CONSIGLI DI RIPRESA ------------------------------------------------------------------------------- -



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CONSIGLI DI RIPRESA ------------------------------------------------------------------------------- - LA COMPOSIZIONE: 10 REGOLE 1. ESSENZIALE. Il successo di una immagine dipende molto spesso dalla semplicità dell'inquadratura e dagli elementi che vi sono inclusi. Il fotografo deve evitare di inserire nell'immagine particolari estranei al soggetto o inutili a descrivere la situazione che si è voluta fotografare. 2. A FUOCO. La perfetta messa a fuoco è il primo elemento dal quale si giudica una buona fotografia. Se il soggetto è sfocato la fotografia è sempre una brutta fotografia. Nel ritratto occorre sempre mettere a fuoco gli occhi; nel paesaggio è bene chiudere il diaframma per sfruttare la profondità di campo. 3. SFONDO. Al momento dello scatto in genere non si dà allo sfondo grande importanza, ma dopo ci si accorge che spesso un brutto sfondo deturpa un buon ritratto. Scegliete sfondi omogenei, privi di dettagli evidenti, oppure aprite il diaframma al massimo per sfocare completamente tutti i piani dietro al soggetto. 4. ORIZZONTALE. Scegliete l'inquadratura orizzontale se volete dare all'immagine un senso di ampiezza. E' il caso della fotografia di panorami. 5. VERTICALE. Preferite l'inquadratura verticale quando volete dare all'immagine un senso di profondità. Non inquadrate mai in orizzontale un soggetto con andamento verticale. 6. RITRATTO. Le persone vanno fotografate da vicino. Controllate sempre che il soggetto copra almeno metà del mirino. La singola persona va preferibilmente ripresa in verticale. Attenti alla luce: l'ideale è quella diffusa, da evitare il controluce. 7. CONTRASTO. Non tentate mai di scattare fotografie inquadrando due zone illuminate in modo molto diverso: metà sole, metà ombra. Nessuna delle due parti risulterà perfetta. Scattate due immagini. 8. OMBRE. La luce è l'elemento più importante per il risultato. Fate attenzione alle ombre (nei ritratti) e ai riflessi indesiderati. I migliori risultati si ottengono quando la luce è leggermente diffusa come al mattino presto o nel pomeriggio. 9. QUINTA. Un effetto sempre vincente nella fotografia di paesaggio è quello della quinta. Si tratta di dare maggior risalto alla profondità di una scena grandiosa come una vallata inquadrando lateralmente un elemento vicino: ad esempio il ramo di un albero. 10. ATTREZZATURA. La migliore attrezzatura non garantisce la qualità del risultato. Le belle immagini si ottengono facilmente solo se al momento dello scatto si riflette a quanto si sta facendo in funzione di quello che si vuole ottenere. Chi non segue questa regola, non potrà mai dirsi fotografo. MESSA A FUOCO CON LA REFLEX La tecnica di messa a fuoco è determinante per il risultato. Sempre e comunque deve essere a fuoco l'elemento principale (gli occhi in un ritratto). La visione reflex e l'autofocus facilitano questa fondamentale operazione della ripresa. AUTOFOCUS. I sistemi automatici consentono una regolazione veloce del fuoco centrando nel mirino il soggetto. I diversi sistemi sono descritti nei manuali dei vari apparecchi ma ricordate che l'autofocus può "impazzire" in alcuni casi: quando il soggetto è uniforme o il contrasto è molto basso, quando il soggetto si muove rapidamente e risulta difficile mantenerlo al centro, quando la superficie mostra molti riflessi. Si può risolvere il problema usando un altro punto di messa a fuoco o ricorrendo alla regolazione manuale. MANUALE. Grazie al sistema reflex la messa a fuoco è molto intuitiva: l'immagine sarà perfettamente a fuoco quando, regolando la ghiera dell'obiettivo, apparirà perfettamente nitida sullo schermo smerigliato nel

mirino. La regolazione risulta facilitata da due sistemi ottici spesso combinati e presenti al centro dello schermo: i microprismi e il telemetro ad immagine spezzata. Se l'immagine non è a fuoco, i microprismi la dissolvono, mentre il telemetro spezza le linee che lo attraversano; quando invece l'immagine sui microprismi è perfetta e le linee ininterrotte essa è a fuoco. Per sfruttare al meglio questi dispositivi occorre centrare il soggetto principale e regolare la messa a fuoco, prima di comporre l'inquadratura definitiva. MESSA A FUOCO RAPIDA. Imparate a conoscere il senso della ghiera di messa a fuoco dell'obiettivo: in alcuni casi si va verso infinito ruotando verso sinistra, in altri ruotando verso destra. Conoscendo questa caratteristica si potrà controllare istintivamente la messa a fuoco a seconda che il soggetto si avvicini o si allontani. MESSA A FUOCO A ZONA. E' possibile scattare immagini nitide predisponendo la messa a fuoco per la zona nella quale si troverà il soggetto o quando si debba scattare alla cieca. Regolate la ghiera sulla distanza approssimativa alla quale si troverà il soggetto e chiudete il diaframma per sfruttare al massimo la profondità di campo. GLI OBIETTIVI GRANDANGOLARI: da 20mm a 35mm. Essenziali per riprese in interni o in zone dove la distanza tra fotocamera e soggetto sia molto ridotta. Consentono anche di fotografare con tempi più lunghi di esposizione del normale e offrono una maggiore profondità di campo. NORMALI: da 45mm a 55mm. Per ogni genere di ripresa. Dal paesaggio al ritratto, alla ripresa in cattive condizioni di luce perché molto luminosi. TELEOBIETTIVI: da 85mm a 200mm. Consentono di ingrandire il soggetto rispetto al normale. Sono utilizzabili facilmente a mano libera fino a 200mm. Per evitare le vobrazioni usate un tempo che sia l inverso della focale. Con un 200mm usate almento 1/250 di secondo. CARATTERISTICHE DEGLI OBIETTIVI LUNGHEZZA FOCALE. Indica in millimetri la distanza tra il centro ottico dell'obiettivo e la pellicola quando il fuoco è su infinito. La lunghezza focale dei grandangolari è corta, lunga quella dei teleobiettivi. LUMINOSITA'. Il valore f/ indica la luminostà relativa di un obiettivo. Più il valore è piccolo (f/1,4) più l'obiettivo è luminoso e consente riprese in poca luce. I normali ed i medio grandangolari sono i più luminosi. DISTANZA MINIMA DI RIPRESA. Una corta distanza minima di ripresa consente di avvicinarsi al soggetto per fotografarne dei particolari. La distanza minima di ripresa è più contenuta quanto più corta è la focale dell'obiettivo ad eccezione degli obiettivi macro o zoom con funzione macro. ANGOLO DI CAMPO. Indica in gradi l'angolo che ciascun obiettivo è in grado di coprire. L'angolo di campo è maggiore nei grandangolari, minore nei teleobiettivi. DISTORSIONI PROSPETTICHE. Non è un termine corretto, ma indica l'apparente difetto di distorsione di soggetti a distanze diverse che vengono ingranditi in modo innaturale. Un soggetto inquadrato da vicino con un grandangolare appare enorme rispetto allo sfondo. Al contrario con i teleobiettivi è lo sfondo ad apparire più ingrandito del soggetto ripreso ad una distanza superiore al normale. Queste particolarità possono essere sfruttate a scopo creativo. ZOOM. Gli obiettivi zoom, a seconda della focale usata, si comportano esattamente come gli obiettivi a focale fissa. CARATTERISTICHE DELLE PELLICOLE BASSA SENSIBILITA' Pellicole da 50 a 100 Iso consentono una ottimale riproduzione dei dettagli.

ALTA SENSIBILITA' Pellicole tra 400 e 800 Iso, permettono riprese di azione in quantpo consentono di usare tempi brevi di esposizione, ma il dettaglio è meno fine. ALTISSIMA SENSIBILITA' Pellicole oltre tra 800 e 1600 Iso, permettono riprese in luce ambiente con tempi di esposizione sempre abbastanza brevi. Nonostante il miglioramento delle emulsioni la grana è più evidente. In un viaggio o in una occasione importante, non dimenticate di portare con voi pellicole di sensibilità diversa che vi consentano, all'occorrenza, di eseguire riprese in tutte le condizioni di illuminazione. CARATTERISTICHE TIPICHE IN FUNZIONE DELLA SENSIBILITA' Sensibilità Iso 50 100 400 1000 GRANA FINISSIMA *** * GRANA FINE *** ** GRANA GROSSA ** *** LATITUDINE DI POSA ** *** *** CONTRASTO *** ** * * RISOLVENZA *** ** * * TRATTAMENTO FORZATO * *** *** La scelta della pellicola deve anche avvenire in funzione delle necessità di ripresa. Questa tabella, che mette in evidenza le caratteristiche tipiche a seconda della sensibilità, consente di effettiare una scelta ragionata. PELLICOLE A COLORI E DIFETTO DI RECIPROCITA' Usando le pellicole a colori con esposizioni più lunghe di un secondo (ad esempio per scattare un notturno), ci si imbatte in una leggera perdita di sensibilità dovuta al cosiddetto difetto di reciprocità. Più l'esposizione è lunga più questo problema è consistente. La tabella che pubblichiamo serve ad effettuare la correzione dell'esposizione in diaframmi (f/) per compensare la perdita di sensibilità. Appurata l esposizione, con gli apparecchi manuali basterà aprire il diaframma del necessario; con gli apparecchi automatici è bene ricorrere al controllo manuale. PELLICOLE NEGATIVE INVERTIBILI Iso/Secondi 3 15 100 3 15 100 50 NC NC NC +1/2 +1-1/2 NC 100 +1/2 +1 +2 +1/3 +1-1/2 NC 200 +2/3 +2 +2-1/2 +1/2 NC NC 400 +1 +2 +3 +1/2 +1 +2 1000 +1 +2 +3 +1/2 +1 +2 1600 +1 +2-1/2 +3-1/2 +1/2 +1 +2 Correzioni in diaframmi, NC=non consigliato. Non è possibile compensare il difetto di reciprocità allungando il tempo anziché aprendo il diaframma perché si ricadrebbe in una nuova situazione da correggere ulteriormente. PELLICOLE BIANCONERO Sul mercato sono disponibili diversi tipi di pellicola bianconero. In funzione della sensibilità esse offrono prestazioni diverse in termini di nitidezza, contrasto e latitudine di posa. SENSIBILITA' BASSA MEDIA ALTA Riproduzioni *** * Esterni giorno ** *** Sport * ** *** Interni con flash * ** Esterni notte * *** Interni ** ** Luce scarsa * *** COME ESPORRE SENZA ESPOSIMETRO Con gli apparecchi meccanici e manuali anche di vecchio tipo è possibile esporre con una certa precisione anche se l'esposimetro dovesse cessare di

