunedì mattina la scuola rimase chiusa. In certe zone dell isola l elettricità non era ancora stata riallacciata e molte strade del centro erano impraticabili per i danni provocati dalla tempesta. Sì, come no, pensò Zach, mentre usciva di casa. È stata la «tempesta» che ha demolito mezzo paese, non quella nuova famiglia di fenomeni che sfreccia più veloce delle auto. Corse per qualche isolato, solo per allontanarsi un po da suo padre. Non sopportava di restare a casa e ascoltarlo mentre si lamentava del fatto che la squadra avesse saltato un allenamento di football, quando in realtà era solo triste di non passare la giornata con i suoi atleti bionici: gli incredibili Delos. Zach percorse India Street per andare a vedere i gradini danneggiati dell Ateneo insieme a decine di altri passanti. Girava voce che la sera prima, a causa di un corto circuito, un cavo elettrico fosse caduto diventando così incandescente da sciogliere l asfalto. Zach vide il cavo a terra e la voragine, ma sapeva che quello non poteva essere stato la vera causa dell incidente. Così come sapeva che il cartello USCITA sopra la porta d emergenza vicina agli spogliatoi femminili non poteva aver causato l incendio del prato a cinque metri di distanza. Com è che tutti erano tanto stupidi? Erano così abbagliati dai ragazzi Delos da non accorgersi che i gradini di marmo della biblioteca non potevano essere stati crepati dalla forza del vento? Nessuno capiva che c era sotto qualcos altro? Per lui era talmente ovvio. Aveva provato ad avvertire Helen, ma era troppo presa da Lucas per rendersene conto. Zach sapeva che in qualche oscuro modo anche lei era come loro, ma ci aveva provato comunque. Invece lei si comportava come tutto il resto dell isola, come anche suo padre. Erano accecati. Stava passeggiando per il paese, guardando male tutti quegli idioti che gironzolavano a bocca aperta indicando l asfalto sciolto, quando Matt lo vide e gli fece segno di avvicinarsi. «Hei, ciao» disse Matt non appena Zach lo raggiunse accanto al nastro giallo della polizia. «Dicono che è stata colpa della linea principale dell isola. Pazzesco, no?» «Cavolo. Una voragine. Incredibilissimo!» commentò Zach, sarcastico. «Secondo te non è interessante?» domandò Matt, alzando un sopracciglio. «Be, non credo che possa essere stato un cavo crollato a fare tutto questo.» «Cos altro allora?» domandò Matt con il solito atteggiamento analitico, indicando lo scempio che avevano davanti. Zach abbozzò un sorriso. Matt era più intelligente di quanto non credesse la gente. Era un bel ragazzo, si vestiva in modo figo, era capitano della squadra di golf e veniva da una famiglia rispettabile. Cosa più importante, sapeva come muoversi nell ambiente che conta, con persone che parlavano di cose interessanti come lo sport. Anzi, secondo Zach, se solo l avesse voluto, Matt sarebbe potuto diventare uno dei ragazzi più popolari della scuola, ma per qualche ragione aveva rinunciato a quel ruolo e scelto invece di essere il Re degli sfigati. Forse lo aveva fatto per stare vicino a Helen. Zach ancora non aveva capito perché anche lei avesse deciso di frequentarli, visto e considerato che era più bella di tutte le attrici o modelle che avesse mai visto. La sua decisione di mettersi in disparte contribuiva ad accrescere il suo mistero e il suo fascino. Era il tipo di ragazza per cui gli uomini avrebbero fatto qualsiasi cosa. Come rinunciare a tutto quello che avevano o rubare o addirittura combattere «Io non c ero» disse Zach, per rispondere una buona volta alla domanda di Matt. «Ma a me sembra che qualcuno abbia fatto tutto questo di proposito, pensando anche di farla franca.» «Pensi che qualcuno Cosa? Abbia distrutto la biblioteca, strappato un cavo elettrico da diecimila volt a mani nude e poi spalancato una voragine di un metro e mezzo nell asfalto per divertimento?» chiese Matt, pacatamente. Socchiuse gli occhi e fece un sorrisino sornione. «Che ne so» rispose alla fine l amico. Poi, pensandoci, disse: «Ma forse lo sai tu. Negli ultimi tempi ti vedi spesso con Ariadne». «Sì, e allora?» ribatté calmo lui. «Non capisco dove vuoi arrivare.» Matt sapeva qualcosa? I Delos gli avevano svelato dei segreti mentre avevano tenuto Zach all oscuro? Zach lo studiò per un momento e decise che, come tutti, l amico probabilmente parteggiava per la famiglia Delos, soprattutto quando si accennava a quanto fossero strani. «Chi ha detto che voglio arrivare da qualche parte? Sto solo dicendo che non ho mai visto un cavo combinare un disastro simile. E tu?» «Quindi la polizia, la protezione civile, tutta la gente addestrata ad affrontare le calamità naturali si sbagliano mentre tu hai ragione?» Il modo in cui Matt l aveva messa fece sentire Zach un po stupido. Non poteva arrivare e sostenere così su due piedi che una famiglia di superuomini stava cercando di conquistare l isola. L avrebbero preso per matto. Dissimulando, guardò i gradini demoliti dell Ateneo e fece spallucce. A quel punto notò una persona, qualcuno di speciale, come Helen come quei maledetti Delos. Solo che questo personaggio era diverso c era qualcosa di disumano in lui. Quando si muoveva, sembrava un insetto. «Poco importa. In realtà non me ne frega un bel niente di cos è successo» disse Zach, fingendosi annoiato. «Divertiti a fissare quel buco.» Detto questo se ne andò: non voleva sprecare altro tempo con qualcuno che stava palesemente dalla parte dei Delos. Era invece curioso di vedere dove si stava dirigendo quello strano personaggio e magari capire cosa gli nascondevano tutti. Seguì lo sconosciuto fino al porto e intravide una barca enorme. Sembrava spuntata da un libro di fiabe. Alberi altissimi, ponte di legno, scafo in vetroresina e vele rosse. Zach si avvicinò a bocca aperta. La barca era la cosa più bella che avesse mai visto, non fosse stato per quel viso Il viso di lei. Zach sentì un colpetto su una spalla e, non appena si girò, il buio lo avvolse.

Uno Il sangue rosso sgorgava dalle dita spaccate di Helen, si raccoglieva intorno alle unghie e colava lungo le nocche. Nonostante il dolore, si aggrappò ancora più tenacemente al davanzale con la mano sinistra, per cercare di far scivolare in avanti quella destra. Sotto le dita sentiva la polvere e il sangue, le facevano perdere la presa, e le mani erano così in preda ai crampi da farle quasi venire gli spasmi. Allungò la mano destra, ma non ebbe la forza di tirarsi su. Scivolò indietro con un rantolo finché non rimase appesa solo per i polpastrelli. Sei piani più sotto rispetto ai suoi piedi penzolanti c era un aiuola arida, ingombra di tegole e vecchi mattoni caduti dal tetto della villa diroccata e andati in frantumi. Non aveva bisogno di guardare in giù per sapere che avrebbe fatto la stessa fine se avesse perso la presa sul davanzale che si sbriciolava. Riprovò a far dondolare una gamba verso l alto per arrivare al davanzale, ma più scalciava e meno sicura diventava la presa. Le sfuggì un singhiozzo a labbra strette. Era appesa lì da quando era arrivata agli Inferi, quella sera. Ma a lei sembrava che fossero passate ore, forse giorni, e stava cominciando a perdere le forze. La frustrazione la spinse a gridare. Doveva arrampicarsi e cercare le Furie. Lei era il Discensore destinato a calare negli Inferi: era questo il suo compito. Trovare le Erinni, riuscire in qualche modo a sconfiggerle e liberare i Discendenti dalla loro influenza malefica. Toccava a lei chiudere il ciclo di vendette, la faida che costringeva i Discendenti a uccidersi a vicenda, e invece eccola lì a dondolare appesa a una finestra. Non voleva cadere, e sicuramente non sarebbe riuscita a rintracciare le Furie restando lì appesa per l eternità. E agli Inferi ogni notte durava per sempre. Avrebbe dovuto porre fine in qualche modo a quella notte e ricominciarne una nuova, possibilmente più produttiva. Se non fosse riuscita a tirarsi su, le restava una sola opzione. Le dita della mano sinistra cominciarono a contrarsi e perse la presa. Si convinse a non opporre resistenza: tanto valeva cadere, almeno sarebbe finita. Eppure si aggrappò a quel davanzale con la mano destra, usando tutte le forze che aveva. Era troppo spaventata per mollare. Si morsicò il labbro sanguinante per concentrarsi, ma le dita scivolarono sulla polvere e alla fine si staccarono dal bordo. Non ce l aveva fatta. Quando toccò terra, sentì la gamba fratturarsi. Si portò una mano alla bocca per soffocare un grido che avrebbe squarciato il silenzio della sua cameretta a Nantucket. Riusciva a sentire la polvere degli Inferi sulle dita contratte. Nella luce argentata che precedeva l alba, ascoltò attentamente suo padre che si vestiva in fondo al corridoio. Grazie al cielo Jerry non aveva notato nulla di strano, e ora stava scendendo al piano di sotto per preparare la colazione come se niente fosse. Sdraiata a letto, tremante per il dolore della frattura e per i muscoli in preda ai crampi, attese che il suo corpo si riprendesse. Le lacrime le rigarono le guance, lasciando una traccia calda sulla pelle gelida. Faceva un freddo polare in quella camera. Helen sapeva che avrebbe dovuto mangiare per rimettersi in sesto, ma non poteva scendere al piano di sotto con la gamba rotta. Si disse di restare calma e aspettare. Presto il suo corpo sarebbe stato abbastanza forte da permetterle di muoversi, reggersi in piedi e camminare. Ma per il momento sarebbe rimasta a letto, con la scusa d essersi riaddormentata. Poi avrebbe cercato di nascondere la gamba ferita al padre, sorridendo e chiacchierando del più e del meno mentre facevano colazione. Infine, dopo aver messo qualcosa sotto i denti, sarebbe guarita del tutto. Mancava poco, poi sarebbe stata meglio, si disse, piangendo in silenzio. Doveva solo tenere duro. Qualcuno le stava sventolando una mano sotto il naso. «Eh?» domandò stranita. Si girò e vide Matt, che le faceva segno di tornare sul pianeta Terra. «Scusa Helen, ma proprio non ci arrivo. Che cos è una Canaglia?» chiese corrucciato. «Una come me» rispose lei, forse a voce troppo alta. Si era assentata solo per un attimo e non riusciva più a stare al passo con la conversazione. Helen si tirò su e diede un occhiata intorno. Tutti gli altri nella stanza la stavano fissando. Tutti tranne Lucas che si guardava le mani in grembo, con le labbra serrate. Helen, Lucas, Ariadne e Jason erano seduti a tavola nella cucina di casa Delos, dopo la scuola, a cercare di ragguagliare Matt e Claire sulle doti dei semidei. Matt e Claire erano i migliori amici mortali di Helen, entrambi sveglissimi, ma alcune cose su Helen e sul suo passato erano troppo complicate per essere comprese al primo schiocco di dita. Sette giorni prima avevano rischiato la vita per dare una mano a Helen e al resto della famiglia Delos. Sette giorni, pensò Helen, contandoli sulle dita della mano per esserne sicura. Agli Inferi sembrano essere passate sette settimane. Forse per me è stato così. «Sembra un casino, ma non lo è» disse Ariadne quando si rese conto che Helen non aveva intenzione di spiegare altro. «Ci sono quattro Case e tutte e quattro hanno un debito di sangue reciproco risalente alla guerra di Troia. Ecco perché le Furie vogliono farci uccidere un membro di un altra Casa. Per vendetta.» «Cioè, un miliardo d anni fa qualcuno della Casa di Atreo ha ucciso qualcuno della Casa di Tebe e voi dovreste saldare il debito di sangue?» domandò Matt scettico. «Più o meno, a parte il fatto che non ci ha lasciato le penne solo una persona. Qui si parla della guerra di Troia. È morta un sacco di gente, sia Discendenti semidei che mortali come te» rispose Ariadne con una smorfia contrita. «Lo so che è morta un mucchio di gente, ma dove vi porta questa cosa dell occhio-per-occhio?» insisté Matt. «Non finirà mai. È assurdo.» Lucas esplose in una risata cupa e alzò lo sguardo per incrociare quello di Matt. «Hai ragione. Le Furie ci faranno impazzire» disse a bassa voce, pazientemente. «Ci perseguitano finché non crolliamo.» Helen aveva presente quel tono di voce. Lo chiamava il «tono da saputello». Avrebbe potuto stare ad ascoltarlo tutto il tempo, anche se non avrebbe dovuto. «Ci spingono a ucciderci a vicenda per fare giustizia in un loro modo tutto strambo» continuò Lucas con tono misurato. «Se un membro di un altra Casa ne uccide uno della nostra, noi per ripicca ne uccidiamo uno della sua, e la cosa continua senza tregua da tremila e cinquecento anni. E se un Discendente uccide qualcuno della propria Casa, diventa un Reietto.» «Come Hector» tirò a indovinare Matt. Bastava nominare il loro fratello e cugino per scatenare la maledizione delle Furie, e questo fece imbestialire il clan dei Delos. Matt stava rischiando grosso solamente perché voleva capire bene. «Ha ucciso vostro cugino Creon perché Creon ha ucciso vostra zia Pandora, e adesso provate tutti il desiderio irresistibile di ucciderlo, anche se gli volete bene. Mi dispiace. Ancora non

