A mia sorella Marisa

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2 aipsa edizioni

3 A mia sorella Marisa

4 Nota dell editore k Non è frequente pubblicare opere che risalgono al Medioevo sardo. Sembrava che gli storici e i linguisti avessero scandagliato nell isola ogni più recondito anfratto d archivio. Quando si ha la certezza che tutto è già stato scritto, scoperto, analizzato, sezionato nei minimi particolari, ecco che appaiono nuove rivelazioni ad accrescere le scoperte e rafforzare la convinzione, se ancora ce ne fosse bisogno, che sì abbiamo avuto una età di mezzo in Sardegna non trascurabile. Escono quindi come nuove, queste memorie, questi scritti passati prima per la clandestinità e poi caduti nell oblio. 5

5 La vicenda legata a queste carte è nota solo agli specialisti, giova quindi essere qui ripetuta. Nel 1907, il ritrovamento del diario segreto di Mariano IV Giudice d Arborea da parte di un anziano prete di frontiera votato alla ricerca storica, tale don Giovanni Garau, fece clamore nella sonnolenta cittadina di Oristano. La comunità scientifica sarda, poi continentale e infine internazionale, accolse la notizia sì con entusiasmo, ma anche con una buona dose di precauzione. Erano ancora troppo cocenti le scottature che gli studiosi sardi e piemontesi del XIX secolo, Martini, Spano, Manno, La Marmora, Baudi di Vesme, presero con le Carte d Arborea. Le assurdità paleografiche di quei falsi vennero messe a nudo da un tribunale di specialisti, tra cui Theodor Mommsen, dell Accademia di Berlino. Risolta così definitivamente la questione delle false Carte, nell ambito culturale sardo gli studiosi si diedero delle regole. Stavolta questo diario segreto di Mariano IV era composto da documentazione originale molto più esile: carte sparse personali attribuibili al Giudice, e non già lettere ufficiali o pergamene con canzoni in volgare sardo. Accanto alle carte, si dava agli studiosi una tra- 6

6 scrizione in sardo campidanese moderno preceduta da una avvertenza, curata dallo stesso anziano prelato oristanese, a cui faceva difetto di certo la cultura di ricerca paleografica, filologica, storica e anche letteraria, ma al quale era tutt altro che estranea la catechesi in lingua sarda, diffusa agli inizi del secolo in tutta l isola. Prima di qualsiasi pubblicazione, le carte originali di Mariano vennero passate al vaglio di diversi eminenti studiosi di paleografia, tra gli altri il professor H. Traube, dell università di Monaco. Nel frattempo, l anziano prete di Oristano, che aspettava di vedere coronato il suo sforzo, coinvolse direttamente anche i suoi superiori a Roma della Scuola Vaticana di Paleografia. L analisi sulla scrittura e sul materiale condotta dagli esperti non lasciò adito ad alcun dubbio: si trattava di un evidente falso. Il Vaticano lasciò cadere la questione, non emise verdetto di condanna, sperando che il prelato della diocesi di Oristano dedicasse il suo poco tempo che aveva dinanzi, più alle anime della sua contrada che alle astruse ricerche storico-filologiche. Questa volta nei circoli culturali isolani non si fece scalpore. Il vecchio prete non resistette al verdetto. Fece un falò delle sue carte e mise fine alla sua povera esistenza. 7

7 Un nipote ritrovò il corpo, alcuni resti del diario di Mariano ormai in cenere e la trascrizione vergata in bella grafia di quelle carte, risparmiata miracolosamente al fuoco. Era una di quelle radiose giornate di maggio del 1915 che chiamavano la gente in guerra. Il nipote seppellì nel silenzio lo zio prete e si tenne quelle maledette carte e altri oggetti che rinvenne nella casa. Passarono gli anni, finì la Prima guerra e arrivarono gli ex combattenti, e poi il fascismo; Oristano dimenticò presto la vicenda del vecchio prete bollato come falsario. Arrivò anche un altra guerra mondiale e poi di nuovo la pace. Il nipote del prete morì negli anni Settanta lasciando tutto agli eredi. Agli inizi del 2000, le carte vengono fortunosamente di nuovo alla ribalta, e questa volta sembra che finiscano nelle mani giuste. Una ragazza della famiglia, Beatrice Bassu Serrao, laureata in lettere, specializzata in studi sardi, rinviene infatti, tra i lasciti degli avi, il manoscritto con la trascrizione e alcuni pezzi delle false carte di Mariano. Incuriosita, e ignara del passato di quei manoscritti, inizia una ricerca che coinvolge colleghi e insegnanti dell università cagliaritana. 8

8 Vengono così analizzati i resti bruciati delle carte. Si compiono ricerche più approfondite a Barcellona, si confrontano i poveri resti in possesso con i documenti dell Archivio della Corona d Aragona, e si scopre che quelle carte erano assolutamente vere. Sì, la scrittura è proprio quella di Mariano IV Giudice d Arborea, una cancelleresca arborense dovuta a mano incerta. Così la storia e l audacia di un povero prete si riprendono una colossale rivincita. Si presenta qui per la prima volta il testo di Mariano trascritto da don Giovanni Garau, mentre la traduzione in italiano e la revisione del testo sardo è stata curata dalla stessa pronipote, la dottoressa Beatrice Bassu Serrao. 9

9 Memorias de Marianu Su diariu segretu de su Jugi Marianu IV de s Arbarea apparicciau e torrau a iscriri de Giuanni Garau s annu 1907 Avvertentzia. In is urtimus annus, medas bias beccias de Aristanis ant connotu allichididura. Domus antigas chi no teniant prus settiu, cun murus chi no serrànt prus peruna pratza, prenus de giassus, funt stetias sciorrocadas, po fai prus bella sa bella bidda de Aristanis. Accabbendu is traballus de sciorrocadura de is murus beccius e de su prociu de Port a Mari, - cussa Porta chi narànt ca fessit attaccada a sa domu de is Jugis de s Arbarea, - ant agattau, piccaperderis de sa erenzia mia, una cascia de linna cun tirieddas de peddi siccorrada, e mi dd ant onada, cun sa prumissa ca, chi aintrus ddui fessit stetiu dinai bonu, ddus ap essiri arreccumpensaus. Dinai aintrus de sa cascia, no nd eus agattau, e is pic- 10