funzionare. Oltre a far riferimento ai foglietti di istruzione delle pellicole, si può seguire con successo una formula valida per le riprese in pieno sole. Regolate il diaframma dell'obiettivo su f/16 e utilizzate come tempo di esposizione il valore più prossimo alla sensibilità della pellicola. Così, con una pellicola da 100 Iso esporrete con f/16 e 1/125 di sec. mentre, con una pellicola da 400 Iso, esporrete con f/16 e 1/500 di sec. Se il soggetto è in ombra in una giornata di sole aprite il diaframma di due valori. Con il cielo appena coperto aprite il diaframma di un valore. Nei casi più difficili scattate tre fotogrammi aprendo il diaframma di un valore ad ogni scatto. Questa tecnica si chiama bracketing. Di seguito una serie di valori di esposizione per le più disparate condizioni in esterni. Con gli apparecchi automatici questa regola può essere seguita impiegando il modo manuale. TEMPI E DIAFRAMMI DA USARE PER RIPRESE IN PIENO SOLE Apertura f/16 f/11 f/8 f/5,6 f/4 50 Iso 1/60 1/125 1/250 1/500 1/1000 100 Iso 1/125 1/250 1/500 1/1000 1/2000 400 Iso 1/250 1/500 1/1000 1/2000 800 Iso 1/500 1/1000 1/2000 La tabella indica il tempo da impostare volendo utilizzare una diversa ma equivalente apertura di diaframma rispetto a f/16 nelle medesime condizioni di illuminazione. Per riprese in ombra occorre aprire il diaframma di due valori. IL RITRATTO IN ESTERNI Il ritratto in esterni non va confuso con l'istantanea. Quindi per un buon ritratto non importa saper cogliere al volo un'espressione, occorre saper costruire un'immagine. La luce naturale è certamente quella ideale per questo tipo di fotografia, tuttavia occorre molta attenzione al momento della ripresa perché il gioco delle luci e delle ombre può risultare deleterio al risultato finale. LA LUCE. I raggi diretti del sole costringono il soggetto a brutte smorfie, quindi evitate la ripresa nelle ore centrali della giornata. Se sul viso appaiono ombre nette, ricorrete all'uso di un pannello bianco riflettente (anche un foglio di giornale va bene) per ammorbidirle. Lo stesso soggetto può sorreggerlo se non fotografate la figura intera. La ripresa in ombra è una buona alternativa. LA POSA. E' la cosa più difficile, ricordate però che nel ritratto gli occhi del soggetto debbono guardare nell'obiettivo. L'OBIETTIVO. La focale ideale è quella di 90-100mm, se avete uno zoom regolatelo di conseguenza. Per un risultato di qualità si dovrà chiudere il diaframma su un valore centrale e quindi il treppiedi può diventare indispensabile. MESSA A FUOCO. Mettere a fuoco sempre e solo gli occhi del soggetto, regolate il diaframma in funzione della profondità di campo desiderata. Apritelo se volete sfocare lo sfondo. LE PELLICOLE. Usate una pellicola di bassa sensibilità sia in bianconero che a colori. Vi offrirà la maggior nitidezza possibile con ottimo dettaglio nei capelli. Usate il negativo colore se dovete ottenere degli ingrandimenti da incorniciare. I FILTRI. Il filtro flou è ideale per ammorbidire l'immagine. In mancanza si può fissate davanti all'obiettivo una calza di nylon o un velo nero di tulle. Il filtro skylight è indispensabile nelle riprese a colori in ombra per evitare dominanti troppo fredde. Con il bianconero il filtro verde offre un effetto abbronzatura, il filtro giallo attenua le lentiggini del soggetto. Tutti i filtri da utilizzare Testo e foto di Claudio Cerquetti

I filtri fotografici sono utili complementi all attrezzatura fotografica. Possono essere impiegati per correggere difetti della realtà e per realizzare effetti speciali. Ecco i filtri più diffusi I filtri sono fra gli accessori fotografici più snobbati e bistrattati, pur rivelandosi utili, anzi utilissimi, o addirittura indispensabili, in molteplici situazioni fotografiche. Al giorno d oggi molti di noi sono abituati a riconoscere gli interventi di foto-ritocco realizzati al computer, ossia le post-produzioni che alterano in modo evidente la realtà visibile ad occhio nudo (con uno scanner e un computer, ad esempio, é facile cancellare antiestetiche rughe e depilare le modelle... rendendole simili a bambole di plastica). Queste correzioni all immagine reale vengono generalmente realizzate da un abile grafico con la supervisione del fotografo che si é occupato della ripresa. Il dato curioso é che, però, la stessa indulgenza nel giudicare le alterazioni elettroniche delle fotografie non si applica, invece, agli interventi di filtratura eseguiti in fase di ripresa. Chissà perché. Ma questa foto é fatta con un filtro! - si sente spesso dire al fotografo da chi osserva le immagini, come a dire: ti ho scoperto, ma chi vuoi prendere in giro... Fermo restando che il miglior trucco é sempre quello che passa inosservato (un po come il maquillage di una donna), bisogna sicuramente dire che i filtri, dei quali si fa largo uso sia nel cinema che nella televisione, si rivelano spesso indispensabili per correggere alcuni difetti in fase di ripresa, o per apportare all immagine determinati plus creativi. Ma attenzione, nell uso di questi accessori non bisogna esagerare: la pesantezza eccessiva di alcuni interventi, infatti, potrebbe disperdere un soggetto già di per sé bello e significativo, in un gorgo di riflessi e colori a volte pacchiani. Quelli più utili. Ricapitoliamo: i filtri fotografici, che devono essere fissati davanti all obiettivo di ripresa, servono per apportare all immagine modifiche di varia natura. Fra quelli regolarmente in commercio, ce ne sono alcuni che vanno da sempre per la maggiore: in genere si tratta di filtri tecnici, ossia di quelli che si rendono necessari per correggere dominanti cromatiche indesiderate, o per eliminare difetti di varia natura senza però alterare la forma o il colore dell immagine. Questi filtri si prestano alle applicazioni più svariate: possono far fronte alla necessità di correggere il cromatismo di un immagine (come accade con i filtri di correzione), modificarne i toni ed il contrasto (per esempio con i filtri colorati per il bianconero oppure con il polarizzatore per il colore), oppure attuare riduzioni di luminosità (come avviene per esempio, con i filtri grigi a densità neutra). Una categoria a parte é rappresentata di filtri creativi, ossia quelli impiegati per conferire all immagine un pizzico di surreltà introducendo, ad esempio, alterazioni ottiche o cromatiche (è il caso dei filtri per effetti speciali, tipo il crossscreen). Questi ultimi, per i motivi accennati, vanno usati con una certa dose di autocontrollo. I filtri più diffusi sono quelli in vetro, di forma tonda e corredati di montatura metallica filettata. Devono essere fissati sulla parte anteriore degli obiettivi che, a questo scopo, presentano appunto una filettatura: è quindi importante controllare la misura del filtro all atto dell acquisto, dato che non tutti gli obiettivi hanno lo stesso diametro. Oltre i tradizionali filtri tondi in vetro, esistono anche filtri di forma quadrata, realizzati in speciali materiali plastici per usi ottici oppure in gelatina. Per utilizzare i filtri quadrati è necessario un supporto portafiltri specifico, che va connesso all obiettivo tramite un anello adattatore, sempre sfruttando la montatura portafiltri. Il fattore di assorbimento. La presenza di alcuni filtri fotografici davanti all obiettivo di ripresa determina un assorbimento di luce che va compensato adeguando l esposizione al fattore specifico di assorbimento del filtro impiegato. Il fattore di assorbimento - se presente - è indicato generalmente sulla montatura del filtro stesso, sotto forma di una cifra seguita da una X (da leggere per ). Il numero indica il fattore per il quale deve essere moltiplicata l esposizione: per esempio un filtro con fattore d assorbimento 2X richiede che l esposizione venga raddoppiata. Ciò si ottiene aprendo il diaframma di uno stop, oppure raddoppiando il tempo di posa. Alcuni filtri riportano la dicitura 1X: ciò vuol dire che non implicano modificazioni dell esposizione. Ricordiamo comunque che le fotocamere reflex con misurazione TTL della luce tengono conto dell assorbimento del filtro e forniscono una lettura esposimetrica affidabile -ovvero già compensata - anche in presenza di filtri colorati. I filtri di conversione. Disponibili sia in vetro che sotto forma di gelatine, i filtri di conversione servono ad ottenere immagini dai colori equilibrati quando si fotografa con un tipo di illuminazione diversa da quella per la quale è tarata la pellicola. Ciò accade per esempio adoperando una normale pellicola per luce diurna (5.500 Kelvin, tecnicamente Daylight) per riprese con luce ad

