Origami di Elisabetta Vernier ORIGAMI. di Elisabetta Vernier



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Transcript:

ORIGAMI di Elisabetta Vernier 1

La notte in cui Nakamura ritornò nella Periferia sembrava che il cielo avesse deciso di vomitare bile sulla City, per digerire la feccia che ne infestava le strade come un morbo. Il suo velivolo privato si posò come una sgraziata farfalla cibernetica sul tetto del Queen Margaret Hotel, dove lo attendevano i responsabili della agenzia privata a cui Nakamura aveva deciso di affidare la sua vita per tre giorni. Per un milione di nuovi yen al giorno la STL, Surveillance Team Leader, nota nel giro come la Steel, gli aveva garantito sicurezza assoluta e totale libertà di movimento, nonché la scrupolosa discrezione dei suoi agenti, i famosi Steel Angels. La testa di Nakamura era un trofeo prezioso nella Periferia e il vecchio boss della Yakuza lo sapeva bene: la notizia del suo ritorno dall'asia dopo vent'anni di esilio volontario doveva già avere fatto più volte il giro della City. Sotto la pioggia battente, Nakamura percorse rapidamente il breve tratto scoperto che separava la pista dall'ascensore dell'hotel, ansioso di conoscere l'uomo che sarebbe stato il suo angelo custode. Nel buio un led rosso iniziò a lampeggiare, accompagnato da un sordo e fastidioso ronzio elettronico. Rafe aprì gli occhi e mise a fuoco le cifre a cristalli liquidi rossi che scandivano le ore sulla sua parete. - Oddio, sono le tre e mezzo...- disse, assonnato. Fu subito in piedi e dopo un secondo attivò il videoterminale sul suo comodino. Lo schermo si accese. - Rafe, il Capo ti vuole a rapporto entro mezz'ora. Codice rosso. La segretaria della Steel scomparve, sostituita dal logo dell'agenzia, "We are the best". In due minuti Rafe si lavò di dosso 2

i resti della notte agitata sotto una doccia bollente poi, con gli occhi ancora irritati dal cloro si rivestì e uscì dal cubicolo che chiamava casa. Sullo specchio filato dell'ascensore, uniformemente ricoperto di graffiti metropolitani, Rafe passò in rassegna la sua immagine per pochi istanti: lineamenti regolari, carnagione chiara, capelli biondo scuro un po' lunghi sulle spalle e sul viso un'ombra di barba di due giorni. Nessuno, vedendolo, avrebbe pensato di trovarsi davanti al migliore degli Steel Angels, l'agente numero zero. Era proprio quello che Rafe voleva. - Sei una bellezza...- mormorò Maggie mentre rimontava la sua Smith & Wesson, la sua compagna di lavoro, fedele e micidiale. Maggie e la sua pistola erano la coppia più pagata della Periferia e questo rendeva il Kranio, il loro padrone, ricco e felice. Il Maze, il locale di proprietà del Kranio, era poco frequentato quel giorno e nessuno badava a lei ma non per questo Maggie era rilassata. Era un killer e viveva come una molla perennemente compressa, sempre all'erta, sempre pronta a scattare. Per questo quando Cane le mise una mano su una spalla, il bavoso luogotenente del Kranio rischiò molto seriamente di perdere l'uso del braccio che aveva incautamente allungato su di lei. - Ahi! Rilassati, ok? - disse Cane, - Quasi mi staccavi il braccio! - Ricordati Cane - sibilò Maggie nel suo orecchi cascante. - Non devi toccarmi mai, hai capito? Uno sguardo bastò a sciogliere ogni resistenza in Cane che biascicò: 3