10 Memorie di Mariano Il diario segreto del Giudice Mariano IV d Arborea curato e trascritto da Giovanni Garau l anno 1907 Avvertenza. Negli ultimi anni, molte vecchie strade di Oristano hanno conosciuto pulizia. Vecchie case senza stile, con mura che non chiudevano più nessun cortile, pieni di aperture, sono state demolite, per far più bello il bel paese di Oristano. Finendo i lavori di demolizione delle vecchie mura e del portico di Port a Mari, - quella Porta che dicevano fosse affiancata alla casa dei Giudici d Arborea, - hanno rinvenuto, tagliapietre del mio parentado, una cassa di legno con vecchie strisce di cuoio, e me l hanno consegnata, con la promessa che, se dentro ci fossero stati dei denari buoni, li avrei ricompensati. Denari dentro la cassa, non ne abbiamo trovati, e i 11

11 caperderis m ant arregallau totu is pagus cosas chene valori chi eus scabulliu: un aneddu cun d-una figura de cuaddu, mi parit de cussus chi portànt is obiscopus, podit essiri unu sullu; unu calixi de prata, piticu ma beni arremacciau; una lepa totu prena de arruina; una bibbia scritta in latinu, mali pigada de settiu; un arrogu de paperi longu longu chi creu siat pergamena, de anca no si ddui liggit nudda; paperis spratzinaus, in bella scrittura; e, po urtimu, unu crucifissu de linna purdiada. Apu liggiu cun meda sforzu is paperis, funt stetius iscrittus in sardu, ma in d-unu sardu chi no chistionat prus nisciunus: né in Campidanu e nimancu in Cabesusu, in peruna parti de Sardigna. Mi parit chi siant spetzias de arregordus, cosas chi funt subenias a chini s est postu a iscriri. Apu postu a sa beni e mellus in ordini custus paperis. Fiant giai totus chene data; sceti cussus chi mi funt patus su primu e s urtimu paperi portànt una spetzia de data e una bella firma cun d-una M manna manna a forma de coru: Marianu. De su chi apu potziu cumprendi de sa prima e de s urtima datatzioni, dada in Murreali - lampadas - MCC- CLXXVI e dada in Murreali - treulas, creu de ai agattau cussas chi narànt fessint propriu is Memorias de 12

12 muratori mi hanno regalato tutte le poche cose senza valore che abbiamo raccattato: un anello con incisa una figura di un cavallo, mi sembra di quelli che portavano i vescovi, può essere un sigillo; un calice d argento, piccolo ma ben cesellato; un coltello pieno di ruggine; una bibbia scritta in latino, mal presa come forma; un pezzo di carta molto lungo che credo sia pergamena, dove non vi si legge niente; fogli sparsi, vergati in bella scrittura; e, in ultimo, un crocifisso di legno ormai marcio. Ho letto con molto sforzo le carte, sono state scritte in sardo, ma in un sardo che non parla più nessuno: né nel Campidano e neanche nel Capo di sopra, da nessuna parte in Sardegna. Mi sembra siano specie di ricordi, cose che sono tornate in mente a chi si è messo a scrivere. Ho messo alla bell e meglio in ordine queste carte. Erano quasi tutte senza data; solo quelle che mi sono sembrate la prima e l ultima avevano una sorta di data e una bella firma con una M grande grande a forma di cuore: Mariano. Da quello che ho potuto capire dalla prima e dall ultima datazione, datato Monreale - giugno - MCCCLXX- VI e datato Monreale - luglio, credo di aver scoperto quelle che dicevano fossero proprio le Memorie di 13

13 Marianu, scrittas cun is manus suas prima de morri, de su Jugi de s Arbarea, babbu de sa grandu Leonora nosta. Apu torrau a iscriri totu in sardu campidanesu, a sa moda de oi, e lassu custas memorias a chini, cun sa voluntadi sua e sa bontadi de Deus, tenit prexeri de ddas liggi. Predi Giuanni Garau, su binti de su mes e ladamini de s annu 1907 in Aristanis. 14

14 Mariano, scritte con le sue stesse mani prima di morire, dal Giudice di Arborea, padre della nostra grande Eleonora. Ho riscritto tutto in sardo campidanese, alla moda di oggi, e lascio queste memorie a chi, per sua volontà e con la bontà di Dio, ha piacere di leggerle. Sacerdote Giovanni Garau, il venti del mese di ottobre dell anno 1907 in Oristano. 15

15 Seu canudu. De candu sa braba m est crescia, mi parit ca mi funt crescius pilus colori de cinixu puru. Ses cumpriu, ses cumpriu, Marianu. Mi onat fastidiu sceti a bortas custa braba, mi fait intendi prus mannu, prus omini, prus jugi. Jugi. Cumenti chi bastessit un omini a braba manna... Mi ndi seu accattau sceti imoi ca seu imbeccendi. Toccat a si firmai Marianu, toccat chi mi firmi. Assumancu po pensai. Ndi tengu abisongiu de pensai. A Timbora no ddi praxiat tanti custu logu, preferriat Bosa, e su Brugu. No, no est berus: eniat cun prexeri po is aquas; po is aquas sceti perou. Calincuna orta chi dda cundullia a passillai in custus orus de su castru, mi 16

16 Sono canuto. Da quando mi è cresciuta la barba, mi sembra che mi siano cresciuti pure capelli color cenere. Sei maturo, sei maturo, Mariano. Mi infastidisce solo a volte, questa barba, mi fa sentire più grande, più uomo, più giudice. Giudice. Come se bastasse un uomo con la barba lunga... Mi sono accorto solo adesso che sto invecchiando. Bisogna fermarsi Mariano, bisogna che mi fermi. Almeno per pensare. Ho bisogno di pensare. A Timbora non piaceva tanto questo luogo, preferiva Bosa, e il Borgo. No, non è vero: veniva con piacere per le acque; solo per le acque però. Qualche volta che riuscivo a indurla a passeggiare nelle vicinanze del 17

17 nd accattau ca eniat sceti po mi fai prexeri. Troppu manna sa bisura e su rennu, bia de custu cuccuru. Si nd assiccàt, candu biàt su sartu chi no spacciat mai. Marianu, Jugi meu, firmà, parit de dda intendi, struppiendu su chistionai nostu, Timbora. Mulleri, amiga, mammai de is fillus mius. Timbora, poita ti ndi ses andada? Poita no ses cun mei, in s ora de su pasiu? Mi olit sa manu, no seu abituau a intingi po iscriri; seu pensendi, e is pensamentus funt andendi in custu paperi: seu scriendi, eu, su Jugi, seu scriendi. Seu innoi a Murreali e iscriu cosas chene fundoriu, a sa moda de is cantadoris chi tenia in Aristanis, is sicilianus... Para Juanne iat essiri agatau una beridadi in custu scioberu: una beridadi chi mancu deu iat ap essi pensau. Parit de ddu intendi: Jugi meu, sas cantones puru piaghene a su Sennori meu? Gasi dae iscriere cun sas manus suas?. Para Juanne, de candu est mortu su parisceddu miu, mi toccat a fai totu a solu. Timu? Timu a fai scriri is cosas mias a is atrus? Timu, ddu deppu nai. No timu po mei, ca seu arribau a is lacanas de sa vida, a su tremini 18

