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N. R.G. 2016/952 TRIBUNALE ORDINARIO di BRESCIA lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria Nella causa civile iscritta al n. r.g. 952/2016 Il Giudice del Lavoro dott. Mariarosa Pipponzi, a scioglimento della riserva assunta all udienza del 03/10/2016, ha pronunciato la seguente ORDINANZA Esaminati gli atti ed i documenti di causa; Rilevato che BERISA SERMINA ha lamentato il carattere discriminatorio della condotta tenuta dall INPS e consistente nell averle negato l assegno di natalità ( cd bonus bebè) di cui all articolo 1 comma 125 L.n.190\2014 in qualità di madre di OSMAN BUNJAKU nato il 17 febbraio 2015 per mancanza di utile titolo di soggiorno ; Considerato che in fatto la ricorrente ha esposto : - di essere cittadina serba regolarmente soggiornante in Italia dal 2002 titolare di permesso di soggiorno per cure mediche e successivamente, dal 2004, di permesso per motivi familiari; - di essere coniugata con BUNJAKU MAKSUT, residente in Italia e titolare di permesso di soggiorno per lavoro subordinato e che lavora presso la Azienda Agricola Alto Garda Verde sas Onlus come operaio; - di avere per il 2015 un ISEE pari a 3.256,00 ( ved. allegato 8 fascicolo ricorrente) ; - di avere presentato all Inps domanda on line di assegno di cui all art. 1 l. 190/2014, cd. Bonus bebè, rigettata dall Istituto con provvedimento in data 13.gennaio 2016 in quanto non risultava in possesso di utile titolo di soggiorno, dopo averle inizialmente liquidato comunque due mensilità ; Considerato, in diritto, che l INPS aveva respinto la domanda sul mero presupposto che la stessa non fosse titolare di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e che ciò era in contrasto con le previsioni dell art. 12 della direttiva 2011/98/UE e di conseguenza Pagina 1

sussisteva il comportamento discriminatorio da parte dell istituto per il quale formulava domanda di condanna al pagamento della somma di euro 1120,00 pari alla misura dell assegno di natalità cui avrebbe avuto diritto da settembre 2015 a marzo 2016 (avendo presento la domanda di assegno oltre i 90 giorni dalla nascita del figlio ed avendole l INPS già riconosciuto il pagamento delle rate di luglio ed agosto 2015. Atteso che si costituiva l Inps eccependo la inammissibilità del ricorso per insussistenza dei presupposti dell art. 28 D.lgs. 150/2011 e 44 TU, e la improcedibilità del ricorso per omesso previo esperimento della procedura amministrativa. Rilevato che, nel merito, l Inps sosteneva che la condotta posta in essere dall Istituto non fosse censurabile ribandendo che la carenza del possesso in capo alla ricorrente della Carta di soggiorno fosse sufficiente ad escludere il diritto alla provvidenza e replicava analiticamente alla tesi esposta in ricorso instando per la rimessione alla Corte Costituzionale della questione, aderendo alla richiesta formulata in via subordinata dalla stessa difesa della ricorrente OSSERVA 1) Sulle eccezioni preliminari - l azione proposta ex art 28 d.lgs. n.150\11 e 44 TU Immigrazione non prevede affatto il previo ricorso amministrativo: infatti la richiesta di pagamento di una somma pari a quella che sarebbe stata corrisposta qualora fosse stato riconosciuto il diritto a percepire il cd bonus bebè è stata svolta dalla difesa della ricorrente quale sanzione diretta a rimuovere gli effetti della lesione operata al diritto soggettivo della ricorrente a non essere discriminata. Non si è certo in presenza di un ricorso ex art. 442 cpc diretto ad ottenere l accertamento del diritto della ricorrente alla prestazione negata dall INPS; - al riguardo è sufficiente richiamare l art. 28 D.LGs. n. 150\11 che testualmente recita 5. Con l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l'ente collettivo ricorrente. ; Pagina 2

- quanto alla ammissibilità della azione di discriminazione è la stessa norma che la consente in qualsiasi ipotesi in cui la parte lamenti di essere stata oggetto di un comportamento discriminatorio Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice però, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione. ( ved. comma 1 articolo 44 TU). Sicchè, com è noto, dovendo il giudice valutare la ammissibilità dell azione sulla base della prospettazione della parte ricorrente, non può esservi dubbio che avendo la parte lamentato di essere stata oggetto di un comportamento discriminatorio da parte della PA a motivo della sua nazionalità, è sempre legittimata ad agire con il rimedio in esame a prescindere dalla circostanza che, in concreto, tale discriminazione sia o meno stata effettivamente posta in essere che si traduce, semmai, in un motivo di rigetto della domanda proposta. Né, del resto, diversamente da quanto affermato dal Tribunale di Arezzo del 3 novembre 2011 ( ved. richiamo a pagina 4 della memoria dell INPS) vi è spazio, nel silenzio della legge, per dare rilievo alla sussistenza o meno di una scelta libero discrezionale del soggetto che pone in essere la condotta censurata 2) Sul merito della questione in esame Quanto al merito della controversia, è pacifico che la ricorrente all epoca della presentazione della domanda per l ammissione al godimento del cd. bonus bebè di cui all art. 1 comma 125 della legge 190/014 fosse titolare di permesso per motivi di famiglia e fosse da anni ( dal 2002) residente in Italia insieme al proprio nucleo familiare. Il citato disposto normativo prevede il riconoscimento dell assegno al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno e che detto assegno viene corrisposto fino al terzo anno di età subordinando la insorgenza del diritto nei confronti dei cittadini extracomunitari al possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Ritiene, invero, il Tribunale come tale disposto normativo sia in contrasto con l art. 12 della Direttiva 2011/98/UE che stabilisce che i lavoratori di cui al paragrafo 1, lett. b) e c) beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne e) i settori della sicurezza sociale come definiti dal regolamento UE 883/2004. Sebbene l art. 12 delle direttiva non sia stato trasposto nel nostro ordinamento nell ambito del d.lgs. n. 40/2014 di recepimento della direttiva, è corretto affermarne la efficacia diretta nel nostro ordinamento nei rapporti di tipo verticale trattandosi di disposizione ben precisa ed incondizionata, non dovendo lo Stato svolgere alcuna attività per applicarla. Pagina 3