- Scusa... - Beh, che cosa vuoi? Sei venuto qui solo per prenderle? Un sogghigno malizioso fiorì sulle labbra sottili della ragazza. - No, certo... Il Kranio ti vuole vedere subito. Sembra che abbia un nuovo lavoro per te. Cane avrebbe fatto qualunque cosa per ingraziarsi quel felino selvatico ma Maggie lo trattava sempre come un idiota. - Ti accompagno?- le chiese, supplichevole. - Naah! Appesti l'aria con quella tua puzza da letamaio. Sparisci! Rinfoderò la pistola e si diresse verso la stanza privata del Kranio, nelle profondità del Maze. Cane rimase immobile con le orecchie basse; solo la coda biosintetica che si era fatto impiantare di recente si insinuò tra i suoi polpacci magri come un serpente in bianco e nero. Il Kranio, afflosciato sulla sua sedia anti-g, osservava pensieroso i tetti in HDPE delle costruzioni prospicienti il Maze: la nebbia si era diradata e cadeva una pioggerella sottile, con un ph leggermente più alto di cinque a causa delle favorevoli condizioni di vento di quei giorni. Nakamura... Il Kranio poteva sentire il suo sangue ribollire di rabbia al suono di quel nome che non aveva mai potuto dimenticare. Nakamura: era stato lui a ridurlo in quello stato, immobile e flaccido su una sedia anti-g, paralizzato dalla vita in giù e con la testa chiusa da una calotta in titanio. Quella notte di vent'anni prima aveva stravolto la sua vita e il Kranio ne ricordava ogni attimo, ogni mossa, ogni parola. Ricordava persino la sensazione che aveva provato quando il cavo 4

monomolecolare nella mano di un ninja mandato a ucciderlo da Nakamura gli aveva scoperchiato la sommità della testa; un centimetro più in basso e sarebbe morto di sicuro ma lui si ricordava solo quella curiosa sensazione di freddo al cervello. Gli uomini di Nakamura lo avevano lasciato per morto sul pavimento del suo vecchio locale, lo Smoke, con il cervello a nudo e la spina dorsale spezzata poco al disopra del bacino. Solo il desiderio di vendetta gli aveva permesso di sopravvivere a quelle ferite, di vivere per vent'anni come un handicappato: immobile, sessualmente impotente, pieno di rabbia e di veleno. Ma ora il Kranio era di nuovo forte, aveva molti uomini e molto denaro e il giorno in cui Nakamura avrebbe pagato ogni singolo centesimo di quello che gli aveva fatto passare era finalmente arrivato. E il Kranio non si sarebbe limitato a menomarlo: la sua teca di trofei al Maze si sarebbe riempita di variopinti pezzetti anatomici dell'uomo, dai suoi globi oculari ai suoi testicoli, per ricordare a tutti che il Kranio aveva una memoria molto lunga da cui era meglio tenersi alla larga. Quando il Kranio notò Maggie che attendeva pazientemente la sua attenzione, discese dal suo posto di osservazione volteggiando e posò la sua enorme mole sull'opaco pavimento fibrorinforzato ad hoc. La sua voce sintetica, prodotta da un laringofono, rimbombò nella stanza semivuota. - Mag, bambina mia...- disse, con la luce del possesso negli occhi. - Ho un lavoretto per te, sai? Sarai felice di tornare a lavorare, dopo il tuo ultimo impianto... - Chi devo ammazzare questa volta?- domandò lei. Il Kranio le rispose con un sorriso feroce. - Nakamura è tornato nella Periferia. 5

Il suo angelo custode aspettava Nakamura sull'attenti, inguainato in una tuta di pelle nera, immobile come una statua vivente. Appena il boss entrò nel suo campo visivo, il giovane si inchinò profondamente dicendo: - Nakamura-san! Agente Steel numero zero ai suoi ordini, signore. All'interno della sua stanza blindata al Queen Margaret Hotel, Nakamura iniziò, per la prima volta da quando era giunto nella Periferia, a sentirsi finalmente al sicuro. Si fermò davanti all'agente e lo guardò fisso negli occhi: il giovane sostenne lo sguardo, senza battere le ciglia neppure una volta. È un samurai, pensò Nakamura, un fottuto samurai gai-jin. Quegli occhi color dell'acciaio che lo fissavano erano assolutamente impenetrabili e questo a Nakamura non piacque: amava leggere la lealtà e la devozione negli occhi dei suoi sottoposti ma non vi era traccia di ciò in quest'uomo. C'era solo una temibile forza e una grande intelligenza. Terminata la sua valutazione, il vecchio estrasse da una tasca un chip di memoria e lo porse all'agente. - Questi sono i suoi ordini per domani. Usi il mio terminale portatile, prego. Non tollererò errori di alcun genere da parte sua, sono stato chiaro? Il giovane prese il chip e rispose, impassibile: - Chiarissimo, signore. Nakamura lasciò con un sospiro la stanza principale della suite e si ritirò il camera da letto: era rassicurante potersi permettere il meglio sul mercato ma il vecchio si addormentò con il pensiero di quegli strani occhi gai-jin che non lo voleva abban- 6

