LEZIONE 15 RITI DI INTRODUZIONE E RITI DI CONCLUSIONE. Prof. Sarr

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1 LEZIONE 15 RITI DI INTRODUZIONE E RITI DI CONCLUSIONE Prof. Sarr PREMESSA. La celebrazione dell Eucarestia si svolge in due grandi momenti che formano un solo atto di culto: la Liturgia della Parola, che comprende la proclamazione e l ascolto della Parola di Dio, e la Liturgia eucaristica, che comprende la presentazione del pane e del vino, la preghiera o anafora, che contiene le parole della consacrazione, e la comunione (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, 277). La struttura generale della Messa, dunque, comprende due parti che sono intimamente connesse tra loro e che costituiscono i due poli della celebrazione liturgica. I Padri del Concilio Vaticano II, sia nella costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, sia nella costituzione sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, si sono più volte riferiti a queste due dimensioni parlando dell esistenza di due mense, quella della Parola e quella dell Eucaristia, che si completano a vicenda per rendere presente nella Celebrazione Eucaristica la Pasqua di Cristo. L Ordinamento Generale del Messale Romano, nel definire la struttura della Messa precisa che fanno parte della celebrazione i riti iniziali e di conclusione: «La Messa è costituita da due parti, la «Liturgia della Parola» e la «Liturgia eucaristica»; esse sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto. Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro. Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione» (OGMR 28). RITI DI INTRODUZIONE. Preliminarmente deve essere evidenziato che all epoca della Chiesa antica i riti di introduzione non erano sviluppato come oggi. Le testimonianze più antiche, infatti, come ad esempio possono essere quelle di Sant Agostino o di San Giustino martire, riportano che la celebrazione della santa Messa aveva inizio direttamente con la proclamazione della Parola di Dio. I riti di introduzione si sono sviluppati gradualmente con il passare del tempo per uno scopo preciso che è chiaramente indicato dall Ordinamento Generale del Messale Romano: «I riti che precedono la Liturgia della Parola, cioè l introito, il saluto, l atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria e l orazione (o colletta), hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione. Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l Eucaristia» (OGMR 46). I riti di introduzione, dunque, hanno lo scopo di far prendere coscienza all assemblea di essere un unico popolo riunito, di essere la famiglia di Dio convocata a celebrare la Pasqua di Cristo, di essere un solo Corpo. Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 1 di 11

2 A. L Introito. Dopo la pace costantiniana del 313 si determina un graduale cambiamento che interessa sia l aspetto organizzativo della Chiesa cristiana, sia la dimensione celebrativa. Il vescovo di Roma, ad esempio, veste ed è considerato di pari rango all imperatore e, dunque, anche tutto il cerimoniale diviene simile a quello di corte. In origine, dunque, l introito era destinato alla celebrazione presieduta dal Vescovo di Roma che, quando entrava in basilica, veniva accolto dal canto intonato dalla schola. Con il trascorrere del tempo la struttura si è evoluta e oggi il canto di ingresso costituisce l atto iniziale della Santa Messa: «Quando il popolo è radunato, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono e i ministri, si inizia il canto d ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri» (OGMR 47). Al canto di ingresso, dunque, è assegnata una particolare funzione quadripartita: - dare inizio alla celebrazione; - favorire l unione dei fedeli attraverso il canto che esprime la concordia dei cuori; - introdurre i fedeli nel mistero della festa o del tempo, attraverso una melodia e un testo che richiamino immediatamente il motivo della celebrazione. Si pensi, ad esempio, alle domeniche che hanno preso il nome dalla prima parola del canto di ingresso, come ad esempio la domenica Gaudete (III di Avvento), oppure la domenica Laetare (IV di Quaresima). Il canto dovrebbe aiutare l assemblea a riconoscere il tempo liturgico in cui ci si trova, oppure la festa che si celebra, in modo da introdurre i fedeli sin da subito nello spirito della Liturgia; - accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri. La partecipazione dei fedeli è favorita anche dalle particolari modalità con cui può essere eseguito il canto: «Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia l antifona con il suo salmo, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto all azione sacra, al carattere del giorno o del tempo, e il cui testo sia stato approvato dalla Conferenza Episcopale» (OGMR 48). Qualora non ha luogo il canto di ingresso un lettore, o il sacerdote stesso, legge l antifona proposta dal Messale romano. Il sacerdote può adattare la stessa antifona a modo di monizione iniziale (Cf OGMR 48). Mentre viene intonato il canto di ingresso si svolge la processione del sacerdote e dei ministri che si dirigono all altare. La processione è un atto simbolico che indica il cammino della Chiesa pellegrinante verso la Gerusalemme celeste. Per favorire la maggiore visibilità del segno la processione dovrebbe sempre attraversare la navata centrale, dovrebbe cioè passare al centro dell assemblea e non scegliere il tragitto diretto dalla sacrestia quando questo non ne valorizza la forza e l espressività simbolica. La processione, inoltre, si forma seguendo determinate regole. Quando non è presente il diacono «il sacerdote e i ministri, rivestiti delle vesti sacre, si avviano all altare, in quest ordine:a) il turiferario con il turibolo fumigante, se si usa l incenso; b) i ministri che portano i ceri accesi e, in mezzo a loro, l accolito o un altro ministro con la croce; c) gli accoliti e gli altri ministri; d) il lettore, che può portare l Evangeliario un po elevato, ma non il Lezionario; e) il sacerdote che celebra la Messa. Se si usa l incenso, prima di incamminarsi, il sacerdote pone l incenso nel turibolo e lo benedice con un segno di croce senza dire nulla» (OGMR 120). Se, invece, alla celebrazione della Messa è presente il diacono, questo «precede il sacerdote Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 2 di 11

3 nella processione verso l altare portando l Evangeliario un po elevato; altrimenti incede al suo fianco» (OGMR 172). B. Saluto all altare e al popolo radunato. Giunto all altare, il sacerdote e i ministri lo salutano con un inchino profondo e i ministri ordinati lo baciano. L altare è la pietra fondamentale dell edificio perché è simbolo di Cristo che si rende presente come Signore crocifisso e glorificato sulla sacra mensa. Dunque, baciare l altare significa baciare Cristo. Il bacio dei ministri ordinati, dunque, è un atto di venerazione che viene compiuto non come un gesto privato dei ministri stessi, ma come azione eseguita in rappresentanza di tutta l assemblea che, in quel momento, dunque, si dovrebbe unire spiritualmente a questo gesto di profondo amore per il Signore risorto. Dopo la venerazione l altare può anche essere incensato. L incensazione era ritenuta molto importante nel mondo biblico, ma era praticata anche nell antichità pagana. Proprio per evitare possibili confusioni e fraintendimenti con le abituali usanze dei pagani, che erano soliti offrire l incenso alle statue delle proprie divinità, la Chiesa nascente preferiva non utilizzare questa resina aromatica durante le proprie celebrazioni liturgiche. Con il trascorrere del tempo, però, e soprattutto in seguito alla pace costantiniana del 313, l uso dell incenso viene integrato nel culto cristiano, mantenendo inalterata tutta la ricca simbologia appartenente alla tradizione biblica. L incenso, infatti, è simbolo della preghiera della Chiesa che sale al Signore. «La mia preghiera stia davanti a te come incenso» (Sal 140, 2). Con queste parole il salmista rende esplicito il legame simbolico tra la preghiera e il salire dell incenso. Il levarsi delle volute di incenso esprime con grande potenza evocativa l anelito dello spirito umano a librarsi verso l alto, a superare le angustie quotidiane, per riconoscere il senso della propria esistenza e ricongiungersi con Dio. L incenso che sale senza tregua al cielo porta con sé l aspirazione profonda del cuore dell uomo verso Dio che si esprime nell anelito della preghiera. L incenso accompagna dunque il levarsi delle mani al cielo, per offrire a Dio la sete che l uomo ha di lui e, nello stesso tempo, per presentargli persone e cose, desideri e aspirazioni. Si possono incensare il Santissimo Sacramento, la reliquia della santa Croce e le immagini del Signore esposte alla pubblica venerazione, le altre reliquie e le immagini dei Santi esposte alla pubblica venerazione, le offerte per il sacrificio della Messa, la croce dell altare, l Evangeliario, il cero pasquale, il sacerdote e il popolo. Dopo aver venerato l altare ed eventualmente dopo averlo incensato, terminato il canto d ingresso, il sacerdote si reca alla sede da dove presiede gli altri riti di introduzione, la Liturgia della Parola e i riti di conclusione e, stando in piedi, con tutta l assemblea si segna col segno