Professione. New York Stock Exchange, NY 1979.



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Transcript:

114 Santi

Visalli Professione I suoi scatti sono apparsi sui più prestigiosi quotidiani e periodici del mondo, da Time all Europeo, dal New York Times a Paris Match, da Oggi a Stern. Il suo archivio di immagini è un vero viaggio nel tempo attraverso eventi e volti famosi, icone del nostro tempo, dai presidenti degli Stati Uniti ad attori, cantanti, registi, musicisti e poeti. Per oltre quaranta anni ha viaggiato in tutto il mondo, raccontando i fatti e i personaggi attraverso l obiettivo della sua macchina fotografica. Fotogiornalista eclettico e poetico, i suoi scatti sono apparsi sulle copertine e sulle pagine dei più prestigiosi quotidiani e periodici, da Time all Europeo, dal New York Times a Paris Match, da Oggi a Stern. New York Stock Exchange, NY 1979. 115

Sofia Loren, New York 1967. Il suo archivio di immagini è un vero viaggio nel tempo; un susseguirsi di eventi storici, di volti famosi, icone del nostro tempo: ben sei presidenti degli Stati Uniti, attori, cantanti, registi, musicisti e poeti. E poi vi sono gli scorci di città famose, scatti che rivelano la sua inventiva e la capacità di dominare la luce; non a caso la direttrice del Museo Regionale della ceramica di Caltagirone, Enza Cilia Platamone, ha definito Santi Visalli come Febo, il dio della luce, perchè ne conosce i segreti. Oggi molte delle sue foto fanno parte di collezioni private ed alcune sono conservate nella collezione permanente del Santa Barbara Museum of Art; ora però facciamo un passo indietro, agli inizi della sua carriera. Santi Visalli è espressione del più classico sogno americano. Emigrato dalla Sicilia negli Stati Uniti nel 1959, affascinato da questo Paese malgrado avesse subito i bombardamenti degli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, Visalli è riuscito in breve tempo a diventare uno dei fotografi europei più quotati negli Usa. Come sono iniziati quelli che chiami i tuoi quattro decenni di momenti decisivi? La mia carriera come fotogiornalista prende il via nel 1963 a New York, come corrispondente della Publifoto di Milano, all epoca la più grande agenzia fotografica italiana. Negli anni Settanta sono passato alla Image Bank, che poi è diventata Getty; oggi sono ancora con Getty negli USA, mentre in Europa mi rappresenta la Tips di Guido Rossi. Quando hai deciso di trasferirti negli Stati Uniti? Dopo la laurea in economia in Sicilia, nel 1956, dovetti affrontare il problema della disoccupazione, che soprattutto al Sud era molto serio. Andare in America era il mio sogno, coltivato in gioventù grazie ai film di Hollywood; era l epoca di Doris Day, per me la quintessenza del mondo americano, bella, bionda e alla guida di auto sportive; quando, nei tardi anni Settanta, la incontrai per fotografarla e le confessai che era stata uno dei motivi che mi avevano spinto fin là lei pianse sulla mia spalla. Durante la guerra i film americani con Charlie Chaplin e Tom Mix, e poi Rock Hudson e Doris Day, mi facevano dimenticare le bombe che piovevano sulla mia testa, lanciate proprio dagli Americani; quelle bombe non mi hanno però impedito di credere nel sogno americano, quello per cui un ragazzo povero può sposare una ragazza ricca.. Purtroppo realizzare quel sogno non era facile; dovevi avere un parente negli Usa e dovevi essere sponsorizzato. Così studiai un modo per concretizzare il mio progetto più velocemente. Con due giornalisti decidemmo di girare il mondo con una Jeep americana, questo ci avrebbe portato per forza negli Usa! 116

