CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA CONVEGNO SULLA VIOLENZA DI GENERE

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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA CONVEGNO SULLA VIOLENZA DI GENERE 12-13 aprile 2018 Relazione di Avv. Teresa Manente esperta nella difesa dei diritti delle donne vittime di violenza di genere Sono avvocata penalista e da oltre trent anni dedico il mio impegno politico e la mia attività professionale alla difesa dei diritti delle donne vittime di violenza maschile accolte e ospitate nei centri antiviolenza dell Associazione Differenza Donna, componente della rete dei centri antiviolenza dell Ass. D.i.RE. Oggi ci troviamo ad operare in un quadro normativo nazionale di diritto sostanziale e processuale ampio ed integrato dalle fonti internazionali e di diritto europeo, un corpus di norme che, seppure non organico, è di certo astrattamente idoneo a contrastare il fenomeno e a prevenire la violenza maschile di cui il femminicidio rappresenta l apice. Dico astrattamente idoneo, perché il nodo critico si rinviene, a mio parere, nella fase applicativa del diritto ed è correlato, da un lato, alla tecnica legislativa e, dall altro, e alla necessità della promozione di un cambiamento culturale e sociale. In tema di produzione normativa, le norme in materia di violenza di genere costituiscono un arcipelago normativo nel quale non sempre è facile orientarsi, come hanno ben evidenziato le Sezioni Unite nella sentenza 29 gennaio 2016-16 marzo 2016, n. 10959: le disposizioni introdotte negli anni nel codice civile, penale e di procedura penale sono prive di una visione unitaria e di coordinamento. Si è proceduto, infatti, con pacchetti sicurezza e decreti legge, mentre la materia avrebbe richiesto un intervento sistematico, organico e coerente. Il secondo profilo attiene il cambiamento culturale nel fare giustizia di cui è responsabile l avvocatura, così come la magistratura e tutti gli operatori che si occupano di violenza di genere (forze dell ordine, assistenti sociali, medici, consulenti tecnici): la questione della violenza di genere trova radici culturali in una struttura dei rapporti tra i sessi fondata sulla discriminazione delle donne, pertanto il cambiamento culturale è precursore del mutamento di approccio di tutti coloro a cui che le donne si rivolgono per chiedere aiuto. Una risposta adeguata ed efficace impone, infatti, specializzazione e formazione sistematica e continuativa con una prospettiva di genere, così come richiesto dalla convenzione di Istanbul, sotto questo profilo largamente inattuata, e sotto il profilo pratico deve consentire il superamento dei pregiudizi e degli stereotipi discriminatori 1

