4. LA CERAMICA SPAGNOLA DA TRASPORTO
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- Agnella Conte
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1 4. LA CERAMICA SPAGNOLA DA TRASPORTO L ultimo problema che affrontiamo è quello relativo ai contenitori da trasporto. È ormai accertato che durante l alto-medioevo si riduce, nel Mediterraneo, la circolazione dei grossi contenitori da trasporto 42. Nei siti o in contesti di questo periodo frammenti di anfore sono molto scarsi, quando non di risulta. Un tipo definito a pareti costolate, che compare a Luni, è un prodotto proveniente dall area orientale del Mediterraneo e diffuso non oltre il secolo VIII 43. Una ripresa dell importazione, su scala più ampia, di contenitori da trasporto, è documentata, dopo l anno mille, dalla presenza delle c.d. giare islamiche (tipo 6a Mannoni), distribuite in particolare lungo la costa tirrenica settentrionale e centrale. Nonostante non si disponga che di materiale frammentario, il tipo è facilmente riconducibile agli esemplari integri o parzialmente integri rinvenuti in nord-africa e Spagna meridionale 44. In Toscana frammenti di questi recipienti sono stati rinvenuti a Pisa 45, nel contado pisano 46, nel territorio fiorentino 47 e lungo la costa 48. La loro presenza in ambiente pisano è stata giustamente ricollegata con le merci, di varia natura, che dovevano confluire dal mondo arabo nella città toscana tra l XI e il XIII secolo 49 e la presenza, in contesti[28] non urbani, ad un riutilizzo secondario come contenitori di acqua o derrate: alcuni documenti, di cui parleremo più avanti, sembrano suggerire alcune indicazioni sulla varietà delle merci. Queste giare, ampiamente diffuse nel Mediterraneo 50, venivano prodotte probabilmente in Marocco e Spagna 51. Per il periodo successivo, invece, l unico nucleo di contenitori da trasporto di produzione non locale che si conosce, è un modesto gruppo di giare/anfore rinvenuto durante il restauro del palazzo Mediceo di Serravezza, nelle volte della sala del Consiglio 52. Un esemplare frammentario isolato era invece nelle volte del chiostro di Sant Agostino a Pietrasanta, ora conservato nel locale Museo Civico. I contenitori provenienti da Serravezza sono di cinque tipi. Tipo A) giara con fondo piano e stacco a cordicella, corpo di forma ovoidale molto allungato, spalla convessa su cui si imposta una bocca stretta senza collo con un bordo piatto a listello pronunciato all esterno. Impasto duro, rosso mattone, con numerosi inclusi. Tracce d usura. Due esemplari (num. inv. 50 e 52). (tav. X; fig. 7, n. 1) T. MANNONI, 1975, pp e tipo 3, p Così H. BLAKE, 1977, p. 651 e 653 (utile anche per la discussione generale del tipo pp ). Su questi prodotti vedi ora anche M. L. STOPPONI, 1983, pp 130 e ss. 44 G. BERTI L. TONGIORGI, 1972, pp Ibidem. 46 Ripafratta (G. BERTI L. TONGIORGI, 1972, pp. 3-10); Val di Cerreto (Cerreto) (G. CIAMPOLTRINI, 1980, p. 515). 47 Botteghe (Fucecchio) (G. CIAMPOLTRINI, 1980, p. 515, tav. 1, n. 9). 48 Rocca di San Silvestro (Campiglia Marittima) (R. FRANCOVICH S. GELICHI R. PARENTI, 1980, p. 30, fig. 19, n. 18bis). 49 G. BERTI - L. TONGIORGI, l972, p Se ne veda l ampia rassegna contenuta in G. BERTI - L. TONGIORGI, 1972, pp G. BERTI - L. TONGIORGI, l972, p. 8; IDEM 1981, pp F. BUSELLI, 1965; I coppi di palazzo mediceo, << Fogli di informazione>>, 1, s.d., a cura del Gruppo Archeologico Etnologico Apuano di Serravezza, senza numero di pagine (ciclostilato). 53 Due sono gli esemplari conservati in deposito a Serravezza mentre ne I coppi cit., se ne ricordano quattro. Il nucleo delle anfore ritrovate nel Palazzo Mediceo e stato smembrato: una campionatura è conservata in deposito a Serravezza,
2 h.: 74,5/72 Ø (bocca):31 > <:1,3 Un esemplare presenta sulla spalla un marchio circolare impresso a crudo, di difficile interpretazione (vaso biansato?), uguale a quello rinvenuto, sempre sulla spalla, sulla giara frammentaria da Sant Agostino (vd. infra). (fig. 8, n. 1). Tipo B) giara con fondo convesso, corpo di forma tronco-conica, spalla con profilo convesso, bocca stretta con collo appena accennato, bordo inspessito piano. Impasto duro, beige, con chiazze rosate (dove la superficie esterna non è conservata, grigiastro), numerosissimi inclusi anche superficiali, tra cui sembra chamotte. Due esemplari (num. inv ), con tracce di usura. (tav. XI; fig. 7, n. 2). h.: 71 Ø(bocca):14 > <7/6 [30] parte presso i locali della Biblioteca Comunale (alcuni orci a beccaccia). Il resto dovrebbe essere ancora nel palazzo Mediceo, ma non è stato controllato.