18 castello, mi accorgevo che veniva solo per farmi piacere. Troppo grande la vista del regno, vista da questo colle. Si spaventava, quando vedeva che la campagna non finiva mai. Marianu, Jugi meu, firmà, sembra di sentirla, storpiando il nostro parlare, Timbora. Moglie, amica, madre dei miei figli. Timbora, perché te ne sei andata? Perché non sei con me, nell ora del riposo? Mi duole la mano, non sono abituato a intingere per scrivere; penso, e i pensieri stanno andando in questa carta: sto scrivendo, io, il Giudice, sto scrivendo. Sono qui a Monreale e scrivo cose senza senso, alla moda dei cantori che avevo ad Oristano, i siciliani... Frate Giovanni avrebbe trovato una verità in questa scelta: una verità che neanch io avrei pensato di trovare. Sembra di sentirlo: Giudice mio, pure le canzoni piacciono al mio Signore? Così da scriverle lui stesso con le sue mani?. Frate Giovanni, da quando è morto il mio fraticello, mi tocca fare tutto da solo. Ho paura? Ho paura di far scrivere le mie cose agli altri? Ho paura, devo dirlo. Non ho paura per me, che sono arrivato ai confini della vita, 19

19 chi mi seberat de su camminu faci a su celu... Oh Deus, oh Deus perdonaimì!, cantu cosas trevessas seu pensendu. Sceti tui, Babbu de is ominis in sa terra, podis ordinai chini podit e chini no podit sartai su tremini po arribai in su celu. Deus onnipotenti, Babbu nostu: Pater noster - qui es in caelis - sanctificètur nomen tuum - adveniat regnum tuum - fiat voluntas tua, sicut in caelo et in terra. Fai su prexeri tuu, seu fillu imploranti. No sciu poita m intenda custu amori po Deus in su corpus, no ddu depia intendi chi sighia is cosas de sa terra. Sceti chini at fattu beni, sceti chini at traballau po sa paxi de is ominis, - aici naràt cussu dimoniu de para miu de Guilcier, in su celu siat, - sceti cussus de bonu intendimentu podint crei, in unum Deum, naràt su para. No ddu naràt po mei, ma po cussus chi fiant abarraus agoa, cussus fradis sardus chi no iant connotu s Evangeliu, su fueddu de Deus. Ma a su para miu no ddi praxiant nemancu is brebus mius, po nai sa beridadi, totu sa beridadi. Cantu ortas m arregordàt ca no esistiant atras mexinas bonas po sanai su chi portaus aintrus, in fundu a totu is intragnas, prus in fundu du su coru puru. 20

20 al termine che mi separa dal cammino verso il cielo... Oh Dio, oh Dio perdonatemi!, quante cose sbagliate sto pensando. Solo tu, Padre degli uomini sulla terra, puoi ordinare chi può e chi non può saltare il termine per arrivare in cielo. Dio onnipotente, Padre nostro: Pater noster - qui es in caelis - sanctificètur nomen tuum - adveniat regnum tuum - fiat voluntas tua, sicut in caelo et in terra. Fai il tuo piacere, sono figlio implorante. Non so perché senta nel corpo quest amore per Dio, non dovrei sentirlo se seguissi le cose della terra. Solo chi ha fatto del bene, solo chi ha lavorato per la pace degli uomini, - così diceva quel demonio del mio frate del Guilcier, nel cielo sia, - solo quelli di buone intenzioni possono credere, in unum deum, diceva il frate. Non lo diceva per me, ma per quelli che restarono indietro, quei fratelli sardi che non avevano conosciuto il Vangelo, la parola di Dio. Ma al mio frate non piacevano neanche le mie formule, per dire la verità, tutta la verità. Quante volte mi ricordava che non esistevano altre medicine buone per guarire quel che ci portiamo dentro, in fondo a tutte le viscere, più in fondo anche del cuore. 21

21 Fezzat cumenti a santu Franciscu: Pax et bonum, naràt Juanne. Cali paxi? Cali beni? Su para miu mi ddu spiegàt a modu suu, candu mi liggiat s Evangeliu. E deu, - ah poita dd apu disconnotu!, - liggia is iscritturas cument a unu asuriu, unu giudeu imbriagu de sardesch spuntu e chene sabori. Para Juanne de Guilcier, poita m as lassau tui puru? De Aristanis m ant fattu sciri ca is cosas funt andendi beni. Chini m at lassau sa cummessioni est speranzosu: deu no. Deu no tengu prus gana. A is dimonius Castel di Cagliari e s Alguer e totu is catalanus chi ddui bivint! Seu dromendi mali, giai de unu pagu de tempus no arrennesciu a m arreposai is ciorbeddus. Andu e torru, andu e torru cumenti chi fessi unu furittu. Mancu is aquas mi faint beni. Is ominis de sa chita no scint ita fai; fortzis pensant chi su jugi insoru siat maladiu, maccu: pensant chi sia maccu. E cument a unu maccu passillu, cument a unu maccu no: a unu furittu, no: a unu maccu. Ddu sciu eu poita no dromu, ddu sciu eu poita fazzu cussus bisus, ddu sciu eu poita mi intendu is 22

22 Faccia come san Francesco: Pax et bonum, diceva Giovanni. Quale pace? Quale bene? Il mio frate lo spiegava a modo suo, quando mi leggeva il Vangelo. Ed io, - ah perché non l ho riconosciuto!, - leggevo le scritture come un avaro, un giudeo ubriaco di sardesch inacidito e senza sapore. Frate Giovanni del Guilcier, perché mi hai lasciato anche tu? Da Oristano mi hanno fatto sapere che le cose stanno andando bene. Chi mi ha riferito il messaggio è speranzoso: io no. Non ho più voglia. Al diavolo Castel di Cagliari e l Alguer e tutti i catalani che ci abitano! Sto dormendo male, già da un po di tempo non riesco a far riposare il cervello. Vado e vengo, vado e vengo come fossi un furetto. Neanche le acque mi fanno bene. Gli uomini della guardia non sanno cosa fare; forse pensano che il loro giudice sia malato, matto: pensano che sia matto. E come un matto passeggio, come un matto no: un furetto, no: un matto. Lo so perché non dormo, so io perché faccio quei sogni, so perché mi sento le viscere in ebollizione. Oh!, Dio, lo so, lo so! 23

