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test", \IR\ :9Y3 1-" / REPUBBLICA ITALIANA Oggetto IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RENATO RORDORF - Presidente Opposizione alla dichiarazione di fallimento in estensione. R.G.N. 21615/2007 Dott. SERGIO DI AMATO - Rel. Consigliere - Cron. 6.2,0 2 Dott. ANTONIO DIDONE - Consigliere - Rep. Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO Consigliere - Ud. 17/09/2014, y- Dott. MAGDA CRISTIANO - Consigliere - PU ha pronunciato la seguente SENTENZA à sul ricorso 21615-2007 proposto da: VICECONTE ATTILIO (C.F. VCCTTL48R28G902J), VICECONTE MARIA LUISA (C.F. VCCMLS60D43F839C), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 9, presso l'avvocato EMILIANO AMATO, rappresentati e difesi dall'avvocato WLADIMIRO MANZIONE, giusta 2014 1516 procura a margine del ricorso; contro - ricorrenti - FALLIMENTO DELLA S.D.F. EREDI VICECONTE E DEI SOCI 1

IN PROPRIO VICECONTE DOMENICO, VICECONTE ATTILIO, VICECONTE MARIA LUISA, in persona del Curatore dott. OVIDIO POLITO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI VILLINI 15, presso l'avvocato MICHELE MIRAGLIA, rappresentato e difeso dall'avvocato MICHELE ALDINIO, giusta procura a margine del controricorso; FARMAS S.R.L. (P.I. 0016999062), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. CARONCINI 6, presso l'avvocato GENNARO CONTARDI, rappresentata e difesa dall'avvocato GIUSEPPE TREZZA, giusta procura a margine del controricorso; - controricorrenti - contro VICECONTE DOMENICO; - intimato - avverso la sentenza n. 168/2006 della CORTE D'APPELLO di POTENZA, depositata il 03/08/2006; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2014 dal Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO; udito, per i ricorrenti, l'avvocato GIORGIO STEFANO, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; 2

udito, per il controricorrente Fallimento, l'avvocato CARLO PANDISCIA, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il rigetto del ricorso. 3

Ritenuto in fatto e in diritto - che, con sentenza del 3 agosto 2006, la Corte di appello di Potenza rigettava l'appello proposto da Attilio e Maria Teresa Viceconte avverso la sentenza in data 28 agosto 2001 con cui il Tribunale di Lagonegro aveva respinto la loro opposizione alla dichiarazione di fallimento della società di fatto Eredi Viceconte e di essi opponenti in proprio quali soci illimitatamente responsabili, pronunciata il 24 maggio 2000, ai sensi dell'art. 147 1. fall., in estensione del fallimento di Domenico Viceconte, dichiarato dallo stesso Tribunale con IL sentenza del 19 CASO.it marzo 1999. In particolare, per quanto ancora interessa, la Corte di appello osservava che: 1) l'estensione del fallimento non era impedita dal rigetto di una precedente istanza, motivato con l'esclusione della prova della sussistenza di un rapporto societario tra gli eredi di Luigi Viceconte quanto alla gestione della farmacia caduta in successione, atteso che il relativo provvedimento era privo di attitudine al giudicato; 2) non sussisteva violazione del termine annuale per la dichiarazione di fallimento, previsto dall'art. 147 1. fall. a seguito della pronuncia n. 319/2009 della Corte costituzionale, poiché gli appellanti non avevano mai esteriorizzato la perdita della qualità di soci; 3) la sussistenza di un rapporto societario di fatto, e non di 4

una mera comunione ereditaria, tra gli eredi di Luigi Viceconte era dimostrata da una molteplicità di elementi (minuziosamente elencati in tredici punti alle pagg. 6-9 della sentenza impugnata); - che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Attilio e Maria Teresa Viceconte, deducendo: l) la violazione degli artt. 5, 6, 16 e 22 1. fall. in quanto erroneamente la Corte di appello aveva escluso la forza del giudicato del precedente decreto di rigetto dell'istanza di estensione avanzata dal curatore del fallimento di Domenico Viceconte, atteso che tale decreto non era stato reclamato; la violazione dell'art. 22 1. fall. ed il vizio di motivazione in quanto il decreto di rigetto aveva statuito su profili di diritto quali l'esercizio dell'attività d'impresa in forma individuale da parte di Domenico Viceconte ed il verificarsi dello stato di insolvenza durante tale gestione individuale; 2) la violazione degli artt. 10 e 147 1. fall. ed il vizio di motivazione poiché la Corte di appello erroneamente non aveva ravvisato una adeguata esteriorizzazione del venire meno della (pretesa) società di fatto tanto nella appropriazione dell'azienda farmaceutica da parte di Domenico Viceconte, che nel settembre 1996 si era iscritto nel registro delle imprese quale esercente in forma individuale ftell'attività di farmacia, quanto nella 5