3 Tav. X Giara tipo A (da Serravezza) Tipo C) anfora con fondo convesso, corpo ovoidale piuttosto allungato, spalla convessa, collo stretto (non più conservato), anse a sezione ellittica con scanalature verticali applicate sulla parte mediana della spalla e quella inferiore del collo. Sul corpo sono evidenti tracce di lisciature concentriche. Impasto duro, rosso mattone, con pochi inclusi. Un esemplare (n. 54), con tracce d usura (tav. XII; fig. 7, n. 3). h. (residua): 91 Ø(collo): 12 > <:1/1,3 Tipo D) giara con fondo piatto largo, corpo ovoidale e ampia bocca (senza collo) con bordo leggermente aggettante. Sul bordo colature di smalto verde smeraldo; nella parte bassa del collo fascia lineare a pettine, sottostante ad elemento sinuosidale, sempre pettine. Impasto duro, rosso mattone, con inclusi. Un esemplare (num. inv. 53), con tracce d usura (fig. 1, n. 4).
4 h.: 66 Ø (bocca):33 > <:1,5/1,2 L ultimo tipo (E) è rappresentato da 45 orci a beccaccia e 1 a bocca circolare 54, talvolta con marchi gigliati sull ansa 55 (fig. 8, n. 2). Dalle volte del chiostro di Sant Agostino a Pietrasanta provengono due contenitori frammentari rinvenuti in assocazione con ceramica ligure a smalto berettino (ex inf. Buselli). Si tratta di un orcio a beccaccia (tipo E), sulla cui ansa è un marchio ad asterisco puntinato, e della parte superiore di una giara di tipo A, con marchio sulla spalla, impresso a crudo, uguale a quello di Serravezza (tav. XIII). Mentre il tipo E rientra inequivocabilmente tra i materiali prodotti nella regione 56, i tipi A, B, C sono sicuramente contenitori da trasporto importati dalla Spagna; alcune riserve rimangono per il tipo D. Purtroppo i grandi complessi spagnoli, provenienti anch essi da volte di edifici, come quello dal presbiterio e dalla Sala Capitolare della chiesa parrocchiale di Santa Maria del Pi a Barcellona 57 o l altro, dalla volta dell ospedale di Santa Cruz, sempre a Barcellona, per citare solo i più famosi, sono in parte andati smembrati o non pubblicati in maniera adeguata.[32] Anche un recente rinvenimento nella cattedrale di Barcellona, 54 R. FRANCOVICH - G. VANNINI, 1976, pp Ibidem, n. 8 e n. 10, tav. VI. 56 Un centro di produzione era sicuramente l Inpruneta (Firenze): vd. S. GELICHI, 1981, pp Sulle vicende dei materiali ceramici provenienti dalla chiesa parrocchiale di Santa Maria del Pi, famosa nella letteratura archeologica (L.M. LLUBBIÀ, 1973, p. 151; J. HURST, 1977 p. 99) è utile consultare J.F. CABESTANY FORT - F. RIERA VILAR, 1978, pp