Ciò precisato, l avere condizionato da parte del legislatore italiano il riconoscimento del cd. bonus bebè nei confronti di cittadini di stati extracomunitari al possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo crea una evidente disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri in contrasto con la direttiva 2011/98/UE, la quale non contempla possibilità di deroga né per le prestazioni essenziali né per quelle non essenziali. Di qui, tra l altro, il richiamo non pertinente da parte della difesa dell Istituto alla diversa direttiva 2003/109/UE. Il contrasto tra disposizioni interne che attribuiscono un trattamento differenziato basato sulla nazionalità con i principi fondamentali e le norme imperative del diritto dell Unione Europea, del resto, è stato più volte affermato anche dalla Corte Costituzionale ogni qual volta è stata chiamata a scrutinare questioni di legittimità costituzionalità delle norme nazionali in tema di prestazioni per gli invalidi che richiedevano quale requisito per la erogazione della provvidenza, di volta in volta in esame, la titolarità del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. E indubitabile che il caso concreto rientri nell ambito di applicazione della direttiva 2011/98/Ue posto che : 1) la ricorrente, stabilmente residente in Italia, è tra i soggetti individuati dalla lettera b) dell art. 12 essendo titolare di un permesso per motivi di famiglia che le consente di lavorare; 2) l assegno richiesto rientra tra le prestazioni familiari di cui all art. 3 del regolamento 883/04 (definite dalla lett. z) dell art. 1 come tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita, tra i quali non può essere annoverata la prestazione di cui all art. 1 comma 125 della l. 190/2014, destinata a sostenere i redditi delle famiglie e a incentivare la natalità essendone prevista la corresponsione fino al compimento del terzo anno di età del figlio); 3) la ricorrente ha prodotto attestazione ISEE da ritenersi idonea ai fini della prova della situazione reddituale, peraltro neppure contestata dalla parte resistente. Alla luce di quanto esposto, si impone la disapplicazione nel caso di specie dell art. 1 comma 125 della legge 190/2014 nella parte in cui subordina il riconoscimento del cd. bonus bebè nei riguardi degli stranieri al possesso di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo a differenza di quanto stabilito per i cittadini italiani per contrasto con l art. 12 della direttive 2011/98/CE. Ne consegue che la determinazione dell Inps di negare il diritto della ricorrente a percepire la provvidenza richiesta sia connotata da carattere discriminatorio siccome si è tradotta sul piano obiettivo in una disparità di trattamento della ricorrente rispetto ai cittadini italiani in ragione della propria origine etnica, vietata dalla vigente normativa. Né rileva la mancanza di una finalità propriamente discriminatoria nella condotta tenuta dall Istituto ai danni della ricorrente essendo Pagina 4

sufficiente ad integrare la discriminazione di cui all art. 44 del TU Immigrazione l obiettiva differenza di trattamento fondata, come nel caso concreto, sulla condizione di cittadini extracomunitario a prescindere da ogni valutazione attinente a profili di natura soggettiva della condotta tenuta e, comunque, gravando su tutti gli organi dello Stato, ivi comprese le pubbliche amministrazioni, l obbligo di applicazione diretta della normativa comunitaria. Va, quindi, affermato il diritto della ricorrente a percepire l assegno di cui all art. 1 comma 125 della l. 190/2014 alle stesse condizioni a cui tale assegno è riconosciuto ai cittadini italiani con conseguente ordine all Inps di cessare la condotta discriminatoria posta in essere nei riguardi della medesima e condanna dello stesso al riconoscimento della somma di 1.120,00 richiesta per il periodo intercorrente sino al marzo 2016 ed alla ulteriore somma via via spettante per le mensilità successive sino al compimento del terzo anno di età del minore, ove restino inalterate le situazioni reddituali. Tale decisione appare adeguata misura per la rimozione degli effetti. Quanto alle spese di lite, non v è motivo di derogare alla regola della soccombenza nei confronti dell INPS il quale non si è limitato ad opporre la mera applicazione delle disposizioni di legge, ma ha formulato eccezioni del tutto pretestuose ( trattate al punto 1 della presente ordinanza ). L INPS pertanto va condannato al pagamento della somma di euro 2000,00 per compensi, liquidate ex DM 55\14 in un importo intermedio fra il medio ed il massimo della tabella in considerazione della attività difensiva spiegata e della complessità della vicenda, oltre IVA Cpa e spese generali al 15%. Si concede la distrazione a favore dei difensori dichiaratisi antistatari Pagina 5 P.Q.M. a)dichiara il carattere discriminatorio della condotta tenuta dall Inps consistente nell avere negato alla ricorrente l assegno di cui all art. 1 comma 125 della l. 190/2014; b)accerta il diritto della ricorrente a percepire tale assegno; c)condanna l Inps a versare alla ricorrente la somma di 1.120,00 oltre alle somme spettanti dal 1 aprile 2016 sino al compimento del terzo anno di età del minore, situazioni reddituali; ove restino inalterate le d)condanna l Inps a rifondere alla ricorrente per spese di procedura 2000,00 oltre IVA, CPA e spese generali al 15% con distrazione in favore dei procuratori antistatari. Si Comunichi. Brescia, 10 novembre 2016 Il Giudice Mariarosa Pipponzi