23 intragnas buddi buddi. Oh!, Deus... ddu sciu eu, ddu sciu eu! Ma no est curpa mia, no est stetia curpa mia. Giuanni, Giuanni e su fillu. Poita Giuanni tui puru? Poita fradi miu mi oliast aici mali? Poita t apu depiu impresonai po no mi noci? Giuanni in Bosa, Giuanni a Lula, a Telti e in logu de Terranoa, in dognia logu... si ndi fiat scaresciu is doveris de unu sardu, de unu fillu de s Arbarea. Sa mulleri si fiat fuia, a Casteddu si ndi fiat andanda, e dd iat lassau a solu. Ma d apu depiu fai, Giuanni, mi iast essiri bocciu, tui, a mei, a fradi tu, sanguni de sa propria zenìa. Su majori de sa chita ariseru mi oliat cundulli a bandai a cassa. Bengat su Jugi, bengat cun nosu, andaus faci a Bonorzuli a cassai sirbonis. Sa chita de berruda s aspettat in su padenti de Arcuentu. Apu nau ca no andau, fortzis apu sbagliau. Mi fai mali su abarrai castiendi totu su rennu de custu cuccuru. Casteddu no ddu biu, Aristanis no dda biu, no biu is cosas chi m iat a praxi a biri. Poita castiu? A bortas m intendu unu cerbu, anzis unu cuaddu, e mi enit gana de sartai, curri 24

24 Ma non è colpa mia, non è stata colpa mia. Giovanni, Giovanni e il figlio. Perché Giovanni anche tu? Perché fratello mio mi volevi così male? Perché ti ho dovuto imprigionare per non nuocermi? Giovanni a Bosa, Giovanni a Lula, a Telti e nella zona di Terranova, dappertutto si era dimenticato i doveri di un sardo, di un figlio dell Arborea. La moglie scappò, a Cagliari se n era andata, e l aveva lasciato solo. Ma l ho dovuto fare, Giovanni, mi avresti ucciso, tu, a me, a tuo fratello, sangue della propria stirpe. Il maggiore delle guardie di palazzo ieri mi voleva convincere ad andare a caccia. Venga Giudice, venga con noi, andiamo verso Bonorzuli a caccia di cinghiali. La guardia a cavallo ci aspetta nel bosco di Arcuentu. Ho detto che non andavo, forse ho sbagliato. Mi fa male rimanere a guardare tutto il regno da questo cocuzzolo. Cagliari non la vedo, Oristano non la vedo, non vedo le cose che mi piacerebbe vedere. Perché guardo? Alle volte mi sento un cervo, anzi un cavallo, e mi viene voglia di saltare, correre e andare, andare andare, andare senza fermarmi, senza riprendere fiato. Mi verrebbe da saltare 25

25 e andai, andai andai, andai chene mi firmai, chene torrai sulidu. Ia a cerri de sartai su mari, de imperrai totu is navis de Ugoneddu, de partiri faci a is morus, e de andai ancora prus a basciu, a basciu finzas a sa fini de su mundu. Ma seu innoi, firmu, solu, maladiu. Chi podia curri, curria sceti a Casteddu. M arrechedit a biri cussu mari, a m affacciai de cussas turris, a bivi in su logu chi apu sempri disigiau. Timbora ndi fiat istetia cuntenta s orta chi ddi fiat beniu amarolla de ddu andai. Mi fu pata prexada. Casteddu est unu bisu, Jugi meu, est aspettendi su rei cosa sua. Casteddu, Marianu, est aspettendudì; sa genti sarda de cussus orus est aspettendudì. Tots lo vasalls per lo sennior Rey d Arbarè. Mi ddu naràt stringendumì is manus, Timbora mia, totu su Casteddu po mei, totu sa Sardigna po mei, po nosu sardus, po s Arbarea. Timbora, t apu tenta che mulleri, ma tui fiast una santa. A bortas pensu a is cosas de su mundu, a is doveris de una mulleri, de unu maridu. A candu mi seu lassau andai in is palatzius de Aristanis. A is giogus chi apu fattu fai, ma seu stetiu omini, e Timbora at sempri cum- 26

26 il mare, cavalcare tutte le navi di Ugoneddu, partire verso i mori, e andare ancora più giù, giù fino alla fine del mondo. Ma sono qui, fermo, solo, malato. Se potessi correre, correrei solo verso Cagliari. Ho voglia di vedere quel mare, affacciarmi da quelle torri, vivere nel luogo che ho sempre desiderato. Timbora era rimasta contenta quella volta che era dovuta andarvi per forza. Mi era parsa contenta. Cagliari è un sogno, Giudice mio, aspetta il suo re. Cagliari, Mariano, ti sta aspettando; la gente sarda di quelle parti ti sta aspettando. Tots lo vasalls per lo sennior Rey d Arbarè. Me lo diceva stringendomi le mani, Timbora mia, tutta Cagliari per me, tutta la Sardegna per me, per noi sardi, per l Arborea. Timbora, ti ho avuta come moglie, ma tu eri una santa. Certe volte penso alle cose del mondo, ai doveri di una moglie, di un marito. A quando mi sono lasciato andare nei palazzi di Oristano. Ai giochi che ho fatto fare, ma sono stato uomo, e Timbora ha sempre capito. I giochi, per accontentare tutti, per essere principi e re in casa nostra. Correre, correre a cavallo ad infilzare stel- 27

27 prendiu. Is giogus, po accuntentai a totus, po essiri principis e reis in domu nosta. Curri, curri a cuaddu a infrissiri isteddus... ma is isteddus mius, cussus chi cantant in celu, no si podint infrissiri. Su tempus est prus senzeru. Cun sa chita de is buiachesus seus andaus a Seddori, sa cresia est essendi bella. Apu pregau, no m arregodu cantu oras fia preghendi, ma apu pregau sinzillu. Is cresias mi ponint allerghia, finzas in su corpus. M intendu accanta de su Sennori miu. Deus onnipotenti, creu in d-unu Deus sceti, Babbu de totus, faidori de su celu e de sa terra. Mi enit gana de cantai, candu seu accanta de un altari. Cantai, a sa manera de su cuncordu, de is boxis chi apu intendiu in is partis de su Goceanu. Poita no ant postu is sonus de is cantoris nostus in su cartulaiu de sa musica de Santa Crara? Nodas sacras, nodas sinzillas, nodas de Sardigna, cantadas de is pastoris golleanus. Candu fiat minoreddu, prima de partiri po sa Catalunia, provau a cantai, a iscusi de Jugi Ugoni. No oliat babbai, no oliat, pensàt chi fessit prus bellu su cantigu catalanu. Ma a chini nociat su birimbò sardu?, e is sonus de cannas de Aristanis?, mancu cussus praxiant a su Jugi babbai. 28

