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Transcript:

A occhi bendati Silvana Uber http://sognandoleggendo.net/ Revisione testi, impaginazione e copertina a cura dello Staff della Proprietà letteraria riservata. Casa Editrice Leonida Reggio Calabria Italia Stampato in Italia nel mese di marzo 2010 Via S. Nicola Strozzi n. 47 89135 Reggio Calabria www.editrice-leonida.com e-mail: leonidaedizioni@libero.it ISBN: 978-88-95880-51-8 SI COMINCIA Una musica assordante mi raggiunge dall autoradio di un auto parcheggiata accanto all ingresso dell Aims Community College. Non credo di aver mai visto tante macchine in quei cento metri quadri di parcheggio riservato a noi studenti. Avevo dovuto abbandonare la mia Renault scassata, e temo ormai quasi in fin di vita, nel parcheggio sotterraneo della CBM, l azienda più importante e in vista di tutta Loveland. Eppure avrei dovuto aspettarmi un simile ingorgo, dal momento che oggi è l ultima data fissata per gli esami orali di fine semestre. Per me, l ultima speranza di recuperare in extremis almeno un corso. Mi fisso con pignoleria al grande specchio appeso sopra i lavandini dei bagni delle ragazze. Il livido che affiora alla mia spalla è diventato bluastro ed è circondato da un sottile alone giallognolo. Lo nascondo meglio che posso sotto la spallina larga e soffice del vestito, ma ostinato spicca visibilmente sulla mia pelle color avorio. I miei occhi scintillano riflettendosi nello specchio. Li guardo come se non li conoscessi affatto... sembrano fuoco, e ardono come un raggio di sole capace di incenerire l ombra. Stonano con la carnagione pallida del mio viso, reso infantile da lineamenti sottili ed esageratamente innocenti. Ho sempre vissuto a Loveland, la cittadina più tetra, mediocre e afosa di tutto il Colorado. Conta la strabiliante cifra di sessantacinquemila abitanti... sessantacinquemila e uno, da quando mia nonna si è trasferita fin qui da New York... e ciò nonostante, a differenza di molti miei vecchi compagni della Thompson Valley High School scappati nelle grandi metropoli accanto, la amo tanto da volerci invecchiare. Credo d essere l unica persona al mondo al disotto dei venti anni che sogna di restare 11

