L uomo credente L alleanza nel dono reciproco (Gen 22)

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1 TERZA LEZIONE L uomo credente L alleanza nel dono reciproco (Gen 22) Il sacrificio di Abramo è la chiave di volta della storia del patriarca, un racconto che Israele rilegge perché vi riconosce l immagine di quello che è e di quello che è chiamato ad essere nella relazione con Dio. 1 Eppure ciò che spontaneamente viene da domandarsi ogni volta che si parla del racconto della «legatura di Isacco» (l espressione sacrificio di Isacco talvolta utilizzata non è calzante) è: Come immaginare che Dio possa domandare a un padre di sacrificare il figlio? Per tentare di affrontare la questione sono state esplorate diversi approcci e vie che presentano alcune risposte. PRIMA RISPOSTA Approccio letterario: è solo un test, da non prendere alla lettera. Un primo modo di superare la difficoltà muove da un osservazione tipica dell approccio letterario. Informando il lettore che ciò che segue non è altro che un test, una messa alla prova, il narratore indica che non bisogna prendere veramente alla lettera la richiesta di Dio. Dio quindi non ha voluto che Abramo gli sacrificasse il figlio. Ha solamente tentato di mettere alla prova la sua fede, di testare la fiducia che ripone in Lui. E se la prova è così dura, è per meglio mettere in evidenza la profondità della fede del patriarca. SECONDA RISPOSTA Approccio storico: rispecchia l uso dei sacrifici umani, per sopprimerlo. Un altra è la possibile spiegazione di tipo storico, peraltro non in contraddizione con la precedente. Si tratta di situare l ordine di Dio nel contesto della storia delle religioni, e in particolare sullo sfondo dei sacrifici di bambini, pratica che Israele ha condannato a un certo punto della sua storia. Così a Gezer, presso il santuario cananeo, sono stati ritrovati numerosi scheletri di bambini. La pratica dei sacrifici umani si è prolungata in Israele, probabilmente sotto l influenza dei popoli vicini. Emblematiche sono le parole del profeta Geremia: 1 Si consiglia la lettura di A. WÉNIN, Isacco o la prova di Abramo. Approccio narrativo a Genesi 22, Cittadella Editrice, Assisi 2005, al quale si fa ampio riferimenti negli appunti di questa lezione. 1

2 Perché i figli di Giuda hanno commesso ciò che è male ai miei occhi, oracolo del Signore. Hanno posto i loro abomini nel tempio che prende il nome da me, per contaminarlo. Hanno costruito l altare di Tofet (braciere), nella valle di Ben-Hinnòn, per bruciare nel fuoco i figli e le figlie, cosa che io non ho mai comandato e che non mi è mai venuta in mente. Perciò verranno giorni oracolo del Signore nei quali non si chiamerà più Tofet né valle di Ben-Hinnòn, ma valle della Strage. (Ger 7,30-32) Confrontandosi con questo rito celebrato dai suoi vicini, e talvolta praticato anche in seno al suo popolo, l autore del racconto ha voluto fondare nella storia del patriarca il rifiuto deciso di tale costume e la pratica di sostituzione che era comune in Israele, dove il figlio veniva sostituito da un animale. LA NOSTRA RISPOSTA Approccio narrativo: rilettura alla luce dell intero racconto della Genesi. La lettura progressiva del libro della Genesi che abbiamo compiuto in questo percorso di lezioni, infatti, ci permetterà di vedere nel racconto di Gen 22 non una storia a sé o limitata alla vicenda di Abramo, ma il compimento dell atto creatore di Dio e il profilo autentico dell uomo biblico. Nella prova di Abramo vedremo delinearsi l anti-adamo, colui che realizza quanto in origine l essere umano non riesce a compiere, cioè un rapporto reciproco con Dio, non più considerato come un competitore, ma come il partner dell alleanza voluta sin dalla creazione. La prova di Abramo Dono e prova vanno insieme (versetti 1-2) Fin dall inizio il narratore ci avverte: ciò che sta per succedere è una prova a cui Abramo viene sottoposto da Dio. Nell Antico Testamento lo scopo di una messa alla prova è «conoscere». La prova mette la persona in una situazione nella quale deve dare buona prova di sé, e dove si rivelerà in verità. La prova è sempre collegata al dono. Nell essenza del dono è implicato di essere accompagnato da un discorso, da un gesto che lo introduce in un contesto di relazione. Il dono infatti rivela qualcosa di chi dona; lascia intravedere un aspetto del suo desiderio nel quadro della relazione con colui a cui dona. Ma il modo di ricevere il dono mette ugualmente in luce in colui che riceve un aspetto del suo rapporto con colui che dona. Questo modo di ricevere, infatti, rivela il beneficiario, a seconda che questi vede nel dono la cosa di cui si 2