28 le ma le mie stelle, quelle che cantano in cielo, non si possono infilzare. Il tempo è migliorato. Con le guardie di palazzo siamo andati a Sanluri, la chiesa sta venendo bella. Ho pregato, non ricordo quante ore stavo pregando, ma ho pregato sincero. Le chiese mi mettono allegria, anche nel corpo. Mi sento accanto al mio Signore. Dio onnipotente, credo in un unico Dio, Padre di tutti, creatore del cielo e della terra. Mi viene voglia di cantare, quando sono vicino ad un altare. Cantare, alla maniera del cuncordu, delle voci che ho sentito dalle parti del Goceano. Perché non hanno messo i suoni dei nostri cantori nel cartolaio della musica di Santa Chiara? Note sacre, note sincere, note di Sardegna, cantate dai soci pastori. Quando ero piccolo, prima di partire per la Catalogna, provavo a cantare, di nascosto dal Giudice Ugone. Non voleva mio padre, non voleva, pensava che fosse più bello il canto catalano. Ma a chi nuoceva il birimbò sardo?, e i suoni di canna di Oristano?, neanche quelli piacevano al Giudice padre. 29

29 Sposada Timboredda, seus torraus in Sardigna, e insaras, e insaras... eia! In is terras de Guilcier, eu Bisconti de Goceanu e de Marmilla, no mi perdia festas e dis nodias. Un annu, po santu Giuanni m arregodu, mi fia imbriagau. Imbriagau po tres o cuattru dis. Festus cun sa chita de berruda a Santu Serafinu in Guilcier. Su populu sanu fiat preparendi po messai. E totus baddànt, e ci fiant is sonadoris. Timboredda, in su celu siast, perdona custu poburu peccadori, perdonamì: fia imbriagu e m iant intremessau in su ballu, che a brebei in sa cotti, Timboredda, - ma deu no m intendia angioni, o pegus de macellu: fia in mesu de su ballu unu mascu attumbendi, - cument a bestias a sa fini s iant accorrau. In s accorru una bella arrosa frisca m at attendiu, e po duas dis eus fattu su chi sa natura cumandat. Dis bellas, cun is ballus e is cantus, baddendi a lugori e luna, cussas dis m intendia forti, rei de totu su mundu connotu, liveru chene reis, serbidori de mei e totu e de su sennori Deus. Is rajus de su soli nant adiosu, e mi scuriga su coru. Passillu e passillu ancora e ancora passillu, incrarau a Casteddu. Casteddu est aillargu, Casteddu est probianu, Casteddu est unu tesoru. Casteddu mi parit de dd a- 30

30 Sposata Timboretta, siamo tornati in Sardegna, e allora, e allora... sì! Nelle terre del Guilcier, io Visconte del Goceano e della Marmilla, non mi perdevo feste e giorni solenni. Un anno, per san Giovanni ricordo, mi ero ubriacato. Ubriacato per tre o quattro giorni. Eravamo con la guardia a cavallo a San Serafino nel Guilcier. Il popolo sano preparava per mietere. E tutti ballavano, e c erano i suonatori. Piccola Timbora, nel cielo tu sia, perdona questo povero peccatore, perdonami: ero ubriaco e mi avevano messo in mezzo al ballo, come pecora nell ovile, Timboretta, - ma io non mi sentivo agnello, o bestia da macello: ero in mezzo al ballo un montone cozzante, - come bestie alla fine ci avevano rinchiuso. Nella corte una bella rosa fresca mi ha accudito, e per due giorni abbiamo fatto ciò che natura comanda. Giorni belli, con i balli e i canti, ballando a luce di luna, quei giorni mi sentivo forte, re di tutto il mondo conosciuto, libero senza re, servitore di me stesso e del signore Dio. I raggi del sole dicono addio, e mi si rabbuia il cuore. Passeggio e passeggio ancora e ancora passeggio, con lo sguardo a Cagliari. Cagliari è lontana, Cagliari è vicina, 31

31 guantai strintu in is manus. Ti portu in sa manu e manca, ti stringiu a forti finzas a ti fai nai: Pigamindi su rey d Aragò, beni tui a m imprassai. Sa dì at arribbai: e is follas de s arburi birdi ant a intingi Stampaxi, Santu Miali, Bonari, Lapola e is stanis de Quartu giossu. Sa dì at arribbai, Marianu, ma tui no ddas a biri. Fillus tuus, is fillus de fillus tuus, chini, Ugoneddu? Is fillus de Leonora? De Beatrici? Marianu, pensa a morri chene essiri ferenau. Is mudas andant e benint. Is armas funt a postu. Contu is ballestreris, mi fidu sceti de is sardus, e mi parint pagus. Totu su trigu de Sardigna, est arricca de messaius sa terra mia, iat a depi capi in d-una bidda, po ddu tenni beni tentu, atesu de is anemigus. Ma su rennu est arriccu e is terras funt prenas: su trigu e s orxu prenint Murreali, Aristanis, Bosa e Burgos. Perdu Rey, no ndi pappas de pani de s Arbarea; torrainci in is lacanas de s oremari de Catalunia, sennoris Carròz, Canelles, Cespujades, Meschal... e totus is atrus meris de Sardigna, a mari, a is piscis, atru che feu, a presoni! Is molas girant, is feminas cantant. Is ominis andant 32

32 Cagliari è un tesoro. Cagliari mi sembra di tenerla stretta nelle mani. Ti porto nella mano sinistra, ti stringo forte fino a farti dire: Portami via il re d Aragona, vieni tu ad abbracciarmi. Quel giorno arriverà: e le foglie dell albero verde tingeranno Stampace, San Michele, Bonaria, Lapola e gli stagni di Quartu di sotto. Quel giorno arriverà, Mariano, ma tu non lo vedrai. I tuoi figli, i figli dei tuoi figli, chi, Ugoneddu? I figli di Eleonora? Di Beatrice? Mariano, pensa a morire senza essere incollerito. Le mute vanno e vengono. Le armi sono a posto. Conto i balestrieri, ho fiducia solo nei sardi, e mi sembrano pochi. Tutto il grano della Sardegna, è ricca di massai la mia terra, dovrebbe starci in un villaggio, per tenerlo ben curato, lontano dai nemici. Ma il regno è ricco e le terre son piene: il grano e l orzo riempiono Monreale, Oristano, Bosa e Burgos. Pietro Rey, non ne mangi pane dell Arborea; tornatevene nei confini delle coste di Catalogna, signori Carròz, Canelles, Cespujades, Meschal e tutti gli altri padroni della Sardegna, a mare, ai pesci, altro che diritto, in prigione! Le mole girano, le donne cantano. Gli uomini 33