donare e che riempiva il suo cuore di uno strano senso di inquietudine. La suite numero sette del Queen Margaret Hotel era di un'opulenza vergognosa. Rafe vegliava disgustato il sonno di Nakamura-san, osservando il sistema di monitoraggio della stanza che gli comunicava, minuto dopo minuto, la temperatura e l'umidità dell'ambiente circostante, il battito cardiaco del vecchio, lo status degli ascensori e delle linee telefoniche ed elettriche. Dalla consolle il giovane aveva un quadro completo della situazione attorno a sé e la sua mente era libera di vagare. Rafe detestava il vecchio boss ma era stato costretto ad accettare quell'incarico: il giapponese pagava profumatamente e quei tre milioni di nuovi yen di premio gli servivano davvero. Dall'ultimo controllo medico a cui si era sottoposto, era risultato infatti che il suo nervo acustico aveva iniziato a subire danni permanenti, a causa delle capsule endocutanee di tetrasinthinsulina che era costretto a utilizzare per vivere. Nessuno sapeva della sua malattia genetica, una malattia che ormai veniva diagnosticata e curata a livello prenatale con la massima efficienza. Quando era nato lui però, trent'anni prima, la sua famiglia non si era potuta permettere una analisi prenatale e Rafe si era trovato diabetico in un mondo dove questa malattia non esisteva quasi più. Si procurava la tetrasinthinsulina da un trafficante di droga che lo credeva un eccentrico in cerca di sensazioni nuove, ma il prodotto era scarso e di cattiva qualità e Rafe si trovava sempre più spesso sull'or-lo di una crisi iperglicemica. Ora che il suo udito aveva cominciato a risentirne, mettendo a repentaglio il suo lavoro, Rafe aveva deciso di abbandonare il suo status di 100% biologico, accettando l'idea di farsi impiantare un pancreas artificiale a Softown. Costo dell'opera- 7

zione: quattro milioni di nuovi yen, l'equivalente di dieci anni. del suo stipendio in Agenzia - Mag, stammi a sentire. - disse Albert Littlewall, il tecnico informatico personale del Kranio. - Cosa c'è?- gli chiese Maggie. - Muoviti perché ho molto da fare: devo prepararmi per la missione. - Non lavorerai da sola, questa volta... - COSA!?- esclamò Maggie, infuriata. - E con chi dovrei lavorare, sentiamo? - Il Kranio ha contattato il suo miglior virtual-surfer, l'ebreo. Resterai collegata a lui per via audio e video per tutta l'operazione. Lui ti permetterà di aggirare tutti i sistemi di protezione che circondano Nakamura, seguendoti dalla Virtual-Rete. Littlewall cercò di essere conciliante per placare l'ira della ragazza. - Io lavoro sempre da sola! Cosa pretende da me il Kranio? - Posso solo dirti che questo tipo è davvero in gamba nel suo lavoro, il migliore... - Puah!- rispose Maggie, disgustata.- Sarà il solito surfer smidollato sempre nascosto dietro la sua consolle... - Senti, io non ci posso fare niente. Quel che ti dovevo dare te l'ho dato: prenditi anche il microfono tracheale e la microauricolare - disse Littlewall, spazientito, e le mise in mano una scatola di plastica nera. - Poi se hai qualcosa da dire, vai a parlare col Kranio, ok? Starnutì e si soffiò rumorosamente il naso, quindi si girò e riprese a lavorare al suo videoproiettore. - Scusami, ma ora ho da fare... Ciao, e chiudi quando esci. Maggie si ritrovò in un secondo fuori dalla porta, furibonda, con la sua scatola in mano e tanta voglia di uccidere qualcuno. 8