Robert De Niro, NY 1973. La Esso ci fornì il carburante e ricevemmo incarichi da svariati giornali. Così arrivai negli Usa con un visto da giornalista, che poi cambiai in un visto da studente. Alla New York University incontrai la mia futura moglie e, sposando una americana, dopo tre anni acquisii il diritto di restare. Con questo non voglio dire che l ho sposata per interesse, visto che stiamo insieme da 48 anni. Come sei arrivato alla fotografia da professionista? Mentre frequentavo la New York University un giorno, per puro caso, incontrai un fotografo che aveva lavorato per la rivista Look; era una di quelle rare opportunità che ti si aprono nella vita, uno di quei momenti che devi saper cogliere. Quel fotografo fu felice di mostrarmi il suo lavoro ed io rimasi affascinato; gli feci un sacco di domande, poi lessi moltissimi libri e iniziai a scattare fotografie a qualsiasi cosa mi passasse davanti. Le mettevo da parte in una cartellina poi, passato un po di tempo, le tiravo fuori, le spargevo sul pavimento e le esaminavo attentamente nel loro insieme; in questo modo riuscii a crearmi un mio stile. Lo stile personale è fondamentale in questo lavoro. Proprio quel fotografo di Look mi fece conoscere il proprietario della Publifoto, l importante agenzia fotografica italiana; il mio lavoro gli piacque. In più, non aveva nessuno a New York e aveva bisogno di una fotografia ogni giorno. Quello fu il mio miglior allenamento: dovevo riuscire a sintetizzare tutto in uno scatto. Un ristorante in uno scatto, la moda in uno scatto, un presidente in uno scatto. E così per una prostituta, uno spacciatore. Qualunque tema in un unico scatto. Così dal 1963 al 1968 grazie a questo lavoro imparai tantissimo. Il grande salto lo feci quando incontrai la moglie di Moshe Dayan, il quarto capo di Stato Maggiore delle forze di difesa israeliane. Stavo realizzando una storia per una rivista italiana e lei mi prese in simpatia. Ti rivelerò un segreto mi disse un giorno mia figlia sta per sposarsi e se vuoi venire al matrimonio te lo farò sapere, ma ora non posso dirti niente. Non dirlo a nessuno. Dopo circa tre settimane ricevetti un telegramma: doppio matrimonio, si sposano sia mia figlia che mio figlio. Tu sarai l unico fotografo straniero. Ricevetti l incarico di documentare quelle nozze da circa 30 riviste e non ricordo da quanti quotidiani. Ma ero ancora sotto contratto e, a fronte del 117

Francis Ford Coppola, New York 1972. Federico Fellini, Roma 1975. mio stipendio di circa 1.000 dollari con il quale mantenevo a stento moglie e due figli, l agenzia con uno scatto ne incassava 40.000. A quel punto però il mio boss in Italia fu molto onesto e mi disse: Puoi fare di meglio da solo, non hai bisogno di noi. Continua a mandarci i tuoi scatti, ma tutti questi soldi incassali tu. Nel 1969 mi si aprì una nuova opportunità. Conobbi un agente molto preparato e fondammo insieme una società al 50 per cento, nella quale non dovevo investire denaro, ma mettere a disposizione le mie fotografie; ben presto però mi accorsi che era sempre meno il tempo che potevo dedicare alla fotografia rispetto a quello che dovevo impiegare per i nostri fotografi e per l agenzia, amministrando e risolvendo problemi. Ma io volevo fare il fotografo e quindi lasciai il mio partner e iniziai a lavorare da solo. Durante il primo mese quadruplicai le mie entrate. Noto che tu distingui tra fotografia di news e fotogiornalismo. Il fotografo di news riporta in immagini quello che i giornalisti narrano a parole. Chi scrive ha a disposizione un certo numero di parole per una storia, ma nel caso delle fotografie anche se fai 300 scatti le agenzie, come Associated Press o Reuters, in genere ti selezionano una sola immagine; in quell immagine devi quindi riuscire a sintetizzare quel che sta succedendo e deve anche essere un immagine diversa da ciò che produrranno gli altri 200 fotografi che sono sul campo insieme a te. Devi catturare il momento, quello che Henri Cartier-Bresson definiva il momento decisivo. E il momento decisivo deve essere nella tua testa, devi vederlo prima che accada. I tuoi occhi guardano, parlano al tuo cervello e il tuo cervello dice al dito di fare clic; devi aver ben presente che non stai solo facendo una fotografia, stai registrando un evento. Se ora guardiamo le mie foto di quaranta anni fa, quegli eventi sono storia. Io dico spesso che dopo tre giorni una foto di news è come il pesce, puzza, nessuno la vuole più; ma dopo vent anni diventa un fossile! Questo è il punto: se invece sei riuscito a cogliere il momento decisivo hai scattato per la storia, e quel fossile lo vogliono tutti. Oggi vendo più le mie fotografie vecchie che quelle nuove. 118

Oh Calcutta 63, NY 1969. The Beatles, NY 1966. E il fotogiornalismo, come lo definisci? Fotogiornalista è chi narra una storia. Non ci sono differenze tra giornalista e fotogiornalista: uno racconta con le parole, l altro con le immagini: cominci con la foto di apertura, che deve essere emblematica, e poi descrivi dove sei, che cosa sta succedendo. Pensi che essere europeo, e soprattutto italiano, ti abbia dato una sensibilità diversa rispetto ai fotografi americani? Che cosa trovi indispensabile in una buona foto? Credo che a fare la differenza siano solo i miei studi classici. Una buona foto è come un dipinto del Rinascimento, c è una sola fonte di luce. Ci sono tre cose indispensabili per scattare una buona foto, e tra queste la luce è la più indispensabile ; forse per questo Gino Gullace, il grande giornalista che per più di 50 anni riempì le pagine della rivista Oggi, mi chiamava Tintoretto. Per fare un esempio pratico, posso citare una foto scattata a Chicago con il sole molto basso: le cime di tutti i grattacieli erano illuminate, accese 119