33 e benint: is mudas funt stancas. Cun sa chita andu a is aquas, sa basca est bincendi a totus. Candu fait basca meda, sa morti parit chi siat in su castiu. Mi giru apetotu, ma morti no ndi biu: po oi seu ancora Marianu, po sa gratzia de Deus. Ia a podi andai a Serravalle, su castru de Bosa, a cambiai airi. Bagnus salius. Su celu perou mi parit diversu. Custus isteddus imprassant totu su rennu, is astrus... candu castiu is astrus mi parint steddus chi siant arruendinci a mari: andant faci a is terras de su Rey, a portai lugori. Ndi tenit abisongiu. Mi intendiai forti, cussas dis, in is terras de Catalunia, aguantendi su murrali de su cuaddu de Pedru. Cussu puru apu fattu: su murrali de su cuaddu tuu, Perdu sennori de is terras de is atrus. No fia sanu, insaras. No m intendia beni, e fia po morri. Morri in logu allenu, e ita dannu po su coru miu. Morri e morri in logu allenu. Annogratzias, torru gratzias a is dottoris sardus, torru gratzias a Tui, su Sennori chi mi castias de ingunis, in mesu de is isteddus. Oh Deus, Deus, poita m intendu is sentidus sbuidus? Poita seu de mala cara? 34

34 vanno e vengono: le mute sono stanche. Con la guardia di palazzo vado alle acque, il caldo sta sopraffacendo tutti. Quando fa molto caldo, la morte sembra che sia di guardia. Mi giro dappertutto, ma morte non ne vedo: per oggi sono ancora Mariano, per grazia di Dio. Potrei andare a Serravalle, il castello di Bosa, per cambiare aria. Bagni salati. Il cielo però mi sembra diverso. Queste stelle abbracciano tutto il regno, gli astri quando guardo gli astri mi sembrano stelle che stanno per cadere in mare: vanno verso le terre del Rey, a portare luce. Ne ha bisogno. Mi sentivo forte, quei giorni, nelle terre di Catalogna, tenendo le redini del cavallo di Pietro. Anche quello ho fatto: il morso del tuo cavallo, Pietro signore delle terre altrui. Non ero sano, allora. Non mi sentivo bene, e stavo per morire. Morire in un posto straniero, e che danno per il mio cuore. Morire e morire in luogo straniero. Grazie, ringrazio i dottori sardi, ringrazio Te, Signore che mi guardi da lì, in mezzo alle stelle. Oh Dio, Dio, perché i miei sentimenti sono vuoti? Perché sono inquieto? 35

35 Apu postu a menti a su serbidori miu. Pregai m at a fai beni. Torru a bandai cun sa chita a Seddori, sa cresia est giai acabada. Pregu. Pregu po mei, po Giuanni e po Perdu nostu. Tui puru Perdu nostu m as offiu lassai. Cument a babbu tuu, cument a mamma tua. Perdu de is Bas e de is Serras, in su celu siast. Candu oliat fai su rennu mannu, Perdu de Aragò t iat cundulliu. In Casteddu ti ddui praxiat, ma oliast torrai meri in domu mia, Perdu nostu, e no ddu sciast ca Marianu est serbidori de Deus e olit essiri sennori de Sardigna. Su rei miu est camminendu in pari cun su fillu e su spiridu santu. Connosciu sceti cussu de rei. Su cuaddu no ddu supportu prus. Atzit, d aggiudu eu. No timat su Jugi miu, imperrit, s egua est maseda. Is serbidoris funt sa cosa prus preziosa chi teneus. S assimbillant totus. Custu assimbillat a Giuanni de Uda, tanti est premurosu. S Arbarea, sa domu nosta, at tentu sempri bonus serbidoris, siat sardus che foresus. D aggiudu eu, no timat, mi narat passenziosu. Fortzis si ddu pensant ca seu maladiu, eppuru sperant chi m aderezzi. Seu andendimindi, e custu dispraxit a 36

36 Ho dato retta al mio servitore. Pregare mi farà bene. Rivado con la guardia di palazzo a Sanluri, la chiesa è già finita. Prego. Prego per me, per Giovanni e per il nostro Pietro. Anche tu Pietro nostro mi hai voluto lasciare. Come tuo padre, come tua madre. Pietro dei Bas e dei Serra, nel cielo tu sia. Quando voleva fare grande il regno, Pietro d Aragò ti convinse. A Cagliari ti piaceva starci, ma volevi tornare padrone in casa mia, Pietro nostro, e non sapevi che Mariano è servitore di Dio e vuole essere signore della Sardegna. Il mio re sta camminando con il figlio e lo spirito santo. Conosco solo quello di re. Il cavallo non lo sopporto più. Monti, l aiuto io. Non abbia timore Giudice mio, sieda, la cavalla è mansueta. I servitori sono la cosa più preziosa che abbiamo. Si assomigliano tutti. Questo assomiglia a Giovanni di Uta, tanto è premuroso. L Arborea, la nostra casa, ha avuto sempre buoni servitori, sia sardi che forestieri. L aiuto io, non abbia paura, mi dice con pazienza. Forse immaginano che sono malato, eppure sperano che mi raddrizzi. Me ne sto andando, e questo dispiace a 37

37 totus is fradis mius sardus. Mi dd auguru, Marianu, mi dd auguru. Seu stetiu pesau in mesu de appariccius de reis, ma eu a cussas cosas no nc apu mai tentu tanti. Mi toccàt a ddu fai, po s amarolla (cumenti a is Ordinamentus iscrittus po su bonu stadu de sa genti nosta), ma sa cosa prus bella chi m est capitada est stetia sa fuidura. Candu lassau sa pratza de sa Majoria e mi nd andau, cun is amigus prus carus. Stia beni sceti candu is cuaddus lassànt Porta a Pontis agoa de una scantu terras. A curri, a curri faci a su burgu, a su boscu, cussu mi praxiat diaderus de sa vida mia de Jugi. Nottesta s intendint cuccumeus, ma parint dimonius. Mi parit de torrai a is nottis leggias de Aristanis. Ugoni fiat aillargu e su gubernadori pensàt de podi intrai in domu mia. Ndi ddus eus sperdius, Aristanis no si toccat, Perdu: Casteddu si podit toccai. Scrillitus de animas pendias a deì, attitidus de animas mortas a denotti. No ddu sciu poita no m aggradesant custus sonus de sa natura, eppuru funt sonus de Deus, pretziosus de santu Franciscu, naràt su para miu... 38