- Io non lavoro in squadra! - gridò Maggie, esasperata dall'atteggiamento del Kranio. L'uomo pareva non ascoltarla, mollemente adagiato sulla sua poltrona fluttuante. - Tu fai quello che dico io, e basta. - Il tono secco del Kranio non ammetteva repliche. - Ma Kranio... - cercò di replicare Maggie, ma la mano del Kranio calò pesantemente sulla sua faccia, sbattendola sul pavimento. La ragazza si tirò in ginocchio per guardare in faccia il suo padrone; un filo di sangue le colava dal naso, macchiandole i denti e le labbra di rosso. - L'Ebreo ti aspetta nella stanza della consolle, sul retro del Maze. La calotta cranica catturò un riflesso di luce che negli occhi umidi di Maggie si scompose nei sedici milioni di colori di un arcobaleno sintetico. Avrebbe voluto piangere ma i suoi occhi modificati non glielo permisero e Maggie si diresse, pesta e silenziosa, nella stanza dove la attendeva il suo odiato socio. Assorto nei suoi pensieri, Joel, detto l'ebreo, si prendeva cura della sua adorata consolle per la Virtual-Rete, una macchina dell'ultima generazione Sony-Mitzu offertagli dal Kranio come ricompensa per l'ultimo lavoro andato a buon fine. Ultimamente usciva dalla sua tana al Maze solo quando era strettamente necessario; per questo la vista di Maggie sulla porta gli tolse il fiato come un pugno allo stomaco. - Tu sei l'ebreo, vero? - disse la ragazza, nella penombra. - Joel. - la corresse lui, secco. Detestava quel soprannome, anche se sapeva che tutti lo chiamavano così alle sue spalle. 9

- Maggie. - disse lei, lapidaria. - Ti stavo aspettando. Vieni dentro... - Senti, Ebreo, mettiamo subito le cose in chiaro... La ragazza fece qualche passo all'interno della stanza semibuia, cercando di intravedere il suo interlocutore. - Non voglio neppure fare finta che lavorare con te mi piaccia. - continuò, - Io non lavoro in squadra, ma questa volta ho dovuto fare un'eccezione, perché me l'ha chiesto il Kranio... Joel la fissò, muto. Lei proseguì, avvicinandosi piano. - Facciamo quello che dobbiamo fare, chiudiamo questa faccenda in modo rapido e pulito e poi ciascuno per la sua strada: tu alla tua consolle e io alla mia Smith & Wesson, va bene? La voce della ragazza era carica di rancore represso. - Va bene - le rispose. - Proviamo il collegamento. Che interfaccia usi? Una OS166M? Maggie fece una smorfia mentre si sedeva davanti alla consolle. - No. Una OS332M DoubleSpeed, appena impiantata. - rispose, sdegnata. Joel si sedette al suo posto, entrando nel cono di luce proiettato dal faretto che illuminava la superficie del suo computer. - Inserisci l'auricolare e il microfono - le disse, muovendo rapidamente le mani sulla tastiera. Maggie, fingendo di adattare il suo impianto visivo alle mutate condizioni luminose, si soffermò con il suo occhio biologico sul volto del giovane che le sedeva affianco: la visione infrarossa non era molto utile da quel punto di vista. L'Ebreo aveva un viso da persona perbene. Aveva i capelli scuri e gli occhi ancora più scuri; forse il naso, dritto e sottile, era un tantino troppo lungo ma l'effetto globale non era per niente sgradevole. Vicino alla bocca, sul lato sinistro del viso, il giovane aveva una piccola cicatrice bianca che Maggie trovò molto sexy. 10

Va bene, è carino, pensò tra sé, ma non ci voglio lavorare lo stesso... Joel le porse il connettore e la invitò a collegarsi alla consolle. Mentre lei si inseriva nel cranio il lungo spinotto d'acciaio con gesti lenti ed esperti, Joel si strinse la fascia di neurotrasmettitori sulla fronte, quindi disse: - Pronta? - Pronta. - gli fece eco Maggie dopo qualche secondo. Joel spense la luce e accese la consolle, proiettando in un attimo le loro coscienze sulla griglia di energia informe e luminosa della Virtual-Rete. Andava tutto troppo bene. Rafe osservava il suo cliente mentre il vecchio giapponese discuteva animatamente con un corpulento uomo di colore coperto di catene d'oro. Seduti attorno a quel tavolo c'erano tutti i pezzi da novanta della Periferia: il giro d'affari di quella sera a- vrebbe fatto impallidire la borsa di New York e di New Tokyo messe assieme. L'attenzione di Rafe fu catturata da un improvviso rumore pulsante captato dal sistema di monitoraggio esterno, solo leggermente udibile come una sorda vibrazione dalla sua posizione nel seminterrato dell'albergo. Isolò il suono e lo passò all'analizzatore di banda che, confrontatolo con la sua banca dati rispose: camion equipaggiato con pneumatici antiproiettile a 1.2 chilometri di distanza. Non era niente di importante. Rafe si permise di distendersi per qualche secondo contro lo schienale della sua poltroncina di osservazione. Aveva riveduto il programma di incontri di Nakamura ormai infinite volte ed era sicuro che il sistema difensivo da lui approntato non presen- 11