successiva apprensione dell'azienda farmaceutica da parte del curatore fallimentare; 3) la violazione degli artt. 230 bis, 2082, 2188 ss., 2297 cod. civ. 147 1. fall. e 7 legge n. 36/1991 nonché il vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata aveva ritenuto la sussistenza di una società di fatto sulla base di elementi riconducibili soltanto ad una comunione ereditaria; l'effettiva gestione della farmacia da parte dei ricorrenti non poteva desumersi, infatti, nè dalla richiesta di autorizzazione alla gestione provvisoria della farmacia nè dalla nomina di Domenico Viceconte quale direttore, nè dalla rivendicazione del diritto alla titolarità della farmacia, con la richiesta di nomina di un curatore speciale. In ogni caso la sussistenza della società doveva escludersi dopo il settembre 1996, quando Domenico Viceconte si era appropriato della farmacia e si era iscritto nel registro delle imprese quale titolare di una impresa individuale; - che il fallimento della s.d.f. Eredi Viceconte e dei suoi soci illimitatamente responsabili nonché il creditore istante s.p.a. FARMAS resistono con controricorsi mentre non ha svolto attività difensiva Domenico Viceconte; - che i tre motivi sono inammissibili nella parte in cui propongono un vizio di motivazione non corredato dal momento di sintesi richiesto dall'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis; 6

- che, nel resto, i tre motivi sono infondati. Quanto al primo motivo, nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato il principio secondo cui «il provvedimento di rigetto dell'istanza di fallimento è privo di attitudine al giudicato e non è configurabile una preclusione da cosa giudicata, bensì una mera preclusione di fatto, in ordine al credito fatto valere, alla qualità di soggetto fallibile in capo al debitore ed allo stato di insolvenza dello stesso, di modo che è possibile, dopo il rigetto, dichiarare il fallimento sulla base della medesima situazione - d'ufficio o su istanza di un diverso creditore ovvero sulla base di elementi sopravvenuti, preesistenti ma non dedotti e anche di prospettazione identica a quella respinta - su istanza dello stesso creditore» (così costantemente a far tempo da Cass. 27 novembre 2001, n. 15018, con il superamento del precedente contrasto sulla possibilità di distinguere tra profili fattuali e profili di diritto, affermata dalle isolate Cass. 26 giugno 2000, n. 8660 e Cass. 18 gennaio 2000, n. 474, invocate dai ricorrenti. Conff. Cass. 7 ottobre 2005, n. 19643; Cass. s.u. ord. 7 dicembre 2006, n. 26181; Cass. ord. 21 dicembre 2010, n. 25818; Cass. 23 settembre 2011, n. 23478); - che, quanto al secondo motivo, nel regime anteriore alla riforma della legge fallimentare, la giurisprudenza 7

di questa Corte ha affermato l'applicabilità, anche alle società non iscritte nel registro delle imprese, del termine di un anno dalla cessazione dell'attività, previsto dall'art. 10 della legge fallimentare ai fini della dichiarazione di fallimento, individuandone la decorrenza nel momento in cui la cessazione dell'attività sia stata portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, o comunque sia stata dagli stessi conosciuta (Cass. 28 agosto 2006, n. 18618; Cass. 13 marzo 2009, n. 6199). Tuttavia, l'iscrizione di uno dei soci nel registro delle imprese come ditta individuale non è idonea ad esteriorizzare la cessazione dell'attività della società di fatto, atteso che tale iscrizione, seppure conseguenza, come pretendono i ricorrenti, di una estromissione di fatto degli altri soci, non comporta affatto lo scioglimento della società, se tale estromissione non è stata accettata ed è stata anzi contrastata (artt. 2308 e 2272 cod. civ. che richiedono per lo scioglimento della società la volontà di tutti i soci), e pertanto non comporta neppure la cessazione dell'attività della società, seppure di fatto gestita da uno solo dei soci. Nè, d'altro canto, rilevano, ai fini della decorrenza del termine annuale, la data della dichiarazione di fallimento dell'imprenditore individuale (nella specie Domenico Viceconte), la cui impresa sia poi risultata riferibile ad 4. 8

una società di fatto, ovvero la data della conseguente apprensione dell'azienda da parte del curatore. Tali eventi, infatti, non comportano lo scioglimento e tantomeno l'estinzione della società di fatto, la cui esistenza al momento della dichiarazione del fallimento del socio erroneamente ritenuto imprenditore individuale è condizione sufficiente per l'estensione del fallimento alla società ed ai suoi soci illimitatamente responsabili (v. Cass. 19 settembre 2005, n. 18458; Cass. 10 marzo 2011, n. 5764); - che, quanto al terzo motivo, non sussiste la dedotta violazione di legge poiché la sentenza impugnata ha affermato la sussistenza di una società tra gli eredi Viceconte, e non di una semplice comunione ereditaria, per la ritenuta esistenza di «un fondo comune con comune partecipazione a profitti e perdite e che anche verso l'esterno essi si mostravano ed erano percepiti, nei rapporti con i terzi, come soci» Nel resto il motivo propone censure di merito, chiedendo una rilettura degli elementi presi in considerazione dalla Corte di appello, con una conseguente ragione di inammissibilità che si aggiunge a quella, già rilevata, della mancata formulazione del momento di sintesi; - che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. 9

P.Q.M. rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al rimborso delle spese di lite in favore della s.p.a. FARMAS ed in favore del fallimento della s.d.f. Eredi Viceconte e dei suoi soci illimitatamente responsabili, liquidandole per ciascuno in E 3.200,00=, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CP. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 settembre 2014. il cons. estensore 11 10 ik Lr DEPOSITATO IN CANCELLERIA 10