di croce mentre pronuncia le parole: «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Il segno di croce manifesta una professione di fede e ricorda che ogni fedele può celebrare l Eucaristia in quanto battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il segno di croce è parimenti simbolo della nostra salvezza e della nostra liberazione. La salvezza dell uomo si fonda solo sulla croce di Cristo. L antifona d ingresso della Messa del Giovedì Santo in Coena Domini esprime molto bene questa realtà: «di null'altro mai ci glorieremo se non della croce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati»(cf Gal 6, 14). Le parole di accompagnamento del segno di croce sono una professione di fede nel Dio trino, punto di partenza e di arrivo della salvezza dell uomo. Il segno di croce, inoltre, è elemento che richiama l esperienza sacramentale battesimale: ogni volta che facciamo il segno della croce, infatti, specialmente quando lo facciamo con l acqua benedetta, ricordiamo il nostro Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 3 di 11

4 Battesimo, amministrato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Nel rito della Messa ci sono anche altri elementi battesimali: l aspersione, il Credo e il Padre nostro. I fedeli compiendo insieme al sacerdote il grande segno di croce confermano le sue parole con l acclamazione Amen. Sono molto belle le parole del teologo Romano Guardini che, parlando dell importanza del segno della croce, si esprime con le seguenti considerazioni: «Quando fai il segno della croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all'altra. Senti come esso ti abbraccia tutto? Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l'animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all'altra. Allora tu lo senti: ti avvolge tutto, corpo ed anima, ti raccoglie, ti consacra, ti santifica. Perché? Perché è il segno della totalità ed è il segno della redenzione. Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce Egli santifica l'uomo nella sua totalità, fin nelle ultime fibre del suo essere. Perciò lo facciamo prima della preghiera, affinché esso ci raccolga e ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato. Nella tentazione, perché ci irrobustisca. Nel pericolo, perché ci protegga. Nell'atto della benedizione, perché la pienezza della vita divina penetri nell'anima e vi renda feconda e consacri ogni cosa. Pensa quanto spesso fai il segno della croce. È il segno più santo che ci sia. Fallo bene: lento, ampio, consapevole. Allora esso abbraccia tutto l'essere tuo, corpo ed anima, pensieri e volontà, senso e sentimento, agire e patire, e tutto diviene irrobustito, segnato, consacrato nella forza di Cristo, nel nome del Dio uno e trino» (in Romano Guardini, Lo spirito della liturgia, Morcelliana, Brescia, 1980, pp ). Al segno di croce segue il saluto all assemblea da parte del celebrante, la cui finalità è quella di realizzare quella comunione che è lo scopo dei riti d ingresso, cioè che i fedeli formino una comunità: il saluto crea comunione. «Terminato il canto d ingresso, il sacerdote, stando in piedi alla sede, con tutta l assemblea si segna col segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità radunata la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata» (OGMR 50). E importante notare che la celebrazione eucaristica ha carattere comunitario espresso anche attraverso il rapporto dialogante tra il celebrante e l assemblea. Le acclamazioni e le risposte dell assemblea sono molto importanti, dunque, perché esprimono il carattere comunitario della Messa: «Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere «comunitario», grande rilievo assumono i dialoghi tra il sacerdote e i fedeli riuniti e le acclamazioni. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono e realizzano la comunione tra il sacerdote e il popolo» (OGMR 34). Le acclamazioni e le risposte dei fedeli, inoltre, elementi non presenti nella celebrazione tridentina, facilitano anche quella partecipazione attiva, piena e consapevole dei fedeli alle azioni liturgiche che il Concilio Vaticano II ha posto in rilievo, ritenendola elemento centrale dei riti riformati. In tal senso l Ordinamento Generale prevede che «le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti devono porre in atto in ogni forma di Messa, per esprimere e ravvivare l azione di tutta la comunità» (OGMR 35). Il saluto liturgico «il Signore sia con voi» ha una valenza cristologica, perché con tale formula, il sacerdote annunzia alla comunità riunita la presenza del Signore (Cf OGMR 50). La stessa formula, che costituisce una eredità proveniente dal giudaismo, è ripetuta anche in altri momenti della celebrazione eucaristica: viene pronunciata dal diacono o, in sua assenza, Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 4 di 11