tasse alcuna falla. Quel che era strano però era che non fosse successo nulla di insolito, assolutamente nulla in tre giorni. Era come se Dio, o chi per lui, avesse deciso che la missione di Nakamura dovesse andare liscia come l'olio. Quella sera stessa, dopo l'ultimo appuntamento in programma, Nakamura sarebbe partito per la costa orientale, per concludere altri affari con le Corporazioni locali e Rafe avrebbe a- vuto i suoi tre milioni di nuovi yen. Il tutto era maledettamente strano. Nakamura sapeva di avere un angelo custode ma senz'altro non poteva sapere di averne due e che il secondo vigilava sulle sue mosse con finalità tutt'altro che benevole. Joel aveva passato, per la prima volta dopo quasi un anno, tre giorni interi attaccato alla sua consolle e a una unità di sostentamento biologico; sdraiato nel suo bozzolo di fibra di vetro pareva una larva di qualche insetto mutante a cui al posto delle antenne fossero spuntati dei cavi di collegamento neurale. A intervalli regolari percepiva la presenza di Maggie che si collegava alla consolle per ricevere i suoi aggiornamenti e per prepararsi alla sua parte nel piano. La loro coordinazione era migliorata in modo incredibile dal loro primo collegamento, soprattutto da quando Maggie aveva accantonato la sua testarda ostilità e si era decisa a collaborare in modo serio; ora la ragazza si era abituata a muovere la testa in modo che le immagini captate dal suo occhio Zeiss-Ikon fossero pulite e comprensibili per Joel che le riceveva direttamente nella sua mente attraverso un vecchio satellite spia cinese di cui era riuscito a rubare i codici di trasmissione e ricezione. Il satellite stazionava sulla Periferia fornendo una ottima risoluzione audio e video su tutta l'area abitata e su parte delle 12

Wastelands che circondavano la City; in quel modo Joel era sicuro che non avrebbe mai perso l'indispensabile contatto con la sua controparte a terra. La loro prima missione congiunta era andata bene ma era costata molta fatica a entrambi: mentre Joel, inseritosi nella rete del Queen Margaret Hotel attraverso un vecchio numero di telefono non più utilizzato, inviava false letture biologiche e ambientali alla consolle di monitoraggio in dotazione all'angel, un apparecchio che Littlewall aveva già abbondantemente vivisezionato a loro uso e consumo, Maggie si era introdotta nella stanza di Nakamura e gli aveva inserito, mentre il vecchio dormiva ignaro, un localizzatore satellitare ipodermico miniaturizzato che avrebbe permesso loro di rintracciarlo dovunque nel raggio d'azione del satellite cinese. Era stata dura convincere la ragazza a non farlo fuori in quel momento ma il Kranio era stato molto chiaro in materia: Nakamura doveva morire in modo doloroso, doveva soffrire, doveva implorare pietà. Doveva pagare Alla fine Maggie aveva capito e aveva obbedito; così, mentre Joel forzava i codici di protezione della griglia dei sensori, delle porte e delle condotte di ventilazione, lei aveva portato a termine il suo primo incarico in team. Ora Nakamura era un puntino di luce rossa su una mappa virtuale della Periferia e Joel lo osservava in silenzio, cercando il momento migliore per scatenargli contro la sua micidiale collega. Mentre nei bunker sotterranei del Queen Margaret Hotel si svolgeva il summit decennale della malavita organizzata della Costa Occidentale, un elicottero leggero nero come la notte si era avvicinato alla tozza costruzione in cemento a vista e u- n'ombra nera ne era uscita, scivolando silenziosa lungo una fune 13