capisco in che modo questa possa essere giustizia.» Helen si guardò intorno e vide Ariadne, Jason e Lucas digrignare i denti. Il gemello fu il primo a darsi una calmata. «Ecco perché quello che sta facendo Helen è tanto importante» rispose. «Lei deve scendere agli Inferi per sconfiggere le Furie e porre fine a questa carneficina assurda.» A malincuore Matt rinunciò. Non era facile per lui accettare le Furie, ma capiva che nessuno lì a tavola era felice che esistessero. Sembrava che Claire avesse ancora un paio di cose da chiarire. «Ok. Quello è un Reietto. Le Canaglie come Helen invece sono Discendenti che hanno genitori di due Case diverse e solo una di esse può rivendicarli, giusto? Quindi hanno ancora un debito di sangue con l altra Casa» disse guardinga Claire, come se sapesse che quello che stava dicendo per Helen fosse difficile da ascoltare, ma che non potesse farne a meno. «Sei stata reclamata da tua madre, Daphne. O meglio dalla sua Casa.» «La Casa di Atreo» disse Helen in tono monocorde, ricordandosi di come sua madre dal nulla fosse tornata a rovinarle la vita nove giorni prima, con certe notiziole per nulla gradite. «Ma il tuo vero padre, non Jerry anche se devo precisare una cosa, per me lui resterà sempre il tuo vero padre, il tuo padre biologico, che non hai mai conosciuto e che è morto prima che tu nascessi» «Apparteneva alla Casa di Tebe.» Per un attimo Helen guardò Lucas negli occhi, ma distolse subito lo sguardo. «Ajax Delos.» «Era nostro zio» disse Jason, lanciando un occhiata ad Ariadne e a Lucas. «Capisco» disse Claire in imbarazzo. Passò lo sguardo da Helen a Lucas che si rifiutarono di incrociare i suoi occhi. «E visto che appartenete a case nemiche, all inizio anche voi volevate farvi fuori. Finché tu» Claire lasciò la frase a metà. «Finché io e Helen non abbiamo pagato il debito di sangue rischiando di morire l uno per l altra» finì Lucas con tono gelido, sfidando i presenti a esprimere un commento sul legame tra lui e Helen. Helen avrebbe voluto scavarsi un buco nel bel mezzo del pavimento della cucina e sprofondarci dentro. Sentiva il peso di tutte le domande inespresse intorno a lei: fin dove si erano spinti Helen e Lucas prima di scoprire di essere cugini? C era stato solo qualche bacetto o era una cosa seria? E poi: si desideravano ancora, pur sapendo di essere cugini? E ancora: non è che qualche volta stavano ancora insieme? Non sarebbe stato difficile visto che entrambi volavano. Forse se la svignavano ogni notte e «Helen Dobbiamo rimetterci al lavoro» disse Cassandra con un che di imperioso nella voce. Si piazzò sulla porta della cucina con i pugni piantati contro i fianchi esili, da ragazzino. Quando Helen si alzò da tavola, Lucas incrociò il suo sguardo e accennò un sorriso di incoraggiamento. Ricambiando con un sorriso altrettanto fugace, Helen seguì Cassandra fino alla biblioteca dei Delos sentendosi rassicurata. Cassandra chiuse la porta e le due ragazze continuarono a cercare qualche perla di saggezza che aiutasse Helen nella sua ricerca. Helen svoltò l angolo e vide che la strada era bloccata da un arcobaleno di ruggine. Un grattacielo era piazzato di traverso sulla strada e sembrava che una mano gigantesca l avesse piegato come se fosse una spiga di grano. Si asciugò il sudore dalla fronte e cercò di trovare la via più agevole sull asfalto crepato e in mezzo alla ferraglia contorta. Sarebbe stata dura scavalcarli, ma quasi tutti i palazzi in questa città derelitta crollavano in mille pezzi mentre il deserto intorno avanzava. Non aveva senso deviare per un altra strada. Tutte le vie in un modo o nell altro erano ostruite e Helen non aveva idea di quale strada dovesse prendere. L unica cosa che poteva fare era continuare ad avanzare. Mentre scavalcava un traliccio seghettato, da cui saliva l odore pungente del metallo marcio, Helen percepì un profondo lamento, quasi di lutto. Poi un bullone saltò dalla guida e una trave sopra di lei si staccò in una pioggia di ruggine e sabbia. D istinto, Helen alzò le mani e cercò di fermarla, ma laggiù agli Inferi le sue braccia non avevano la forza erculea dei Discendenti. Cadde violentemente di schiena, riversa sulle sbarre accatastate sotto di lei. La trave le pesava sullo stomaco, inchiodandola a terra. Cercò di divincolarsi, ma non riusciva nemmeno a muovere le gambe senza provare un dolore lancinante ai fianchi. Aveva qualcosa di rotto, sicuramente: il bacino, la spina dorsale, forse entrambi. Strizzò gli occhi e cercò di farsi ombra con una mano, deglutendo a fatica per la sete. Era esposta, in trappola, come una tartaruga rovesciata sulla schiena. Nel cielo terso nemmeno una nuvola le offriva un attimo di pace. Solo la luce accecante e il caldo implacabile Helen si allontanò dalla lezione di educazione civica della prof Bee, trattenendo a stento uno sbadiglio. Si sentiva accaldata e con la testa pesante, come un tacchino messo a rosolare il giorno del Ringraziamento. La giornata scolastica era quasi finita, ma questo certo non la rassicurava. Si guardò i piedi e pensò a quello che l aspettava. Ogni notte scendeva agli Inferi e le si presentava davanti l ennesimo paesaggio in rovina. Non aveva idea del perché si ritrovasse più di una volta in alcuni posti, e in altri solo in un occasione, ma sospettava che avesse a che fare con il suo umore. Peggiore era il suo stato d animo, peggiore l esperienza agli Inferi. Ancora concentrata sui propri passi lenti, percepì delle dita calde che le sfioravano la mano nel trambusto del corridoio. Alzando lo sguardo, vide gli occhi azzurri di Lucas che cercavano i suoi. Inspirò, un breve respiro di sorpresa, e sprofondò in quell azzurro. Quello sguardo era dolce, sereno, e gli angoli della bocca accennavano a un sorriso confidenziale. Proseguendo in direzione opposta, si girarono per non perdersi di vista mentre camminavano, con lo stesso sorriso stampato in viso che si allargava a ogni passo. Helen si lisciò i capelli e si girò dall altra parte, ponendo fine a quel gioco di sguardi, con un ultimo ghigno sbarazzino. Bastava un occhiata di Lucas e lei si sentiva più forte, di nuovo viva. Lo sentiva ridacchiare tra sé e sé mentre camminava, quasi compiaciuto, come se conoscesse esattamente l effetto che aveva su di lei. Anche lei ridacchiò, scuotendo la testa. Poi vide Jason. Essendo qualche passo dietro a Lucas con Claire accanto, Jason aveva assistito a tutta la scena. Aveva una smorfia preoccupata e gli occhi tristi. Fissò Helen con un aria di rimprovero e lei abbassò lo sguardo, diventando paonazza. Erano cugini, Helen lo sapeva, non dovevano flirtare. Ma la faceva sentire meglio. Avrebbe dovuto passarne di cotte e di crude senza nemmeno il sollievo del sorriso di Lucas? Entrò in classe per l ultima lezione della giornata e si sedette al banco, trattenendo le lacrime mentre apriva il quaderno. Lunghe spine circondavano Helen, costringendola a restare completamente immobile. Era intrappolata dentro il tronco di un albero che si stagliava solitario in mezzo a una steppa arida e morta. Se respirava troppo a fondo, poteva sentire il pungolo di quegli aculei letali. Aveva le braccia piegate dietro la schiena e le gambe schiacciate sotto di sé, e il torace le sporgeva in avanti. Una lunga spina puntava dritta verso il suo occhio destro. Se avesse piegato appena in avanti la testa nel tentativo di liberarsi muovendola anche solo di pochissimo per la

stanchezza si sarebbe trafitta l occhio. «Cosa vi aspettate che faccia?» piagnucolò rivolta al vuoto. Helen sapeva di essere completamente sola. «Cosa dovrei fare?» gridò di nuovo, mentre il petto e la schiena le bruciavano per una miriade di minuscole ferite. Gridare non serviva a niente, ma arrabbiarsi sì. La aiutò a trovare la forza per accettare l inevitabile. Era finita lì, per quanto non dipendesse dalla sua volontà, e quello era l unico modo per uscirne. Il dolore di solito la tirava fuori dagli Inferi. Purché non morisse, Helen era abbastanza sicura che attraverso la sofferenza sarebbe riuscita a lasciare quel posto e a svegliarsi nel suo letto. Certo, sarebbe rimasta ferita, in preda al dolore, ma almeno sarebbe stata libera. Fissò la lunga spina davanti all occhio, ben sapendo cosa richiedeva la situazione, ma senza essere sicura di riuscire a farlo. Mentre la rabbia veniva meno, le spuntarono delle lacrime di disperazione. Sentì i propri singhiozzi soffocati incombere su di lei nella prigione claustrofobica del tronco. Passarono i minuti, il dolore alle braccia e alle gambe, piegate in modo innaturale, diventava insopportabile. Né il tempo né le lacrime avrebbero cambiato la situazione. Aveva una sola possibilità, e sapeva che se non avesse preso quella decisione subito avrebbe dovuto farlo dopo ore e ore di sofferenza. Helen era una Discendente e quindi nel mirino delle Furie. Non aveva altra scelta. A quel pensiero, la rabbia montò nuovamente. Con un movimento spavaldo, piegò la testa in avanti. Lucas non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Perfino dall altro lato della cucina vedeva che la pelle del viso di Helen era pallida e illividita. Avrebbe potuto giurare che quando Helen era arrivata a casa Delos quella mattina, per studiare con Cassandra, aveva gli avambracci coperti di lividi. Adesso aveva l aria impaurita di un animale braccato. Sembrava più spaventata di quanto non fosse qualche settimana prima, quando tutti avevano creduto che Tantalus e quei fanatici dei Cento Cugini le stessero dando la caccia. Cassandra aveva detto di recente che i Cento stavano facendo di tutto per scovare Hector e Daphne, e che Helen non aveva niente da temere. Ma se non erano i Cento a spaventare Helen, allora doveva essere qualcosa negli Inferi. Lucas si domandò se laggiù qualcuno non le desse la caccia o addirittura la torturasse. Quel pensiero lo dilaniò, come se un animale feroce gli avesse squarciato il torace. Doveva stringere i denti per fermare una sorta di ringhio selvaggio che si faceva strada dentro di lui. Ormai era troppo arrabbiato, sempre, e quella rabbia lo preoccupava. Ma soprattutto era in ansia per Helen. Vederla sobbalzare a ogni piè sospinto e chiudersi in se stessa con uno sguardo impaurito lo gettava quasi in uno stato di panico. Lucas provava il bisogno fisico di proteggerla. Era come un enorme spasmo corporeo che gli suggeriva di mettersi fra lei e il pericolo. Ma non poteva aiutarla, non poteva scendere agli Inferi senza morire. Lucas stava ancora cercando di trovare un escamotage. Non erano in molti quelli che potevano scendere fisicamente agli Inferi come faceva Helen e sopravvivere: solo una manciata di persone in tutta la storia della mitologia greca. Ma lui avrebbe continuato a provarci. Lucas era sempre stato bravo a risolvere problemi: soprattutto a risolvere quelli «irrisolvibili». E probabilmente era per questo che vedere Helen così mal ridotta lo tormentava. Non poteva risolvere la faccenda per lei: laggiù era tutta sola e lui non poteva farci niente. «Figliolo, perché non ti siedi qui accanto a me?» suggerì Castor, strappandolo ai suoi pensieri. Suo padre indicò una sedia alla sua destra mentre tutti prendevano posto a tavola per la cena domenicale. «Quello è il posto di Cassandra» rispose Lucas scuotendo il capo, anche se stava pensando che in realtà quello era il posto di Hector. Lucas non poteva sopportare di occupare una sedia che non avrebbe mai dovuto restare vuota. Così prese posto alla sinistra del padre, in fondo alla panca. «Ok, papà» scherzò Cassandra mentre occupava il posto che aveva automaticamente ereditato quando Hector era diventato un Reietto per l assassinio dell unico figlio di Tantalus, Creon. «Stai cercando di declassarmi?» «Se così fosse lo sapresti già. Altrimenti che razza di Oracolo saresti?» la stuzzicò Castor, facendole il solletico alla pancia finché lei non cominciò a gridare. Lucas capì che il padre stava cogliendo la rara opportunità di giocare con Cassandra, perché presto non avrebbe più potuto farlo. In quanto Oracolo, la sorellina di Lucas si stava allontanando dalla famiglia e dall umanità intera. Sarebbe sparita dalla vita di tutti per diventare il gelido strumento delle Parche, poco importava quanto le volessero bene i suoi cari. Castor scherzava con sua figlia ogni volta che ne aveva la possibilità, ma Lucas capì che in questa occasione si trattava di qualcosa di più. Aveva la mente altrove. Per qualche ragione che Lucas al momento non riusciva a cogliere, Castor non voleva che il figlio si mettesse al solito posto. Punto. Lo capì un momento dopo quando Helen si sedette accanto a lui, nel posto che col tempo era diventato suo di diritto. Mentre lei scavalcava la panca e scivolava vicino a lui, Lucas vide il padre aggrottare la fronte. Liquidò il rimprovero paterno e si godette la sensazione di Helen seduta al suo fianco. Anche se lei era ovviamente spossata da qualsiasi cosa le stesse accadendo agli Inferi, la sua presenza lo rincuorava. Le sue forme, la morbidezza del braccio che sfiorava il suo mentre passavano i piatti agli altri famigliari, il tono cristallino della sua voce quando partecipava alla conversazione: tutto di Helen gli arrivava al cuore e placava l animale selvaggio dentro di lui. Avrebbe voluto fare lo stesso per lei. Nel corso della cena si domandò cosa lei stesse passando laggiù agli Inferi, ma sapeva che per chiederle notizie avrebbe dovuto aspettare di trovarsi da solo con lei. Helen poteva mentire alla famiglia, ma non a lui. «Ehi» la fermò più tardi, nel corridoio in penombra tra la camera celeste e lo studio del padre. Lei si irrigidì per un attimo e poi si girò con un espressione dolce sul viso. «Ehi» sospirò, avvicinandosi. «Nottataccia?» Lei annuì. Si avvicinò ancora, tanto che Lucas sentì l aroma del sapone alla mandorla con cui si era appena lavata le mani. Forse Helen non si rendeva conto di quanto fossero calamitati l uno dall altra, ma Lucas se ne accorgeva, eccome. «Racconta.» «È dura, tutto qui» disse alzando le spalle per evitare un terzo grado. «Prova a descriverlo.» «C era questo grosso masso» ma poi rimase senza parole, si strofinò i polsi e fece segno di no con un espressione tesa. «Non posso. Non voglio pensarci più di quanto non debba già fare. Mi dispiace, Lucas. Non è che voglio farti arrabbiare» disse, in reazione al suo sbuffo di frustrazione. La fissò per un attimo: perché non capiva come lo faceva sentire? Cercò di restare calmo mentre le rivolgeva la domanda successiva, eppure venne fuori più diretta di quanto non volesse. «Qualcuno ti fa del male laggiù?»