5 Tav. XI Giara tipo B (da Serravezza).
6 Tav. XII Anfora tipo C (da Serravezza).
7 Tav. XIII Giara tipo A (da Pietrasanta) nonostante una presentazione, resta sostanzialmente inedito e utilizzabile solo per riferimenti molto generali 58. Il tipo A mostra analogie, nel corpo piuttosto affusolato, nel fondo piatto e anche nella bocca, con il bordo leggermente aggettante, con esemplari della sala capitolare della parrocchia di Santa Maria del Pi a Barcellona 59, datata tra il 1468 e il [35]Giare di questo tipo provengono anche dalle volte dell ospedale di Santa Cruz (alcuni esemplari sono conservati nei magazzini del Museo de Ceramica di Barcellona) 61, datate tra il 1404 e il , da Maiorca (in un contesto databile tra il 1440 e il 1460; ex inf. Rossello-Bordoy) e con un esemplare, esposto in una sala del Museo de Ceramica di Barcellona, proveniente da Valenza. Dei due esemplari di Serravezza uno presenta, come già abbiamo esposto, un marchio impresso sulla spalla, identico a quello riscontrato nell esemplare dal Sant Agostino di Pietrasanta (vd. supra). Il marchio, già di difficile interpretazione (forse un recipiente ansato), non trova riscontri precisi nei reperti che abbiamo consultato, sia di vasai barcellonesi 63 che valenzani 64, anche se non mancano, naturalmente, 58 (58) J. BASSEGODA NONELL, L A. fornisce una serie preziosa di informazioni circa i rinvenimenti avvenuti nella cattedrale di Barcellona nel 1966/67 (dal chiostro <<càntaros y ànforas de los siglos XIV-XV >>, p. 68) e nel 1975 (dalla terza navata; vi sono dedicate alcune pagine, pp ); ma la sua attenzione è rivolta soprattutto all impiego di questi recipienti piuttosto che ad un loro studio tipologico e cronologico, in parte possibile per la buona documentazione scritta che esiste sui lavori nella cattedrale (pp ). Gli altri casi di impiego di ceramiche nelle volte, portati ad esempio, discussi alle pp (interessanti per verificare l estensione topografica e cronologica del fenomeno) sono viziati dallo stesso procedimento che impedisce, se non attraverso una superficiale lettura della documentazione fotografica che accompagna il volume, di operare corretti riferimenti. 59 L.M. LLUBBIÀ, 1973, p. 153, fig. 170 (la didascalia della figura dove compare l indicazione del secolo deve ritenersi una svista o un refuso). 60 Sulla data non esistono discordanze (L.M. LLUBBIÀ, 1973, p. 153; J.F. CABESTANY FORT - F. RIERA VILAR, 1978, p. 408). Sempre da Santa Maria del Pi provengono altri materiali rinvenuti nel 1952 durante i restauri del presbiterio della chiesa databile nella prima metà del XIV secolo. Non esistendo alcun inventario di questi due nuclei, in parte dispersi in varie collezioni (vd. J. BASSEGODA NONELL, 1977, lam. XXIVa, dove <<ollas del Pino >> si dicono conservate nel Museo Etnologico del Pueblo Español; cfr. inoltre J.F. CABESTANY FORT F. RIERA VILAR, 1978, p. 409), si è avanzato il dubbio, fondato, della doppia origine anche di quei pezzi recentemente studiati e conservati nel recinto della chiesa del Pi. Ma della giara che a noi interessa, oltre alla testimonianza del Llubbià, ci è di conferma una foto delle volte della sala capitolare dove sono riconoscibili diversi esemplari di questo tipo (L. M. LLUBBIÀ, l973, fig. 169). 61 Il complesso, che abbiamo potuto personalmente analizzare, grazie alla cortesia della dott. T. Sanchez - Pacheco, documenta, con leggere varianti, tutte e tre le torme presenti a Serravezza. 62 L. M. LLUBBIÀ, 1973, p. 151; J. BASSEGODA NONELL, 1977, lam. Va e Vb. 63 L. M. LLUBBIÀ, 1973, fig. 175; J. BASSEGODA NONELL, 1977, lam. IXd.