contro le donne, un intervento specializzato e tempestivo, in un quadro che ruoti intorno al rafforzamento dei centri antiviolenza gestiti dalle donne per le donne. Brevemente mi soffermerò nel prosieguo sulle questioni poste. Le leggi esistenti sono depotenziate da stereotipi e pregiudizi sessisti, così come rilevato dal Comitato CEDAW nel suo monitoraggio periodico dell Italia, che ha accolto così le critiche del rapporto ombra, presentato nel 2017dalla piattaforma lavori in corsa CEDAW. Tra i tanti, è molto diffuso il pregiudizio delle querele strumentali allorché proposte nel corso della separazione/o dei giudizi di affidamento, non considerando che le denunce aumentano proprio in pendenza di separazione, perché il maltrattante non accetta la ribellione della donna. Dopo l interruzione della convivenza si aggravano le condotte, spesso proprio in occasione delle visite genitoriali. Dall esperienza dei centri antiviolenza emerge che le donne denunciano solo quando temono per la loro incolumità o per quella dei figli, in genere dopo che hanno tentato di interrompere la relazione con l uomo violento. Diffuso è anche il pregiudizio della strumentalità delle denunce presentate dalle donne immigrate senza permesso di soggiorno che denuncerebbero solo per ottenere il titolo di soggiorno secondo l art. 18 bis d.lgs. 286/1998. Inoltre, ancora troppo spesso si sottovalutano i maltrattamenti psicologici e le violenze economiche, in parte ricompresa dal nuovo 570 bis c.p., ma riconducibili per lo più al delitto di maltrattamenti, condotte da cui derivano gravi situazioni di dipendenza e soggezione prodromiche a volte all uccisione delle donne. Nei casi di femminicidio che ho seguito le donne, prima di essere uccise, hanno subito svariate forme di limitazione della loro libertà: segnalo in particolare casi nei quali il marito sottraeva abitualmente le chiavi dell automobile per impedire alla coniuge di andare a lavorare e per renderle la gestione dei bambini molto difficile e faticosa, oppure le aveva sottratto la carta di credito o, ancora, monitorava ogni passo della ex compagna attraverso gli accessi su whatsapp, facebook. Si sottovaluta che il femminicidio è solo l ultimo atto punitivo, quasi sempre programmato, di una lunga serie di violenze psicologiche, a volte fisiche, spesso prive di riscontro medico. Le esperienze di violenza nelle relazioni di intimità che le donne rappresentano in sede giudiziaria sono troppo spesso ancora sottovalutate, ridimensionate e a volte confuse con «liti in famiglia» o conflitto coniugale. Quest atteggiamento ha conseguenze anche in sede civile, allorché si tratti di dover valutare le competenze genitoriali del maltrattante. Nonostante l art 31 della Convenzione di Istanbul imponga di prendere in dovuta considerazione la violenza assistita al momento di determinare i diritti di visita dei figli, l uomo violento non è mai invitato a prendere consapevolezza dell illeceità e gravità della propria condotta e del riverbero di 2

quest ultima sulla vita dei figli, sempre traumatizzati dall aver assistito alle violenze contro la propria madre. Anzi, le donne spesso si ritrovano ad essere stigmatizzate come troppo protettive o addirittura come alienanti quando rappresentano le paure dei figli ad incontrare il padre. Segnalo che nella stragrande maggioranza dei casi i femminicidi e l uccisione dei figli da parte dell ex partner si registrano proprio in pendenza di separazione o di giudizio di affidamento e in occasione delle visite genitoriali. Richiamo il caso Gonzales c. Spagna, deciso dal Comitato CEDAW nel 2015, il caso di Federico Barakat, oggi al vaglio della Corte EDU, il caso di Andrea e Davide Iacovone, uccisi nel 2013 dal padre durante la visita genitoriale, consentita nonostante le dieci querele sporte dalla madre per violenza e atti persecutori. E ancora il caso Manduca, deciso dal Tribunale di Messina nel giugno 2017, che richiama l attenzione sullo scollamento tra procure e Tribunali che procedono con tempi e modalità fortemente disomogenei. Da ultimo il caso delle due bambine uccise dal padre carabiniere a Cisterna di Latina. Necessaria la specializzazione e la formazione degli assistenti sociali e dei consulenti tecnici d ufficio che confondono il conflitto coniugale con la violenza domestica, anche in presenza di denunce, decreti di rinvio a giudizio, e ordinanze di applicazione di misure cautelari: i consulenti tecnici d ufficio e gli assistenti sociali invitano i genitori ad intraprendere percorsi di mediazione e di valutazione congiuntamente in contrasto con i principi della Convenzione di Istanbul (art. 48 Convenzione di Istanbul) e con la direttiva 2012/29/UE, che invita le autorità statali a ridurre il contatto tra autore del reato e vittima, così dando prevalenza all obiettivo di recupero della figura paterna, sottovalutandone la pericolosità. Tengo inoltre ad evidenziare che i CTU hanno solo una funzione di ausilio al giudicante, come prevede il codice, ma nei fatti sono sempre di più fonte prevalente della valutazione dell autorità giudiziaria. La sottovalutazione della pericolosità delle condotte maltrattanti espone quindi le donne a vittimizzazione secondaria sia in sede civile sia in sede penale, in particolare al momento della loro audizione o testimonianza. Le donne infatti continuano a essere intimorite dagli ex partner persino in Tribunale anche in presenza di misura cautelare. Per questo è particolarmente utile in sede civile la convocazione separata delle parti, non sempre predisposta, e in sede penale è opportuno espletare l esame testimoniale in condizioni protette, come ora prevede il codice, per evitare il contatto visivo con l autore prima e durante la testimonianza anche solo attraverso l impiego di un paravento. È importante che anche i VPO assicurino tale diritto alle persone offese non assistite da difensore. 3