«Laggiù sono da sola» rispose. Dal modo in cui lo disse, Lucas capì che la sua solitudine in qualche modo era anche peggiore della tortura. «Ti sei ferita.» Allungò una mano coprendo il poco spazio che li divideva e passò velocemente un dito sul polso di Helen, percorrendo il contorno di un livido sbiadito. Lei si incupì. «Agli Inferi non ho i miei poteri, ma una volta sveglia riesco lo stesso a guarire.» «Parlami. Lo sai che a me puoi dire tutto.» «Lo so, ma se lo faccio poi la pagherò cara» si lamentò in un tono quasi scherzoso. Lucas non mollò, sentendo che l umore di Helen stava migliorando e desiderando di rivederla sorridere. «Cosa? Sputa il rospo!» disse incoraggiante. «Parlarne con me non potrà certo farti male!» Il sorriso le morì sulle labbra e lei lo guardò, la bocca appena socchiusa, abbastanza da lasciargli intravedere la lucida parte interna del labbro inferiore. Lucas si ricordò cos aveva provato quando l aveva baciata e si irrigidì, fermandosi prima di chinare nuovamente il capo e provare ancora quella sensazione. «È straziante» sussurrò lei. «Helen! Quanto ci vuole per usare la» esclamò Cassandra, ma si interruppe all improvviso quando vide la schiena di Lucas allontanarsi e Helen avvampare mentre scivolava in biblioteca di soppiatto. Helen attraversò di corsa la stanza con la carta da parati floreale scrostata, evitando le assi del pavimento marce vicino al divano fradicio e ammuffito. Sembrava che le pareti la fissassero. Era passata di lì già decine di volte, forse anche di più. Invece di prendere la porta sulla destra o quella sulla sinistra entrambe, lo sapeva, non portavano da nessuna parte, decise di provare a entrare nell armadio. In un angolo era appeso un cappotto di lana, anch esso ammuffito. Il colletto era coperto di forfora e puzzava di vecchio malato. Era come se la respingesse, come se volesse cacciarla dalla sua tana. Helen ignorò il cappotto bisbetico e frugò a tentoni in cerca di un altra porta, nascosta in uno dei pannelli laterali dell armadio. L apertura era così bassa che avrebbe potuto passarci solo un bambino. Piegò le ginocchia, all improvviso terrorizzata dal cappotto che sembrava guardarla come se volesse sbirciarle sotto la gonna, e uscì dalla porticina. Si ritrovò in un boudoir polveroso, incrostato da secoli di profumi intossicanti, macchie gialle e infelicità, ma se non altro c era una finestra. Vi si fiondò, sperando di saltare fuori e liberarsi da quella orrenda trappola. Scostò con un briciolo di speranza le luride tendine di taffetà color pesca e scoprì che la finestra era murata. Colpì i mattoni con un pugno, all inizio senza troppa convinzione, poi con sempre maggiore rabbia finché la carne viva non spuntò sulle nocche sbucciate. In quel labirinto di stanze tutto era marcio e fatiscente: tutto a parte le uscite. Quelle erano solide come il cemento. A Helen sembrava di essere in trappola da giorni. La disperazione l aveva spinta addirittura a chiudere gli occhi per cercare di prendere sonno, sperando di risvegliarsi nel proprio letto, ma non aveva funzionato. Ancora non aveva capito come controllare la discesa e l uscita dagli Inferi senza lasciarci le penne. Aveva paura di morire davvero, stavolta: cosa avrebbe dovuto infliggersi per andarsene? Aveva la vista annebbiata da macchioline bianche e più di una volta era quasi svenuta per la sete e la fatica. Non beveva un goccio d acqua da così tanto tempo che anche la melma densa che colava dai rubinetti in quella casa infernale cominciava a essere allettante. La cosa strana era che Helen era più spaventata di quanto non le fosse mai capitato, anche se in quella parte degli Inferi il pericolo non era evidente. Non era appesa a un davanzale o intrappolata nel tronco di un albero o incatenata a un masso che rotolava giù per una collina verso uno strapiombo. Era solo in una casa, una casa infinita senza uscite. Queste discese nelle zone degli Inferi dove lei non si trovava in pericolo imminente duravano più delle altre e alla lunga finivano con l essere le più dure. Soffriva la sete, la fame e la solitudine: era quello il peggior castigo. Negli Inferi non c era bisogno di un lago di fuoco per tormentarti, il tempo e la solitudine erano più che sufficienti. Helen si lasciò scivolare sul pavimento sotto la finestra murata, con l idea di passare il resto della vita in una casa dove non era la benvenuta. A metà dell allenamento di football iniziò a piovere e poi tutto andò storto. I ragazzi cominciarono a spintonarsi di qua e di là, scivolando nel fango e sventrando il terreno di gioco. L allenatore Brant alla fine ci rinunciò e spedì tutti a casa. Lucas lo guardò mentre gli altri mettevano via la roba e capì che in realtà il coach quel pomeriggio non aveva mostrato tanta voglia di allenarli fin dall inizio. Il giorno prima suo figlio Zach aveva mollato la squadra. Da quello che dicevano tutti, l allenatore non l aveva presa bene, e Lucas si domandava quanto violenta fosse stata la litigata che sicuramente avevano avuto. Quella mattina Zach non era nemmeno venuto a scuola. Lucas lo capiva. Sapeva cosa voleva dire avere un padre che ti faceva star male. «Lucas! Andiamo! Si gela!» gridò Jason che, mentre correva verso lo spogliatoio, si stava già togliendo la maglia. Lucas lo raggiunse. Tornarono a casa, entrambi affamati e bagnati, e fecero irruzione in cucina. Helen e Claire erano lì con la madre di Lucas. Le ragazze avevano le divise per la corsa campestre fradice e aleggiavano in trepidante attesa attorno a Noel, mentre si asciugavano alla meno peggio con un telo. All inizio Lucas non ebbe occhi che per Helen. Aveva i capelli aggrovigliati e le lunghe gambe nude luccicavano per le gocce di pioggia. Poi sentì una voce quasi impercettibile e fu travolto da un ondata di odio. Sua madre era al telefono. La voce all altro capo del filo era quella di Hector. «No, Lucas. Ti prego» disse Helen con voce tremula. «Noel, metti giù!» Lucas e Jason scattarono verso il punto da cui proveniva la voce del Reietto, spinti dalle Furie, ma Helen si piazzò davanti a Noel. Non fece altro che alzare le mani per fermarli e i cugini vi andarono a sbattere come in un frontale. Rimbalzarono e caddero per terra, in debito d ossigeno. Helen non arretrò di un centimetro. «Mi dispiace!» disse, chinandosi su di loro con un espressione preoccupata. «Ma non potevo lasciare che assaliste Noel.» «Non scusarti» borbottò Lucas, strofinandosi il petto. Non aveva idea che Helen fosse così forte, ma non poteva che esserne estremamente felice. Sua madre aveva un aria scioccata, ma sia lei che Claire stavano bene: questa era l unica cosa importante. «Già» concordò Jason. Claire gli si accucciò accanto e lo accarezzò dolcemente mentre lui si girava cercando di riprendere fiato. «Non vi aspettavamo a casa così presto» balbettò Noel. «Hector di solito chiama solo quando sa che siete agli allenamenti» «Non è colpa tua, mamma» disse Lucas, tagliando corto e aiutando Jason a tirarsi in piedi. «Tutto bene, cugino?» «No» rispose sinceramente lui. Fece qualche altro respiro e alla fine, quando il petto smise di fargli male, si raddrizzò del tutto. «Odio questa cosa.» I cugini si lanciarono un occhiata sofferente: a entrambi mancava Hector e non potevano sopportare quello che le Furie gli avevano fatto. Jason si girò di colpo e uscì fuori, sotto la pioggia. «Jason, aspetta!» gridò Claire, correndogli dietro.