3 approprierà oppure il segno destinato ad esprimere e ad alimentare la relazione. Ecco perché il dono costituisce la prova: esso attiva un processo di manifestazione della verità. Come Abramo accoglierà il dono rappresentato da Isacco? O meglio: fino a dove arriverà Abramo quando si tratta del dono più prezioso che ha ricevuto, Isacco? Che cosa chiede esattamente Dio? Che Isacco venga offerto in olocausto oppure che suo padre lo porti con sé per offrire un sacrificio sulla montagna? Il testo sembra vertere prima di tutto sul modo in cui Abramo comprenderà la richiesta divina riguardante Isacco. Così se: 1. Se capisce l invito divino come la richiesta di un semplice olocausto da offrire con Isacco, Abramo mostrerà a che punto sta il suo rapporto con Dio: una relazione che si è normalizzata dopo la nascita di Isacco. 2. Se Abramo comprende che Dio gli chiede di offrire il figlio della promessa, la prova si troverà rilanciata e approfondita. In questo caso, infatti, Abramo avrà riconosciuto nell ordine udito gli accenti del Dio che, fino a questo momento, gli ha chiesto tutto. Eppure quest ultima richiesta sembra davvero troppo aspra! Giova analizzare il rapporto che esiste tra questo passo e il primo ordine che Dio aveva indirizzato ad Abramo, cioè il parallelismo tra Gen 12 e Gen 22: Dio disse ad Abramo: Vattene dalla tua terra e dalla tua nascita e dalla casa di tuo padre verso la terra che ti farò vedere (Gen 12,1). Dio disse ad Abramo: Prendi tuo figlio, il tuo unico, che tu ami, Isacco, e vattene verso la terra del Moriya (= della visione) e fallo salire là per un olocausto su una delle montagne che ti dirò (Gen 22,2). L ordine di «andarsene» è identico in 12,1 e 22,2 e la direzione indicata da Dio è una terra legata a un «vedere» e resta in un primo tempo indeterminata. L ordine gli chiede di rinunciare a qualcosa cui è legate personalmente (tuo padre e tuo figlio). Infine Abramo reagisce entrambe le volte con una partenza immediata, esplicitamente legata al discorso divino che ha appena udito (cf. 12,4 e 22,3). Questo parallelo con l inizio della storia di Abramo potrebbe qualificare positivamente il nuovo ordine divino. Infatti, andandosene la prima volta, Abramo si è messo in un avventura difficile, ma positiva. Così l ordine divino che lo ha strappato alle sue radici, l ha condotto per una via che gli ha 3