incandescenza o, viceversa, impiegando una pellicola per luce artificiale (3.200 Kelvin, tecnicamente Tungsten) per fotografare in esterni. Il problema pratico da correggere è rappresentato dalla dominante calda e rossiccia nel primo caso, e da quella fredda e tendente al blu nel secondo. Dunque in sostanza questi filtri si dividono in due grandi categorie: i blu e gli ambra, in ogni caso disponibili in varie gradazioni. I filtri blu sono contraddistinti (almeno nel catalogo filtri della Kodak, che finora ha funzionato come punto di riferimento praticamente in tutto il mondo) dal numero-codice 80, e servono appunto per correggere la dominante rossa che appare nelle immagini riprese con pellicola a colori tarata per luce diurna quando la scena è illuminata da lampade ad incandescenza. I filtri ambra si identificano invece con il numero-codice 85 e si adoperano nel caso opposto, ovvero per evitare la dominante blu quando si usano pellicole tarate per luce artificiale in un ambiente illuminato dalla luce del sole (oppure dal flash). I filtri di conversione sono inutili nella fotografia in bianconero. Il polarizzatore. A differenza di altri filtri, il polarizzatore è costituito da due anelli metallici collegati e coassiali. Il primo si fissa sulla fotocamera ed il secondo, che ospita il vetro ottico, è libero di ruotare. Questo filtro lavora in diversi modi. Da un lato consente di scurire l azzurro del cielo aumentando il contrasto con il bianco delle nubi, dall altro consente di eliminare o ridurre notevolmente i riflessi dalle superfici d acqua e dalle vetrine. Permette inoltre di saturare i colori eliminando parzialmente gli effetti della foschia nonché di ripristinare la trasparenza delle acque fotografando mari e corsi d acqua rendendo visibile, entro certi limiti, il fondale. Gli effetti ottenibili con questo accessorio variano in base all angolazione del soggetto rispetto all asse dell obiettivo, dall angolo di illuminazione e dalla rotazione del filtro sul suo supporto. Con una fotocamera reflex è possibile controllare l effetto del filtro direttamente osservando nel mirino durante la rotazione di esso: il polarizzatore scurisce al massimo l azzurro del cielo quando si scatta con un angolo di 90 gradi rispetto al sole, ponendo le spalle in direzione del sole ed il cielo di fronte a questi risulterà di un colore più carico più scuro; se invece il sole è verticale, è il cielo in prossimità dell orizzonte a risultare più scuro. Per eliminare al massimo i riflessi indesiderati ponetevi ad un angolo di circa 35 gradi rispetto al soggetto. Il filtro polarizzatore è anche in grado di eliminare i riflessi di luce diffusa come quelli che si formano su diversi tipi di superfici parzialmente riflettenti. L accessorio non funziona per eliminare i riflessi provocati dalle superfici metalliche, come ad esempio gli specchi o le cromature (lo specchio si può assimilare ad una superficie metallica in quanto è costituito da una sottile lamina di stagno distesa su di un vetro). Esistono due tipi di filtro polarizzatore, il lineare e il circolare, che si differenziano nella struttura interna. Premesso che hanno lo stesso effetto sulle immagini, occorre ricordare che i polarizzatori lineari, più economici, possono dare problemi nell uso in combinazione con fotocamere che hanno le cellule dell esposimetro (o dell autofocus) funzionanti mediante specchi secondari oppure poste dietro superfici semiriflettenti. In questi casi è meglio impiegare un circolare. Gli effetti di un polarizzatore sono visibili anche fotografando in bianco e nero anche se, ovviamente, i suoi effetti sulla pellicola sono più marcati lavorando con pellicola a colori. I filtri per l infrarosso. Alcune pellicole bianconero speciali per fotografia all infrarosso, le cosiddette Infrared, sono di fatto emulsioni pancromatiche sensibili sia alla luce bianca che, parzialmente, alle radiazioni infrarosse. Quando si vogliono fotografare soltanto queste ultime, è necessario impiegare un filtro che blocchi la maggior quantità possibile di luce visibile. Per questo scopo ci sono filtri specifici, come il Wratten n. 25 di colore rosso intenso e il n. 88A che, trattenendo tutte le radiazioni visibili, appare di colore nero. Per la fotografia amatoriale all infrarosso in bianconero, comunque, va benone anche un filtro rosso ad alta densità. Nel caso si impieghi una diapositiva infrarossa a colori, si possono ottenere immagini dai cromatismi piacevolmente falsati anche impiegando un filtro arancio oppure giallo intenso. Il filtro UV e lo Skylight.

Il filtro UV (che sta per Ultra Violetto) è un semplice cristallo ottico trasparente che svolge una efficace azione di blocco nei confronti dei raggi ultravioletti. E utile specialmente fotografando in alta montagna, dove un intensa irradiazione ultravioletta, non opportunamente schermata, può conferire alle immagini una fastidiosa dominante azzurrina, particolarmente evidente nelle zone d ombra. Molto simile al filtro UV dal punto di vista pratico, lo Skylight si distingue da questo per via della lievissima colorazione rosata. Tale caratteristica determina un influenza più marcata sulle dominanti fredde, cosicché adoperando lo Skylight si riesce a riscaldare leggermente i toni dell immagine. Per questo molti fotografi lo adoperano, per esempio, nelle riprese con il cielo coperto (le nubi trattengono una parte della componente rossa dello spettro luminoso). Data la modesta influenza sull immagine, molti fotografi e fotoamatori tengono il filtro Skylight quasi permanentemente montato sulla fotocamera come protezione della lente frontale dell obiettivo. Sia il filtro UV che lo Skylight hanno efficacia trascurabile nella fotografia in bianconero. Il moltiplicatore prismatico. Il moltiplicatore di immagini è un filtro costituito da una serie di sfaccettature prismatiche, che producono un immagine multipla dello stesso soggetto. La quantità di elementi simili varia, ovviamente, in relazione al numero di sfaccettature. Alcuni filtri prismatici sono definiti velocizzatori oppure zoom in quanto consentono di deformare otticamente solo una parte del campo inquadrato e di ottenere perciò effetti paragonabili a quelli di un esplosione zoom o di accentuare gli effetti di mosso artistico o panning. I prismatici sono disponibili in diverse versioni che si distinguono, oltre che per il tipo e la quantità di sfaccettature, anche per alcuni effetti aggiuntivi, come per esempio la formazione di un alone iridescente lungo i contorni di ciascuna immagine. Il filtro diffusore. E spesso usato per donare alle immagini un atmosfera romantica : per questo l applicazione più frequente si ha nel ritratto e nelle riprese paesaggistiche. Il diffusore, anche noto come filtro flou, presenta una superficie leggermente opacizzata: quel tanto che basta per diffondere moderatamente i raggi luminosi così da diminuire la nitidezza dei dettagli dell immagine. L effetto flou, che non va confuso con la semplice sfocatura, permette di distinguere i contorni del soggetto all interno di un alone luminescente e diffuso. Filtro digradante. I digradanti sono filtri caratterizzati da una metà colorata e da un altra prefettamente neutra. Perciò, a differenza dei normali filtri colorati, il digradante conferisce l effetto cromatico solo nella metà dell immagine, ossia a quella in cui generalmente si trova il cielo. Data questa peculiarità, in genere è preferibile procurarsi un digradante quadrato (cioè da montare mediante portafiltri dedicato) piuttosto che non uno rotondo: nel primo caso, infatti, si può variare l altezza del filtro rispetto all asse dell obiettivo, e posizionare agevolmente la linea di confine fra la metà neutra e quella colorata giusto all altezza dell orizzonte. I filtri digradanti più usati sono quelli colorati, blu, arancio, ambrati con effetto tramonto, e quelli grigi. Sono utili soprattutto nelle riprese paesaggistiche, in quanto permettono di aggiungere colore a un cielo nuvoloso o dai colori slavati (digradanti colorati) oppure di riequilibrare il contrasto di illuminazione dell immagine con il cielo coperto o velato (digradanti grigi). L effetto sull immagine varia in relazione all ottica e al diaframma impostato: in condizioni di minima profondità di campo, infatti, (focale lunga e/o diaframma aperto) la sfumatura di confine fra zona colorata e zona neutra del filtro appare pressoché indistinta. Al contrario, con un grandangolo e/o un diaframma chiuso, il passaggio dalla zona colorata a quella neutra risulta molto più netto. Nonostante siano stati pensati per il colore, i digradanti possono riservare belle sorprese anche in bianconero. Il cross-screen. E un filtro di vetro trasparente che presenta sulla superficie un reticolo di intagli incrociati in modo diverso. Il numero e l angolazione con cui le incisioni si intersecano, trasforma ogni sorgente di luce puntiforme in una piccola stella luminosa con i raggi dai contorni iridescenti. Esistono crossscreen che formano stelle a tre punte, ma anche a quattro, a sei, oppure a otto: tutto dipende dalla quantità di incroci sulla trama superficiale. L effetto del filtro è più evidente lavorando in condizioni di semi oscurità,

ossia quando i piccoli raggi si stagliano in modo più contrastante sul nero circostante. Ruotando leggermente di filtro è possibile modificare l inclinazione dei raggi. Il cross screen, impiegato in condizioni di luce uniforme, si comporta come un leggero filtro flou. Alcuni dei filtri creativi di cui abbiamo parlato possono essere realizzati artigianalmente, con poca spesa ed un pizzico di inventiva e buona volontà. Realizzare, per esempio, un digradante è molto facile: basta prendere un filtro UV (o uno Skylight) e colorarlo parzialmente con un pennarello vetrografico di grossa sezione. Quest ultimo è facilmente reperibile in cartoleria ad un costo di poche migliaia di lire. Il digradante fatto in casa si cancella facilmente con il dito o con un po d alcool, e un fazzoletto di carta; è quindi facile cambiargli il colore per adattarlo alle esigenze del momento. Gli amanti del far da sè hanno anche a disposizione diversi metodi per realizzare un filtro diffusore artigianale. Il primo consiste nel prendere una calza da donna, ritagliarne un pezzo quadrato e fissarlo con un elastico davanti all obiettivo. Il colore della calza influenzerà anche quello dell immagine: se è di nylon beige i toni della scena risulteranno più caldi, mentre se è nera funzionerà anche da filtro di densità neutra (circa 1 stop di assorbimento). Un altro modo per ottenere un flou casereccio è quello di stendere un leggero strato di vaselina (o di crema alla glicerina per le mani) sul solito filtro trasparente UV o Skylight. L entità dell effetto di diffusione è proporzionale alla quantità di grasso stesa sul vetrino. Per realizzare un flou di emergenza, comunque, si può anche fissare con un elastico alla montatura dell obiettivo la plastica trasparente che riveste i pacchetti di sigarette. Alitando per qualche secondo sul filtro UV, infine, si produrrà un effetto analogo. Ma dopo il sospiro bisogna scattare rapidamente, prima che l effetto... svanisca. In questo modo si ottiene istantaneamente un rilevante effetto fog... a costo zero! Il manuale ha sempre ragione? di Nicola Porchetta Per ottenere l esposizione corretta bisogna risolvere una serie di problemi che dipendono sia dai materiali adoperati che dalle condizioni ambientali e che possono spaventare i fotografi alle prime armi. Infatti, molto spesso, gli esposimetri incorporati delle reflex sono ingannati dalle varie condizioni che può presentare la scena ripresa. Solo con l introduzione degli esposimetri con valutazione di lettura multizona (come il Matrix di Nikon o la suddivisione in cellule di lettura di Minolta e