Da ultimo pongo l accento su altre questioni correlate comunque alla sottovalutazione: non tempestività della risposta, ineffettività del risarcimento del danno e misure a tutela dell incolumità delle donne in fase di esecuzione della pena e di scarcerazione. L intervento per essere efficace deve essere tempestivo (sul punto segnalo la sentenza CEDU Talpis c.italia, marzo 2017): una definizione celere del processo rafforza, infatti, la funzione special preventiva della sentenza di condanna perché frustra l aspettativa di impunità che caratterizza l uomo violento. È necessario quindi rafforzare l applicazione dell art. 132 bis disp att. c.p.p. In ordine al risarcimento del danno, tale diritto non è garantito dalle disposizioni vigenti: nella nostra esperienza, nel 90% dei casi l uomo sottrae le garanzie patrimoniali già nel corso delle indagini. Dovrà quindi essere ridefinito l istituto del sequestro conservativo ex art. 316 c.p.p. Inadeguato è poi il meccanismo di indennizzo alle vittime di reati connotati da violenza alla persona, introdotto dal decreto del 31 agosto 2017, in quanto prevede somme irrisorie e per di più a vantaggio solo delle vittime che hanno i requisiti reddituali per accedere al patrocinio a spese dello stato, introducendo così elementi di incostituzionalità. In ordine all esecuzione della pena, è necessaria un attenta valutazione caso per caso della magistratura di sorveglianza, comunicando con i difensori della persona offesa e tenendo conto delle specifiche esigenze di tutela della sua incolumità, che deve esse considerata attentamente in caso di misure alternative della pena e in fase di scarcerazione. È fondamentale avvisare la p.o. della scarcerazione per valutare l applicazione delle misure di sicurezza previste e ragionare su possibili riforme normative per un effettiva continuità della protezione dell incolumità delle donne vittime di violenza di genere, così come richiede la direttiva 2012/29/UE. Ritengo, in conclusione, che sia cruciale in questo momento storico mantenere un tavolo di lavoro permanente di coordinamento tra magistratura penale e civile, avvocatura, forze dell ordine e centri antiviolenza, ciò per sradicare prassi deleterie che vanificano l efficacia delle leggi esistenti con gravi conseguenze per la vita delle donne. Questo strumento operativo, avviato anche dal presidente del Tribunale di Roma e dalla procura di Roma, che costituiscono un modello per qualità della risposta, e per la capacità di lavoro costruttivo con l avvocatura e i centri antiviolenza, consente, a mio avviso, un confronto diretto e continuo tra tutti i soggetti coinvolti nel percorso di fuoriuscita dalla violenza che le donne avviano, confronto che è imprescindibile per rispondere alla raccomandazione del comitato CEDAW del luglio 2017 di sradicare i 4

pregiudizi discriminatori nei confronti delle donne. Non ci sono infatti patologie/disfunzioni da curare a colpi di ingiunzioni trattamentali (mi riferisco al recente protocollo del questore di Milano con i criminologi), ma si tratta di questioni di ordine sociale, rilevanti giuridicamente in quanto condotte criminose, con radici storiche e culturali, e perciò modificabili solo grazie all impegno collettivo per una riforma sociale. Le donne e le questioni che le riguardano, compresa la violenza di genere, non possono essere aggiunte sic et simpliciter in un quadro logico-giuridico immutato, ma si avverte oggi l esigenza di un cambiamento di struttura, di pensiero, di categorie che a partire dalla questione della violenza maschile contro le donne, potrà giovare a tutti e a tutte contribuendo a riscrivere la grammatica delle dinamiche processuali, ma anche e soprattutto delle relazioni sociali. Roma, 12 Aprile 2018 Avv. Teresa Manente 5