Sacha Naspini. Il Gran Diavolo. Giovanni delle Bande Nere, l ultimo capitano di ventura. Rizzoli



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Transcript:

Sacha Naspini Il Gran Diavolo Giovanni delle Bande Nere, l ultimo capitano di ventura Rizzoli

Proprietà letteraria riservata 2014 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-07206-9 Prima edizione: febbraio 2014 Realizzazione editoriale: studio pym / Milano

Il Gran Diavolo a Luigi Bernardi

Il destino di Giovanni fu superbo, perché non gli mancò neanche la grandezza di restare incompiuto. Pierre Gauthiez

Prologo Nel giorno della Pentecoste i fedeli si riversano presso Luco dei Marsi per assistere alla cerimonia. Giungono dai quattro angoli della conca al passo degli zampognari, facendo sosta dinnanzi ai ruderi del tempio antico, eretto in onore della dea Angizia. La credenza vuole che la dea, sorella di primo sangue della maga Circe, abbia insegnato agli abitanti della sponda meridionale del Fucino l arte della preparazione degli antidoti contro i veleni, primo tra tutti quello dei serpenti. Nonostante il passare dei secoli, la tradizione ancora dura. Non è raro, nel lento incedere degli inverni, dare la fiamma al camino e ripercorrere le gesta di Umbrone, leggendario condottiero nonché sacerdote, medico e incantatore di aspidi. In epoche lontane, quell eroe venne inviato dal re dei Marsi in appoggio a Turno nella guerra contro i troiani sbarcati nel Lazio. Di lui si narra anche la morte, avvenuta per mano di Enea. L ira del semidio, furibondo dopo la dipartita di Pallante, si abbatté sulle schiere italiche di quei tempi e portò grande scompiglio. Nulla poté l abilità di medico di Umbrone, al fianco del quale venne annientato un altro portento: Ceculo, discendente di Vulcano. Con il passare dei secoli si sono aggiunte altre leggende, prima tra tutte la venuta di san Domenico, che un giorno, agli albori dell anno mille, dovette fermarsi al paese di Cocullo, dove ancora viveva il culto della dea Madre. Il santo trovò uomini e donne semplici, che ancora innalzavano statue ad Angizia. Per dimostrare la vacuità del loro credo pagano e la potenza della dottrina che professava, san Domenico si cavò un dente dal fondo della 9

bocca. Il molare fu poi donato a quella gente, nella quale scoppiò subito la devozione per la nuova fede. Di generazione in generazione, l insegnamento portato dal santo ha attecchito e preso piede sulle sponde del Fucino. Eppure, ancora non si perde la memoria della dea e del bosco a lei consacrato. Oggi, cinque secoli dopo, nel giorno della Pentecoste dell anno 1509, i fedeli salgono dalla conca per rendere grazie alla gloria di Cristo. Nei paesi di Cocullo e Villalago, la cerimonia prevede che la statua di san Domenico venga portata a spalla da quattro uomini, in processione. Una statua di legno, finemente lavorata. Completamente ricoperta di serpenti vivi.

1509

1 Cocullo, domenica 16 maggio 1509 Niccolò Durante si faceva largo a suon di spintoni lungo i vicoli tortuosi del paese. Avvolto attorno a un braccio, aveva un saettone di almeno un metro. Era riuscito a stanarlo all ultimo momento con un legno, fuori, a pochi passi dalla cinta muraria, dove cominciavano i boschi e la strada principale, quella che portava a valle. Intorno, la folla già intonava i canti devozionali. Alla fine raggiunse la piazzetta, dove i serpari se ne stavano in attesa con i loro vasi di terracotta. Tra questi, il bimbo riconobbe subito suo padre. «Anche quest anno ho preso l ultimo!» fece Niccolò, ormai senza fiato. «Pareva che se ne stesse lì apposta ad aspettare me.» Così dicendo si chinò senza perdere tempo e lasciò che il padre scostasse di un dito il tappo di legno forato. Dall interno del recipiente luccicarono le squame di quelle bestie aggrovigliate in un unico nodo informe. Sentendo la luce, subito si agitarono. Niccolò si sbrogliò la serpe dal braccio, con cura, e la lasciò scivolare piano nella bocca del vaso. «Non è proprio un cervone. Ma è comunque l ultimo prima del passaggio del santo» disse raggiante. L uomo sorrise, toccò il figlio sulla testa. Poi alzò la faccia al cielo e strinse gli occhi. «È quasi mezzogiorno. Sbrigati, va da tua madre. Rischi di perdere l inizio della cerimonia.» La raccolta dei serpenti era cominciata come ogni anno con lo scioglimento delle nevi. Ma era con la piccola festa di Maria, tenutasi qualche giorno prima, che la ricerca entrava nel vivo. Niccolò aveva battuto le falde di Monte Luparo e del Monte di Mez- 13

zo insieme al padre e agli altri serpari, setacciando ogni versante, dal Palancaro alla Forca d Oro, e distinguendosi per il numero di bestie catturate. Il destino di Niccolò sembrava scritto. Si sentiva spalancare dentro a questo pensiero: un giorno avrebbe preso il posto del genitore, divenendo lui stesso serparo di Cocullo. Raggiunse la cappella di San Domenico continuando a farsi spazio tra la folla che già intonava il canto d entrata. Attorno c erano uomini devoti, donne dagli occhi inumiditi dall emozione. E i malati, che mostravano le ferite. Chiedevano al santo di farli guarire dal morso velenoso di un ragno o da quello infetto di un cane rabbioso. Che quell eletto di Dio scuotesse i loro corpi, in modo che il sangue rigettasse la malattia. Intanto la processione avanzava. Niccolò sfilava tra la gente approfittando di ogni pertugio, cercando di portarsi davanti alla chiesa. Finalmente riuscì a entrare, ma nella calca ancora non trovò la madre. Nel frattempo i fedeli si ammassavano attorno alla campanella. Tiravano la corda con i denti, facendola suonare: questo li avrebbe preservati dalle malattie della bocca. Oppure raccoglievano il pietrisco dalla grotta che si apriva dietro la nicchia del santo, in modo da spargerlo poi sui campi o attorno alle case, per ottenere buoni raccolti e allontanare le pestilenze e la carestia. Se sciolta nell acqua e bevuta, quella terra benedetta guariva dalla febbre. Niccolò continuava a cercare la madre, mentre nella cappella veniva celebrata la funzione. Decise di fermarsi in un angolo, facendosi catturare non tanto dalla cerimonia, quanto dal trasporto dei fedeli. Gli sembrava quello lo spettacolo più strano, quasi magico: uomini davvero poco avvezzi alle lacrime che nel giorno della festa si scioglievano in pianto. Oppure sorridevano e si scambiavano pacche amichevoli, mentre in un giorno qualunque avrebbero saputo sventrare un viandante con la forca, se per caso questo si fosse solo ritrovato a camminare sul bordo di un campo senza chiedere il permesso. Alla fine venne lanciato il canto di partenza. Niccolò si scosse, cercando subito l uscita. Si trovò a dover lottare con l ennesimo muro di gente, che però 14