invisibile e scomparendo tra le ombre più grandi dei velivoli parcheggiati sul tetto dell'albergo. Non era stato possibile eliminarne il rumore ma Joel era riuscito a ingannare l'analizzatore di suoni dell'angel fornendogli un falso input per coprire l'arrivo di Maggie: la cosa più simile che aveva trovato nella banca dati dell'apparecchio era stata il rumore di pneumatici antiproiettile e l'angel ci era cascato in pieno. Ora veniva la parte più difficile del piano. - Maggie, sei al punto zero? - chiese alla ragazza. - Si, certo che ci sono...- rispose Maggie, apparentemente bisbigliando a se stessa nel buio del tetto. - Il velivolo di Nakamura dovrebbe essere il terzo. Inserì la modalità IR nel suo occhio Zeiss-Ikon e lesse: NKM-001. - Confermi? - chiese all'ebreo, che vedeva quel che vedeva lei. - Confermo. È quello giusto. Procedi. La voce di Joel era ferma nelle sue orecchie e Maggie si accorse che essa aveva su di lei un effetto rassicurante. Se prima durante le azioni parlava tra sé e sé, ora parlava automaticamente rivolgendosi all'ebreo, come se lui fosse davvero lì affianco a lei. - Ho trovato la serratura. È una Digit40 Retinax... - Perfetto! Conosciamo il codice. - le rispose Joel. - Inserisci il collegamento neurale... Maggie snodò il bandana che le fermava i capelli bruni e inserì prima un capo del cavo neurale nel suo cervello, poi l'altro capo, con delicatezza infinita, nel jack diagnostico della serratura. Non successe niente. Joel aveva disinserito il sistema d'allarme principale del velivolo attraverso il cordone ombelicale che lo univa alla piatta- 14

forma d'atterraggio, ma non potevano essere sicuri che fosse l'unico sino a che lei non si fosse collegata sul posto. Era l'unico. - Il collegamento è stabilito. Quando vuoi...- disse Maggie e si preparò al contraccolpo neurale in arrivo assieme al programma scassinatore dalla consolle di Joel. - Ora! - disse Joel, e riversò il programma verso il satellite. La botta fu peggiore del solito ma la porta si ritirò obbediente e Maggie entrò, ancora confusa per lo shock, nel velivolo che sarebbe stato la tomba di Nakamura. Il velivolo NKM-001 volava silenzioso e invisibile, nero contro il cielo nero. Rafe allontanò per un istante gli occhi dal pannello di controllo per osservare Nakamura, che russava rumorosamente su uno dei sedili imbottiti del salottino posteriore. - Guarda come dorme, il porco! - commentò a mezza voce mentre faceva una leggera correzione di rotta verso la loro ultima destinazione. Aveva appena reinserito il pilota automatico quando sentì un rumore alle sue spalle, un leggero spostamento d'aria. Immaginò che fosse Nakamura che andava a liberare la sua vescica incontinente ma mentre si voltava sentì qualcosa di freddo poggiarglisi sul collo, poi un dolore atroce gli oscurò la vista, facendo urlare ogni cellula del suo corpo. Frusta neurale, pensò e svenne. Mentre il velivolo proseguiva grazie al pilota automatico che lo guidava verso la sua misteriosa destinazione, Maggie legò tra 15