Canon) e la conseguente elaborazione computerizzata della matrice di lettura con un database di migliaia di situazioni fotografiche memorizzate nei chip della fotocamera, permette di ottenere sempre e comunque un risultato accettabile. E proprio questo accettabile che ci induce a riflettere se non sia meglio utilizzare il nostro ragionamento nel valutare la lettura esposimetrica ed adattare le impostazioni di tempi e diaframmi per ottenere la corretta esposizione. Le sofisticazioni dell elettronica aiutano ed assistono benissimo chi sa come utilizzarle. Abbiamo voluto fare un esperimento con la collaborazione di Franco e di Alessia, in un posto qualsiasi illuminato dalla luce piuttosto obliqua del sole invernale e, girandogli attorno, verificare come cambia il risultato al cambiare della nostra posizione rispetto al soggetto ed all illuminazione. In questo caso girare attorno al soggetto ha significato riprenderlo con varie focali in piena luce, con luce di taglio, in ombra; ed ancora con sfondo chiaro perché illuminato dal sole, con sfondo scuro perché all ombra, da vicino e da lontano. In tutte le riprese abbiamo provato a fidarci sia dell esposizione automatica multizona, sia della lettura manuale e sia della nostra esperienza. I risultati sono tutti piuttosto validi a prescindere dal tipo di misurazione utilizzata a dimostrazione della bontà delle apparecchiature, però l unico risultato che ha reso appieno l atmosfera del luogo a quell ora del giorno ci è stato dato dalla misurazione a luce incidente. In condizioni di illuminazione stabile, un soggetto può essere reso al meglio scattando da qualsiasi angolazione usando, in manuale, sempre con la stessa coppia tempodiaframma. Tuttavia, questo non vale nel cento per cento dei casi. Cambiando punto di ripresa attorno al soggetto si possono provocare la variazione di molti parametri della scena, a partire da come cade la luce sul soggetto e sullo sfondo per arrivare a nuovi rapporti di illuminazione che modificano il contrasto della scena. Ciò può richiedere dei piccoli aggiustamenti anche se per il soggetto sul quale è stata stabilita l esposizione le cose non cambiano. Gli esposimetri multizona cercano di compensare le diverse aree di lettura e, come sappiamo, confrontano i dati rilevati con le situazioni tipo presenti nei loro database, proponendo una coppia tempo-diaframma che va anche bene. Ma queste letture non sempre riescono a rendere l atmosfera originale. Qualche volta è necessario correggere mezzo diaframma in meno o in piu per ottenere una diapositiva satura oppure per pulire le alte luci. Nel caso del soggetto illuminato in pieno sole con lo sfondo ugualmente illuminato, tutti i metodi di misurazione danno un buon risultato e con le reflex con misurazione multizona si ottengono diapositive con un eccellente saturazione cromatica. Però, cambiando angolazione e ponendoci di lato rispetto al sole, i risultati complessivi possono cambiare anche se il soggetto per il quale è stata considerata l esposizione manterrà inalterata la sua densità. Sarà sempre bene valutare le masse in ombra e quelle delle alte luci vanno e decidere in che modo gestire l esposizione per ottenere il risultato desiderato. E se lasciamo fare al multizona, o anche all esposizione a misurazione integrata, otteniamo quasi sempre un compromesso che non soddisfa né le ombre, né le alte luci. In una bella giornata limpida alle 10 di mattina il nostro soggetto è illuminato da tanta luce solare e per rendere questa atmosfera dobbiamo esporre per le alte luci, sia quando inquadriamo il soggetto illuminato in pieno, che quando lo inquadriamo da un lato con solo il profilo illuminato e tutto il resto in ombra. In questo modo ci garantiamo la riproduzione corretta delle condizioni ambientali. Se al contrario avessimo regolato l esposizione per la parte in ombra, avremmo, sì, avuto maggiore leggibilità nelle parti scure, ma avremmo bruciato le alte luci, senza riprodurre l atmosfera. Ai fanatici della misurazione spot o semispot, sempre con la reflex, bisogna ricordare che anche le misurazioni esposimetriche ottenute questo metodo di misurazione (che si basa comunque sulla luce riflessa), vanno valutate in funzione della taratura degli strumenti che è fatta sempre su una riflessione standard del 18%. In altre parole, misurando un alta luce con una reflex dotata di esposimetro spot bisognerà ricondurre il ragionamento al fatto che l alta luce verrà interpretata come un tono medio e quindi aumentare l esposizione se si vuole mantenere l effetto di elevata luminosità. Al contrario, nel caso si voglia fotografare il classico gatto nero sulla neve, l esposimetro spot della reflex vede grigio il gatto nero e, obbedendo alle sue indicazioni, si otterrebbe una neve di un bianco abbagliante. In un caso del genere, bisognerebbe ridurre l esposizione. Nel ragionamento da fare per esporre correttamente una fotografia bisogna considerare la luce esistente sulla scena, il colore degli oggetti fotografati, la loro capacità di riflettere la luce, la pellicola e l apparecchio fotografico. Immaginiamo di lavorare in esterni. La luce esistente sulla scena è quella del sole. Se il tempo è bello la luce sarà molto dura e produrrà ombre nette, per cui le differenze di esposizione tra parti in luce e parti in ombra possono mostrare un grande contrasto; al contrario in caso di tempo nuvoloso la luce sarà diffusa e le ombre saranno più morbide, allora le differenze di esposizione nella stessa scena saranno minori ed anche il contrasto sarà più basso.

Il colore degli oggetti fotografati e la loro riflettenza sono fattori molto importanti. Un soggetto di colore chiaro rifletterà più luce di un soggetto di colore scuro, anche se posti nelle stesse condizioni di illuminazione. In generale possiamo valutare il contrasto apparente della scena a seconda della quantità di oggetti chiari e scuri presenti nell inquadratura e questo, assieme alla qualità dell illuminazione, influenza la corretta esposizione. Infatti, un eccesso di chiari o di scuri può portare ad una valutazione errata dell esposizione. Ogni pellicola, che sia poco o molto sensibile, ha una sua taratura esposimetrica (Iso), per cui con la giusta quantità di luce riesce a produrre un risultato ottimale. Ma se la luce che giunge sulla pellicola è troppa o troppo poca si hanno degli errori di esposizione. Questa affermazione sembra banale, ma diventa molto importante, ai fini dell esposizione, a seconda che il tipo di pellicola utilizzata sia diapositiva, negativa colore o bianco e nero. Infatti, mentre con il colore siamo abituati a trattamenti rigorosamente standard, con il bianconero ognuno si regola a modo suo e, così facendo, si introducono nuovi parametri (sviluppo e stampa) che influenzano la sensibilità effettiva della pellicola. L abilità del bravo fotografo sta nel valutare correttamente quanta luce deve passare attraverso l obiettivo per avere una buona immagine. Troppa luce brucia l immagine sovraesponendola, poca luce non riesce ad impressionarla. La pellicola reagisce alla luce in funzione dell esposizione scelta: più luce arriva e più chiara sarà l immagine, questo è vero per tutte le pellicole, sia per quelle da 25 che per le 3200 Iso. Tutte le fotocamere di qualsiasi tipo e formato assolvono sostanzialmente al compito di camera oscura dotata di ottica con diaframma ed otturatore. Manovrando queste regolazioni siete liberi di far pervenire più o meno luce alla pellicola e quindi di decidere la vostra esposizione. Il principio, naturalmente, vale lo stesso anche nel caso di macchine con automatismo di esposizione, tanto è vero che esse dispongono di un sistema per la correzione manuale dell esposizione utile in tutti i casi i cui il sistema può commettere errori di valutazione. Il manuale, dunque, aiuta anche i più evoluti automatismi. AUTOMATICO CONTRO MANUALE: DUE MODI DI INTENDERE Tra le colonne berniniane di Piazza San Pietro, la luce del mattino rende la vita assai difficile al fotografo. Che fare? La prima risposta che occorre darsi è quella che riguarda ciò che vogliamo ottenere. Sarà una fotografia singola o una sequenza? Nel primo caso la soluzione è più semplice: si sceglie il soggetto principale e si lavora su di esso. Nel secondo (come i due esempi in cui il soggetto è stato ripreso da quattro punti opposti) occorre valutare il tipo di effetto finale. La striscia in alto è stata esposta in automatismo a priorità dei diaframmi con il sistema Matrix di una Nikon F100. Per il diaframma f/8 sono indicati i tempi di esposizione. La seconda striscia è stata esposta in manuale aumentando di circa 1/3 di diaframma il tempo suggerito dal Matrix ma tenendo fissa la coppia 1/125 di sec. a f/8. Le differenze sono evidenti soprattutto sul selciato e sulle colonne. Mentre nell esposizione in automatismo le densità cambiano in funzione della correzione apportata dal sistema di misurazione, in quella manuale restano invariate e la serie appare nettamente più omogenea e godibile. Non essendo cambiata l intensità luminosa, l esposizione manuale ha mantenuto inalterata l atmosfera della situazione vera. (g.f.) La cosa che più salta agli occhi comparando questi scatti è il fatto che il bianco del giubbino di Alessia appare reso al meglio sempre nei fotogrammi esposti seguendo le indicazioni dell esposimetro a luce incidente. La situazione in pieno sole è la più equilibrata anche perché primo piano e sfondo appaiono in toni ugualmente alti, quindi gli strumenti non debbono fare molti sforzi di genialità. Passando in ombra, con un leggero colpo di sole alle spalle del soggetto, le cose cambiano. Sempre ottimo il fotogramma esposto a luce incidente, ma sia in Matrix che con la misurazione a preferenza centrale il bianco diventa grigio perché a causa dell elevato contrasto con lo sfondo, l esposimetro della reflex (a luce riflessa, ricordiamolo) tende a privilegiare il primo piano e quindi sbaglia in quanto non sa riconoscere il tono alto o basso del soggetto, considerandolo sempre come se fosse medio. La terza prova è stata eseguita in una condizione di luce mista con una metà dell area inquadrata il pieno sole e l altra in ombra piena. Di nuovo, potendo fare una media delle varie luminanze i tre scatti sono buoni, con una leggera prevalenza della misurazione a luce incidente che è quasi sempre la più affidabile in quando l esposimetro misura l illuminamento (ovvero la quantità di luce che cade sul soggetto) e non quanta il soggetto ne riflette (luminanza). In controluce si replica quasi in modo identico quanto abbiamo ottenuto nella ripresa in ombra. A parte i casi eclatanti come questo, la scelta dell esposizione deve avvenire sempre in funzione del risultato ovvero della migliore riproduzione delle densità reali. Resta comunque al fotografo la scelta finale ben sapendo che le correzioni anche in