5 dal sacerdote prima della proclamazione del Vangelo, poi è pronunciata dal celebrante all inizio del Prefazio e successivamente per introdurre la benedizione finale. Nella celebrazione eucaristica si realizzano tutte le forme della presenza di Cristo che, come indicato dai Padri conciliari nella costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, «è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro (Mt 18,20)» (SC, 7). Anche il Beato Giovanni Paolo II parla della presenza del Signore nelle celebrazioni liturgiche della Chiesa indicando che «La liturgia è, perciò, il «luogo» privilegiato dell'incontro dei cristiani con Dio e con colui che egli ha inviato, Gesù Cristo (cfr. Gv 17,3). Cristo è presente nella Chiesa riunita in preghiera nel suo nome. E' proprio questo fatto che fonda la grandezza dell'assemblea cristiana con le conseguenti esigenze di accoglienza fraterna - spinta fino al perdono (cfr. Mt 5,23-24) - e di decoro negli atteggiamenti, nei gesti e nei canti» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Vicesimus Quintus Annus, par.7). L uso del congiuntivo nella formula di saluto «il Signore sia con voi» sembra esprimere un augurio, ma nell originale latino il verbo è sottinteso: Dominus vobiscum. La formula potrebbe essere tradotta, allora, in: «Il Signore è con voi», indicando, in tal modo, che il Signore è presente non solo durante la celebrazione liturgica, ma anche successivamente, poiché accompagna sempre il fedele nella sua vita quotidiana. E un augurio che apre all avvenire e, dunque, al momento successivo alla celebrazione eucaristica, nel solco della testimonianza dell evangelista Matteo «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Al saluto liturgico, l assemblea risponde: «E con il tuo spirito». Narsai di Nisibin, un discepolo di Sant Efrem ( ) vissuto nel V secolo, nella sua prima omelia dice proprio a proposito della risposta dell assemblea al saluto del celebrante: «il popolo risponde con amore al sacerdote dicendo Con te e con lo Spirito sacerdotale che tu possiedi. Chiama spirito non l anima che è nel sacerdote, ma lo spirito che egli ha ricevuto per l imposizione delle mani. Attraverso di essa, il sacerdote riceve il potere dallo Spirito che lo rende capace di compiere i misteri». Nella risposta che l assemblea rivolge al celebrante, dunque, vi è il richiamo allo Spirito Santo che egli ha ricevuto con l ordinazione e che gli conferisce la possibilità di presiedere e celebrare l Eucarestia. Le parole del saluto all assemblea sono accompagnate da un gesto rituale che il sacerdote compie mentre pronuncia la formula: «rivolto al popolo, e allargando le braccia, il sacerdote lo saluta con una delle formule proposte» (OGMR 124). Le braccia allargate sono un gesto simbolico che rappresenta accoglienza. Il sacerdote, che celebra in persona di Cristo, accoglie i fedeli riuniti con un gesto che può essere interpretato anche come un abbraccio. «Salutato il popolo, il sacerdote, o il diacono o un ministro laico, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno» (OGMR 50). Brevi cenni introduttivi sono necessari, ad esempio, in occasione di celebrazioni particolari alle quali l assemblea non partecipa Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 5 di 11

6 frequentemente, come ad esempio può avvenire in occasione di una ordinazione, oppure di una istituzione al ministero del lettorato o dell accolitato. In queste circostanze può essere molto utile introdurre la celebrazione poiché, spiegando il motivo per cui la comunità è radunata, si favorisce il coinvolgimento dell assemblea all azione liturgica. E importante che l introduzione sia molto breve, essenziale nella sua struttura ma al tempo stesso efficace, incisiva ed esaustiva, al fine di non appesantire la celebrazione ed evitare, dunque, che l assemblea venga distratta. Spesso una breve monizione iniziale è utile per introdurre l atto penitenziale, preparando spiritualmente i fedeli alla confessione generale. C. Atto penitenziale. «Quindi il sacerdote invita all atto penitenziale, che, dopo una breve pausa di silenzio, viene compiuto da tutta la comunità mediante una formula di confessione generale, e si conclude con l assoluzione del sacerdote, che tuttavia non ha lo stesso valore del sacramento della Penitenza. La domenica, specialmente nel tempo pasquale, in circostanze particolari, si può sostituire il consueto atto penitenziale con la benedizione e l aspersione dell acqua