loro con un sottile cavo in kevlar i polsi e le caviglie dell'angel svenuto, poi si avvicinò al vecchio boss con passo felpato. Durante l'azione fulminea che aveva messo l'angel fuori gioco, Nakamura aveva continuato a russare beato; se fossero precipitati probabilmente sarebbe morto senza neppure accorgersene, ma Maggie era lì apposta perché questo non accadesse. Così lo svegliò sferrandogli un potente calcio circolare sulla bocca, che lo sbalzò fuori dalla poltroncina facendogli schizzare via i denti sulla moquette bianca. Il vecchi cercò di risollevarsi, sorpreso e intontito da quell'attacco imprevisto, ma Maggie si avventò su di lui, ficcandogli la canna della S&W nella bocca slabbrata e sanguinante. - Ciao, Nakamura! Sono il tuo regalo da parte del Kranio... - Non conosco nessun Cranio. - biascicò il vecchio. - Ma lui ti conosce molto bene, non preoccuparti...- sibilò Maggie, conficcandogli gli elettrodi della frusta neurale tra i testicoli, a massima potenza. L'uomo si divincolò urlando, con la bava alla bocca, per qualche secondo, poi si accasciò sul sedile come un sacco di immondizia semivuoto. Maggie ritirò la S&W con la canna lucida lorda di bava sanguinolenta. - Che schifo! - disse, e la ripulì sulla giacca bianca del vecchio giapponese: con lui avrebbe finito più tardi, poi sarebbe toccato all'angel. In quel momento la cosa più importante era tirare giù quell'affare dal cielo e lei non era affatto sicura di essere in grado di farlo. - Ebreo! Ci sei? - chiese, mentre prendeva posto sul sedile del pilota e guardava smarrita il pannello di controllo incrostato di led, cursori, monitor e display a cristalli liquidi. - No, sono andato a fare merenda...- rispose sarcastico Joel. Aveva aspettato quella chiamata per un'ora e adesso quella sfacciata gli chiedeva se c'era. Certo che c'era! 16

- Fai meno lo spiritoso e spiegami come fare atterrare questo coso! - disse lei, leggermente alterata; detestava di essere nelle mani di un altra persona, di doversi fidare. - Lascia fare a me, ok? Lo guiderò io da qui. - disse l'ebreo, cercando di rassicurarla. -Vedi una presa con scritto deck? Maggie la individuò con gli occhi e Joel disse: - Eccola, è quella. Attiva il collegamento neurale e al resto penserò io; tu rilassati e guarda... Maggie si connesse al velivolo e si rilassò sulla poltroncina, pronta ad assorbire il contraccolpo del flusso di dati, che giunse puntuale a schiaffeggiarla. - Oh, merda! - esclamò Joel. - C'è un blocco sui comandi e non riesco a eliminare il pilota automatico. Sto per lanciare un CodeCracker... Maggie percepì i megabyte del programma che fluivano attraverso il suo cervello; qualche secondo più tardi vide che la spia AUTOPILOT si spegneva e, mentre il velivolo proseguiva nel suo volo livellato a bassa quota, attese fiduciosa che l'ebreo li facesse atterrare. Ma a un tratto l'ala destra si abbassò bruscamente e cominciarono a perdere quota. - Ebreo, che cazzo fai? - gridò, terrorizzata, ma la sua auricolare restò muta. - Joel, mi senti? - gridò alla cabina vuota attorno a lei, mentre il panico si impadroniva della sua mente. Joel era sparito e le Wastelands le venivano incontro a velocità vertiginosa. L'Ebreo si accorse che aveva perduto il contatto con Maggie solo quando la sua visione a distanza si spense, lasciandolo cieco nel suo bozzolo di vetro; era così assorto nella guida del ve- 17

livolo che non si era accorto che questo stava per uscire dal raggio d'azione del satellite che lo collegava alla ragazza. - Maggie?! Che accidenti succede? - gridò nel microfono, ma in risposta ottenne solo una scarica di statica: della ragazza non vi era più alcuna traccia. L'Ebreo si strappo dalla testa la fascia dei neurotrasmettitori e uscì dall'unità di sostentamento, disperato. Maggie era sola con Nakamura e l'angel, alla guida di un velivolo che non era in grado di pilotare, là fuori da qualche parte nelle Wastelands. Il solo pensiero lo fece stare male. E l'idea di doverlo dire al Kranio lo fece stare ancora peggio. Maggie aprì gli occhi e vide attorno a sé i resti del velivolo di Nakamura, che bruciavano lentamente nella notte; aveva la bocca piena di sabbia e sangue e la gamba sinistra le doleva da morire. Non ricordava bene quel che era accaduto prima di precipitare ma in quel momento la cosa non le interessava. Voleva essere sicura che Nakamura e il suo angelo custode fossero morti nell'impatto, così si fece forza per sollevarsi dal terra, ma come iniziò a muoversi udì uno scatto metallico e si trovò la S&W puntata alla faccia. - Merda! - esclamò Maggie. L'angelo custode era ancora vivo e, con la sua arma in mano, la guardava imperturbabile attraverso un mirino laser. - Ce l'hai fatta, sai? Nakamura-san è morto. - disse. - Balle! Senti, Angel, non prendermi per il culo... - Lo vuoi vedere? - continuò il giovane. - È là, sotto la turbina destra, schiacciato come uno scarafaggio!- Parlava con disprezzo dell'uomo che avrebbe dovuto proteggere a costo della vita e Maggie se ne accorse. - Non sembra che la cosa ti dispiaccia... - osservò. 18