8 tipologie simili 65. Esemplari di questa forma conservati nei magazzini del Museo de Ceramica di Barcellona presentano sulla spalla alcuni marchi, diversi però da quelli riscontrati sui due nostri esemplari. Il tipo B compare ancora nel gruppo dei recipienti rinvenuti nelle volte dell Ospedale di Santa Cruz a Barcellona 66 ed è attestato a Manises, dove alcuni esemplari sono esposti nel locale Museo; i marchi, qualora presenti, sono dipinti con ocra rossa e non a stampo. Questo tipo è quello che più si avvicina ai c.d. anforotti (olive-jar) pubblicati da Hurst, caratteristici contenitori da trasporto di olio (o olive in salamoia o vino) 67 diffusi in epoca post-medievale soprattutto nel Nuovo Mondo 68 ; [36]alcuni esemplari si sono rinvenuti in Irlanda 69 ma se ne conoscono anche da relitti italiani 70. Anche il tipo C compare tra i recipienti provenienti dalle volte dell Ospedale di Santa Cruz 71 a Barcellona; Rossello-Bordoy ce lo segnala sempre a Maiorca, ma con fondo piano. Il tipo è simile ad anfore ritrovate nelle volte del presbiterio della cattedrale di Barcellona, come ricaviamo da una foto d insieme pubblicata dal Bassegoda-Nonell 72 e una del Llubbià 73, anche se questi recipienti sembrano più piccoli e con l attacco superiore dell ansa ripiegato sulla spalla e non sul collo come nell esemplare di Serravezza. Quest ultimo, poi, è alto il doppio rispetto ad un anfora rinvenuta durante gli scavi a Dublino 74, che pure gli somiglia nella forma del corpo, nel fondo convesso, nelle anse scanalate attaccate alla base del collo. L esemplare di Dublino, con altri frammenti di anfore simili, ritenuto probabilmente di produzione spagnola 75, proviene da un contesto di XIV secolo. Allo stesso orizzonte cronologico il Llubbià attribuisce gli esemplari dal presbiterio della cattedrale di Barcellona. Sulla determinazione di provenienza del tipo D, avanzeremo alcune perplessità. Il contenitore trova certamente confronti con le giare spagnole, ricordando nella forma del corpo ma anche nei motivi, una tinaja proveniente da Paterna e pubblicata dal Llubbià 76 o ancora meglio un esemplare dal monastero di Predalbes, del quale possediamo solo una foto pubblicata dal Bassegoda-Nonell 77, molto simile anche per la caratteristica terminazione della bocca a collarino. Bisogna però ricordare come l impiego dei motivi decorativi a pettine così semplici (fascia ondulata e fascia continua) appartenga anche al repertorio decorativo dei vasi toscani, che proprio in questo periodo riscoprono applicandolo spesso a contenitori da trasporto, da mescita e da conservazione e che forme simili alla nostra non sono sconosciute in altri contesti e definite locali[37] 78. Gli esemplari scoperti nelle volte della sala del consiglio di Serravezza provengono da un contesto ben datato. Una lettera del 29 novembre 1563 inviata da Virgilio Carnesecchi al duca Cosimo, relativa a spese occorse per lavori dell erigendo palazzo mediceo tra il 1561 e il 1563, riferisce dell acquisto di 120 coppi << per mettere alle volte>> al costo di 20 scudi F. ALMARCHE, 1918, pp ; R. ALFONSO BARBERA, s. d., pp (per vasai di Paterna). 65 Vd. J. BASSEGODA NONELL, 1977, lam. IXd in basso a sinistra; F. ALMARCHE, 1918, fig. 32. Non molto ben leggibili dalla foto due marchi in L. M. LLUBBIÀ, 1973_, fig. 175 a sinistra, potrebbero avvicinarsi al nostro. 66 Materiale conservato sempre al Museo de Ceramica di Barcellona; vd. nota T. FANNING J. HURST, 1975, p. 105 e pp (questa ultima parte a cura di J. G. HURST E J. M. LEWIS). 68 J. M. GOGGIN, 1960, pp M. L. PETERSON, 1973, fig. 45 e Vd. Nota E. RICCARDI F. PATELLA, 1977, n. 18, p. 436, fig Vd. Nota J. BESSEGODA NONELL, 1977, lam. VIb. 73 L. M. LLUBBIÀ, 1973_, fig J. HURST, 1977, pp , n. 53, fig Ibidem, p Un interessante confronto può essere istituito con una brocca di un famoso quadro del Velasquez, databile tra il 1619 e il 1620, <<El aguador de Sevilla>>, ora al Wellington Museum (vd. J. LOPEZ - REY,1963, pp , pl. 21). Si vedano le analogie con il nostro esemplare nella forma del corpo (pure più piccolo), nella presenza di solcature, nella struttura e attacco dell ansa. 76 L. M. LLUBBIÀ, 1973_, fig. 168 (si veda però la diversa terminazione della bocca). 77 J. BASSEGODA NONELL, 1977, lam. XVIa. 78 Da Palazzo Coverelli in Firenze (R. FRANCOVICH - G. VANNINI, 1976, n. 13). 79 F. BUSELLI, 1965, pp