automatismo vanno eseguite seguendo una regola molto semplice: aumentare l esposizione per i soggetti chiari, ridurla per quelli scuri. Nell'esempio di sopra abbiamo voluto vedere come cambia il risultato riprendendo la scena con il grandangolare e con il tele in quanto la maggiore o minore quantità di sfondo può incidere sul risultato. Come si può notare in una situazione del tutto normale, le cose non cambiano molto. Ma c è un errore! Com è possibile che l esposimetro a luce incidente che sembra essere in ogni occasione il primo della classe ha fallito? E semplice perché invece di rivolgere la cellula verso il sole alle spalle del soggetto, la si è rivolta (volutamente, però) verso la fotocamera e, così ingannato, l esposimetro ha commesso un errore. (g.f.) MISURAZIONE A LUCE RIFLESSA ED INCIDENTE La misurazione della luce che il soggetto riflette è detta a luce riflessa, mentre la misurazione della luce che cade sul soggetto è detta a luce incidente. Entrambi questi due metodi di misurazione danno buoni risultati a patto di eseguire correttamente le letture strumentali. L uso di un esposimetro a luce riflessa è molto semplice, e su questo principio si basano tutti gli esposimetri incorporati nelle reflex. Basta inquadrare il soggetto e leggere i valori forniti. Per fare bene le cose, però, bisogna fare sempre riferimento ad un tono medio che riflette la quantità di luce ideale per la quale sono tarati tutti gli esposimetri. Ideale, in questo senso, è lo speciale cartoncino grigio sul quale si punta l esposimetro per misurare la quantità di luce riflessa di riferimento. Eseguita la misurazione si ricompone l inquadratura come più ci interessa e si scatta. Nel caso della misurazione a luce incidente invece ci si pone con l esposimetro a mano nelle vicinanze del soggetto e si punta la calottina bianca di misurazione nella direzione di provenienza della luce principale, misurando in tal modo la quantità di luce che cade sul soggetto. In questo modo, si è svincolati dal colore e dalle capacità di riflessione del soggetto valutando solo la luce che effettivamente illumina il soggetto. Entrambi i metodi hanno sostenitori e detrattori, basta abituarsi ad usare uno o l altro e si otterranno sempre buoni risultati. I professionisti, però, preferiscono la luce incidente. Il vantaggio nella misurazione a luce incidente, tuttavia, sta nel fatto che lo strumento, misura la quantità di luce che cade sul soggetto. In questo modo la lettura non viene influenzata dalle capacità riflettenti del soggetto. Bisogna sapere, inoltre, che la calottina trasmette solo 1/6 della luce che la colpisce, e quindi fornisce una misurazione identica a quella che fornirebbe nella stessa situazione il cartoncino grigio 18%. Usare l esposimetro a luce incidente è quindi quasi la stessa cosa che usare il cartoncino grigio con un esposimetro a luce riflessa. AVETE UN CARTONCINO 18%? Il cartoncino grigio con riflessione al 18% è un prezioso economico accessorio che tutti i fotografi fine art hanno imparato ad usare con profitto specie con gli esposimetri spot. Infatti, misurando l esposizione a luce riflessa, soprattutto con il bianco e nero, si ottengono negativi molto ben equilibrati con i toni corrispondenti a quelli della scena ripresa (considerando però una successiva rigorosa standardizzazione dello sviluppo della pellicola). L esperienza ci ha insegnato che si possono ottenere ottimi risultati anche con le negative a colori, badando bene che i livelli di illuminazione della scena non siano troppo squilibrati. Il cartoncino grigio, poi, è molto efficace nel ritratto in esterni con pellicola a colori perché andando a misurare il tono standard del cartoncino al posto del viso del soggetto si prescinde dal colore della pelle e dall abbigliamento e si ottiene una esposizione corretta per ogni tipo di incarnato. In casi particolari in cui il soggetto richieda per la sua natura una correzione, sarà facile abituarsi a ragionare con il metodo della ricerca del tono medio. Nel caso di paesaggi sarà facile trovare almeno un elemento che abbia una simile tonalità: si misura l esposizione per quell elemento (prato erboso, cielo azzurro scuro,...) e si scatta senza variare l esposizione. Nel caso di figura o ritratto basterà riferirsi comunque ad un elemento, anche estraneo al nostro soggetto, sempre che sia illuminato nello stesso modo ed abbia una riflessione simile a quella di un tono medio. LA CONSERVAZIONE DEI MATERIALI FOTOGRAFICI PELLICOLE VERGINI. Le pellicole amatoriali possono resistere meglio o più a lungo di quelle professionali in condizioni non ideali, ma ciò non vuol dire che invecchino più lentamente, né la conservazione in frigorifero o nel freezer può rinviarne la scadenza. Le pellicole amatoriali possono essere conservate a temperatura ambiente (20-21 C), ma d'estate è consigliabile tenerle in frigorifero (com'è norma per le professionali) nel loro imballo sigillato nel quale l'aria è priva di umidità. Poiché la temperatura ideale è quella della "zona verdura", tra i 10 C ed i 13 C, una volta tolte dal frigorifero, potranno essere utilizzate solo quando avranno raggiunto la temperatura ambiente per evitare il fenomeno della condensa. Per recuperare una differenza di 15 C (per esempio

dai 10 C del frigorifero ai 25 C della temperatura ambiente), una pellicola impiega circa 3 ore. Ce ne vogliono almeno 5 o 6 se le pellicole sono state conservate nel freezer a -20 C. Ma attenzione: la refrigerazione consente semplicemente di mantenere inalterate fino alla scadenza le qualità originali di sensibilità e resa cromatica delle pellicole a colori, non di prolungarne la durata. Tutte le pellicole vergini vanno protette contro il calore e l'umidità. La loro azione, infatti, produce una sorta di invecchiamento precoce dell'emulsione che comporta la riduzione della sensibilità e l'alterazione della resa cromatica. Un terzo pericolo è costituito dalla formalina, una soluzione contenuta nelle colle, in molti legni utilizzati per la costruzione dei mobili e nelle schiume espanse delle valigette (che vanno lasciate aperte per qualche giorno prima di usarle in modo che le esalazioni possano dileguarsi in gran parte). PELLICOLE SVILUPPATE. Esistono molti elementi che rischiano di danneggiare negativi e diapositive, ma, nel dubbio, evitate che esse siano a contatto o nelle vicinanze di prodotti che emettono un forte odore. Come quello che proviene dai "plasticoni" porta diapositive in Pvc (assolutamente anti-conservazione), dalle schiume usate nelle valigie o da solventi, vernici, colle. Negli ultimi anni, la stabilità delle pellicole a colori è molto migliorata, ma le case produttrici non garantiscono la loro inalterabilità nel tempo anche perché essa è legata al tipo di conservazione dopo lo sviluppo. Tuttavia, una pellicola a colori attuale offre sufficienti garanzie di stabilità per 25-50 anni se conservata ad una temperatura costante (+/-4 C) non superiore ai 25 C con un'umidità relativa fra il 30% ed il 50%; l'ideale, tuttavia, è una temperatura al disotto dei 20C con un'umidità relativa inferiore al 40%. Un livello superiore al 60% può causare la formazione di muffe e funghi per i quali la gelatina rappresenta un nutrimento gustoso. Se l'umidità è al disotto del 25%, l'emulsione si secca diventando molto fragile. Per la conservazione delle pellicole è più dannosa una continua escursione di umidità e temperatura, sia pure entro i limiti indicati, che non un livello costante ai valori massimi consentiti. Tra gli elementi più pericolosi per la conservazione dei negativi e delle diapositive a colori, c'è la luce. Quindi, è dannoso lasciare le diapositive esposte su un tavolo vicino ad una finestra anche nelle scatoline in plastica dei laboratori dove la luce può liberamente filtrare pur se attenuata. Più pericolosa ancora è la luce al neon che emette una buona dose di raggi ultravioletti. Altrettanto dannosa è la proiezione delle diapositive per periodi eccessivi (nel caso eseguite duplicati). Tuttavia non basta mettere le fotografie a colori al buio per evitare il loro scolorimento: anche al buio agiscono l'umidità, l'alta temperatura, l'esposizione ai gas ed al Pvc. RACCOGLITORI PER NEGATIVI E DIAPOSITIVE. Negativi e diapositive debbono essere protetti dall'azione chimica e dal rischio di danni fisici, come i graffi dovuti ad una manipolazione impropria o al semplice attrito della pellicola con il raccoglitore stesso. Per i negativi, è consigliabile evitare i classici raccoglitori in pergamino perché, per garantire un minimo di trasparenza, sono trattati con plastificanti o cere non adatte alla conservazione. Quelli prodotti con carta ph neutro sono opachi (per visionare i negativi occorre estrarli), ma permettono alle pellicole di "respirare". I raccoglitori in polietilene o in polipropilene sono i più pratici perché consentono di esaminare i fotogrammi per trasparenza e di realizzare provini a contatto senza dover estrarre le strisce. Il materiale (usato, ad esempio, nei prodotti Print File) è stabile e neutro e risponde alle norme dell'american National Standards Institute (Ansi). Per le diapositive montate, sono da evitare cosiddetti "plasticoni" in Pvc. Questo prodotto è stato bandito negli Usa fin dal 1983 a seguito della raccomandazione IT9. 2-1991 dell'ansi in quanto dannoso per le emulsioni fotografiche. Il Pvc, infatti, tende a raggrinzirsi nel tempo, a perdere trasparenza e ad incollarsi alla diapositiva soprattutto in presenza di elevata umidità relativa. In questo caso, si può verificare una sorta di smaltatura (ferrotyping) che determina il distacco dell'emulsione ed il suo trasferimento sul Pvc. Inoltre, può liberare acido cloridrico e sostanze oleose che aggrediscono l'emulsione ed il supporto a causa del deterioramento dei plastificanti usati per dare flessibilità al materiale. I raccoglitori da preferire sono quelli ad alta trasparenza. I prodotti con dorso opaco o "smerigliato" peggiorano la visione riducendo la luminosità ed il contrasto delle diapositive con il risultato di peggiorare l'impressione di brillantezza e definizione delle immagini. Per la massima sicurezza è consigliabile usare sempre dei guanti di cotone onde evitare impronte digitali. le impronte sono acide ad attirano polvere favorendo la crescita di funghi. Per le diapositive in striscia vale il discorso già fatto per i negativi. STAMPE. Per la buona conservazione delle stampe su carta baritata, anche in funzione del modo in cui saranno archiviate, esposte o presentate, occorre seguire delle norme precise. Per le carte politenate, infatti, il discorso sulla conservazione ha senso relativo in quanto esse non sono indicate per la lunga conservazione o la stampa di immagini di valore. A parte l'inferiore qualità di base (compensata dalla estrema praticità d'uso), l'immagine su carta politenata tende a schiarire nel tempo, ma in certi casi può subire danni più gravi come il distacco o la crepatura dell'emulsione stessa. I cambiamenti di