- Era un pezzo di merda - ammise Rafe. - Ero pagato per difenderlo non per baciargli il culo! L'Angel spense il mirino e mise via la pistola. Maggie si rilassò un po' e riuscì a mettersi a sedere con la schiena appoggiata a un pezzo di fusoliera; la gamba le faceva un male boia e ogni movimento le strappava un gemito. - Sei ferita? - le chiese l'angel, con aria preoccupata. - Credo di avere una gamba rotta... - ammise Maggie contro voglia; era in una posizione di debolezza e l'idea che quella faccia d'angelo potesse fare di lei quel che voleva la innervosiva davvero. Appena vide l'uomo allontanarsi cercò di alzarsi ma ricadde con un grido; Rafe tornò dopo qualche minuto con una sbarra di duralluminio lunga come il suo braccio e alcune cinghie strappate dai sedili fracassati. - Ora ti sistemo la gamba... - disse e fece per toccargliela. Maggie cercò di tirarsi indietro ma non riuscì a muoversi; non le rimase che protestare. - Lasciami stare! Non mi serve il tuo aiuto! - disse, ma Rafe continuò come se niente fosse. Le afferrò la gamba e la raddrizzò con uno strattone, quindi la bloccò con la sbarra e le cinghie. Maggie gridò una volta sola, poi svenne. L'Angel la sistemò con cura su un sedile bruciacchiato, la coprì con alcune coperte salvate dal rogo poi accese un fuoco con quello che riuscì a racimolare e si sedette alla luce della fiamma, a osservare la sua prigioniera nella notte silenziosa del deserto radioattivo. Abbandonata su quel sedile nero pareva una bambina, il bel viso macchiato di sangue e fumo; aveva un neo vicino al sopracciglio sinistro e una pelle bianchissima. L'avrebbe consegnata alla Polizia Urbana; aveva perso Nakamura ma almeno la cattura della sua assassina gli avrebbe permesso di salvare la faccia in Agenzia e di riscuotere una parte di quel denaro che gli serviva per continuare a vivere e a lavorare. 19

Joel detestava restare con le mani in mano. Aveva forzato la banca dati del Servizio Aeronautico per procurarsi il tracciato radar del velivolo di Nakamura e tutto quello che aveva ottenuto era una linea di puntini verdi che si spegneva appena superati i confini della City. Le Wastelands non erano coperte neppure dai radar militari e certo non si poteva andare a setacciarle sul terreno in cerca di tre persone in un'area di cento chilometri quadrati. Bisognava aspettare che Maggie trovasse un modo di mettersi in contatto con lui, se era ancora viva... Joel decise che non sopportava quel se e cercò di cancellarlo dalla sua mente. Maggie era viva, doveva esserlo! Lavoravano troppo bene insieme per perderla alla prima missione, e poi il Kranio ci sarebbe rimasto molto male. - Oh, Maggie... - mormorò l'ebreo. - Maledizione, dove sei? Marciavano ormai da molte ore sotto il sole cocente delle Wastelands ma la City era come un miraggio, persa nell'aria bollente che ne distorceva il profilo irregolare. La gamba di Maggie andava sempre peggio e Rafe si era offerto più volte di caricarsela sulle spalle ma lei aveva sempre rifiutato, dicendo che non ne aveva bisogno. I due procedevano in una tregua non dichiarata poiché in quella fornace era molto difficile scappare, soprattutto con una gamba fratturata. Sebbene il suo impianto di collegamento audiovisivo avesse smesso di funzionare da tempo, Maggie si accorgeva di parlare ancora come se l'ebreo fosse lì ad ascoltarla; avrebbe dato qualsiasi cosa per risentire la sua voce nell'auricolare ma questa taceva ostinatamente. 20