«Non pensavo che sareste tornati così presto» ripeté Noel, più a se stessa che agli altri, come se non riuscisse a perdonarsi. Lucas si avvicinò a sua madre e le stampò un bacio sulla fronte. «Non ti preoccupare, andrà tutto bene» le disse sottovoce. Ancora adirato, si rese conto di doversi allontanare. Trattenendo un groppo in gola, andò al piano di sopra per cambiarsi, ma a metà del corridoio che portava verso la sua stanza, sentì la voce di Helen alle sue spalle. «Pensavo che fossi bravo a dire bugie» disse piano. «Ma nemmeno io me la sono bevuta quando hai detto andrà tutto bene.» Lucas gettò la camicia fradicia per terra e si girò verso di lei, e proprio non riuscì a resistere. La tirò a sé e avvicinò il viso al suo collo. Lei aderì completamente al suo corpo, sentì il peso di Lucas mentre le sue grandi spalle si piegavano sopra e intorno a lei, e lo strinse finché lui non fu abbastanza calmo per parlare. «Una parte di me vuole trovarlo. Dargli la caccia» confidò lui, che non riusciva a dirlo a nessuno se non a Helen. «Ogni sera sogno il momento in cui ho cercato di ucciderlo a mani nude sui gradini della biblioteca. Mi rivedo tempestarlo di colpi e mi sveglio pensando di averlo ucciso davvero. E mi sento sollevato» «Sssh» Helen gli passò una mano fra i capelli bagnati, lisciandoli e tastandogli il collo, le spalle, i muscoli tesi della schiena tenendolo sempre più stretto a lei. «Ci penso io» promise. «Te lo giuro, Lucas. Troverò le Furie e le fermerò.» Lucas si scostò appena per guardarla meglio e scosse il capo. «No, non volevo metterti ulteriore pressione. Mi fa male sapere che tutto il peso ricada sulle tue spalle.» «Lo so» rispose semplicemente, senza rivalse, senza nessuna richiesta di compassione: accettava il suo compito e basta. Lucas la fissò, passandole le dita sul viso perfetto. Adorava i suoi occhi, erano in continua mutazione e gli piaceva catalogare mentalmente tutti i possibili colori. Quando rideva, gli occhi di Helen erano ambrati, come il miele in un barattolo di vetro colpito dal sole. Quando la baciava, si adombravano fino a raggiungere il colore intenso del cuoio invecchiato, ma con qualche striatura rossa e oro. In quel momento stavano scurendosi invitandolo a premere le labbra sulle sue. «Lucas!» sbraitò suo padre. Helen e Lucas si staccarono di colpo e quando si girarono videro Castor in cima alle scale, sbiancato. «Mettiti una camicia e vieni a studiare. Helen, vai a casa.» «Papà, lei non ha» «Subito!» gridò Castor. Lucas non ricordava di avere mai visto il padre così arrabbiato. Helen se ne andò in fretta. Scivolò oltre Castor a capo chino e corse fuori prima che Noel potesse chiederle cos era successo. «Siediti.» «È stata colpa mia. Lei era preoccupata per me» cominciò Lucas, con tono di sfida. «Non mi interessa» rispose Castor, gli occhi di fuoco piantati in quelli del figlio. «Non mi interessa se è cominciata in modo innocente. È finita con te mezzo nudo, le braccia intorno a lei e voi due a pochi passi dal letto.» «Non avrei mai» Lucas non riuscì a mentire. L avrebbe baciata e sapeva che in quel caso non si sarebbe fermato fino a quando qualcuno non lo avesse costretto: o Helen o un cataclisma. La verità era che Lucas non si curava poi tanto che uno zio mai visto fosse il padre di Helen. L amava, e questo non sarebbe mai cambiato, non gli interessava se tutti dicevano che era sbagliato. «Lascia che ti spieghi una cosa.» «Siamo cugini. Lo so» lo interruppe Lucas. «Pensi che non mi renda conto che lei è imparentata con me tanto quanto Ariadne? Eppure la sensazione è diversa.» «Menti a te stesso» disse cupo Castor. «I Discendenti sono perseguitati dall incesto fin dai tempi di Edipo. E ci sono stati altri in questa Casa che si sono innamorati dei cugini di primo grado, come è capitato a te e a Helen.» «A loro cos è successo?» chiese Lucas, guardingo. Sapeva già che la risposta di suo padre non gli sarebbe piaciuta. «Il risultato è sempre lo stesso» disse Castor fissandolo intensamente. «Proprio come per Elettra, i bambini nati dai Discendenti imparentati soffrono sempre della più tremenda delle maledizioni. La follia.» Lucas si sedette, con la mentre che andava a mille, cercando di trovare un modo per uscire da quella situazione. «Noi noi non dobbiamo per forza avere figli.» Nessun segnale di avvertimento, nessun indizio che Lucas si fosse spinto troppo oltre. Senza dire niente, suo padre lo caricò come un toro. Lucas saltò in piedi, ma non sapeva cos altro fare. Era due volte più forte di suo padre, ma le mani rimasero passive lungo i fianchi mentre Castor lo afferrava per le spalle e lo spingeva indietro fino a inchiodarlo al muro. Castor trafisse il figlio con lo sguardo e per un attimo Lucas fu convinto che suo padre lo odiasse. «Come fai a essere così egoista?» ringhiò, la voce che trasudava disgusto. «Non sono sopravvissuti abbastanza Discendenti perché uno qualsiasi di voi due decida di non avere figli. Stiamo parlando della nostra specie, Lucas!» Poi, come per chiarire la cosa, Castor lo sbatté contro il muro con così tanta forza che l intonaco cominciò a sbriciolarsi. «Le quattro Case devono sopravvivere e restare separate per mantenere la Tregua e tenere gli dèi imprigionati nell Olimpo, altrimenti ogni mortale del pianeta ne subirà le conseguenze!» «Lo so!» gridò Lucas. L intonaco dal muro crollò su di loro, riempiendo l aria di polvere mentre Lucas si divincolava dalla morsa paterna. «Ma ci sono altri Discendenti che possono farlo! Cosa importa se io e Helen non abbiamo figli?» «Helen e sua madre sono le ultime della loro stirpe! Helen deve partorire un Erede per preservare la Casa di Atreo e tenere le Case separate non solo per questa generazione ma per quelle a venire!» Castor stava gridando. Sembrava indifferente alla polvere bianca e alle crepe sul muro. Era come se tutto quello in cui aveva creduto stesse crollando sulla testa di Lucas, ricoprendolo di detriti. «La Tregua è durata migliaia di anni e deve durare ancora, altrimenti gli abitanti dell Olimpo trasformeranno di nuovo i mortali e i Discendenti nei loro gingilli, facendo scoppiare la guerra e stuprando le donne e lanciandoci orrende maledizioni» continuò imperterrito Castor. «Pensi che qualche centinaio di noi basterà a preservare la nostra razza e mantenere la Tregua? Non è sufficiente se vogliamo durare più a lungo degli dèi. Dobbiamo sopravvivere, e per farlo ognuno di noi deve procreare.» «Ma cosa vuoi da noi?» reagì gridando all improvviso Lucas, spingendo via il padre e staccandosi dal muro pericolante. «Farò il mio dovere per la mia Casa, e lei pure. Avremo dei figli con un altra persona, se è questo che dobbiamo fare troveremo un modo! Ma non chiedermi di stare lontano da lei perché non posso. Possiamo obbedire a qualsiasi altra cosa tranne quella.» Si guardarono in cagnesco, entrambi col fiato grosso per l emozione e coperti di polvere ispessita dal sudore. «È tanto facile per te decidere cosa Helen può e non può gestire, vero? L hai osservata di recente?» chiese con astio Castor, lasciando andare il figlio con un espressione disgustata. «Quella ragazza sta soffrendo, Lucas.» «Lo so! Non pensi che farei qualsiasi cosa per aiutarla?» «Qualsiasi cosa? Allora sta alla larga da lei.» Era come se tutta la sua rabbia fosse defluita in un lampo: invece di gridare, adesso stava

implorando il figlio. «Hai pensato che quello che lei sta facendo agli Inferi potrebbe non solo riportare la pace tra le Case, ma anche far tornare Hector in questa famiglia? Abbiamo già perso così tanto. Ajax, Aileen, Pandora.» La voce di Castor si ruppe non appena pronunciò il nome della sorella. La sua morte era ancora troppo recente. «Helen sta affrontando qualcosa che nessuno di noi riesce a immaginare, e ha bisogno di ogni briciolo di forza di cui dispone per farcela. Per il nostro bene.» «Ma io posso aiutarla» disse Lucas, il quale voleva solo che il padre capisse. «Non posso seguirla giù agli Inferi, ma posso ascoltarla e sostenerla.» «Pensi di aiutarla, ma in realtà la stai uccidendo» disse Castor scuotendo il capo tristemente. «Potrai anche controllare quello che provi per Helen, ma lei non riesce a gestire quello che prova per te. Sei suo cugino e il senso di colpa la dilania. Perché sei l unico a non accorgertene? Ci sono migliaia di ragioni per cui dovresti startene alla larga, ma se non ti interessano, almeno stai lontano da Helen perché è la cosa migliore per lei.» Lucas avrebbe voluto essere d accordo, ma non poteva. Si ricordava che Helen gli aveva detto una cosa: se gli avesse parlato degli Inferi, più tardi l avrebbe pagata. Castor aveva ragione. Più intimi diventavano, più lui le faceva del male. Di tutte le argomentazioni che aveva usato suo padre, questa era quella che lo faceva soffrire di più. Si trascinò fino al divano e si sedette per non far vedere che gli tremavano le gambe. «Cosa dovrei fare?» Lucas era completamente allo sbando. «È come l acqua di un fiume che scorre verso il mare. Lei viene da me in modo naturale. E io non posso mandarla via.» «Allora costruisci una diga.» Castor sbuffò e si mise davanti al figlio, pulendosi il viso dall intonaco. Sembrava così fragile Come se avesse appena perso un incontro. Eppure aveva vinto e a Lucas aveva portato via tutto. «Tu devi essere quello che la ferma. Niente confidenze reciproche, niente corteggiamenti a scuola e niente chiacchierate sottovoce nei corridoi bui. Devi fare in modo che ti odi, figliolo.» Helen e Cassandra stavano lavorando in biblioteca, cercando di trovare qualcosa qualsiasi cosa che potesse aiutare Helen agli Inferi. Era un pomeriggio frustrante, perché più leggevano, più restavano convinte che buona parte delle cose scritte sull Ade fossero opera di scribacchini medievali imbottiti di droga. «Hai mai visto qualche scheletro di cavallo parlante nell Ade?» domandò Cassandra scettica. «No. Niente scheletri parlanti. Nemmeno di cavalli» rispose Helen, stropicciandosi gli occhi. «Penso che questa la possiamo gettare tranquillamente nel mucchio era-fuori-come-un-balcone.» Cassandra posò la pergamena e fissò Helen per qualche momento. «Come ti senti?» Helen fece spallucce e scosse il capo, senza tanta voglia di parlare. Da quando Castor aveva beccato lei e Lucas davanti alla camera da letto, ogni volta che doveva venire lì a studiare si muoveva in punta di piedi. Di solito agli Inferi, almeno una o due notti alla settimana, si ritrovava a camminare lungo una spiaggia infinita che non portava mai all oceano. Era irritante perché sapeva che quella spiaggia non arrivava da nessuna parte, ma rispetto all essere intrappolata nella casa infernale era una specie di vacanza. Non sapeva quanto a lungo l avrebbe sopportato, e purtroppo non poteva parlarne con nessuno. Come avrebbe mai potuto spiegare il cappotto rivoltante e le sudice tendine color pesca senza sembrare ridicola? «Penso che dovrei andare a casa a mangiare qualcosa» disse Helen, cercando di non pensare alla notte che la attendeva. «Ma è domenica. Mangi qua, no?» «Mmm. Non penso che tuo padre mi voglia ancora in giro.» E penso che non lo voglia nemmeno Lucas. Non l aveva guardata dal giorno in cui Castor li aveva sorpresi abbracciati, e anche se lei aveva provato diverse volte a sorridergli nei corridoi della scuola, lui aveva tirato sempre dritto come se nemmeno la vedesse. «È assurdo» rispose decisa Cassandra. «Tu fai parte della famiglia. E se non vieni a cena, mia mamma si offende.» Girò intorno al tavolo e prese Helen per mano, guidandola fuori dalla biblioteca. Helen rimase così sorpresa dal gesto stranamente affettuoso di Cassandra che la seguì docile. Era più tardi di quanto non pensassero e la cena era già pronta. Jason, Ariadne, Pallas, Noel, Castor e Lucas erano seduti a tavola. Cassandra prese il solito posto vicino al padre e rimase libero solo il posto sulla panca, tra Ariadne e Lucas. Mentre scavalcava la panca, Helen per sbaglio urtò Lucas, toccandogli il braccio. Poi si accomodò. Lucas si irrigidì e cercò di spostarsi più in là. «Scusami» balbettò Helen, cercando di allontanarsi a sua volta, ma non c era abbastanza spazio su quella panca. Sentì che Lucas era infastidito, così fece passare una mano sotto il tavolo e gli strinse la sua come a chiedere «Cosa c è che non va?». Lui la sfilò subito. L occhiata che le lanciò era così carica d odio che le fece gelare il sangue nelle vene. A tavola calò il silenzio e tutti puntarono gli occhi su loro due. Lucas ribaltò la panca all indietro, facendo cadere Helen, Ariadne e Jason per terra. Adesso torreggiava su Helen, guardandola in cagnesco. Aveva il viso stravolto dalla rabbia. Anche quando erano stati posseduti dalle Furie, e Helen e Lucas se le erano date di santa ragione, lei non aveva mai avuto paura di lui. Ma adesso quegli occhi sembravano neri e strani come se dietro non ci fosse più lui. Purtroppo sapeva che non era solo colpa della luce: un ombra era cresciuta in lui e aveva spento il bagliore di quei luminosi occhi azzurri. «Noi non ci teniamo per mano. Tu non mi rivolgi la parola. Tu non mi guardi NEMMENO, hai capito?» continuò senza pietà. La voce si trasformò da un bisbiglio stridulo a un urlo rauco mentre Helen si trascinava via sotto shock. «Lucas, basta così!» Noel aveva un tono quasi sgomento. Nemmeno lei, come Helen, riconosceva più suo figlio. «Noi non siamo amici!» ringhiò Lucas, ignorando la madre e continuando a incedere minaccioso verso Helen. Lei si ritirò tremante, indietreggiando lentamente, le sneaker che strisciavano sulle piastrelle, in cerca di appoggio. «Lucas, che diavolo?» gridò Jason, ma il cugino ignorò anche lui. «Non ci frequentiamo, non scherziamo e non condividiamo più niente. E se MAI ti venisse in mente di avere il DIRITTO di sederti di nuovo accanto a me» Lucas allungò una mano per afferrare Helen, ma il padre gli prese il braccio da dietro, impedendogli di farle del male. Poi la ragazza vide Lucas fare qualcosa che non avrebbe mai immaginato: lo vide girarsi e colpire suo padre. L urto fu così violento che Castor volò attraverso la cucina sbattendo contro la credenza sopra il lavello, dove c erano i bicchieri e le tazze. Noel gridò, coprendosi il viso, mentre le schegge schizzavano da tutte le parti. Era l unica persona totalmente mortale in una stanza di Discendenti guerrieri e rischiava seriamente di farsi male. Ariadne corse da Noel e usò il suo corpo per proteggerla, mentre Jason e Pallas saltarono addosso a Lucas cercando di atterrarlo. Sapendo che la sua presenza non avrebbe fatto altro che irritarlo ancora di più, Helen si mise in ginocchio e scivolando sui cocci arrancò

fino alla porta, poi decollò. Mentre volava a casa, cercò di ascoltare il suono del proprio corpo che fendeva l aria rarefatta. I corpi in genere producono un chiasso infernale. In un posto silenzioso come gli Inferi o l atmosfera emettono ogni tipo di sbuffo, sussulto e gorgoglio. Ma il corpo di Helen era muto come una tomba. Non sentiva nemmeno battere il proprio cuore. Dopo quello che aveva appena passato, sarebbe dovuto andare a mille, ma avvertiva solo una pressione intollerabile, come se un ginocchio gigante le premesse contro il petto. Forse non stava battendo perché si era spappolato e poi fermato. «Non era questo che volevi?» gridò Lucas a suo padre mentre cercava di divincolarsi. «Adesso mi odierà, sei contento?» «Lasciatelo andare!» gridò Castor a Pallas e a Jason. Si fermarono, ma non lo liberarono subito. Prima si girarono verso Castor, in cerca di una conferma. Castor si alzò in piedi e fece un cenno di assenso prima di emettere la sentenza. «Vattene, Lucas. Esci da questa casa e non tornare finché non sarai in grado di controllare la tua forza quando c è tua madre nei paraggi.» Lucas si pietrificò. Girò la testa appena in tempo per vedere Ariadne asciugare una goccia di sangue dal viso di Noel, le sue mani scintillanti che risanavano all istante la ferita. All improvviso gli tornò in mente un vecchio ricordo, di quando ancora non aveva cominciato a parlare. Perfino appena nato era più forte di sua madre e una volta, mentre faceva i capricci e lei cercava teneramente di calmarlo a suon di baci, lui l aveva schiaffeggiata, spaccandole il labbro. Si ricordava il grido di dolore che Noel aveva lanciato un suono che lo riempiva ancora oggi di vergogna. Aveva rimpianto quel gesto per tutta la vita e da allora non aveva più toccato sua madre, nemmeno con un fiore. Ma adesso sanguinava di nuovo. Per colpa sua. Lucas scostò le braccia da suo zio e da suo cugino, spalancò la porta sul retro e si lanciò nel buio cielo notturno. Non gli importava dove l avrebbe portato il vento.