in memoria del Battesimo» (OGMR 51). L atto penitenziale presuppone il pentimento del fedele ed è costituito da una domanda di perdono che nasce dalla consapevolezza di essere indegni dinanzi a Dio che si rivela. Nell assemblea non ci sono giusti e peccatori, ma tutti si è peccatori davanti a Dio. «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi» (1Gv 1, 8-10). I fedeli, dunque, all inizio della Messa prendono coscienza della loro colpa, la confessano e ne chiedono perdono prima di celebrare i santi Misteri, seguendo l insegnamento di Gesù che a chi presenta l offerta all altare senza essere in pace con il proprio fratello lo invita prima a riconciliarsi con lui e solo dopo a tornare all altare per offrire il proprio dono (Cf Mt 5, 23-24). La fragilità e il bisogno di perdono, inoltre, ci accomunano e ci spingono a pregare gli uni per gli altri. Nel riconoscere che davanti a Dio tutti siamo peccatori si crea un vincolo di comunione all interno dell assemblea. L atto penitenziale inizia con l invito del sacerdote a riconoscere i propri peccati a cui segue un breve momento di silenzio necessario a ciascuno per riconoscere davanti a Dio i propri peccati. Segue la confessione generale per la quale il Messale Romano prevede tre differenti formule: con la recita comunitaria del Confiteor, attraverso la quale si confessa il proprio stato di peccatore non solo a Dio onnipotente, ma anche ai fratelli. Il peccato, infatti, non è solamente personale, ma ha anche una sua dimensione comunitaria. Il peccato ferisce anche la comunità, poiché una ingiustizia arrecata al prossimo non è solo una mancanza di carità personale ma è anche una ferita inferta al corpo mistico di Cristo. Il Confiteor si conclude con l affidamento alle preghiere della Vergine Maria, degli angeli, dei fratelli e di tutti i santi. Attraverso questa richiesta di intercessione, il fedele fa esperienza della comunione dei Santi, secondo l esortazione di San Giacomo: «Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto potente è la preghiera fervorosa del giusto» (Gc 5, 16); con il dialogo tra celebrante e assemblea, alternando i versetti «Pietà di noi, Signore / Contro di te abbiamo peccato; Mostraci, Signore, la tua misericordia / E donaci la tua salvezza»; Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 6 di 11

7 con le invocazioni a Cristo Signore che presentano i rispettivi tropi (es. Signore, mandato dal Padre a salvare i contriti di cuore, abbi pietà di noi. E l assemblea risponde: Signore pietà ). Alla confessione segue l assoluzione generale: «Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna». Questa assoluzione generale, come chiaramente indicato dall Ordinamento Generale del Messale Romano, non sostituisce l assoluzione sacramentale per le colpe da sottomettere alla Confessione. Ogni domenica, al posto dell atto penitenziale, si può benedire l acqua ed eseguire l aspersione dell assemblea secondo il rito prescritto dal Messale. Questo rito è segno e memoria del Battesimo. D. Kyrie eleison. Dopo l assoluzione generale vengono pronunciate le invocazioni a Cristo Signore (il Kyrie eleison) se non sono state già dette o cantate per l atto penitenziale. «Dopo l atto penitenziale ha sempre luogo il Kyrie eleison, a meno che non sia già stato detto durante l atto penitenziale. Essendo un canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, di solito viene eseguito da tutti, in alternanza tra il popolo e la schola o un cantore. Ogni acclamazione viene ripetuta normalmente due volte, senza escluderne tuttavia un numero maggiore, in considerazione dell indole delle diverse lingue o della composizione musicale o di circostanze particolari. Quando il Kyrie eleison viene cantato come parte dell atto penitenziale, alle singole acclamazioni si fa precedere un tropo» (OGMR 52). L invocazione greca «Kyrie eleison», che viene tradotta con l espressione «Signore abbi pietà», proviene da una antica litania di intercessione. Anticamente era una preghiera rivolta alle divinità pagane che è stata acquisita nella ritualità cristiana come formula di confessione al vero Kyrios, che è Cristo Signore. Il termine «eleison» è una implorazione alla misericordia divina, è una preghiera di invocazione che sgorga dal cuore, come quella che il cieco rivolge a Gesù: «Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguirono gridando: "Figlio di Davide, abbi pietà di noi!". Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: "Credete che io possa fare questo?". Gli risposero: "Sì, o Signore!". Allora toccò loro gli occhi e disse: "Avvenga per voi secondo la vostra fede". E si aprirono loro gli occhi» (Mt 9, 27-30). Gesù si mostra sempre come Kyrios generoso e ricco di misericordia. E. Gloria. Il Gloria è un inno molto antico risalente al periodo della Chiesa nascente. «Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l Agnello. Il testo di questo inno non può essere sostituito con un altro. Viene iniziato dal sacerdote o, secondo l opportunità, dal cantore o dalla schola, ma viene cantato o da tutti simultaneamente o dal popolo alternativamente con la schola, oppure dalla stessa schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, o insieme o da due cori che si alternano. Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in celebrazioni di particolare solennità» (OGMR 53). Integrato inizialmente nell Ufficio del mattino della Chiesa bizantina, successivamente viene adottato anche nella liturgia latina. Il Gloria in excelsis: è un inno che si richiama ai cori di giubilo e di lode che gli Angeli hanno intonato alla nascita di Gesù, come riportato dalla testimonianza dell evangelista Luca: «E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama"» (Lc 2, 13-14). Questo inno, dunque, richiama la presenza del Signore in mezzo al suo popolo; Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 7 di 11

8 è un inno attraverso il quale si compie la glorificazione di Dio. Il Gloria, proprio per questo motivo, è chiamato anche grande dossologia. E parte della Liturgia attraverso la quale, secondo la bella definizione di Sacrosanctum Concilium, si ottiene la glorificazione di Dio e la santificazione degli uomini nel Cristo (Cf SC 10); è un inno cristologico attraverso il quale si eleva la lode a Cristo Signore. F. Colletta. I riti d ingresso si concludono con l orazione-colletta. «Poi il sacerdote invita il popolo a pregare e tutti insieme con lui stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera. Quindi il sacerdote dice l orazione, chiamata comunemente «colletta», per mezzo della quale viene espresso il carattere della celebrazione. Per antica tradizione della Chiesa, l orazione colletta è abitualmente rivolta a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo e termina con la conclusione trinitaria, cioè più lunga, in questo modo: - se è rivolta al Padre: Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli; - se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli è Dio e vive e regna con te, nell unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli; - se è rivolta al Figlio: Tu sei Dio e vivi e regni con Dio Padre, nell unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l orazione con l acclamazione Amen. Nella Messa si dice sempre una sola colletta» (OGMR 54). Prima della riforma liturgica poteva avvenire che si recitava più di una colletta, soprattutto in quei giorni in cui concorreva la commemorazione delle memorie di diversi santi. Con la riforma, invece, è stato previsto che la orazione-colletta sia sempre una solamente. La colletta è una orazione presidenziale che può essere cantata o proclamata. «La natura delle parti «presidenziali» esige che esse siano proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da tutti con attenzione. Perciò, mentre il sacerdote le dice, non si devono sovrapporre altre orazioni o canti, e l organo e altri strumenti musicali devono tacere» (OGMR 32). Anche questa preghiera è strutturata in diverse parti: dall invito del sacerdote: Preghiamo. Attraverso questo invito diviene chiaro che la colletta non è una preghiera del sacerdote, ma è una orazione collettiva per la quale ogni partecipante all assemblea liturgica è chiamato a formare con il celebrante e gli altri ministri un cuore solo e un anima sola; dopo l invito alla preghiera comune è previsto un momento di silenzio affinché si possa prendere coscienza di trovarsi al cospetto di Dio e si possano formulare nel proprio cuore le intenzioni da rivolgere al Signore. Il silenzio all interno della celebrazione non è mai uno spazio vuoto, non rappresenta mai una assenza di parole, bensì costituisce la consapevolezza di una Presenza. Solamente nel silenzio l uomo raggiunge se stesso e Dio. Il silenzio è il momento favorevole per rivolgere a Dio il proprio sguardo e presentargli i sentimenti che provengono dal cuore; successivamente il sacerdote raccoglie le preghiere personali dei fedeli e, a nome di tutti, pronuncia l orazione; la preghiera termina con la conclusione cristologico trinitaria alla quale l assemblea acclama: Amen. La parola «amen» deriva dal verbo ebraico amàn, che significa essere saldo, solido, come la roccia. «Amen», dunque, significa «è veramente così» ed esprime, perciò, l adesione di ogni singolo membro dell assemblea alla preghiera. Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 8 di 11