4 permesso di divenire realmente se stesso. Se adesso l ordine viene ripetuto, potrebbe, nonostante il suo carattere oscuro o ripugnante, andare nella stessa direzione, e indicare quindi ad Abramo un cammino di vita. La questione di sapere come Abramo comprenderà l ordine di Dio è intimamente legata a un altra questione che verte dunque sul modo in cui Abramo riceve il dono di Dio che è Isacco. Si mostrerà geloso, impadronendosi del dono e cedendo alla bramosia come Adamo nel giardino? Oppure lo lascerà essere un segno della relazione reciproca tra Dio e se stesso in vista della vita e del compimento della promessa di Dio? L oscura fiducia di Abramo Il viaggio, il sacrifico e l incontro con Dio (versetti 3-14) Le parole che Abramo rivolge ai servi e la sua risposta alla domanda di Isacco lasciano intravedere in lui un oscura fiducia: Abramo disse ai servi: «dimorate qui, voi con l asino, e io e il ragazzo andiamo fin là affinché ci prostriamo e torniamo verso di voi». E Abramo prese la legna dell olocausto la pose su Isacco suo figlio e prese nella sua mano il fuoco e il coltello. E andarono entrambi unitamente. E Isacco disse a suo padre: «Padre mio», e Abramo: «eccomi figlio mio». E disse: «Ecco il fuoco e la legna, ma dov è l agnello per l olocausto?». E Abramo gli disse: «Dio vedrà per sé l agnello per l olocausto, figlio mio». E andarono entrambi unitamente (Gen 22,5-8). Abramo sembra sapere che deve sacrificare suo figlio. Ne ignora il motivo ma si affida a Dio il quale, invece, deve saperlo. Nella sua ignoranza, egli ripone la sua fiducia in Dio fino al punto da essere pronto a rendergli quanto da lui ha ricevuto. Eppure è come se Abramo volesse credere a qualsiasi costo che non dovrà compiere l irreparabile. La sua obbedienza non nasconde il suo travaglio e la sua delicatezza nei riguardi del figlio: «figlio mio». Il racconto giunge al momento di immolare il sacrificio: Arrivarono al luogo che gli aveva detto Dio e Abramo costruì là l altare e dispose la legna e legò Isacco suo figlio e lo pose sull altare al di sopra della legna e Abramo stese la sua mano e preso il coltello per immolare suo figlio. E il messaggero di Dio lo chiamò dal cielo e disse: Abramo, Abramo. E disse: Eccomi. E disse: Non stendere la tua mano sul ragazzo e non fargli 4

5 niente. Sì, adesso so che tu sei uno che teme Dio e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unico, lontano da me (Gen 22,9-12) L obbedienza totale di Abramo è il lato visibile della sua fiducia. È quanto viene manifestato quando il messaggero di Dio mette fine alla prova dichiarando che ora Dio sa che Abramo è un vero credente. Perché un vero credente? Perché non ha risparmiato per sé il suo figlio; cioè non ha rinchiuso la mano sul dono per trattenerlo in modo geloso. La fede spinge Abramo a riconoscere Isacco come un dono, al punto da mostrarsi pronto nonostante tutto a offrirlo indietro a colui che glielo ha donato. In un certo modo, Dio dà ad Abramo la possibilità di fargli un dono identico al suo. Accettando questa sfida, Abramo accede alla reciprocità, è conosciuto perfettamente da Dio e allo stesso tempo fa la conoscenza di Dio, lo vede! Ecco il senso del nome del luogo: quello della visione nella quale Dio vede e si fa vedere, ma questo attraverso la reciprocità del dono che si realizza nel superamento della prova. In questo senso, Abramo è l anti-adamo, rivelando allo stesso tempo ciò a cui era chiamato l essere umano nell Eden. In Gen 2,16-17 Dio fa un dono ad Adamo (il giardino, cioè la vita); segna questo dono con un limite sotto forma di proibizione (non mangiare dell albero del conoscere bene e male) come per invitare Adamo a non credersi il proprietario di questo dono ma a riceverlo in quanto tale. Messo alla prova Adamo cerca di appropriarsi del dono perché vede in Dio un concorrente geloso e così chiude la porta della comunicazione con il Signore. A questa diffidenza di Adamo di fronte a colui che gli aveva dato tutto, si oppone la fiducia di Abramo che osa credere che questo Dio, che gli chiede indietro il suo dono, voglia la sua felicità come quando glielo ha promesso e poi donato. Così in Abramo si realizza e si svela ciò a cui Dio chiama l essere umano fin dalle origini. Se ora seguiamo il filo del racconto, la dichiarazione del messaggero ha per effetto di permettere ad Abramo di alzare gli occhi e vedere più lontano: E Abramo alzò gli occhi e vide, ed ecco un ariete, dietro, impigliato nel cespuglio con le sue corna. E Abramo andò e prese l ariete e lo fece salire in olocausto al posto di suo figlio. E Abramo chiamò il nome di questo luogo «il Signore vede», che è detto oggi: «Su una montagna, il Signore è visto» (Gen 22,13-14). Invece dell «agnello» evocato dal figlio Isacco precedentemente, il padre Abramo offre in olocausto un «ariete». Al posto del figlio rappresentato dall agnello, egli sacrifica l ariete, immagine del padre. Nella Bibbia l immagine delle «corna» evoca spesso la potenza. Inoltre l avverbio «dietro» situa l animale alle spalle di Abramo; intesa dal punto di vista temporale rimanda al 5