Due Helen fece qualche breve respiro affannoso. Era la quinta notte di fila in cui scendeva nello stesso punto degli Inferi, e sapeva che meno si muoveva e meno velocemente sarebbe sprofondata nelle sabbie mobili. Perfino respirare troppo a fondo la faceva scendere più in basso. Stava solo prolungando quella tortura, ma proprio non riusciva a sopportare il pensiero di affogare ancora una volta nella melma. Le sabbie mobili non erano certo il luogo più pulito del mondo. Erano piene di corpi morti e Helen poteva sentire i resti putrefatti di ogni tipo di creatura che la sfioravano, mentre lei veniva trascinata lentamente giù. La notte precedente con una mano aveva toccato un viso un viso umano da qualche parte sotto la fanghiglia. Una bolla d aria emerse sprigionando una zaffata schifosa e Helen vomitò, senza riuscire a controllarsi. Di lì a poco sarebbe affondata e il fango putrido le sarebbe entrato nel naso, negli occhi e nella bocca. Pur essendo dentro solo fino alla vita, lei sapeva che la fine era imminente. Cominciò a piangere. Non ne poteva più. «Cos altro posso fare?» gridò, e scivolò ancora. Sapeva che dibattersi non sarebbe servito a niente, ma forse questa volta sarebbe riuscita ad arrivare alle canne secche sull altro lato della pozza e ad afferrarle prima che quel letame la ingoiasse. Si lanciò verso la sponda, ma per ogni centimetro che andava in avanti ne pagava uno in profondità. Quando fu immersa fino al petto fu costretta a fermarsi. Le sabbie mobili le levavano il fiato, come se avesse un peso sopra il petto sempre come se un ginocchio gigante la schiacciasse. «Ho capito, va bene? Mi caccio in questa situazione perché quando vado a dormire sono arrabbiata. Ma come dovrei fare per cambiare quello che provo?» Le sabbie mobili le arrivavano al collo. Helen rovesciò la testa all indietro e alzò il mento, cercando di restare a galla. «Non ce la faccio più da sola» disse al cielo vuoto. «Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti.» «Helen!» gridò una voce profonda e poco familiare. Era la prima volta che sentiva un altra voce agli Inferi, e all inizio pensò che si trattasse di un allucinazione. Aveva il viso ancora rivolto verso l alto e non riusciva a muoverlo per guardare: rischiava di venire risucchiata verso il basso. «Allunga una mano verso di me, se ce la fai» disse il ragazzo con una voce tesa, come se si stesse sforzando di raggiungerla dalla sponda. «Avanti: provaci, maledizione! Dammi la mano!» In quel momento le orecchie di Helen si riempirono di fanghiglia e non riuscì più a sentire niente. Vedeva solo un lampo dorato un luccichio abbagliante che perforava la luce opaca e morta degli Inferi come il raggio di un faro. Con la coda dell occhio colse la fugace apparizione di una mascella squadrata e di una bocca carnosa. Poi, sotto la superficie delle sabbie mobili, sentì una mano calda e forte prendere la sua e tirare. Si svegliò a letto e iniziò a grattarsi via il fango dalle orecchie. Il suo corpo era ancora percorso dall adrenalina, ma lei si costrinse a restare immobile e ad ascoltare. Sentì Jerry lanciare un urlo gracchiante giù in cucina un «OOOH-OOOH» stridulo come una sirena, più adatto a una pista da ballo che alla tranquilla casetta di Nantucket di Helen. Jerry stava cantando. Be, più o meno. Helen esplose in una risata di sollievo. Era sana e salva a casa, e questa volta non aveva niente di rotto, non si era tagliata e non era affogata in uno stagno putrescente. Qualcuno l aveva salvata. O se l era sognato? Pensò a quella voce profonda e a quella mano calda che la tirava fuori. Guaritori come Jason e Ariadne potevano arrivare ai confini degli Inferi con lo spirito, ma nessuno tranne Helen poteva entrarci fisicamente, in carne e ossa. Era impossibile. E Helen era scesa fino al Tartaro il livello più basso. Anche più in basso dello stesso Ade. Nemmeno il Guaritore più potente sarebbe potuto arrivare fin lì. Aveva un tale bisogno di aiuto da soffrire persino di allucinazioni? Chiedendosi se avesse sognato tutto quanto, Helen si tirò a sedere nel letto fradicio e ascoltò suo padre fare scempio di Kiss di Prince mentre preparava la colazione. Jerry non azzeccava una parola, quindi doveva avere l umore alle stelle. Le cose tra lui e Kate andavano alla grande: così alla grande che nelle ultime tre settimane Helen l aveva visto pochissimo. Anche il loro sistema rodato di turni settimanali per cucinare era saltato, ma questo a Helen andava benissimo. Voleva che suo padre fosse felice. Jerry ripeté il verso «you don t have to be beautiful» quattro volte di fila, forse perché non si ricordava gli altri. Helen sorrise e scrollò il capo, pensando a quant era fortunata ad avere un padre come Jerry a svegliarla, anche se come cantante era uno strazio. Non sapeva perché lui non ricordasse mai le parole delle canzoni, ma d altronde non era necessario che un genitore sapesse cantare Prince alla perfezione, anzi, sarebbe stato troppo fastidioso. Scaraventò via le coperte e si mise a fare le pulizie. Due settimane prima Claire l aveva accompagnata sulla terraferma per acquistare i coprimaterasso incerati che usano le mamme quando un bambino fa la pipì a letto, sparando battute a raffica sulla principessa sul pisello. Comprarli era stato abbastanza imbarazzante, ma erano d obbligo visto che ogni notte lei risaliva dagli Inferi sanguinante o incrostata di melma. Si alzò in piedi e cominciò a disfare il letto alla velocità della luce. In lavanderia si tolse i pantaloncini fangosi e buttò via la t-shirt sbrindellata, infilando il salvabile nella lavatrice. Fece una doccia veloce e poi ripercorse il tragitto che aveva fatto per pulire con uno straccio le impronte lasciate sul pavimento. Qualche giorno prima aveva pensato di usare la supervelocità da Discendente per sbrigare in fretta quella nuova pulizia mattutina ormai di rito, ma decise che suo padre se la sarebbe fatta sotto se l avesse vista all opera. E così lei doveva svegliarsi all alba o correre come una matta alla velocità degli umani per coprire ogni traccia, come stava facendo quella mattina. In ritardo cronico, si mise un paio di jeans prima di essersi asciugata e cercò di infilarsi un maglione sui capelli bagnati. In camera l aria era così gelida che non sentiva quasi più le orecchie. «Helen! La colazione si fredda!» gridò Jerry dalle scale. «Oh, santo cielo Che rottura!» imprecò Helen inciampando sullo zaino, dato che aveva ancora il maglione che le copriva il viso e che la costringeva a tenere le braccia alzate sopra la testa. Dopo qualche ondeggiamento, in stile birillo, ritrovò l equilibrio e si fermò a ridere di se stessa, domandandosi come una semidea potesse essere una tale frana. Forse era colpa della stanchezza. Si lisciò i vestiti, prese le cose della scuola e corse giù per le scale prima che suo padre potesse ricominciare a cantare Kiss.