9 Secondo una bella immagine definita da uno studioso, le porte del Paradiso sono aperte per chi risponde «amen» con tutte le sue forze. Sant Agostino chiama l acclamazione «amen» la nostra firma, cioè la sottoscrizione che l assemblea appone alla preghiera pronunciata dal celebrante. La colletta, inoltre, è costituita da alcuni elementi strutturali denominati invocazione, ampliamento, petizione, motivo, fine della petizione e conclusione. Per analizzare compiutamente la funzione di ciascun elemento esaminiamo la colletta della Santa Messa per la commemorazione della festa della Conversione di San Paolo Apostolo, fissata al 25 gennaio: Invocazione: O Dio; Ampliamento: che hai illuminato tutte le genti con la parola dell'apostolo Paolo; l ampliamento costituisce il ricordo di ciò che Dio ha realizzato per mezzo della circostanza o della persona di cui si compie la memoria; Petizione: concedi anche a noi; la petizione è la domanda che il popolo, per mezzo del celebrante, rivolge a Dio; Motivo: che oggi ricordiamo la sua conversione; il motivo, come dice la terminologia stessa, pone in evidenza la motivazione della celebrazione; Fine della petizione: di essere testimoni della tua verità e di camminare sempre nella via del Vangelo; attraverso questo elemento la Chiesa formula la sua richiesta al Signore; si tratta, dunque, della specificazione della petizione; Conclusione: Per il nostro Signore... Altro elemento della colletta è sicuramente costituito dalla gestualità del celebrante che, mentre pronuncia l orazione tiene le mani alzate e allargate. Questa particolare gestualità, che è elemento caratteristico di tutte le preghiere presidenziali, richiama l atto dell orante così come è raffigurato in molti affreschi presenti anche all interno delle catacombe romane. Gli antichi cristiani pregavano tenendo le mani alzate e allargate. Inoltre le braccia alzate e le mani tese erano per i cristiani dell antichità un segno che ricordava il Signore crocifisso. Questo gesto, dunque, costituisce una indicazione simbolica che Cristo durante la celebrazione liturgica prega insieme ai fedeli come sommo sacerdote. RITI DI CONCLUSIONE. «I riti di conclusione comprendono: a) Brevi avvisi, se necessari; b) Il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con l orazione sul popolo o con un altra formula più solenne. c) Il congedo del popolo da parte del diacono o del sacerdote, perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio; d) Il bacio dell altare da parte del sacerdote e del diacono e poi l inchino profondo all altare da parte del sacerdote, del diacono e degli altri ministri» (OGMR 90). A. Avvisi. Terminata l orazione dopo la Comunione possono essere comunicati, se occorre, brevi avvisi pastorali indirizzati alla comunità. E importante che tali avvisi si distinguano per carattere di sinteticità ed importanza. Alcune informazioni possono essere pubblicate nel bollettino o nella bacheca parrocchiale per evitare che si prolunghi troppo la celebrazione. A volte, infatti, è importante dare l avviso di un particolare evento ma, per non dilungarsi troppo, si può rinviare la comunità a consultare le informazioni di dettaglio pubblicate nella bacheca oppure tramite altri canali informativi. Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 9 di 11

10 B. Saluto e benedizione. «Poi il sacerdote, allargando le braccia, saluta il popolo, dicendo: Il Signore sia con voi; il popolo risponde: E con il tuo spirito. Il sacerdote, congiunge ancora le mani e subito, tenendo la mano sinistra sul petto e alzando la destra, soggiunge: Vi benedica Dio onnipotente, e, tracciando il segno di croce sopra il popolo, prosegue: Padre e Figlio e Spirito Santo. Tutti rispondono: Amen. In giorni e circostanze particolari, questa benedizione, secondo le rubriche, viene espressa e arricchita con l orazione sul popolo o con un altra formula più solenne. Il Vescovo benedice il popolo secondo la formula a lui propria, tracciando tre volte il segno di croce» (OGMR 167). La benedizione del sacerdote, dunque, può essere impartita secondo tre modalità: - la benedizione semplice: «Vi benedica Dio onnipotente Padre, Figlio e Spirito Santo»; - la benedizione solenne, prevista per le grandi feste; il Messale prevede formulari di benedizione solenne con una triplice invocazione, qualche volta trinitaria: «Dio Padre vi conceda Il Figlio Gesù Lo Spirito Santo». Il popolo risponde ogni volta Amen; - l orazione sul popolo, appartenente ad una tradizione più tipicamente romana. Il sacerdote si rivolge a Dio con una preghiera domandando la sua