Richard Nixon, NY 1968. come le candele in una chiesa. Il secondo elemento fondamentale è la composizione; in una buona foto l occhio dell osservatore deve essere portato su un unico centro di attenzione; l ho imparato osservando moltissimi dipinti e affreschi. E poi il messaggio. Se in una foto non hai luce, composizione e messaggio non hai una foto; o hai una foto zoppicante che deve essere spiegata. Passiamo alle questioni tecniche; che tipo di attrezzatura usi? Dico subito che il mio rapporto con la ripresa digitale è quasi inesistente; in questo mi sento un dinosauro, preferisco la pellicola. D altra parte oggi non faccio più fotografia di news, ma vendo le stampe delle mie immagini, un motivo in più per usare la pellicola, digitalizzare e infine stampare. Come digitale ho solo una piccola Olympus, che uso per le foto di famiglia. Non è per snobbare questa tecnologia, non avrei nessun tipo di problema ad usarla se lavorassi ancora per i giornali, ma mi sento più a mio agio con la pellicola e non vedo per quale motivo dovrei usare una fotocamera digitale. Uso corpi macchina Leica M4 e M6 con focali che vanno dal 24 al 135 millimetri, e solo per fotografare personaggi. Per tutto il resto uso la Nikon F3, con obiettivi che vanno dal 16 al 400 millimetri, e se ho bisogno di altro lo affitto. Per l architettura uso naturalmente un obiettivo decentrabile. Vivo in California, vicino a Los Angeles, la mecca del cinema e quindi non ci sono problemi né per procurarsi l attrezzatura, nè per la revisione delle macchine, che faccio fare ogni anno. Tu che scatti ancora in analogico, che cosa pensi del fotoritocco? Uso anch io Photoshop, ma solo per pulire e archiviare gli scatti digitalizzati; i miei negativi sono stati usati intensamente per oltre 40 anni e quindi dopo la scansione è necessario pulirli, togliere i graffi e magari fare qualche correzione di colore. Ai miei tempi i clienti chiedevano sempre gli originali, che quindi hanno sofferto parecchio. E a questo proposito, come conservi i negativi e le stampe che, immagino, saranno davvero moltissimi? E per quanto riguarda i file da scansione, come li gestisci? Per gestire i file utilizzo Adobe Bridge, che mi permette di archiviare le foto in diverse categorie. Poi li riproduco su CD e li deposito in banca, che li conserva in cassaforte. I negativi e le stampe, una volta fatta la scansione, vengono archiviati alla vec- Martin Luther King, NY 1963. 120

121

Korean War Veterans Memorial, Washington 1996. chia maniera: li conservo in raccoglitori di ferro a prova d incendio. Pensi che Internet sia importante per un fotografo? Hai un tuo sito? Il mio sito internet di fotografia Fine Art www.thefinestphotos.com è stato disegnato da mio figlio, sotto la mia attenta supervisione di persona non molto esperta di computer; le mie raccomandazioni sono state che la navigazione fosse assai semplice. On-line vendo solo stampe in edizione limitata, che realizzo in 250 copie per ogni foto. Ho poi un sito più di rappresentanza, www.santivisalli.com. A un certo punto della tua carriera hai iniziato anche a realizzare libri fotografici. C è differenza rispetto al lavoro per riviste e quotidiani? Ero diventato molto noto, mi cercavano il Time, Newsweek, il New York Times le testate migliori, ma dopo dieci anni iniziavo a essere un po stanco di quel meccanismo; io non sono mai rimasto fermo ed ho sempre cercato di andare avanti. Un giorno mi trovavo in un ufficio dove c era una copia di Newsweek con in copertina una mia foto; un ragazzo la guardò rapidamente e altrettanto rapidamente la lanciò nel cestino con l abilità di un giocatore di basket. Il mio cuore seguì la rivista: lì sopra c era una mia foto! Capii che quello che facevo era estremamente labile: una rivista esce, viene acquistata, sfogliata e il giorno dopo finisce nella spazzatura. Il mio passo successivo doveva essere quello di realizzare qualcosa di più duraturo, capace di restare; fu il momento in cui iniziai a realizzare libri. Ovviamente, come per le riviste, è importante affrontare un tale impegno in modo consapevole; non ci si può rivolgere a un editore dicendo voglio fare un libro, così come non ci si può presentare a una rivista dicendo semplicemente voglio lavorare per voi. Si deve avere una idea, una storia da raccontare. Contattai quindi la Rizzoli dicendo loro: è il cinquantesimo anniversario del Golden Gate Bridge, costruito in gran parte da italiani; siete una società italiana, perché non realizziamo insieme un buon libro?. Mi risposero che il tema era troppo ristretto, ma il direttore apprezzava molto le mie foto; mi proposero quindi di allargarlo alla città di San Francisco. Sembrava fatta, dovevo solo firmare il contratto. Ma pochi giorni dopo una telefonata mi annunciò che il progetto era andato a monte perché i concorrenti avevano appena pubblicato un volume proprio su San Francisco. In questo mestiere bisogna essere preparati anche al rifiuto, anche se può essere molto duro; si deve essere forti 122