Jerry si era scatenato con la colazione: c erano uova, pancetta, salsiccia, porridge con noccioline e ciliegie secche e, ovviamente, pancake alla zucca. I pancake alla zucca erano uno dei loro piatti preferiti: nel periodo di Halloween, al quale mancava solo una settimana e mezzo, qualsiasi cosa con una zucca tra gli ingredienti finiva sul menù. Era una specie di gara che facevano ogni anno. Era cominciata con i semi di zucca al forno ed era finita con le zuppe e gli gnocchi. Chi trovava un modo per infilare una zucca nel piatto senza farsi scoprire aveva vinto. La sfida era nata quando Helen era piccola. Un giorno di ottobre si era lamentata del fatto che le zucche venissero usate solo per scopi decorativi e anche se le apprezzava con la candela dentro, era secondo lei un grande spreco di cibo. Jerry si era detto d accordo e i due avevano deciso di iniziare a mangiare la zucca invece di limitarsi a svuotarla e a buttarla via. Purtroppo scoprirono che da sole erano praticamente immangiabili. Se non avessero aggiunto un po di creatività in cucina, avrebbero abbandonato la crociata Salvate le Zucche già al primo anno. C erano state molte ricette nauseabonde, i ghiaccioli alla zucca erano di gran lunga la peggiore, mentre i pancake restavano il loro più grande successo. A fine ottobre erano diventati una tradizione culinaria della famiglia Hamilton, tanto quanto il tacchino il giorno del Ringraziamento. Helen notò che suo padre aveva montato la panna e questo la fece sentire così in colpa che non riuscì quasi a guardarlo. Era evidentemente preoccupato per lei. «Era ora! Cosa facevi lassù? L uncinetto?» scherzò Jerry, cercando di non sembrare troppo allarmato, mentre la squadrava da capo a piedi. Per un attimo strabuzzò gli occhi con aria ansiosa e strinse le labbra in una smorfia, poi si girò verso il forno e cominciò a servire in tavola. Jerry non era un padre ossessivo, ma Helen era dimagrita molto nelle ultime tre settimane abbastanza da farlo impensierire e questa colazione luculliana era il suo modo per aiutarla senza doverle fare una lezioncina pedante. Helen amava il modo in cui suo padre gestiva le cose, non la tormentava come avrebbero fatto altri genitori se avessero visto la figlia diventare uno spaventapasseri, ma gli importava abbastanza da provare a porvi rimedio. Helen cercò di rivolgergli un sorriso incoraggiante, prese un piatto e cominciò a ingozzarsi; ogni pietanza sapeva di segatura, ma ingurgitò comunque tutte quelle calorie. L ultima cosa che voleva era far preoccupare il padre, anche se a dire il vero perfino lei cominciava a essere leggermente in ansia. Guariva in fretta da qualsiasi ferita le venisse inflitta agli Inferi, ma ogni giorno si sentiva sempre più debole. Però non aveva scelta doveva insistere fino a scovare le Furie, poco importava quanto quella ricerca la stremasse. Aveva fatto una promessa. Anche se adesso Lucas la odiava, lei l avrebbe mantenuta. «Devi masticarla la pancetta, Helen» disse suo padre, sarcastico. «Non si scioglie in bocca.» «Ah, è così che funziona?» Rendendosi conto che era rimasta seduta lì come uno stoccafisso, si costrinse a scherzare in modo normale. «Non lo sapevo.» Mentre il padre ridacchiava, Helen scacciò il pensiero di Lucas dalla sua mente e ripensò a tutti i compiti che non aveva fatto. Non aveva nemmeno finito di leggere l Odissea, non perché non ne avesse voglia, ma perché non trovava il tempo. Non riusciva a stare dietro a tutti i suoi impegni. Non solo, il suo prof preferito, Hergie, continuava a pungolarla per farle frequentare i corsi di orientamento all università. Le mancava solo di aggiungere qualche altro libro Claire arrivò rombando sul vialetto con la nuova macchina ibrida che i genitori le avevano comprato e gridò «Poti-poti!» dal finestrino invece che suonare il clacson. Mentre Jerry cercava, senza riuscirci, di non starle addosso, Helen si ficcò in bocca quel che restava del pancake, rischiando quasi di strozzarsi, e corse fuori dalla porta con le scarpe slacciate. Scese in fretta gli scalini, lanciando un occhiata al terrazzino sul tetto, anche se sapeva che l avrebbe trovato vuoto. Lucas aveva detto chiaro e tondo che non ci avrebbe mai più messo piede. Non sapeva perché continuava a buttarci l occhio, ma proprio non riusciva a impedirselo. «Abbottonati il cappotto, fa freddo» la ammonì Claire non appena Helen salì in macchina. «Sei una pasticciona» continuò mentre ingranava la marcia. «Mmm Buongiorno non si usa più?» disse lei sgranando gli occhi. Claire era la migliore amica di Helen da quando erano piccole e aveva dunque tutti i titoli per sgridarla ogni volta che voleva. Ma doveva proprio cominciare così presto? Helen aprì bocca per spiegare, ma Claire non si trattenne. «I vestiti ti stanno larghi, ti mangi troppo le unghie e hai le labbra screpolate» sbottò Claire, sovrastando la flebile protesta dell amica, mentre usciva dal vialetto. «E hai delle borse sotto gli occhi orribili, sembra che qualcuno ti abbia presa a cazzotti! Ma almeno ci provi a prenderti cura di te?» «Sì, ci sto provando» farfugliò lei, mentre ancora cercava di abbottonarsi il cappotto. All improvviso sembrava un impresa più complicata di un quesito matematico in cinese. Ci rinunciò e si girò verso Claire, alzando le mani per la frustrazione. «Io qui mangio, ma agli Inferi non c è cibo e non riesco a buttare giù abbastanza roba quando sono nel mondo reale per compensare. Fidati, ce la sto mettendo tutta. Mio padre mi ha preparato una colazione che avrebbe sfamato un bisonte.» «Be, avresti almeno potuto metterti un po di fard. Sei bianca come un lenzuolo.» «Lo so che sto da cani. Ma ho altre cose per la testa. Tutta questa faccenda della discesa agli Inferi non è una passeggiata, sai.» «Allora non andarci tutte le notti!» esclamò Claire come se fosse ovvio. «Prenditi una pausa ogni tanto! Ovviamente non risolverai tutto nel giro di poche settimane!» «Pensi che dovrei trattare le Furie come un lavoro part-time?» gridò di rimando Helen, ritrovando una buona volta la voce. «Sì!» rincarò Claire e, visto che era la più grande urlatrice al mondo, Helen si ritrasse sul sedile, rintuzzata da quell amica tanto esile. «Sono tre settimane che ti vedo così e ne ho abbastanza! Non troverai mai le Furie se sei talmente stanca da non riuscire nemmeno a vedere i tuoi piedoni!» Dopo una breve esitazione, Helen scoppiò a ridere. Claire cercò di restare seria, ma alla fine ci rinunciò e sfoderò la sua incredibile risata proprio mentre entravano nel parcheggio della scuola. «Nessuno penserà male di te se deciderai di limitarti ad andarci una o due volte alla settimana» disse dolcemente Claire mentre scendevano dalla macchina e si avviavano verso l ingresso. «Non riesco a credere che tu ti costringa a calarti in quell orrore. Io non ce la farei mai.» Claire ebbe un brivido, ricordandosi il suo recente scontro con la morte quando Matt aveva investito Lucas in macchina. Claire era quasi rimasta uccisa nell incidente e la sua anima si era incamminata verso le terre aride, al limite degli Inferi. Il pensiero di quei luoghi la spaventava ancora dopo settimane. «Lo faresti se fossi costretta, Ridarella. E poi comunque non funziona così. Non è una cosa che decido di fare.» Helen fece correre un braccio intorno alle spalle dell amica per distrarla dal ricordo inquietante della sete e della solitudine nelle terre aride. «Io semplicemente vado a dormire e vengo catapultata lì. Ancora non riesco a controllare la cosa.» «Come mai Cassandra non lo sa? Con tutta la sua intelligenza e le sue ricerche accurate» disse Claire con tono sarcastico. Helen fece segno di no: preferiva non essere coinvolta nella faida tra Claire e Cassandra. «Non dare la colpa a lei» disse prudente. «Non esiste un vero e proprio manuale per la discesa agli Inferi. O almeno io e Cassandra non

l abbiamo trovato in quella pila di libri greci e latini che la famiglia Delos chiama archivio. Sta facendo del suo meglio.» «Allora è deciso» disse Claire, incrociando le braccia e socchiudendo gli occhi convinta. «Deciso cosa?» domandò Helen con tono preoccupato mentre apriva il lucchetto dell armadietto. «Ovviamente tu e Cassandra non potete farcela da sole. Avete bisogno d aiuto. E che lei lo voglia o no, vi darò una mano.» Claire fece spallucce come se la faccenda fosse sistemata, ma non lo era per niente. Cassandra sottolineava che gli archivi erano solo per gli Oracoli, per le sacerdotesse e i sacerdoti di Apollo, anche se non ce ne erano stati nel corso degli ultimi tremila e cinquecento anni. Matt, Claire, Jason e Ariadne si erano offerti di aiutarla chissà quante volte, ma lei non aveva accettato perché sarebbe andato contro la tradizione, e per un Discendente andare contro la tradizione era escluso. Le Parche odiavano tutti i Discendenti, ma quelli che infrangevano la tradizione venivano presi di mira in modo particolare. In più quel genere di archivio era maledetto. Cassandra ammetteva Helen in biblioteca solamente perché nessuno era in grado di concepire un maleficio che potesse farle del male: lei era protetta dal Cinto, nel mondo reale era invulnerabile a quasi tutto. Ma Claire no, poco ma sicuro. Helen seguì quella cocciuta della sua amica lungo il corridoio, sentendo le spalle piegarsi sempre di più a ogni passo. Non voleva andare contro Cassandra, ma quando Claire si metteva in testa qualcosa non c era modo di farla ragionare. Helen sperava solo che qualsiasi piano Claire stesse architettando non la condannasse a essere sfigurata dalle pustole o tormentata dai pidocchi o le procurasse un altra maledizione ugualmente orrenda. Claire rischiava grosso. La campanella suonò proprio quando le due amiche entrarono nell aula magna. Il prof Hergesheimer, detto «Hergie» a sua insaputa, scoccò loro un occhiataccia. Era come se quell uomo riuscisse a leggere nel pensiero di Claire e scoprisse così tutti i guai che combinava. Hergie assegnò a entrambe una lista di parole da imparare per la mattina successiva, come punizione preventiva per qualsiasi cosa avessero combinato. Da quel momento in poi, la giornata di Helen fu tutta in salita. Non era mai stata la studentessa più concentrata del mondo, e adesso che passava le nottate ad aggirarsi negli Inferi, l interesse per la scuola era pari a zero. Veniva sgridata da tutti i professori, ma c era un suo compagno che stava combinando anche di peggio. Mentre la prof di fisica rimproverava Zach per non aver preso appunti, Helen si domandò cosa gli fosse successo. Lui era sempre stato un ragazzo sveglio e attento. Di solito lo era anche troppo e ficcava il naso dove non avrebbe dovuto. Invece non l aveva mai visto così stremato e distratto. Cercò di incrociarne lo sguardo e sorridere per esprimergli solidarietà, ma lui si girò dall altra parte. Helen rimase lì seduta a fissargli il viso impassibile finché non si ricordò che una settimana prima aveva sentito dire che Zach aveva lasciato la squadra di football. L allenatore era suo padre, il signor Brant, e Helen sapeva che lui voleva che Zach fosse impeccabile in ogni cosa. Era impossibile che gli permettesse di mollare senza litigare. Chissà cos era successo fra quei due Qualsiasi cosa fosse, non doveva essere stata piacevole. Zach aveva un aspetto orribile. Quando alla fine dell ora suonò la campanella, Helen cercò di avvicinarlo e chiedergli se stava bene, ma lui uscì in fretta dall aula. C era stato un periodo della loro vita in cui erano stati amici al campo giochi lui divideva la merenda con lei e ora nemmeno la degnava di uno sguardo. Helen aveva appena deciso di chiedere a Claire di Zach e di quel suo umore misterioso durante l ora di corsa campestre, quando intravide Lucas da lontano. Tutto il resto svanì come un disegno tracciato col gesso sotto la pioggia. Lui stava tenendo la porta aperta a un compagno più basso, che passò sotto il suo braccio. Lucas si girò senza un motivo particolare e quando la vide socchiuse gli occhi per la rabbia. Helen restò di sasso. Le sembrava che qualcuno le avesse schiacciato di nuovo il petto. Quello non è Lucas, pensò, senza riuscire a respirare o a battere ciglio. Mentre lui spariva nella calca degli studenti indaffarati, lei si fece strada per scendere negli spogliatoi a mettersi la tuta, con la mente vuota come il cielo limpido dopo una tempesta. Quando arrivò Claire in pista, Helen cominciò subito a tempestarla di domande. Qualche settimana prima aveva escogitato un trucchetto aveva capito che quando le faceva il terzo grado, Claire non trovava il tempo di chiederle come stava. Ma questa volta l amica aveva davvero bisogno di parlare. Per Jason era una giornataccia e lei era preoccupata per lui. Jason e Claire non stavano ufficialmente insieme, ma da quando lui l aveva guarita erano ovviamente qualcosa di più che amici. Erano diventati intimi in fretta e adesso Jason si confidava solo con lei. «Vai a casa sua dopo la corsa?» chiese placida Helen. «Sì, non voglio lasciarlo solo proprio adesso. Soprattutto visto che Lucas se n è andato.» «In che senso?» domandò Helen, allarmata. «Non è più tornato a casa da quando?» Da quando mi ha detto di andare al diavolo, ha colpito suo padre, ha rischiato di ferire sua madre e si è fatto cacciare di casa? concluse Helen mentalmente. Claire sembrava averle letto nel pensiero, così prima di spiegarle tutto la prese per mano nel tentativo di consolarla. «No, da allora ripassa ogni tanto da casa. Si è scusato con i suoi genitori e loro lo hanno perdonato, ovviamente. Ma si fa vedere il meno possibile. Nessuno sa dove vada o cosa faccia, e se devo essere sincera tutti sono troppo impauriti per chiederglielo. È cambiato, Helen. Non parla quasi con nessuno Tranne che con Cassandra, forse. Sparisce subito dopo la scuola e certe volte non torna a casa fino all una o alle due di mattina. Quando torna. I genitori lo lasciano fare perché, be, senza Hector in giro, nessuno può davvero fermarlo. Jason è preoccupato» ammise prima di guardare in tralice Helen. «Tu non l hai mica visto di recente?» «Oggi. Ma solo per un attimo, in fondo al corridoio» rispose lei, chiudendo il discorso prima che Claire cominciasse a chiederle come stava. «Senti, devo aumentare il ritmo. Tu stai bene? O vuoi parlarne ancora?» «Vai pure avanti» disse Claire corrucciata. Helen le fece un sorrisino per farle capire che era tutto ok, anche se non era proprio così, poi accelerò per arrivare al traguardo in un tempo che il coach Tar trovasse soddisfacente. Lucas vide Helen in fondo al corridoio e si costrinse a fare una smorfia rabbiosa, cercando di farsi odiare o temere da lei qualsiasi cosa servisse a tenerla a distanza solo per il suo bene, ma non vedeva né odio né paura nei suoi occhi. Non gli diede le spalle come si sarebbe aspettato, sembrò solo smarrita. Si sentiva come se stesse masticando vetro, ma si costrinse a girarsi e a proseguire lungo il corridoio. Voleva solo allontanarla. Le cose però gli erano sfuggite di mano: colpire suo padre, far sanguinare sua madre, provare quella rabbia cieca. Lucas sapeva come la rabbia lo cambiasse, lui e Hector lottavano da quando si reggevano in piedi. Ma una sensazione del genere non l aveva mai provata prima. Qualcosa si era risvegliato dentro di lui, qualcosa di cui non aveva mai sospettato l esistenza. Il genio era uscito dalla lampada e non ci sarebbe più rientrato. Dopo aver finito la lunga corsa, Helen decise che sarebbe andata al lavoro a piedi per riflettere un po, così mandò un messaggio a Claire per dirle che quel pomeriggio non avrebbe avuto bisogno di un passaggio e soffocò il sospetto che l amica probabilmente ne sarebbe stata contenta.

