Giudizio di appello nel rito del lavoro: l omessa notifica è insanabile.

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Rivista scientifica bimestrale di Diritto Processuale Civile ISSN 2281-8693 Pubblicazione del 27.2.2014 La Nuova Procedura Civile, 2, 2014 Comitato scientifico: Elisabetta BERTACCHINI (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) - Giuseppe BUFFONE (Magistrato) - Paolo CENDON (Professore ordinario di diritto privato) - Gianmarco CESARI (Avvocato cassazionista dell associazione Familiari e Vittime della strada, titolare dello Studio legale Cesari in Roma) - Bona CIACCIA (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Leonardo CIRCELLI (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Vittorio CORASANITI (Magistrato, ufficio studi del C.S.M.) - Francesco ELEFANTE (Magistrato T.A.R.) - Annamaria FASANO (Magistrato, Ufficio massimario presso la Suprema Corte di Cassazione) - Cosimo FERRI (Magistrato, Sottosegretario di Stato alla Giustizia) - Eugenio FORGILLO (Presidente di Tribunale) Mariacarla GIORGETTI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Giusi IANNI (Magistrato) - Francesco LUPIA (Magistrato) - Giuseppe MARSEGLIA (Magistrato) - Piero SANDULLI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Stefano SCHIRO (Presidente di Corte di Appello) - Bruno SPAGNA MUSSO (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Paolo SPAZIANI (Magistrato, Vice Capo dell'ufficio legislativo finanze del Ministro dell'economia e delle finanze) - Antonio VALITUTTI (Consigliere della Suprema Corte di Cassazione) - Alessio ZACCARIA (Professore ordinario di diritto privato). Giudizio di appello nel rito del lavoro: l omessa notifica è insanabile. Nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, il vizio della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell'attività processuale cui l'atto è finalizzato (con conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l'improcedibilità), non essendo consentito al giudice di assegnare all'appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente, senza che sull'inerzia della parte possa avere influenza (ai fini di una possibilità di sanatoria) l'avvenuta precedente regolare notifica del provvedimento di fissazione dell'udienza per la decisione sulla richiesta di inibitoria ex art. 283 cod. proc. civ., trattandosi di attività che ha esaurito la propria valenza propulsiva nell'ambito della diversa fase cautelare. Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza del 9.9.2013, n. 20613 omissis 1. Il Collegio rileva, in via preliminare, l'inammissibilità della costituzione di nuovo difensore del controricorrente. La facoltà di apporre la procura speciale, anche in calce o a margine della memoria di nomina del nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato, è stata introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 9, lett. c), a modifica dell'art. 83 cod. proc. civ., comma 3, e tale disposizione, secondo quanto dispone la norma transitoria contenuta nell'art. 58, comma 1, della stessa legge, si applica ai giudizi

instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, cioè ai giudizi proposti in primo grado a decorrere dal 4 luglio 2009, poichè il riferimento ai "giudizi instaurati", e non alle "impugnazioni proposte", rivela l'intento del Legislatore di riferire le modifiche normative alle nuove controversie, introdotte dopo l'entrata in vigore della legge, tranne le modifiche per le quali è stata esplicitamente prevista l'applicazione anche ai giudizi pendenti (cfr., ex multis, Cass. 24 novembre 2010, n. 23816; 24 gennaio 2012, n. 929; 13 giugno 2012, n. 9658; 7 gennaio 2013, n. 177). Nella fattispecie in esame il giudizio è stato instaurato con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., depositato in cancelleria in data 15/3/2006; quindi la suddetta normativa non è applicabile e deve, invece, farsi riferimento al principio già affermato dalle Sez. unite di questa Corte, sulla base della disciplina previgente, secondo cui nel giudizio di cassazione, la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, stante il tassativo disposto dell'art. 83 cod. proc. civ., comma 3, che implica la necessaria esclusione dell'utilizzabilità di atti diversi da quelli suindicati. Pertanto, se la procura non è rilasciata contestualmente a tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 del citato articolo, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l'indicazione delle parti e della sentenza impugnata (così Cass. Sez. U. 12 giugno 2006, n. 13537). 2. Sempre in via preliminare va esclusa la tardività del ricorso per cassazione (questione rilevabile d'ufficio). A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002 - con la quale è stata dichiarata l'illegittimità del combinato disposto degli artt. 149 cod. proc. civ. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3, "nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell'atto da parte del destinatario, anzichè a quella, antecedente, della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario", deve ritenersi già operante nel diritto positivo, senza bisogno di un nuovo intervento da parte del giudice delle leggi, un principio generale secondo il quale - qualunque sia la modalità di trasmissione - la notifica di un atto processuale, almeno quando essa debba compiersi entro un determinato termine, si intende perfezionata, per il notificante, al momento dell'affidamento dell'atto all'ufficiale giudiziario che funge da tramite necessario nel relativo procedimento vincolato, senza quindi che possa influire negativamente per la parte il mancato perfezionamento della medesima notifica, ove non a lei imputabile" - cfr. Cass. Sez. Un. 26 luglio 2004, n. 13970 -. Orbene, nella specie, si rileva dal timbro apposto (con contestuale sottoscrizione) sul ricorso per cassazione l'avvenuta consegna dello stesso all'ufficiale giudiziario in data 3 agosto 2010 e dunque entro il termine breve di sessanta giorni per impugnare la sentenza previsto dall'art. 325 cod. proc. civ., comma 2, decorrente dalla data di notifica della sentenza (avvenuta l'8 giugno 2010) - cfr.anche Cass. 19 gennaio 2004, n. 709 -. 3. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia: "Violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost., artt. 159, 162, 291, 414 e 421 cod. proc. civ.". Deduce l'inapplicabilità al caso di specie del principio di diritto enunciato dalle sezioni Unite di questa Corte con sentenza del 30 luglio 2008, n. 20604 atteso che l'appellato, con la notifica del ricorso ai fini dell'udienza camerale per la decisione sulla richiesta di sospensiva aveva già avuto conoscenza legale del

procedimento di appello e dei relativi motivi, essendosi ormai (sia pure parzialmente) realizzata la vocatio in ius. Rileva che a seguito di detta notifica era stata conferita al difensore dell'appellato procura atta a garantire la pienezza della sua difesa in ogni fase del giudizio di gravame. 4. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia: "Insufficiente e/o sostanzialmente omessa motivazione - violazione dell'art. 132 cod. proc. civ.". Si duole del fatto che la Corte territoriale, pur in presenza di caso del tutto diverso da quello sottoposto al vaglio delle Sezioni unite, ha, con motivazione del tutto insufficiente e, di fatto, radicalmente omessa, ritenuto l'applicabilità del principio di diritto ivi formulato. 5. I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono infondati. La Corte di merito nel pervenire alla decisione qui impugnata ha correttamente tenuto distinte le due fasi: quella della sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado e quella del giudizio di merito. La prima è una fase subprocedimentale avente natura latamente cautelare e provvisoria, la seconda attiene al giudizio a cognizione piena. Per entrambe le fasi è prevista una apposita vocatio in ius essendo onerato l'appellante della notifica alla controparte tanto del decreto presidenziale reso in ordine all'istanza di inibitoria quanto del decreto di fissazione dell'udienza di discussione dinanzi al collegio. In entrambi i casi, dunque, i provvedimenti del giudice di fissazione dell'udienza e le successive notificazioni, pur attenendo alla sola vocatio in ius, costituiscono elementi essenziali delle rispettive complesse fattispecie introduttive (istanza di inibitoria e gravame) delle suddette fasi la cui materiale omissione e la cui nullità radicale (o inesistenza giuridica) sono impeditive delle richieste pronunce - cautelare e di merito - e sono passibili di sanatoria soltanto nei casi e con gli effetti regolati dalla legge. Secondo quest'impostazione, rispetto alla quale non assume decisivo significato il fatto che il provvedimento reso al termine della prima delle suddette fasi sia destinato ad essere assorbito e superato dal provvedimento a cognizione piena, trattandosi di situazione comune anche alle ipotesi in cui una richiesta cautelare sia formulata al di fuori di un determinato procedimento e, dunque, in presenza di un'autonomia anche formale dei processi, il terreno di praticabilità dell'art. 291 cod. proc. civ. - della sanatoria con effetto ex tunc - rimane, quindi, limitato alle sole nullità della notificazione previste dall'art. 160 cod. proc. civ. - imputabili all'ufficio - mentre tutto quanto attiene alla nullità radicale, all'inesistenza giuridica, all'omissione della notificazione ed alla violazione dei termini minimi a comparire resta disciplinato dall'art. 164 cod. proc. civ.; quest'ultima, quindi, è regola ordinaria e fondamentale nel conflitto fra pretesa ad ottenere una decisione di merito e diritto alla conservazione di una situazione giuridica divenuta immodificabile. In questo contesto si inserisce la questione (rilevante nella fattispecie in esame) dell'omessa notifica dell'atto di appello e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di discussione, regolarmente comunicato all'appellante (tanto si evince dalla sentenza impugnata ed è, invero, incontroverso tra le parti), questione sulla quale sono intervenute le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 20604 del 30 luglio 2008, enunciando, tra l'altro, il seguente principio: "Nel rito del lavoro l'appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso

depositato e del decreto di fissazione dell'udienza non sia avvenuta, non essendo consentito - alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo "ex" art. 111 Cost., comma 2 - al giudice di assegnare, ex art. 421 cod. proc. civ., all'appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 cod. proc. civ.". Detto principio è stato, poi, ribadito da successive pronunce di questa Corte, non solo in materia di lavoro, ma anche in materia di locazioni e perfino nell'ambito dei procedimenti camerali - così Cass. n. 29870 del 19 dicembre 2008; n. 1721 del 23 gennaio 2009; n. 11600 del 13 maggio 2010; n. 9597 del 30 aprile 2011; n. 27086 del 15 dicembre 2011 -. Dunque il vizio della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell'attività processuale cui è finalizzato (con conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l'improcedibilità) senza che sull'inerzia della parte possa avere influenza (ai fini di una possibilità di sanatoria) l'avvenuta precedente regolare notifica del provvedimento di fissazione dell'udienza per la decisione sulla richiesta di inibitoria, trattandosi di attività che ha esaurito la propria valenza propulsiva nell'ambito della diversa fase cautelare. Appare, così, improprio prospettare una vocatio in ius "parziale", con la notifica del decreto di fissazione dell'udienza per la decisione sulla istanza di inibitoria, rispetto a quella (evidentemente) "totale" della notifica del decreto di fissazione dell'udienza er la decisione del merito, atteso che una tale frammentata valenza non è in linea con la specifica finalizzazione cui ogni attività processuale è destinata. La suddetta soluzione risulta, del resto, coerente con la prospettiva delle Sezioni unite che è quella - mutuata dall'art. 111 Cost., nel testo novellato dalla Legge Cost. 23 novembre 1999, n. 2, secondo cui "la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge" e che "ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata" - di rendere credibile l'apparato giudiziario, assegnando una giusta collocazione al diritto del cittadino alla ragionevole durata del processo, assicurando allo stesso la massima espansione consentita nei riguardi di altri diritti (diritto di difesa, all'imparzialità del giudice, al giusto processo, ecc.). In quest'ottica le Sezioni unite hanno rimarcato soprattutto la specialità del processo del lavoro - tutto proteso a dare attuazione massima alle esigenze di celerità, immediatezza e concentrazione - ed evidenziato che una soluzione diversa da quella opzionata avrebbe neutralizzato proprio quei principi che hanno inspirato il legislatore del 1973 e che caratterizzano il processo cadenzando i tempi del giudizio su un reticolato di preclusioni e di decadenze, sicuramente più rigido e severo di quello riscontrabile nel giudizio ordinario. In conseguenza, anche nella situazione per cui è causa, non è pensabile la rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente, non esistendo una disposizione che consenta al giudice di fissare un termine per la notificazione, mai effettuata, del ricorso e del decreto presidenziale, e non essendo consentito, nel silenzio normativo, allungare - con condotte omissive prive di valida giustificazione, come nel caso in esame - i tempi del processo sì da disattendere il principio della sua "ragionevole durata". 6. In conclusione, essendosi la Corte territoriale correttamente attenuta ai

sopra indicati principi, il ricorso deve essere rigettato. 7. La particolarità e novità della questione consente di compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. p.q.m. La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 27 giugno 2013. Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2013