Giustizia & Lavoro Il commento alle principali sentenze giuslavoristiche

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Giustizia & Lavoro Il commento alle principali sentenze giuslavoristiche N. 26 29.06.2017 Ordini professionali: giusta causa di licenziamento Dipendente insubordinato e che non gestisce in maniera controllata le relazioni con i colleghi nell'ambito di un contesto lavorativo di normalità Categoria: Previdenza e lavoro Sottocategoria: Impugnazione del licenziamento I reiterati episodi d insubordinazione, uniti alle frequenti perdite di autocontrollo in occasione di normali e fisiologici contrasti con i colleghi di lavoro possono giustificare il licenziamento del dipendente dell Ordine professionale. È quanto emerge dalla sentenza n. 15209/2017 pubblicata il 20 giugno dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione. Premessa I reiterati episodi d insubordinazione, uniti alle frequenti perdite di autocontrollo in occasione di normali e fisiologici contrasti con i colleghi di lavoro possono giustificare il licenziamento del dipendente dell Ordine professionale. È quanto emerge dalla sentenza n. 15209/2017 pubblicata il 20 giugno dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione. Il caso L Ordine degli Avvocati di una città emiliana ha intimato il licenziamento disciplinare a una propria dipendente che si è resa protagonista delle seguenti condotte: pronuncia a gran voce e in presenza di terzi di espressioni gravemente infamanti, gratuitamente offensive e diffamatorie e lesive dell'onore e del decoro del Consiglio e delle altre collaboratrici in servizio; 1

plurimi episodi d insubordinazione e rifiuto di prestare servizio allo sportello e di effettuare la protocollazione degli atti; prolungata perdita dell'autocontrollo. Il ricorso conseguentemente proposto dalla lavoratrice - volto all'accertamento della nullità, illegittimità e inefficacia del licenziamento, alla pronuncia dei provvedimenti restitutori, economici e reali e alla condanna dell'ordine al risarcimento dei danni ulteriori patrimoniali e non patrimoniali (morale, biologico, esistenziale, alla professionalità, all'immagine, alla dignità professionale ed alla perdita di occasioni di lavoro) è stato accolto dal Giudice di primo grado con sentenza poi riformata in appello. Dal che l instaurazione del giudizio di legittimità, che si è chiuso con un altra sconfitta per la lavoratrice. Licenziamento legittimo La Corte d Appello di Bologna ha ritenuto pienamente legittimo l operato del datore di lavoro, attesa la riconducibilità delle condotte oggetto di contestazione alla fattispecie tipizzata dall'articolo 16, comma 8, del C.C.N.L. di Comparto Enti Pubblici non Economici del 9.10.2003, che punisce con la sanzione del licenziamento senza preavviso: Le violazioni di doveri di comportamento, anche nei confronti di terzi, di gravità tale da compromettere irreparabilmente il rapporto di fiducia con l'amministrazione e da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro La commissione anche nei confronti di terzi di fatti o atti dolosi che, pur non costituendo illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro La Corte d Appello bolognese ha sostenuto la proporzionalità della sanzione disciplinare (art. 2106 Cod. civ.) in ragione: della pluralità dei comportamenti; della rilevanza penale; della lesione del principio di gerarchia. 2

I Giudici di secondo grado hanno ritenuto queste circostanze indicative della totale assenza della capacità autocontrollo in situazioni di normali e fisiologici contrasti con le colleghe di lavoro, e da ciò hanno tratto la conclusione dell insufficienza di una sanzione conservativa che si sarebbe rilevata inadeguata a tutelare l'interesse dell'ente datore di lavoro, a nulla rilevando, sul piano della gravità e sulla ricaduta della condotta sull'elemento fiduciario, la mancata verificazione di danni. Ebbene, il ragionamento decisionale della Corte bolognese ha trovato conforto presso i Giudici di legittimità, che così hanno respinto l impugnazione proposta dalla lavoratrice, che è stata pure condannata al pagamento delle spese processuali. I rilievi della Suprema Corte Ad avviso della Suprema Corte, la sentenza impugnata è corretta perché ha tratto il giudizio di proporzione della sanzione risolutiva rispetto ai fatti contestati, non in considerazione delle sole tipizzazioni degli illeciti disciplinari contenute nell'articolo 16 del C.C.N.L. di Comparto, ma con applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di giusta causa di licenziamento. La valutazione della Corte d Appello è stata formulata in considerazione degli aspetti concreti del rapporto dedotto in giudizio: ripetuto rifiuto di svolgere le mansioni affidate (servizio allo sportello, protocollazione degli atti); rilevanza penale dei comportamenti (espressioni ingiuriose e diffamatorie contrarie al decoro e all'onore del datore di lavoro e delle colleghe di lavoro); clamore dei comportamenti (avvertiti anche da soggetti estranei all ambiente di lavoro); protrazione nel tempo della condotta; elemento intenzionale, tratto dalla manifestata incapacità di gestire in maniera controllata le relazioni (e i contrasti con le colleghe), nell'ambito di un contesto lavorativo di normalità. I principi di diritto in tema di giusta causa di licenziamento La Suprema Corte osserva che, anche con riferimento alle ipotesi come quella di specie - di illeciti disciplinari tipizzati dalla contrattazione collettiva, deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo 3

nell'irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto (tra le molte Cass. 10842/2016, 1315/2016, 24796/2010, 26329/2008). Infatti la proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi è regola valida per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative ex art. 11 L. n.689 dei 1981, etc.), e risulta trasfusa per l'illecito disciplinare nell'articolo 2106 Cod. civ., con conseguente possibilità per il Giudice di annullamento della sanzione eccessiva, proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo, in definitiva, possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali a illeciti disciplinari. Riguardo al sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che esso deve avvenire con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e all utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. 1977/2016, 1351/2016, 12059/2015 25608/2014 del 2014). È stato precisato che, al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, posto che anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave e irrimediabile da non consentire l'ulteriore prosecuzione del rapporto (Cass. 13512/2016, 5548/2010). Rigetto del ricorso della lavoratrice Ebbene, nel caso di specie, il Giudice del merito ha assunto una decisione che è risultata conforme a tutti questi principi. Di conseguenza, la Suprema Corte ha definitivamente sancito la legittimità del licenziamento in questione, liquidando le spese del giudizio secondo il criterio della soccombenza, e con applicazione, quanto al contributo unificato, dell articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/02. 4

Riferimenti normativi e giurisprudenziali Art. 16, c. 8, CCNL di Comparto Enti Pubblici non Economici del 9.10.2003; Art. 2106 Cod. Civ.; Cass. Civ. Sez. Lav. n. 15209/2017. - Riproduzione riservata - 5