Non si erano mai evitate prima, ma le cose erano cambiate. La vita le stava spingendo in direzioni opposte, e Helen cominciava a domandarsi se la loro amicizia avrebbe retto. Il solo pensiero la faceva quasi piangere. La temperatura precipitò non appena Helen arrivò sulla Surfside Road, verso il centro del paese. Aveva la giacca sbottonata e, con lo zaino su una spalla e la borsa da ginnastica sull altra, non riusciva a chiuderla a dovere. Sbuffando esasperata, Helen si liberò delle borse. Quando si piegò per appoggiarle, ebbe una strana vertigine. Per un attimo le sembrò che il marciapiede non combaciasse con la strada, come se ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato nella sua percezione della profondità. Si raddrizzò per riprendere fiato e alzò un braccio nel timore di svenire, aspettando che quel giramento di testa finisse. Un attimo dopo le vertigini erano passate ma vennero sostituite da una sensazione ancora più fastidiosa. Aveva l impressione di essere osservata, come se qualcuno fosse proprio lì davanti a lei e la fissasse dritto negli occhi. Arretrò di un passo e allungò le mani, ma non trovò altro che l aria. Guardandosi intorno, nervosa, girò sui tacchi, prese le borse e corse fino in centro. Cassandra aveva profetizzato che nessuno avrebbe aggredito Helen a breve, ma non aveva garantito che l avrebbero lasciata in pace. Helen sapeva che molto probabilmente qualcuno dei Cento Cugini la stava spiando, solo non si aspettava che questa cosa la mandasse tanto in paranoia. All improvviso immaginò di sentire il fiato di una persona sul collo. Il pensiero la fece arrivare di filato dentro al negozio, come se qualcuno le stesse alle calcagna. «Che c è?» domandò Kate. Guardò alle spalle di Helen. «C è qualcuno che ti insegue?» «No, niente, niente» rispose Helen con un sorriso falso. «Il freddo mi ha messo i brividi.» Kate le lanciò uno sguardo scettico, ma Helen la evitò e andò a sistemare le sue cose dietro la cassa prima che lei facesse in tempo a indagare. «Hai mangiato qualcosa dopo la corsa?» domandò Kate. «Vai nel retro e fatti un sandwich» le ordinò, visto che Helen non aveva risposto al volo. «Non ho tanta fame» cominciò lei, ma Kate la interruppe bruscamente. «Ma davvero? Be, fattela venire» la ammonì, con un pugno sporco di farina appoggiato a un fianco. Helen si zittì e andò sul retro. Si sentiva come se Kate e Jerry la stessero incolpando di quella perdita di peso. Ma a nessuno dei due poteva spiegare cosa stava succedendo realmente. Helen spalmò del burro d arachidi su una fetta di pane e ci fece colare del miele prima di staccare un enorme morso rabbioso. Masticò meccanicamente, senza quasi notare la palla appiccicosa di pane e noccioline che le sigillava la bocca. Le sembrava di essere sempre sul punto di soffocare, come se avesse un grumo di parole bloccato in gola. Che cos era un po di burro d arachidi in confronto? Si scolò un bicchiere di latte e tornò di malavoglia nel negozio, sentendosi ancora in colpa per qualcosa di cui non era affatto responsabile. Per tutto il resto del pomeriggio evitò Kate per ripicca. Dopo qualche ora di lavoro, in cui le era sembrato di camminare su dei gusci d uovo, Helen mentì e disse che Claire sarebbe passata a prenderla. Fuori nel buio, sicura che nessuno potesse vederla, decollò nel cielo notturno e volò a casa. Sfrecciò verso l alto, spingendosi fin dove l aria rarefatta le sfondava i timpani e le perforava i polmoni. Una volta aveva giurato a Lucas che non avrebbe mai lasciato l isola senza prima essersi allenata a sufficienza per affrontare i viaggi oceanici, e tecnicamente aveva mantenuto la promessa. Era ancora sopra Nantucket, solo molto in alto. Continuò a salire finché non riuscì a vedere la ragnatela splendente di lucine notturne che connetteva tutto il continente sotto di lei. Volò finché i suoi occhi non si riempirono di lacrime e il pianto le si congelò sulle guance. Si allungò lasciando che il suo corpo ondeggiasse e la sua mente si svuotasse da ogni pensiero. Ecco come doveva essere nuotare nell oceano senza alcuna paura, ma preferiva comunque nuotare in un oceano di stelle. Fluttuò finché il freddo e la solitudine non divennero intollerabili, e poi planò lentamente a terra. Scese davanti a casa e corse verso la porta, sperando che suo padre non si accorgesse che non era uscita da una macchina, ma presto si rese conto che in cucina non c era nessuno. Fece capolino in camera di Jerry giusto per essere sicura, ma non era nemmeno lì. Poi si ricordò che era venerdì sera, il che voleva dire che lui e Kate probabilmente erano usciti. Visto che lei e Kate non avevano parlato per quasi tutto il pomeriggio, Helen non aveva pensato di chiederle se Jerry sarebbe rimasto a dormire da lei o no. Adesso le dispiaceva averle tenuto il broncio. La casa era troppo vuota e il silenzio sembrava invaderle violentemente le orecchie. Si lavò il viso e i denti, poi andò a letto. Tenne gli occhi aperti il più a lungo possibile, cercando di restare sveglia, ma si sentiva così stanca da essere sull orlo delle lacrime. Sapeva che, se si fosse assopita, sarebbe scesa agli Inferi e sarebbe stata catapultata in una solitudine ancora più avvolgente di quella che provava nel mondo reale. E più restava a letto sveglia, più i suoi pensieri si rivolgevano a Lucas. Si strofinò il viso e cercò di fermare le lacrime brucianti che le salivano agli occhi. Quel peso insopportabile cominciò a schiacciarle di nuovo il petto. Non poteva cedere, altrimenti, nel giro di pochi minuti, si sarebbe rotolata nella fanghiglia di quella buca infernale. Poi però un pensiero le attraversò la mente: forse questa volta laggiù non sarebbe stata sola. Sapeva che quel salvatore probabilmente era stato un miraggio, ma ormai non aveva più nulla da perdere. Perfino parlare a un miraggio era preferibile che vagare agli Inferi da sola. Mentre si concentrava sulla voce profonda che aveva sentito, si concesse di addormentarsi. Immaginò un lampo d oro, una bocca bellissima che pronunciava il suo nome, mentre qualcuno tendeva una mano per prenderla Helen si trovava in mezzo a una pianura coperta di erba secca e circondata da una serie di colline ondulate. Era già stata in quella parte degli Inferi, ma qualcosa era cambiato. Non riusciva bene a capire cosa, ma tutto sembrava leggermente diverso: tanto per cominciare, un suono vibrava nell aria. Non ricordava di avere mai sentito un suono agli Inferi che non avesse emesso lei, nemmeno il frusciare del vento nell erba. In un certo senso gli Inferi sembravano reali, e non solo parte di un terribile incubo. Helen aveva provato la stessa sensazione, anche se per poco tempo, quando era stata salvata miracolosamente dalla fossa. Per quanto fosse strano, l idea bastava a sollevarla. Per qualche ragione adesso l Ade era meno infernale. Guardandosi intorno, si ricordò di quella scena nel Mago di Oz in cui Dorothy vedeva per la prima volta a colori. Scrutò in lontananza e vide guizzare dei lampi dorati, accompagnati da urla, grugniti e fragori. C era una battaglia in corso, e sembrava anche violenta. Se non altro Helen poteva essere certa di una cosa: il tizio con le mani calde non era un miraggio. Iniziò a correre il più velocemente possibile verso il campo di battaglia e, appena superato un piccolo dosso, vide un ragazzo enorme, con una lunga zazzera di riccioli castani, che con un pugnale teneva a distanza una creatura volante, simile a un pipistrello, che gli vorticava intorno alla testa. Mentre Helen correva verso di lui, sentì l arpia soffiare e imprecare, mentre provava a dilaniare l avversario con gli artigli. Anche se lottava per la propria vita, Helen non riuscì a non pensare che quel tizio avesse bisogno di un bel taglio di capelli.

Il «capellone» ebbe la meglio per un attimo e Helen lo vide sogghignare, un po per la sorpresa e un po per il compiacimento. Poi, quando il ragazzo si rese conto che le cose non si stavano mettendo bene, quel ghigno diventò una smorfia di disprezzo per se stesso. Anche se lottava con passione, il tizio evidentemente non perdeva mai il senso dell umorismo. «Ehi!» gridò Helen avvicinandosi ai due. Il capellone e l arpia fecero una pausa nel bel mezzo della lotta, continuando a tenersi avvinghiati. La bocca del capellone si allargò in un sorriso di sorpresa. «Helen» riuscì a borbottare, come se nella vita avesse sempre un paio di artigli alla gola. Lei rimase così sorpresa dalla sua nonchalance che scoppiò quasi a ridere. Poi tutto cambiò di nuovo. Ogni cosa cominciò a rallentare e l aria sembrò ispessirsi intorno a lei, e Helen capì che nel mondo reale il suo corpo stava per svegliarsi. Una parte del suo cervello stava cominciando a registrare un fastidioso suono in un mondo distante, e capì che non avrebbe mai raggiunto il capellone prima di svegliarsi. Si guardò intorno disperata, poi si piegò e raccolse un sasso, si alzò e lo lanciò verso quel mostro e il sasso dagli Inferi andò dritto contro la finestra di camera sua, mandandola in mille pezzi.