umidità e temperatura ambiente, infatti, determinano una continua dilatazione e compressione dell'emulsione che non interessa il supporto plastificato; di conseguenza, l'emulsione subisce uno stress meccanico che può danneggiarla notevolmente. Questo non si verifica con le carte baritate perché il supporto in fibra si dilata e si comprime insieme all'emulsione. ALBUM PER STAMPE. Quelli che appaiono più pratici ai non esperti, sono gli album con pagine adesive o quelli dotati di fogli di plastica trasparenti autoadesivi che bloccano le stampe in pagina. Purtroppo, gli adesivi impiegati non sono neutri ed i fogli trasparenti, in Pvc, accelerano lo scolorimento delle stampe facendo ingiallire le aree bianche. Il cartone usato per le pagine è quasi sempre molto economico e quindi anti-conservazione, specie se nero. Le conseguenze per le stampe dovute all'azione degli acidi presenti in questi cartoni possono essere pesanti, specie in presenza di umidità. Per l'applicazione delle stampe sulle pagine di un album, vanno bene i tradizionali angolini trasparenti, ma evitate l'uso di colle o biadesivi comuni: il distacco in un secondo tempo, specie se si tratta di stampe su carta baritata, sarebbe rischiosissimo. PASSE-PARTOUT. Il vero passe-partout non ha solo un valore estetico, ma svolge due funzioni molto importanti. Nel caso di un'incorniciatura, esso consente alla stampa di restare distanziata dalla lastra sintetica o di vetro e di potersi dilatare a seconda delle condizioni di umidità. Con i passe-partout finti, cioè i fogli di carta colorata senza spessore usati da quasi tutti i corniciai, le stampe restano letteralmente schiacciate sotto il vetro e questo, col tempo, determina quelle fastidiose ondulazioni che si possono notare nei poster e nelle fotografie montate nelle cornici a giorno diffusissime in commercio e molto economiche in quanto prodotte con materiali anti conservazione come i dorsi in masonite ricchissimi di lignina dall'altissimo contenuto acido. Nel caso dell'archiviazione, il passe-partout consente di maneggiare immagini di valore senza toccare la loro superficie. In questo caso, al passe-partout dev'essere applicato un dorso neutro incollato o incernierato con nastri adesivi conservazione come il Filmoplast P90. Il passe-partout deve avere uno spessore minimo di 18-20 decimi (24-30 decimi oltre il formato 40x50cm). La finestra dev'essere tagliata con uno smusso di 45 gradi ed i lati debbono essere più corti di 2mm rispetto a quelli della stampa. I migliori in assoluto sono i passe-partout tipo museo, fabbricati con il 100% di cotone e quelli tipo conservazione, più economici in quanto prodotti con cellulosa all'85-90%. Per un corretto utilizzo, tutti i passe-partout debbono rispondere a certe specifiche. Ad esempio, debbono essere privi di lignina e sostanze chimiche (plastificanti, resine o collanti acidi), avere un ph tra 7,0 e 9,5 con riserva alcalina per il bianconero (un'aggiunta di carbonato che tampona la migrazione di acidi residui nel cartone o assorbiti dall'atmosfera) e un ph tra 7,0 e 7,5 per il colore. I passe-partout più convenienti per l'incorniciatura sono quelli conservazione bianchi (quelli neri non sono conservazione, ma possono essere utilizzati per brevi periodi). I passe-partout confezionati nei formati più diffusi da Perfect Photo sono di tipo conservazione con riserva alcalina, o neri. MONTAGGIO. Per montare le stampe sui passe-partout non deve essere mai usato il comune nastro adesivo perché il collante impiegato è corrosivo, lascia residui collosi, ingiallisce e non è reversibile, cioè non è solubile in acqua in un secondo tempo. Per fissare la stampa al dorso del passe-partout occorrono materiali adatti alla conservazione: non usate colle alla gomma o adesivi spray. Per le carte baritate sono ideali le colle naturali reversibili come quelle di riso o di farina applicate sul dorso. Per tutte le stampe, anche politenate, il montaggio sul dorso del passe-partout si può eseguire con gli angolini trasparenti autoadesivi che non debbono essere troppo "stretti" per consentire alla stampa di dilatarsi. A parte il montaggio professionale a caldo con fogli adesivi conservazione, quello a freddo con nastri adesivi conservazione resta il più semplice ed economico di tutti. In pratica, si tratta di fissare la stampa al dorso del passe-partout incernierandola nastro contro nastro. Il Filmoplast P90 consente un facile riposizionamento della copia entro poche ore. La sua resistenza è notevole, ma sempre inferiore a quella della stampa. Coloriamo le fotografie di Theresa Airey Il testo di Theresa Airey è ripreso dal libro Come elaborare le fotografie, della nostra collana La biblioteca del fotografo, volume n. 22, prezzo 29.000 lire. Questo volume svela le tecniche di elaborazione delle stampe: dalla manipolazione delle Polaroid all infrarosso, dal viraggio alla solarizzazione, dalle emulsioni liquide alla coloritura a mano. Gli artisti evocano le emozioni mediante il colore e la composizione; forme e figure acquistano sfumature di significato grazie alle ombre e alle tonalità. E per questo che la colorazione manuale, in quanto tecnica di elaborazione fotografica, dà all artista una sorta di licenza poetica, ossia la libertà di controllare l immagine e di creare un atmosfera.

La colorazione può migliorare una fotografia trasmettendole una qualità emotiva, che potrebbe altrimenti mancare alla stampa pura e semplice. I fotografi possono servirsi di questa tecnica anche per esaltare, oppure smorzare, degli elementi già presenti nella stampa. La colorazione manuale non è comunque in grado di trasformare una brutta stampa in una buona stampa; non può cioè mascherare una mancanza di valori tonali e una composizione fiacca. La colorazione va quindi intesa come uno strumento in più, perché la sua unica capacità è quella di aggiungere dimensione all immagine elaborata. Per molti fotografi la colorazione è un marchio distintivo, una personalizzazione di stile e un modo per scavare nel subcosciente dell espressione artistica. In termini molto concreti, la colorazione offre ai fotografi l opportunità di scattare di nuovo emozionalmente l immagine e di trasferire queste sensazioni sulla carta. L importanza del colore è indiscutibile ed il suo utilizzo può fare e disfare l immagine. Scelta della carta. La prima cosa da fare quando si vuole valutare un nuovo tipo di carta fotografica bianconero è quella di fissarne un foglio, lavarlo a fondo e osservare il colore. Il fissaggio, che ovviamente va fatto su di un foglio non impressionato, serve a neutralizzare i sali d argento dell emulsione, così da poter esporre la carta alla luce e valutarne la colorazione di base. Confrontate i diversi tipi di carta fissati e verificate se il colore di base è bianco, bianco sporco, crema, giallo e rosato. Questo è il colore che vedrete nelle alte luci della stampa finale. Se poi sfruttate la tecnica dell indebolimento, il colore di base vi aiuterà a determinare quali colori possono essere tirati fuori dalla carta. Analizzate quindi la finitura superficiale della carta; è satinata, matt, semi-matt, lucida, seta, millepunti o ha una trama a rilievo di qualche tipo? Alcune superfici si adattano meglio di altre alle diverse tecniche di colorazione. Se, per esempio, state lavorando su di una superficie con finitura telata, le matite dure, come quelle a olio Marshall o le matite acquarello, lasceranno dei segni sulla superficie. Il colore, inoltre, non raggiungerà i micro avvallamenti della carta, lasciando nell osservatore l impressione di un intervento mal riuscito. Per questo tipo di superfici sono più indicate le matite pastellate morbide, come quelle prodotte dalla Conté. Le carte fotografiche politenate (rivestite di resina) non sono prodotte solo con finitura lucida, ma sono disponibili in molte superfici decisamente tattili, dalla simil tela alla simil pelle scamosciata. I produttori, inoltre, affermano che le carte politenate hanno ormai caratteristiche di archiviazione pari a quelle delle carte baritate. Dato che le loro superfici sono rivestite di resina, l applicazione di acqua non ne gonfia l emulsione, rovinando la stampa. Questa caratteristica vi permette di colorare con prodotti a base di acqua, ma vi offre anche un altro vantaggio. Se non vi piace l aspetto della stampa finita, potete immergerla in acqua, lavare via i colori, asciugarla e ricominciare da capo. Ciò dovrebbe placare tutti gli scrupoli che potreste avere riguardo allo sperimentare un dato colore oppure al provare una tecnica nuova. In termini di denaro non avete nulla da perdere e se poi considerate il tempo e l applicazione che ci vuole come un esperienza istruttiva, il bilancio del procedimento sarà a vostro vantaggio. Praticamente tutte le carte lucide vanno preparate prima di ricevere il colore. Ma se applicate una vernice di fondo, ed in seguito cercate di rimuovere i colori, il fondo verrà via anch esso, lasciando delle sbavature difficili da coprire. E per tale motivo che io preferisco usare carte matt, semi- matt, oppure carte con testura evidente, perché questi supporti non hanno bisogno di preparazione. Viraggi. Provate a trattare la carta con viraggi diversi; sperimentate su di essa i prodotti che usate più spesso e poi altri che non vi sono molto familiari. Io sono solita fare una stampa di prova applicando viraggio Polytoner, al selenio, il viraggio bruno della Kodak e quello marrone-ramato della Berg. Io per prima cosa taglio in quattro parti una stampa formato 24x30cm., applico su ognuna di esse un viraggio diverso e poi riassemblo le parti della stampa fissandole a un supporto, che conservo per riferimenti futuri. Questo passaggio, insieme ai due precedenti, mi fornisce precise indicazioni d uso del materiale. Rivelatori. I rivelatori vi offrono l opportunità di un controllo ancora maggiore sull aspetto della stampa finale. Se volete controllare il contrasto, risolvere una stampa difficile e tirare fuori dettagli dalle ombre più scure, usate un trattamento a due bagni di Selectol e Dektol. Questo implica minori interventi di mascheratura, meno lavoro e una maggiore libertà estetica. Anche se con la carta tipo Multigrade è possibile controllare efficacemente il contrasto grazie all uso di filtri, la carta potrebbe non avere la finitura superficiale o la colorazione di base che voi desiderate per una data immagine. Lo sviluppo in due bagni vi permette invece di essere più creativi nella scelta del supporto. Esso offre anche il vantaggio di ammorbidire i segni e le rughe dei volti e di armonizzare nella stampa finale i toni della pelle. Iniziate immergendo per un minuto in Selectol Soft il foglio di carta fotografica appena esposto; sgocciolate quindi il foglio ed immergetelo in Dektol per il restante minuto.