e non scoraggiarsi. La volta successiva infatti fu la Rizzoli a contattarmi e mi dissero: Vai e fai Chicago. Accettai anche se avevo un pessimo ricordo di questa città: durante la convention dei Democratici del 1968 ero stato picchiato dalla polizia e arrestato. Non sapevo però che Chicago era favolosa, una vera culla dell architettura americana; lo scoprii dopo essermi documentato, infatti la preparazione è fondamentale in questo lavoro. Oggi continuo ancora a realizzare libri di architettura e sono a quota 13. Ci sono degli scatti che hanno una storia particolare? Certamente la fotografia alla Borsa di New York del 1979 è una tra le più complesse che mi sia mai capitato di scattare. La prima volta che entrai in quel luogo capii immediatamente il messaggio che volevo dare, quello di un alveare : correvano tutti, ovunque, sembravano davvero uno sciame di api. Realizzare la mia idea però non fu facile. Per prima cosa dovetti ottenere l approvazione delle pubbliche relazioni, poi del manager, poi dell ingegnere costruttore e infine della compagnia di assicurazione della Borsa che non mi avrebbe mai lasciato scattare se non sotto una copertura assicurativa di almeno 5 milioni di dollari. Tutti questi passaggi furono portati avanti per iscritto e ci vollero circa 3 mesi. Finalmente potevo scattare, ma per la foto che avevo in testa dovevo appendere la mia macchina fotografica al soffitto, a 28 metri di altezza, e per farlo c erano altri problemi da risolvere. Dovetti chiedere a uno degli elettricisti di rimuovere uno dei grandi riflettori dal soffitto e lì appendere una barra a T per sorreggere la mia fotocamera; la macchina era ad oltre un metro da me, per cui fui costretto a utilizzare un cavo di scatto a distanza. Un altro problema era la luce perché vi erano tre fonti luminose, una situazione Twin Towers, NY 1979. 123

Una mostra ed un libro Il prossimo dicembre la galleria Wave PhotoGallery di Brescia dedica a Santi Visalli un ampia retrospettiva, quarant anni di immagini dagli anni Settanta ad oggi. E previsto anche un libro. Wave PhotoGallery, via Trieste 32/a, Brescia. www.wavephotogallery.com Jackie Kennedy, NY 1965. Santi Visalli fotografato da Brian Odges, Santa Barbara 2006. difficile da gestire; scelsi di montare un filtro ambra. Scattai e pregai; qualcuno mi ascoltò. Un altra immagine decisamente importante nella mia carriera di fotografo è quella che scattai alle Torri Gemelle di New York nel 1979; ora fa parte della collezione permanente del Santa Barbara Museum of Art. Di quelle torri ho seguito tutta la storia, fotografandole fin dall inizio della loro costruzione. Quando Minoru Yamasaki, l architetto che le disegnò, decise di realizzare una piazza davanti ai due grattacieli, venne in Italia per tre mesi a studiare la funzionalità delle nostre piazze; orgoglioso di questo, in cambio volli realizzare per lui una foto nello stile di un disegno giapponese. Studiai quindi un immagine a due dimensioni, scelsi la luce giusta che potesse oscurare tutti gli altri edifici attorno e per rendere la grande altezza delle torri inserii nell inquadratura il gabbiano, che dà anche una sensazione di ascesa verso il cielo. Insomma progettai un immagine che sembrasse un acquaforte giapponese. Guardando in basso nella foto si notano degli archi che si ispirano a quelli di Piazza San Marco a Venezia; c è stato solo un certo periodo, nella storia delle Torri, in cui dal New Jersey li si potesse vedere. Successivamente, infatti, davanti ai due grattacieli fu costruito il Financial Center che li ha nascosti e, stando sotto le torri, era praticamente impossibile notarli, essendo alti circa tre piani. La foto l ho realizzata per un libro del 1979 su New York, scattando dal New Jersey attraverso il fiume Hudson, con un corpo macchina Nikon e un obiettivo 180 millimetri. A quei tempi non c era Photoshop, e per avere il gabbiano nella posizione esatta in cui lo volevo scattai circa dieci rullini. Donata Fassio 124