38 tutti i miei fratelli sardi. Me lo auguro, Mariano, me lo auguro. Sono stato allevato in mezzo ai fasti regali, ma io a quelle cose non ho mai tenuto molto. Mi toccava farlo, per forza (come gli Ordinamenti scritti per il buono stato della nostra gente), ma la cosa più bella che mi è capitata è scappare. Quando lasciavo piazza de sa Majoria e me ne andavo, con gli amici più cari. Stavo bene solo quando i cavalli lasciavano Port a Pontis indietro di alcune terre. Correre, correre verso il borgo, nel bosco, quello mi piaceva veramente della mia vita di Giudice. Stanotte si sentono civette, ma sembrano demoni. Mi sembra di tornare alle brutte notti di Oristano. Ugone era lontano e il governatore pensava di poter entrare in casa mia. Li abbiamo annientati, Oristano non si tocca, Pietro: Cagliari si può toccare. Strilli di anime sospese di giorno, nenie di anime morte di notte. Non so perché non gradisca questi suoni della natura, eppure sono suoni di Dio, preziosi a san Francesco, diceva il mio frate 39

39 Totu mi onat fastidiu: is animalis, is ominis, is cosas, is isteddus, is iscritturas... s Evangeliu... s Evangeliu No ddu supportu chi su Sennori nostu siat mortu aici, po nudda, po nosu peccadoris: e nosu no dd eus arrecumpensau; nosu no dd eus aggradesiu. Chi ia pozziu, ap essiri onau su coru, po Gesusu. Gruxiadas? Centu, milli! A sa Sennora lodada terramannesa si dd apu fattu sciri: ia a donai totu su chi tengu, po sa domu de Gesusu. Seu unu rei, seu Marianu su sardu, devotu de Maria, de Gesusu, de s Evangeliu. Sa cresia de Seddori est unu gosu. Ddui seu torrau cun san chita a pasiu. Seddori, m arregodat is ominis chi iant giurau po su rennu de s Arbarea. Seddori, sa furca, s omini impiccau... no, no, no: a foras is pantasimas! Sa cappella de Sant Aingiu est incumenzada. M iat a praxi chi is sardus adorantis s arregodesint de sa famillia de is Serras, de s Arbarea, castiendu sa bovida, faci a su celu. Assumancu is facis nostas in sa cappella ddui dexint. Deu e su fedu cosa mia, candu unu crasi ant a cumandai issus. Deu no dd ap a connosci de siguru, su traballu accabau. Ugoneddu, fortzis, Ugoni, su donnikellu cosa mia. At essiri Jugi bonu che a su nonnu?, che a su tziu?, che a su babbu? 40

40 Tutto mi infastidisce: gli animali, gli uomini, le cose, le stelle, le scritture il Vangelo il Vangelo. Non sopporto che il nostro Signore sia morto così, per niente, per noi peccatori: e noi non l abbiamo ricompensato; noi non l abbiamo gradito. Se avessi potuto, avrei dato il cuore, per Gesù. Crociate? Cento, mille! Alla Signora lodata continentale gliel ho fatto sapere: darei tutto quello che ho, per la casa di Gesù. Sono un re, sono Mariano il sardo, devoto di Maria, di Gesù, del Vangelo. La chiesa di Sanluri è una delizia. Ci sono tornato comodamente con la guardia di palazzo. Sanluri, mi ricorda gli uomini che hanno giurato per il regno dell Arborea. Sanluri, la forca, l uomo impiccato no, no, no: fuori i fantasmi! La cappella di San Gavino è iniziata. Mi piacerebbe che i sardi credenti si ricordassero della famiglia dei Serra, dell Arborea, guardando il soffitto, verso il cielo. Almeno i nostri volti nella cappella ci stanno bene. Io e i miei figli, quando un domani comanderanno loro. Non lo conoscerò di sicuro, il lavoro finito. Ugoneddu, forse, Ugone, il mio donnicello. Sarà buon Giudice come il nonno?, come lo zio?, come il babbo? 41

41 Is aquas de Santa Maria mi faint beni. Casteddu e su mari suu funt aillargu, eu m intendu beni innoi. Mi seu arregodau de candu, giovoneddu, mi sciundia in is arrius in giru po su Goceanu. Fia su meri, insaras, e mi pariat de intendi totu is terras cumenti chi fessint mantas sterrias po mi ddui croccai. Mi biu ingenugau in is peis de sa Madonna santissima: deu donnikellu, cun sa spada vicicomitali... preghendu, preghendidda a Maria. Bellu retaulu! Su maiustu terramannesu iat pintau con is manus cumandadas de Deus! Su tempus est passendi, mi nd accattu castiendi sa genti chi m aggiriat: mi parint fadiaus, no scint cument est su Jugi insoru. Pensai a Casteddu mi stancat... eccus, ddui torru: Casteddu. Medas cosas apu fattu giustas in sa vida mia. Medas e no pagus. Custa iat essiri una de is prus mannas: Casteddu olit nai Sardigna, Marianu, olit nai su chi as sempri pensau in is intragnas tuas: sa natzioni sarda. Marianu aguanta imoi, aguanta, aguanta. Oi seu a sa perdia. Mi parit de portai unu bungiu in su zugu, asutta e s origa: no narat nudda de bonu. 42

42 Le acque di Santa Maria mi fanno bene. Cagliari e il suo mare sono lontani, io mi sento bene qui. Mi sono ricordato di quando, giovincello, mi bagnavo nei fiumi in giro per il Goceano. Ero il padrone, allora, e mi sembrava di sentire tutte le terre come se fossero coperte stese per coricarmici. Mi vedo inginocchiato ai piedi della Madonna santissima: io donnicello, con la spada vicecomitale pregando, pregandola Maria. Bel retablo! Il maestro continentale dipinse con le mani guidate da Dio! Il tempo sta passando, me ne accorgo guardando la gente che mi attornia: mi sembrano stanchi, non sanno com è il loro giudice. Pensare a Cagliari mi stanca ecco, di nuovo: Cagliari. Molte cose ho fatto giuste nella mia vita. Molte, non poche. Questa sarebbe una delle più grandi: Cagliari vuol dire Sardegna, Mariano, vuol dire quel che hai sempre pensato nel tuo intimo: la nazione sarda. Mariano tieni duro adesso, tieni, tieni. Oggi sono distrutto. Mi sembra di avere un bozzo nel collo, sotto l orecchio: non dice niente di buono. 43