Sempre operando con un tempo globale di 2 minuti, se volete ottenere una stampa più morbida e meno contrastata dovete aumentare il tempo di sviluppo in Selectol Soft e ridurre quello in Dektol. Se, invece, desiderate un contrasto maggiore, immergete prima brevemente la stampa nel rivelatore Selectol Soft; appena l immagine appare, assume l aspetto di un disegno a matita, passatela in Dektol fino a raggiungimento del tempo globale di sviluppo di 2 minuti. LE FOTO DI FULVIO BORRO Partendo da originali stampati su carta bianconero, il nostro lettore Fulvio Borro ha realizzato questa serie di immagini colorate a mano con delle comuni ecoline e dei pennelli a punta media e fine (per i particolari più piccoli). Per questo genere di fotografie occorre un po di pazienza e un certo gusto compositivo: con un po di esperienza si ottengono dei validi risultati, molto suggestivi. "Queste immagini sono un mio ritorno all antico, il tutto quasi in punta di piedi, silenziosamente: è come avere una macchina del tempo che ci permette di scoprire i valori antichi della fotografia, quando un ritratto era un avvenimento e non c erano la frenesia e la velocità del giorno d oggi. Io non parlo molto, preferisco lasciar parlare il silenzio di queste immagini fatte di modernità, ma con un atmosfera particolare. Antica. La stampa è stata realizzata con metà esposizione filtrata con un telaietto per diapositive 6x6cm per ottenere un leggero effetto flou, l altra metà esposizione con luce diretta per ottenere più incisioni. Poi ho colorato con delle comuni ecoline, molto diluite e prestando particolare attenzione ai contorni per non sbavare. Con un po di pazienza si riscopre il gusto per un arte che avevamo dimenticato." ECCO COME SI FA: LA TECNICA PASSO PASSO Fulvio Borro, per le immagini che presentiamo in queste pagine, ha utilizzato pochi ed economici materali per colorare le fotografie. In dettaglio, ecco passo-passo, le operazioni da seguire. Si deve partire da stampe in bianconero e colorare con precisione. Occorre anche un po di buon gusto nel saper miscelare i colori. Ecco i materiali occorrenti: ecoline, acqua, carta tipo Scottex, un piattino per mescolare i colori, pennelli adatti (piccoli e medi, a setole morbide). Mescolare i colori fino ad ottenere la tonalità desiderata; provare prima su un foglio di carta il colore ottenuto per verificare la giusta diluizione e tonalità di colore. Scegliere quindi il pennello adatto: medio per il fondo e piccolo per colorare il viso o altri particolari del corpo. Prima di stendere il colore bisogna bagnare con acqua (servendosi del pennello) la superficie da colorare facendo molta attenzione ai contorni. Questo permette di uniformare il colore sulla fotografia e di evitare macchie isolate, impossibili da togliere dopo. A questo punto si opera con il colore: si stende velocemente, con una particolare attenzione a non uscire dai bordi del soggetto. Come i quadri, si inizia dal fondo per proseguire man mano sui soggetti principali. Per i particolari bisogna usare un pennello fine. Come ultima operazione si pulisce la fotografia con della carta assorbente per togliere i residui di colore e gli aloni che si formano durante la fase di colorazione dell immagine. A questo punto si possono controllare i bilanciamenti dei colori (forti o deboli) e correggere di conseguenza con un altro intervento di colore. Stampante & ingranditore di Marco Fodde Stampa bianconero fine art: come trasferire una immagine digitale su carta all'argento. Per la prima volta una tecnica inedita ed unica che permette l'impossibile. Conosciamo le difficoltà che si incontrano nel realizzare una fotografia bianconero che rispetti ciò che abbiamo previsualizzato e spesso il risultato finale non corrisponde all'idea che avevamo in mente. I motivi della frustrazione che ne deriva sono molteplici e da ricercarsi in tutte le fasi del processo fotografico, dalla ripresa al trattamento. Tuttavia, si cerca di pilotare il risultato nella direzione voluta con tecniche di non facile esecuzione, a volte addirittura impossibili, soprattutto in fase di stampa. Penso ad interventi di mascheratura o bruciatura su piccole porzioni del negativo, oppure alle diverse variazioni di contrasto in altrettante

differenti zone del soggetto ed a difficili interventi di ritocco per eliminare imperfezioni o difetti nell'immagine. Operazioni, queste, che richiedono una esperienza notevole, spesso non sufficiente ad ottenere un risultato perfetto. Siamo nel caso limite, una sorta di confine tra possibile ed impossibile in cui la fotografia tradizionale si ferma. Al giorno d'oggi, però, il fotografo ha uno strumento in più su cui contare: la fotografia digitale. Cresciuta qualitativamente in modo esponenziale, in questi ultimi tempi ha raggiunto, grazie a sofisticatissimi ed efficaci software, livelli qualitativi che non fanno più sorridere ma che permettono di oltrepassare efficacemente il confine suddetto. Al di là dalle possibilità tecniche offerte dalla fotografia digitale, chiunque si sia incantato a rimirare le proprie immagini digitalizzate attraverso lo schermo di un PC, sicuramente sarà rimasto colpito dalla nettezza e brillantezza dei toni. Il problema nasce quando si vuole stampare quella bellissima immagine in bianconero, non necessariamente frutto di un programma di elaborazione grafica, che vediamo sul monitor. Il metodo più ovvio è quello di servirsi di una stampante Ink Jet. Tuttavia, anche con una buonissima ed evolutissima stampante di qualità fotografica si otterrà un'immagine costituita da inchiostri su carta. Dal punto di vista qualitativo una stampa ad inchiostri, pur avvicinandosi molto a quella tradizionale all'argento, non riesce, almeno per il momento, ad esservi pienamente equivalente. Ciò è dovuto al fatto che un'immagine fotografica tradizionale è costituita da argento metallico che a tutt'oggi è insuperabile nel conferire ai soggetti profondità e modulazione tonale. Ma a parte questo aspetto esiste un altro fattore di imprescindibile importanza: la durata delle stampe. E' pur vero che le note case costruttrici di stampanti Ink Jet promettono stampe di durata centenaria ma di ciò abbiamo, per l'appunto, solo promesse (sostenute da test difficilmente verificabili) che dovremo riscontrare tra almeno cento anni: francamente troppi! D altra parte, non si può rimanere indifferenti innanzi alle possibilità di intervento che opportuni software possono offrire sulle immagini digitali (ossia prodotte da fotocamera digitali) o digitalizzate (prodotte da negativo scandito) e al notevole impatto qualitativo che ne deriva, tale da farci desiderare di vederle realizzate su carta fotografica tradizionale. Fino ad oggi una simile possibilità per il bianconero non esisteva (a parte riprodurre, dopo inversione, il file del positivo digitale in negativo digitale su pellicola per mezzo di un costoso fotorestitutore, che in base a prove fatte almeno sul bianconero, abbassa notevolmente la qualità finale). I "limiti" mi hanno da sempre affascinato e fatto risvegliare la mia "sperimentite", che si è tradotta nel desiderio di ricercare un valido metodo per tradurre un'immagine elettronica in chimica, nel rispetto della qualità fine art. Da un cultore della fotografia tradizionale bianconero fine art come notoriamente sono, il trattare l'argomento digitale potrebbe apparire non coerente, se poi aggiungo di aver trovato un metodo pratico, economico ma eccellente per trasformare un file digitale bianconero in una fotografia su carta fotografica (badate bene, fatta di argento metallico, non d'inchiostro!), allora si passa all'incredulità assoluta. Ebbene, forse è proprio il connubio tra arte, desiderio di proiettare un elaborato digitale su carta fotografica e la mia cultura di chimico che ha scaturito un'idea pazzerellona che però nella pratica e nell'efficacia si è rivelata vincente: da digitale a carta fotografica bianconero. Ma andiamo per gradi pur riservandomi di approfondire questo argomento in futuri articoli che prenderanno in considerazione gli aspetti comparativi e qualitativi tra diversi materiali. PRINCIPIO DEL METODO: Realizzazione, a partire da una immagine digitale (o digitalizzata), di un negativo su lucido formato A4 per mezzo di stampante ink jet e, conseguentemente, stampa dello stesso per contatto su carta fotografica tradizionale. PREPARAZIONE DEL NEGATIVO DIGITALE