6 passato. L ariete è «impigliato»: tale verbo significa il possesso, la proprietà. Tutto ciò sta ad indicare ad una lettura profonda l immagine di un padre irretito nella propria potenza. Così guardandosi indietro, Abramo vede un padre il cui potere consiste nel possedere suo figlio al punto che la distinzione tra i due non è possibile. In questo senso, il sacrificio di Abramo sta nella forma di paternità a cui rinuncia, quella del possesso del figlio e quindi del dominio sul dono della promessa. Anche se non ha immolato suo figlio, Abramo ha quindi veramente sacrificato la sua paternità intesa in quanto possesso del figlio della promessa. Isacco è libero Temere Dio è imparare ad amare suo figlio nel modo giusto (versetti 15-19) Il racconto potrebbe già essere concluso. Invece la conclusione è costituita dalla benedizione che rinnova la promessa fatta precedentemente da Dio ad Abramo. Ancora una volta torna il parallelismo con il racconto di Gen 12 che come abbiamo visto iniziava allo stesso modo, così si conclude ugualmente: Perché io faccia di te una grande nazione e che io ti benedica e renda grande il tuo nome e che tu diventi benedizione e che io benedica coloro che ti benedicono ma colui che ti disprezza, maledirò e che in te acquistino per sé benedizione tutte le famiglie della terra (Gen 12,2-3). E disse: «Su di me faccio giuramento oracolo del Signore: sì: poiché hai realizzato questa parola e non hai risparmiato il tuo figlio unico, sì, benedire io ti benedirò e moltiplicare io moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è in riva al mare, e la tua discendenza prenderà possesso della porta dei suoi nemici, e acquisteranno per sé benedizione, nella tua discendenza tutte le nazioni della terra poiché hai ascoltato la mia voce» (Gen 22,16-18). 6

7 Questa promessa di benedizione e di vita, Abramo l aveva ricevuta all inizio della sua avventura. Adesso lo stesso Signore la ripete con la garanzia del giuramento e la prolunga annunciando che la discendenza di Abramo avrà la meglio su tutto quello che si ergerà contro di essa, in modo tale che tutte le nazioni possano avere accesso alla benedizione. Al termine della storia di Abramo, il libro della Genesi riprende la scena iniziale, dilatandola. Tra il nuovo ordine e la promessa rinnovata, Abramo ha rimesso tutto in gioco nel momento in cui Dio glielo ha chiesto, per ricevere tutto di nuovo, e questo scambio del dono manifesta una reciprocità nell amore. Ma che ne è di Isacco? Il racconto non precisa che Isacco scende dalla montagna con Abramo. Se quest ultimo aveva detto «torneremo verso di voi» (v. 5), è invece da solo che «torna verso i suoi servi» (v. 19). Isacco non è più menzionato e, secondo il racconto della Genesi, non vedrà più suo padre. Questo è il segno che Abramo non l ha risparmiato, cioè tenuto per sé, ma che ha veramente rinunciato ad appropriarsi del dono di Dio. Abramo ha tagliato simbolicamente il legame che univa suo figlio al progetto di padre. Ormai Isacco non va più «unitamente» col padre. È libero di fronte a lui. L uomo nella Bibbia appare dunque come l uomo credente, che si fida di Dio e vive il rapporto con lui non in competizione, ma nella partnership, ossia nella relazione di reciprocità del dono, che realizza la vera alleanza d amore. La storia che in modo emotivamente molto forte coinvolge questo padre e questo figlio insegna in maniera altissima che ogni dono in quanto tale chiama l uomo non al possesso, ma alla capacità di ridonarlo. In questo modo l uomo credente trova se stesso, e in un certo senso dona la vita anche al dono stesso. Così come ogni genitore che considerasse il figlio semplicemente un dono ricevuto dal coniuge. Prima o poi questo figlio rivendicherà la propria autonomia, dimostrando che non appartiene né al padre né alla madre. Tale distacco è difficile da viversi, eppure l insegnamento antropologico ci indica che è meglio suscitare la libertà del bambino, invece che vedersela rivendicare con forza. In una situazione di questo genere, Abramo scopre il volto del suo Dio e impara ad amare Isacco, il dono di Dio, il dono della promessa, nel modo giusto. 7

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