43 Marianu Jugi de s Arbarea, ballestreris po binci sa maladia chi connoscis, no ndi tenis. Sa basca, sa basca, est occendimì. Triulas de fogu! No pozzu giai giai mancu scriri. Ita doloris funt? Poita is aquas chi primas mi fiant beni imoi no mi sanant? Depu torrai a is cosas mias... su cerbu, su leoni... sa pregadoria a brebus... no! Seu sanu, seu sanu, depu essiri sanu! Nottesta apu bisau. Fia pascendi brebeis, crabas e cuaddus. Fia pascendi in d-unu monti chene erba, chene materiu, chene vida, de unu bellu colori de prata. Ma is animalis pappànt. Portau unu leoni cumenti chi fessit unu cani: mi passillàt accanta. Un atra bestia, chi assimbillàt a unu boi, mi spingiàt faci a unu logu deanca ddui fiat unu padenti mannu mannu. Poi, is brebeis funt sparessias, ingurtias de sa terra, totu is animalis funt sparessius, seu abarrau a solu. Una boxi de su padenti mi zerriàt: Marianu, Marianu, est s ora, est s ora, lassa is terras de Sardigna, beni a ti pasiai asutta de custas mattas. Intendia ancora sa boxi, ma fiat su serbidori chi oliat sciri cumenti stia. 44

44 Mariano Giudice dell Arborea, balestrieri per vincere la malattia che conosci, non ne hai. Il caldo, il caldo, mi sta uccidendo. Luglio di fuoco! Non posso quasi quasi neanche scrivere. Che dolori sono? Perché le acque che prima mi facevano bene adesso non mi guariscono? Devo tornare alle mie cose il cervo, il leone le preghiere con le formule no! Sono sano, sono sano, devo essere sano! Stanotte ho sognato. Stavo pascolando pecore, capre e cavalli. Pascolavo in un monte senza erba, senza piante, senza vita, di un bel color argento. Ma gli animali mangiavano. Avevo un leone come fosse un cane: mi passeggiava accanto. Un altra bestia, che assomigliava ad un bue, mi spingeva verso un luogo dove c era un bosco grande grande. Poi, le pecore sono sparite, inghiottite dalla terra, tutti gli animali sono spariti, sono rimasto solo. Una voce dal bosco mi chiamava: Mariano, Mariano, è l ora, è l ora, lascia le terre della Sardegna, vieni a riposare sotto questi alberi. Sentivo ancora la voce, ma era il servitore che voleva sapere come stavo. 45

45 Custas erbas custas erbas de su stani saliu, custas erbas ferenadas po fai torrai cinixu su chi est stetiu omini biu. E custu calixi benedittu po torrai s anima a su Babbai de totus, po mi torrai a ponni in is manus de Deus. M intendu unu fugadoni aintrus, ma imoi mi ollu torrai a dromiri, bai e cica chi no ap a sonnai su padenti, s arburi birdi S arburi birdi... s arburi birdi Marianu, adiosu. 46

46 Queste erbe queste erbe dello stagno salato, queste erbe velenose per far ridiventare cenere quello che è stato uomo vivente E questo calice benedetto per restituire l anima al Padre di tutti, per rimettermi nelle mani di Dio. Mi sento un grande fuoco dentro, ma adesso voglio riaddormentarmi, chissà che non sogni il bosco, l albero verde L albero verde l albero verde Mariano, addio. 47

47 Postilla dell autore k Prima o poi si fanno i conti con il proprio passato, così spesso si dice. Forse è vero, o almeno è in parte vero per quel che mi riguarda. Di Mariano IV d Arborea conosco quel che in genere si conosce. Ho seguito le poche tracce rimaste di questo giudice nelle lettere, nei dipinti e nei volti scolpiti delle chiese, nel silenzio e nei panorami mozzafiato dei castelli. Così ho girato in lungo e in largo per l isola a cercare i luoghi di Mariano: immaginare il giudice nelle terme di Sardara, nel castello di Monreale e nella campagna di Sanluri; scrutare i peducci raffiguranti Mariano IV, Eleonora e gli altri regnanti dell Arborea nella cappella palatina di San Gavino martire a San Gavino Monreale; visitare il monastero e la chiesa di 49

48 Santa Chiara ad Oristano con i resti del suo affresco, dove Mariano, ancora donnikellu, mostra il figlio Ugo; andare in cerca dell effige di Mariano IV nella chiesa di San Serafino a Ghilarza (un luogo così caro anche a Gramsci!); ammirare i colori del polittico di scuola giottesca della chiesa di Ottana; salire entusiasta verso i castelli di Burgos e di Serravalle a Bosa; incantarmi, quasi quotidianamente, allo sky line cagliaritano di Castello; girovagare più volte, infine, nell affascinante barri gòtic dell Alguer. Ho messo insieme, quindi, una personale documentazione fatta di suggestioni sinestetiche, che ho tentato di trasportare nella pagina scritta. La Sardegna sembra sconfinata, vista da certe angolazioni; sembra senza tempo, se si ascoltano con attenzione i suoni che la circondano. E tra questi suoni e i silenzi non meno significativi della terra, ho pensato che una morte socratica restituisse una certa regalità al giudice malato. La lingua sarda che ho usato è il campidanese che viene direttamente dagli insegnamenti avuti nella mia Dolianova, nonché da quelli dei nostri scrittori sardi più significativi: Benvenuto Lobina per tutti. Ma se oggi 50

49 dovessi riscrivere il racconto, probabilmente opterei per la lingua sarda unificata. Il sardo usato da Mariano nelle sue lettere e nei suoi ordinamenti era infatti un sardo unificante. E non è poco se si pensa che una nazione nasce prima linguisticamente anzi che politicamente. Nelle lettere di Mariano c è anche questo lascito linguistico straordinario. Un monito per i sardi, che a tutt oggi, dopo quasi settecento anni, non è stato ancora accolto. Memorias de Marianu ha ricevuto nel 1998 il premio Alziator di letteratura sarda nella sezione Contus. Della giuria facevano parte, tra gli altri, Faustino Onnis, Giulio Paulis e Aquilino Cannas. Rispetto a quel testo premiato, ho apportato solo poche, insignificanti modifiche. L ultimo sforzo è stato, finalmente, quello di tradurre il racconto in italiano, e di preparare la nota dell editore. 51

50 Indice k 5 Nota dell editore 10 Memorias de Marianu 11 Memorie di Mariano 49 Postilla dell autore

51 2004 Aipsa Edizioni via dei Colombi Cagliari tel tel./fax e mail: aipsa@tiscali.it Progetto editoriale, copertina, grafica e impaginazione Aipsa Edizioni Finito di stampare nel mese di luglio dell anno 2004 ISBN

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