PRIMA FASE. La prima fase del procedimento parte da una immagine bianconero digitale o digitalizzata, ossia prodotta da una fotocamera digitale oppure frutto di una scansione di un negativo o positivo (diapositiva) tradizionale. Va detto che più la scansione è definita maggiore è l'ingrandimento che si potrà pretendere. Consiglio di scansire i negativi 35mm a non meno di 2700 dpi per un formato finale A4 (ideale sarebbe 4000 dpi con cui si potrebbe comodamente arrivare al formato A3). Immaginiamo di aver proceduto per mezzo di un programma di fotoritocco (Photoshop o altri) a conferire all'immagine qualsiasi modifica che la rendesse ai nostri occhi perfetta per la nostra sensibilità artistica, aver corretto qualsiasi imperfezione del soggetto e aver calibrato secondo i nostri gusti luminosità e contrasto. Eccola! Appare sullo schermo esattamente come vorremmo fosse su carta fotografica. SECONDA FASE. La seconda importantissima fase, che va eseguita una sola volta per tutte, consiste nell ottenere l'esatta corrispondenza tonale tra immagine che appare sullo schermo e quella rappresentata sulla carta. Affinché ciò si verifichi è necessario procedere alla stampa dell'immagine digitale con una stampante Ink Jet su carta dedicata di qualità fotografica. Apparirà subito evidente se ciò che vediamo sul monitor e la stampa saranno equivalenti. Se ciò non fosse sarà necessario agire sulla luminosità e sul contrasto dello schermo in modo di avvicinarsi il più possibile alla densità tonale della stampa Ink Jet. Dopo aver tarato lo schermo sulla stampa ottenuta quasi certamente osserveremo che quella sul monitor non rispetta più quella di partenza, frutto della nostra creatività (troppo scura o chiara oppure troppo o poco contrastata). Quindi dovremo operare con il programma di fotoritocco solamente sul contrasto e luminosità per riportare la densità dell'immagine digitale "all'antico splendore" ossia, se preferite, a quella preferita dai nostri gusti (Photoshop: immagine, regola, luminosità-contrasto). Per essere certi che la suddetta taratura sia perfetta potremo eseguire un'altra stampa con la Ink Jet ed eventualmente operare degli aggiustamenti ripetendo da capo la seconda fase. Esistono altri metodi di taratura ma per il bianconero ho sperimentato che questo sistema è il più pratico ed efficace. TERZA FASE. A questo punto è necessario operare una rotazione speculare dell'immagine digitale ed invertirla, ossia trasformarla in negativo (Photoshop: immagine, ruota quadro, rifletti orizzontale e poi sempre con Photoshop: immagine, regola, inverti). Si procede nel salvare il file ottenuto con un nome opportuno. QUARTA FASE. Si procede alla stampa del negativo digitale, ottenuto nella seconda fase, su supporto trasparente per lucidi in formato A4 per mezzo di stampante di qualità fotografica. Mi sono avvalso della pellicola trasparente Canon CF 102. (Questo materiale ha ambedue le superfici trattate con un particolare prodotto che permette l'adesione permanente dell'inchiostro su entrambe le superfici e quindi non presenta il problema di dover individuare su quale lato operare la stampa). Per quanto attiene la scelta dell'inchiostro da stampa ho optato per l'ottimo Pelikan che oltre ad essere più economico dell'epson ha tonalità fredda con tonalità molto profonde molto efficaci per questa tecnica. Inoltre, mi sono servito della stampante Epson Stylus Photo 1200 calibrata come segue: Supporto: carta fotografica; Inchiostro: nero; Modo: personalizzata (1440 dpi); Area stampata: centrata; Formato area di stampa: A4 QUINTA FASE. Essiccazione del lucido a temperatura ambiente in luogo riparato dalla polvere. Occorre essere certi che l'inchiostro sia effettivamente essiccato e dopo sperimentazioni ho potuto costatare che si raggiunge lo scopo dopo 24 ore. Un tempo così lungo si deve al fatto che il supporto plastico non ha alcun effetto assorbente e l'essiccazione si attua solamente per evaporazione del solvente che per l'inchiostro Pelikan è di qualche ora a circa 21 C (dipende dalla temperatura ambiente).

STAMPA DEL NEGATIVO DIGITALE SESTA FASE. Si procede alla normale stampa per contatto badando che l'emulsione della carta sensibile sia a contatto con "l'emulsione" del lucido, la superficie di stampa. E necessario che il sandwich sia così disposto sul tavolo dell'ingranditore: piano di proiezione dell'ingranditore - foglio di cartoncino nero (per evitare dannosi fenomeni di diffusione luminosa) - carta fotografica - lucido da stampare (emulsione contro emulsione) - vetro di spessore e dimensioni adeguate (spessore: 4mm, lati: 30x35 cm) avente il compito di mantenere il tutto ben pressato. L'ingranditore in questo processo ha il solo compito di illuminatore per stampa a contatto. Indicativamente posso aggiungere che questa prova è stata ottenuta con i seguenti parametri di stampa: 1. distanza della testa dell'ingranditore dal piano di stampa: 56 cm; 2. doppio condensatore; 3. diaframma dell'obiettivo: f/11; 4. lampada dell ingranditore da 150W; 5. filtro multigrade Ilford n 3; 6. carta Agfa multicontrast MCP 310 RC ; 7. tempo di esposizione: 8 secondi; 8. sviluppo: Ornano Normaton 1+9; 9. fissaggio: Ornano Superfix; Osservazioni operative: dopo l'esposizione del sandwich potremo procedere al normale sviluppo della carta sensibile ottenendo la stampa finale, provando l'ebbrezza di aver stampato un "meganegativo" d'altri tempi con una qualità davvero sorprendente. Dal momento che tutte le correzioni dell'immagine possibili si effettuano al computer, il "lucido-negativo" non necessita di alcun intervento supplementare di mascheratura o bruciatura, e ci si limita alla sola regolazione del tempo di esposizione della carta che andrà aumentato o diminuito a secondo della densità che vogliamo raggiungere. Ribadisco che la perfetta riuscita del metodo dipende totalmente dalla perfetta esecuzione della seconda fase del procedimento. Va detto che il negativo-lucido è molto delicato e va maneggiato con cura, ma nulla vieta, se rovinato, di ristamparlo. Per la sperimentazione ho utilizzato materiali in commercio abbastanza economici e comunque destinati ad un uso diverso da quello sperimentato. Tuttavia, mi auguro che siano presto commercializzati supporti, inchiostri e stampanti specifiche per questa tecnica che reputo unica e vantaggiosa. Il formato della stampa finale è vincolato alle dimensioni del lucido che di norma è formato A4. Tuttavia, in commercio esistono pellicole per lucidi anche in formato A3 Come si riconosce un stampa ricavata con tale metodo? Dal momento che il limite di risoluzione media dell occhio umano è raggiunto quando la distanza dell immagine da chi l osserva è 2500 volte la distanza tra i centri di due punti adiacenti (ciò significa che una fotografia composta da punti vicini 0,25mm, apparirà perfettamente nitida se osservata da una distanza di 25cm ossia la distanza più ridotta per percepire distinta l immagine) ad occhio nudo le stampe ottenute con questo metodo e quelle tradizionali sono indistinguibili. Ciò si comprende perché la stampa realizzata per contatto ha la risoluzione massima che si ottiene stampando il negativo sul lucido, ossia quella consentita dalla stampante (1440x720 dpi) che in questo caso è ben al sopra della risoluzione permessa dall'occhio umano. Tuttavia i perfezionisti comparando le immagini con un lentino da 8-10X potranno osservare la differenza morfologica della grana tra i due metodi: il metodo tradizionale offre una grana più modulata, diffusa e ben amalgamata specie nelle mezze tinte; il metodo di trasposizione da file digitale ha una grana "costruita" dalla stampante spruzzando microscopiche gocce di inchiostro sul supporto lucido. Ciò conferisce alla grana stessa una modulazione a buccia d'arancia che tuttavia, ad occhio nudo, è indistinguibile da quella tradizionale.

Un paragone microscopico qualitativo tra il metodo tradizionale e quello trattato in questo articolo non ha senso perché la risoluzione ricavata dai due metodi non è confrontabile in quanto a parità di negativo la prima dipende principalmente dalla qualità dell'ingranditore (a condensatore o luce diffusa e qualità dell'obiettivo), la seconda dalla risoluzione con cui è stato scansito il negativo e dalla capacità della stampante di realizzare punti ad alta risoluzione (ossia il modo con cui riesce a ricostruire artificialmente la grana del negativo sul lucido). Queste prove sono state effettuate con una stampante Epson stylus photo 1200 ma è probabile che con una stampante diversa si sarebbero ottenuti risultati diversi. Un paragone tra due immagini realizzate sia con il metodo descritto da questo articolo (a destra) e con ingranditore (a sinistra) è indicativo, ed è solo per dimostrare che la resa è indistinguibile dall'occhio umano. La differenza tra i due metodi di stampa si può notare e riconoscere solamente con l'ausilio di un lentino da 8-10X. Conclusione Questa tecnica inedita non ha lo scopo di essere migliore o sostitutiva della stampa tradizionale con l'ingranditore (che rimane qualitativamente il miglior modo di fare fotografia bianconero) bensì di ottenere una stampa perfetta su carta tradizionale al bromuro d'argento sia essa baritata o politenata, da un file digitale che può aver subito o no, qualunque tipo di elaborazione per mezzo di software specifici. Inoltre, non va dimenticato che nel caso di una immagine digitale ossia prodotta da una fotocamera digitale, il negativo è assente e la sola possibilità valida di realizzare l'immagine su carta fotografica bianconero tradizionale è offerta da questo metodo. Il sistema è di facile realizzazione e, aggiungo, divertente perché ibrido tra tradizionale, di cui salva l'aspetto forse più magico del veder comparire l'immagine nel bagno di sviluppo (offrendo all'occorrenza la possibilità di effettuare ulteriori tecniche conservative come il viraggio), e quello indubbiamente creativo e correttivo che offre la fotografia digitale. In definitiva uno strumento in più per il fotoartista da usare ma non da abusare.