9 Meno certa è invece la data dell inserimento dei due recipienti scoperti in Sant Agostino, che sembra risalire al 1520 ca. (ex inf. Buselli) 80 ; l associazione con maioliche liguri potrebbe confermare la data. In entrambi i casi, però, i recipienti utilizzati (e non solo gli esemplari spagnoli) presentano tracce d usura, a dimostrazione che l acquisto non venne fatto presso un vasaio; inoltre questo fatto induce a pensare che la partita deve ritenersi probabilmente già così formata al momento della compera. Le date quindi a disposizione (ammettendo per ipotesi certa anche quella del Sant Agostino) forniscono solamente un terminus ante quem ma non ad quem poichè, tenendo conto dei processi di formazione del nucleo sino al momento dell acquisto, nulla ci vieta di pensare che i singoli tipi siano stati prodotti e acquistati in tempi diversi. Del resto i confronti sopra ricordati con gli esemplari spagnoli non sono probanti né per sostenere una omogeneità cronologica di produzione del gruppo (l unico indizio può essere fornito solo dal fatto che tutti e tre i tipi sono compresi nel nucleo dell ospedale di Santa Cruz a Barcellona) né per indicare un area certa di provenienza. Pertanto il nucleo rinvenuto in Versilia attesta solamente che i quattro tipi erano in uso prima del 1563 e il tipo B forse prima del Attendiamo che lavori sui grossi complessi spagnoli, ancora praticamente inediti, ci consentano di definire meglio cronologie e centri di produzione. La presenza di questi contenitori, ma anche delle c.d. giare islamiche, sollecita naturalmente il problema del loro contenuto, in relazione al quale, è bene sottolinearlo, questi recipienti venivano importati. Le fonti di cui abbiamo potuto prendere visione non sono particolarmente abbondanti.[38] Molto spesso si è parlato per queste giare come di contenitori di Obra de terra 81 ma solo alcuni tipi possono essere stati usati a questo scopo, non trascurando poi la possibilità che spesso il termine giara stia ad indicare una quantità standard di prodotti piuttosto che un vero e proprio contenitore 82. Un documento datiniano pubblicato dallo Heers che riferisce di un carico di una nave di ritorno da Maiorca (in un periodo compreso tra il 1386 e il 1390) e diretta a Genova e Pisa, ci attesta l uso di giare sia per il trasporto di ceramica che di mele e pesce 83. Per quanto riguarda gli esemplari versiliesi si può ragionevolmente pensare che contenessero olio 84 anche se a supporto di tale ipotesi si può solo indicare l analogia con i c.d. anforotti importati nel Nuovo Mondo 85 e un documento pubblicato dalla Guiral 86 che parla di un carico di 800 giare vuote imbarcate a Valenza, riempite d olio a Tortosa e dirette a Venezia (1491). Dalla carta di distribuzione si può già ipotizzare una diffusione delle c.d. giare islamiche nella Toscana attraverso Pisa: i frammenti di questi recipienti si ritrovano infatti lungo la costa in aree sottoposte all influenza pisana e lungo l Arno, veicolo commerciale di primaria importanza per l entroterra toscano. Il rinvenimento versiliese dato il carattere per il momento di unicum impedisce di affrontare qualsiasi tentativo di interpretazione della distribuzione di queste tipologie più tarde. Non è comunque improbabile che la rarità di questi prodotti sia da imputare, anche in questo caso, ad una difficoltà oggettiva di individuarli in scavo, se allo stato frammentario, accompagnata ad una documentazione materiale che per la Toscana è ancora insufficiente.[39] 80 Secondo Buselli un documento del 1519 parlerebbe dell acquisto delle colonne per il chiostro. 81 L. M. LLUBBIÀ, 1973_, p. 113, fig M. SPALLANZANI, 1978, p. 531, nota J. HEERS, 1955, pp Probabilmente un analisi del deposito che è rimasto sulle pareti e sul fondo di questi recipienti potrebbe dare indicazioni più precise. 85 Vd. Nota J. GUIRAL, 1975, p. 86 IDEM, 1976, p. 193.
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