benedizione per il popolo. Una benedizione molto antica, risalente al IV secolo e contenuta nelle Costituzioni Apostoliche, ha una formulazione molto bella: «Dopo la comunione, con l amen finale dell assemblea il diacono dice: Inchinatevi a Dio per il suo Cristo e ricevete la benedizione. Poi il vescovo recita una preghiera di benedizione e dice: Dio onnipotente, benedici coloro che tengono le teste inchinate davanti a te, esaudisci le aspirazioni del loro cuore, purché siano utili, e fa che nessuno resti escluso dal tuo regno. Santificali, custodiscili, proteggili, aiutali, liberali dall avversario e da ogni nemico, conserva le loro case, custodisci il loro entrare e il loro uscire. Alla fine tutti rispondono Amen e il diacono dice: Andate in pace». Come può essere osservato anche da questo testo molto antico e parimenti affascinante la benedizione non è un atto che ha effetto solamente nel momento in cui viene impartita, ma il suo frutto di grazia supera lo spazio e il tempo, accompagnando il fedele durante la sua vita quotidiana. C. Congedo del popolo. «Subito dopo la benedizione, il sacerdote, a mani giunte, aggiunge: La Messa è finita: andate in pace; e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio» (OGMR 168). In latino la formula di congedo è «Ite, missa est» e la parola Messa deriva proprio da questa frase, che potrebbe anche essere espressa con i termini «Ite, dimissio est». Dimissio, in latino, è una formula ufficiale, protocollare, con cui si scioglie l assemblea. Questa frase, pur avendo queste senso originario, nel tempo ha assunto anche un altro significato avente una valenza missionaria: Ite, missio est. Non dimissio, lo scioglimento dell assemblea, ma missio, cioè l invio in missione. Questo significato, dunque, non rimanda alla fine del rito liturgico ma, al contrario, all inizio della missione cui è chiamato ciascun fedele che ha partecipato alla Santa Messa. I riti di conclusione della Messa, dunque, aprono alla missione del cristiano che è chiamato a portare il Vangelo al mondo, soprattutto a chi è lontano, a chi soffre. E un invito a testimoniare Cristo in mezzo a chi vive la solitudine, la sofferenza. Inoltre, con il congedo del popolo, secondo la definizione del numero 90-c dell Ordinamento Generale del Messale Romano, i fedeli ritornano alla propria vita quotidiana lodando e benedicendo Dio. Il congedo, allora, è anche un invito affinché la vita di ciascun cristiano, corroborato dalla partecipazione all Eucarestia, sia una continua lode a Dio. Il liturgista Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 10 di 11

11 Adam Adolf ha evidenziato con una definizione affascinante che l Eucarestia è un grande ringraziamento per una grande azione di salvezza. D. Bacio dell altare e inchino profondo. La celebrazione si conclude con l atto di venerazione dell altare da parte dei ministri. Si riprendono, dunque, in una sequenza invertita, gli stessi gesti di venerazione dell altare compiuti all inizio della celebrazione liturgica. Deve essere considerato che l Ordinamento Generale del Messale Romano prevede la possibilità di adattare alcuni elementi rituali, tra cui il bacio dell altare, secondo le tradizioni e la cultura espressa dalla Chiesa locale: «Secondo l uso tramandato, la venerazione dell altare e dell Evangeliario si esprime con il bacio. Qualora però questo gesto simbolico non corrispondesse pienamente alle tradizioni e alla cultura di una determinata regione, spetta alla Conferenza Episcopale determinare, con il consenso della Sede Apostolica, un gesto che sostituisca il bacio» (OGMR 273). Qualora alla celebrazione della Santa Messa seguano altre azioni liturgiche i riti di conclusione non hanno luogo: «Se alla Messa segue un altra azione liturgica, si tralasciano i riti di conclusione, cioè il saluto, la benedizione e il congedo» (OGMR 170). In conclusione si osserva che l Ordinamento Generale del Messale Romano non prevede l esecuzione di un canto di uscita. Il vero congedo dell assemblea, dunque, è costituito dall espressione «la Messa è finita: andate in pace» a cui tutti rispondono «Rendiamo grazie a Dio». Esiste, però, una tradizione, non prevista dall Ordinamento Generale del Messale Romano, in virtù della quale si esegue il canto finale per accompagnare il rientro in sacrestia del sacerdote e degli altri ministri. Bibliografia consigliata: Felice Ferraris, Per ben celebrare. Guida all'eucaristia con il nuovo Ordinamento Generale del Messale Romano (Vivere la liturgia), Paoline Edizioni, Milano, Lezione 15 Riti di introduzione e riti di conclusione Pagina 11 di 11

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