Tre Helen si tirò a sedere con il fastidioso trillo della sveglia nelle orecchie. Era la prima notte in cui avrebbe preferito restare agli Inferi e invece si era svegliata, maledizione! Era ancora buio, ma anche nell oscurità che precede l alba poteva vedere il pasticcio che aveva combinato. Jerry l avrebbe uccisa. Kate poteva anche appellarsi a qualche raro «disturbo del sonno», ma questa volta suo padre l avrebbe uccisa e basta. Lui stava molto attento a non disperdere il calore come se il termostato della casa e il suo umore fossero direttamente collegati e ora le raffiche gelide stavano soffiando attraverso il vetro rotto della finestra. Si diede uno schiaffo sulla fronte e si lasciò cadere sul materasso. Sarebbe stata punita: quella mostruosità volante probabilmente aveva divorato il Capellone e tutto perché Helen doveva svegliarsi a quell ora assurda per andare alle gare d atletica sulla terraferma. Fare sport al liceo è complicato per chi vive su un isoletta: per partecipare a certe gare gli atleti dell isola dovevano prendere la nave o l aereo, e per Helen e gli altri compagni questo voleva dire alzarsi prima dell alba. A volte odiava vivere a Nantucket. Soffocando uno sbadiglio e cercando di cancellare dalla mente l immagine di Capellone che crepava in modo orribile, si trascinò fuori dal letto. Con lo scotch appiccicò una coperta sul buco della finestra, buttò giù la colazione e uscì per andare all aeroporto. Ironicamente, ci si recò in volo. Non avrebbe mai potuto volare fino alla terraferma, ovvio: se non fosse salita sull aereo e poi si fosse presentata alla gara in orario avrebbe suscitato chissà quanti interrogativi, quindi fece la cosa più responsabile. Atterrando prudentemente a una certa distanza, corse verso la piazzola proprio mentre il cielo si tingeva di rosa pallido. Vide Claire parcheggiare la macchina e la raggiunse così che potessero andare insieme verso l imbarco. Helen non vedeva l ora di raccontare a Claire di Capellone, ma prima che riuscisse ad aprire bocca, l amica aveva già alzato gli occhi al cielo e l aveva afferrata per le spalle. «Maledizione!» borbottò Claire esasperata mentre abbottonava nel modo corretto la pestifera giacca di Helen. «Sembri una bambina impedita. Adesso dovrò passare da te tutte le mattine a vestirti?» «Hamilton!» gridò l allenatore prima che Helen avesse il tempo di pensare a una risposta, figurarsi raccontare a Claire cos era successo quella notte. «Tu ti siedi con me. Dobbiamo parlare della strategia.» «Ho una cosa da dirti» sussurrò Helen a Claire mentre indietreggiava verso l allenatore. «Ho visto qualcuno là, stanotte, capito?» Gli occhi di Claire si riempirono di speranza mentre Helen veniva trascinata via. Per il resto del volo, l allenatore non fece che blaterare senza sosta di come Helen avrebbe dovuto stare attenta a una certa atleta e di come avrebbe dovuto superare un altra: tutti consigli inutili visto che se solo l avesse voluto avrebbe potuto rompere il muro del suono. Helen ascoltò svogliatamente e cercò di non preoccuparsi troppo di Capellone. Era grosso, alto e massiccio, e sembrava che sapesse il fatto suo quando maneggiava il coltellaccio con cui cercava di difendersi. Helen tentò di ripetersi che probabilmente se l era cavata, ma non ne era del tutto convinta. Chiunque fosse, di sicuro sembrava un Discendente. Ma forse era solo un mortale alto uno e ottanta, muscoloso, bello da mozzare il fiato e con un sorriso da urlo. E se era questo il caso, quel poveretto era sicuramente morto. Nessun umano avrebbe potuto tenere testa a quell arpia. Per tutta la mattina Helen cercò di trovare un occasione per parlare con Claire, ma non fu mai possibile. Fece la prima gara, cercando di non stracciare tutti, ma era distratta e continuava a chiedersi se fosse possibile essere uccisi nel regno dei morti. Quell inutile dibattito interiore le fece perdere la concentrazione e finì col correre troppo veloce. Helen fece finta di annaspare quando si rese conto che tutti dagli spalti la stavano fissando a bocca aperta. Tutti tranne uno. Zach Brant non sembrava per nulla sorpreso di vederla sfrecciare come un razzo. Anzi, aveva quasi l aria annoiata. Helen non aveva idea di cosa ci facesse alle gare, dato che prima di allora non si era mai fatto vedere. Dal modo in cui teneva gli occhi incollati su di lei, Helen poteva solo presumere che fosse venuto a guardarla, ma non riusciva a spiegarsi perché. Un tempo avrebbe immaginato che Zach lo avesse fatto perché aveva una cotta per lei, ma ormai era acqua passata. Anzi, ultimamente sembrava che la evitasse. Helen vinse la gara, poi fece il tifo mentre Claire portava a termine la sua. Quindi si incontrarono vicino alla pista del salto triplo. «Allora, che è successo?» sbuffò Claire, ancora senza fiato per lo sprint. «Ho visto» Helen lasciò la frase a metà. «Andiamo più in là» continuò, indicando un prato deserto a bordo pista. C era un mucchio di gente che bighellonava intorno a loro e Zach era un po troppo a portata d orecchio. Helen non poteva più resistere: doveva raccontare all amica cosa aveva visto. Mentre camminavano bisbigliò: «Ho incontrato una persona. Una persona viva». «Pensavo che fossi l unica in grado di scendere laggiù fisicamente.» «Lo pensavo anch io! Ma stanotte c era un ragazzo. Be, non un ragazzo. Insomma, era un armadio. Più o meno della nostra età, credo.» «Cosa ci faceva laggiù?» domandò. Non sembrava tanto convinta che Helen avesse davvero visto qualcuno. «Combatteva con un arpia» rispose la ragazza. «Ma la notte prima mi ha tirato fuori dalle sabbie mobili. Ha un braccio tutto luccicante, come se fosse coperto da una patina d oro.» Claire la guardò scettica e Helen si rese conto di quanto il suo racconto dovesse sembrare assurdo. «Pensi che stia andando fuori di testa? Sembra folle, vero? E non dovrebbe essere nemmeno possibile.» «Ti dispiace se?» disse Claire all improvviso. Si stava rivolgendo a Zach che le seguiva a pochi passi di distanza. «Stiamo facendo quattro chiacchiere in privato.» Lui scrollò le spalle, ma non se ne andò. Claire prese quell atteggiamento come una sfida. Gli urlò di smammare con voce imperiosa, ma lui niente. Alla fine fu costretta a prendere Helen per mano e a guidarla verso il margine del prato, dove cominciava il bosco. Se Zach le avesse seguite Claire si sarebbe infuriata davvero, ma lui non si mosse. Continuò a fissarle mentre si allontanavano. «È proprio necessario?» domandò Helen scavalcando un cespuglio pieno di aculei e districando i capelli da un ramoscello coperto di muschio. «Ultimamente Zach si comporta in modo strano, e non voglio che ci stia addosso» disse Claire con gli occhi socchiusi. «Cioè lui non se n è andato quando gli hai ordinato di smammare e adesso mi hai trascinata qui perché non vuoi che l abbia vinta» la corresse Helen con una risatina. «Anche. Adesso raccontami per filo e per segno cos è successo» la spronò, ma vennero interrotte di nuovo, questa volta dallo stormire delle foglie. Il suono veniva dal profondo del bosco. Un omaccione spuntò dai cespugli, così Helen si piazzò davanti a Claire e andò verso l intruso, pronta a combattere. «Sciocche ragazze, non sapete che nei boschi intorno alle piste di atletica gironzolano un mucchio di pervertiti che spiano le ragazze?» disse il gigante biondo per provocarle. «Hector!» esclamò Helen per il sollievo, buttandosi fra le sue braccia. «Come te la passi, cuginetta?» disse lui con una risata, abbracciandola forte. Claire si avvicinò e strinse Hector prima di fare un passo indietro

e dargli un cazzotto amichevole al petto. «Che ci fai qui?» domandò Claire, severa. «È troppo pericoloso.» «Rilassati, nanerottola» rispose lui, abbassando gli occhi, mentre il sorriso gli svaniva come d incanto. «Stamattina ho parlato con la zia Noel. Mi ha detto che qui non avrei trovato nessuno di famiglia.» «Non ci sono, infatti, e siamo molto felici di vederti» rispose subito Helen, rifilando un pizzicotto a Claire per essere stata tanto sgarbata. «Ma certo che siamo felici di vederti!» esclamò Claire mentre si massaggiava il braccio. «Non intendevo questo, Hector, lo sai. Come stai?» «Non ha importanza» disse lui scrollando il capo. «Voglio sapere come state voi. E come se la passa Lucas dopo la scorsa settimana» aggiunse a bassa voce. Helen cercò di non trasalire, ma era impossibile. «Non è una bella situazione» disse Claire avvilita. «Sì, lo so. Ho parlato con la zia. Ancora non riesco a credere che Lucas possa aver fatto una cosa simile.» La voce di Hector era aspra, ma guardò Helen con affetto. La ragazza cercò di concentrarsi sul dolore di Hector invece che sul proprio. Lei aveva perso Lucas, Hector invece aveva perso tutta la famiglia. Era così preoccupato per loro che era disposto a starsene nascosto tutto il giorno nella boscaglia spiando una stupida gara di liceali solo per osservarle. A parte Daphne, che lui conosceva appena, Hector era solo. Helen si rese conto che di tutte le persone a cui era legata, Hector probabilmente era l unico che sapeva cosa stava passando, il che era strano visto che avevano smesso di odiarsi da poco. «Come sta mia madre?» sbottò Helen, per interrompere il silenzio deprimente in cui erano sprofondati. Hector le lanciò un occhiata circospetta. «È molto presa» fece prima di girarsi verso Claire e cambiare argomento. Di norma Hector diceva sempre quello che pensava, ma il modo in cui stava eludendo la domanda di Helen la spinse a chiedersi cosa stesse combinando quella persona ambigua che era sua madre. Qualche volta nelle ultime tre settimane aveva provato a mettersi in contatto con Daphne, ma non ci era mai riuscita. Forse sua madre la stava evitando di proposito? Non ebbe l occasione di indagare a fondo. Hector era troppo occupato a prendere in giro Claire sul fatto che secondo lui era diventata ancora più bassa. Ma quando i due cominciarono a spintonarsi scherzosamente, un ombra minacciosa calò sul bosco. Helen ebbe un brivido involontario e si guardò intorno in preda al panico. Pur sapendo che era morto, ebbe la sensazione che Creon stesse uscendo dalla tomba per cercare di trascinarla in quelle tenebre orribili. Hector notò il cambio di luce tanto quanto Helen. Allungò una mano e strinse a sé Claire con fare protettivo. Helen incrociò lo sguardo di Hector. Entrambi riconobbero quel fenomeno inquietante. «Un Maestro delle Ombre?» sussurrò lei. «Pensavo che Creon fosse l unico!» «Anche io» bisbigliò Hector, gli occhi che saettavano di qua e di là, in cerca di un bersaglio. Ma il buio era come una tenda che li avvolgeva. Non si vedeva più niente al di là di pochi metri di distanza. «Prendi Claire e scappa.» «Io non ti lascio» cominciò Helen. «CORRI!» gridò Hector, quando a un tratto una spada lampeggiante tagliò quel nero sipario e descrisse un arco sopra la sua testa. Hector mise in salvo Claire mentre si piegava in avanti e poi di lato come un ginnasta che esegue una capriola. La lama di bronzo sibilò sfiorando il suo petto e andò a piantarsi per almeno trenta centimetri nel suolo semighiacciato della foresta. Hector scalciò furiosamente contro le ombre tutto intorno, spedendo l aggressore a gambe all aria e lasciando la spada conficcata a terra. Con un unico movimento fluido, si raddrizzò e prese l arma. Mentre la sfilava dal terreno, sfruttò lo slancio del movimento con cui l aveva estratta per squarciare all altezza del petto la seconda figura spuntata dalle tenebre. Fu più veloce di un serpente. Helen sentì un oggetto metallico infrangersi contro il suo zigomo e in quella penombra vide la punta di una freccia che esplodeva in una miriade di frammenti luccicanti. L impatto la fece indietreggiare d istinto nonostante fosse illesa: arretrò finché non urtò la gamba di Claire con il tallone. Si mise a fare da scudo all amica mortale. Stordita e senza fiato, Claire non riusciva ancora ad alzarsi e certo non poteva correre, così Helen si piantò tra l amica e gli aggressori ed evocò i suoi fulmini. Il suono di una scudisciata e l odore di ozono riempirono l aria mentre la luce scaturiva dalle sue mani, creando un reticolato di elettricità intorno a lei e Claire. Il buio innaturale generato dal Maestro delle Ombre venne risucchiato in quella vampata azzurra e comparvero ben dodici Discendenti armati. Da dove sono spuntati? si domandò Helen in preda al panico. Com è che ce ne sono così tanti? Al centro e dietro la falange, nel posto dove come Hector aveva insegnato a Helen stavano gli ufficiali di fanteria, Helen colse di sfuggita un viso alieno e terrificante. Quell essere, qualsiasi cosa fosse, aveva gli occhi rossi. Guardò dritto verso di lei, poi arretrò finché non fu di nuovo avvolto dalle tenebre del Maestro delle Ombre. «Sono troppi!» grugnì Hector mentre affrontava altri due uomini. «Alle nostre spalle!» gridò Helen quando girò su se stessa e vide che quattro guerrieri li stavano circondando. Lanciò una saetta leggera, sufficiente a stordirli ma non a ucciderli. Purtroppo per Helen, trattenere il potere le richiedeva più energia di quanta ne servisse per scatenarlo. Le girava la testa. Si costrinse a concentrarsi mentre tre dei quattro uomini cadevano a terra in preda alle convulsioni. Il quarto ritornò all assalto. Lei aveva quasi finito l acqua che aveva in corpo, visto che era già piuttosto disidratata per la corsa, e non era in grado di scagliare un altro fulmine e controllarlo. Avrebbe potuto lanciarne uno che li avrebbe uccisi tutti, ma non aveva il coraggio di farlo. Superando Claire, che cercava di riprendere fiato, Helen tirò un pugno al Discendente rimasto in piedi. Non era mai stata brava nel corpo a corpo e il cazzotto lo scalfì appena. Anzi, lui restituì il colpo con forza, facendole fischiare le orecchie mentre cadeva addosso a Claire. Una sagoma scura discese dal cielo e afferrò l aggressore di Helen scaraventandolo nel folto degli alberi. Era Lucas. Appena lo vide Helen trattenne il respiro. Come ha fatto ad arrivare così velocemente? Lucas abbassò lo sguardo su di lei, con il volto impassibile, e poi si scagliò contro il più grosso dei Discendenti nemici. Helen sentì Hector gridare e vide che un gruppo di uomini stava cercando di incatenarlo e ammanettarlo. Si gettò in suo aiuto per liberarlo mentre Lucas si occupava degli ultimi guerrieri ancora in piedi. In una rapida successione di mosse, Lucas aveva disarmato e ferito altri due uomini prima che Helen fosse riuscita a raggiungere Hector. Vedendo che quel piccolo esercito non riusciva a tenere testa a Helen, Hector e Lucas messi insieme, l orrendo comandante della falange lanciò un urlo acuto e agghiacciante, e la battaglia terminò così come era cominciata, in un attimo. I feriti vennero caricati in spalla e, recuperate le armi, la banda sparì fra gli alberi prima che Helen potesse anche solo scostare i capelli dal viso sudato. Vide Lucas dare loro le spalle e irrigidirsi. Hector si portò le mani alla testa e si premette il palmo contro le tempie, come se volesse impedire al cranio di aprirsi in due. «No, Hector! Non farlo!» gridò Claire lanciandosi su di lui. Mise le mani sopra i suoi occhi e cercò di oscurargli la visuale di modo che non potesse vedere Lucas. Anche se Claire faceva da paravento, Helen vide la faccia di Hector diventare paonazza dalla rabbia.