per sempre, magari sposata, in un posto come questo, dove l unica attrattiva è la festa di San Valentino. Una buona parte della popolazione americana si lascia ancora suggestionare dall antica leggenda che questa sia la città natale dell angelo Valentino. L unica singolarità di questo agglomerato di case è che la criminalità sembra averci trovato un posto sicuro dove mettere radici. Volendo fare una proporzione, vi sono più crimini qui in un anno che in città come Los Angeles. Ma è anche questo uno dei tanti motivi per il quale ho scelto volontariamente di non frequentare un college a Denver. La polizia comunque, e almeno per il momento, non ritiene necessario istituire il coprifuoco. Con me ci hanno pensato i miei genitori. E d altra parte come biasimarli? Da quando due anni fa mio fratello gemello era stato ucciso da due ladri penetrati in casa nostra, mio padre mi aveva messa sotto una campana di vetro. In ogni modo il coprifuoco rappresenta l ultimo dei miei pensieri. Non è un problema... assolutamente! In fondo è solo questione di sapersi organizzare. ConAndy e Kristin ho il classico rapporto che ogni figlio in età postadolescenziale ha con i propri genitori. Giorni di continui mugugni, seguiti da giorni d insistenti litigi, alternati da giornate di assoluta distensione. L ultima furibonda discussione risale ad ieri notte, quando mio padre ha avuto la pessima idea di aspettare sveglio che rincasassi tre ore più tardi di quanto mi fosse stato concesso. Per me il coprifuoco non è un problema... per Andy lo è, eccome... Con lui non sonomai stata un libro aperto... anche se in diverse occasioni ha dimostrato di avere una capacità eccellente di smascherare qualunque mia bugia. Non so come faccia... a volte mi chiedo come riesca a capirmi guardandomi semplicemente negli occhi per meno di cinque secondi. Ma è più che naturale avere qualche segreto con i propri genitori. Chi non ne ha? Ecco, forse i miei segreti sono solo più scomodi ed eccessivi rispetto a quelli degli altri. Ma ormai, anche questo rientra nella mia normalità. E ci sono così abituata che non faccio più alcuna fatica a mostrarmi agli occhi degli altri per la ragazza che in realtà non sono. E pare che nessuno sospetti neanche lontanamente la mia natura ostile e vendicativa. 12 Il che significa due cose: o io sono molto brava a fingere; o gli altri sono completamente deficienti. Per quanto ritengo sciocco stare a perdere tempo a fantasticare su come sarebbe stata la mia vita se avessi scelto di essere esattamente come tutti gli altri si aspettavano che fossi, ultimamente non riesco a pensare ad altro. Due cheerleaders mi passano accanto bisbigliandosi consigli e stratagemmi su come superare quest ultimo esame orale del semestre accademico. Tento disperatamente di non pensare alla mia vita, concentrandomi sulla prova di istologia chemi aspetta trameno di dieciminuti, emi sforzo di sorridere alla mia immagine snella, fin troppo esile, riflessa alla specchiera. Ma il mio sorriso distorto e incerto non convince neppure me. Mi sciacquo la faccia con l acqua gelata, sperando di riuscire a cancellare la stanchezza dal mio viso e ripasso mentalmente parte di ciò che, in linea di massima, dovrei ripetere tra poco ai miei professori.

La prospettiva di una mattinata nera mi deprime più di quanto dia a vedere. Se solo ieri sera avessi avuto il tempo di ripassare l ultima lezione, ora non sarei tanto agitata. Ma Andrew era stato categorico: la ronda prima d ogni altra cosa. E onestamente, fino ad ieri sera, ero pienamente d accordo con lui. Invece ora, il fatto di aver dormito sì e no tre ore, non mi aiuta certo a mantenere la giusta concentrazione. Sembra che gli ultimi quattro capitoli del mio libro d istologia si siano volatilizzati dalla mia memoria. Chi diavolo avrà stabilito che per diventare degli psichiatri bisogna studiare questa materia? Con gesti automatici mi passo del mascara sulle ciglia, sbirciando di tanto in tanto verso la piccola finestra che dà sul cortile del campus. L autoradio ha smesso di gracchiare. La foschia mattutina si sta completamente dissolvendo ed il sole illumina le vette più alte delle montagne che circondano la cittadina. Sono solo le prime ore della giornata e il caldo si fa già sentire. «Sembri stanca» Irene fa il suo ingresso nei bagni quasi sfilando. La bacio sulla guancia sbadigliando. «Ho dormito pochissimo.» Metto via il mascara ed esco di malavoglia dal bagno, seguendo im- 13 bronciata la mia migliore amica lungo i corridoi affollati di studenti. Le pareti sono interamente ricoperte da tabelloni che riportano i piani didattici e gli orari delle lezioni, ma nessuno come al solito vi presta troppa attenzione. Accanto all ampia biblioteca al secondo piano dove tra pochissimo dovrò affrontare il mio quarto esame è stata allestita una specie di saletta d attesa... come se in un college ci fosse davvero da attendere qualcosa.mi siedo sulle sedie poste in fila lungo la parete e apro il libro sugli ultimi capitoli. Nessuno come al solito bada a me e la cosa comincia a seccarmi. Cerco di concentrarmi mentre Irene non fa altro che ciarlare di come la sera prima si fosse divertita all inaugurazione del Twenty One, il terzo locale della città. Erano mesi che tutti i ragazzi di Loveland aspettavano questo evento. Evento, poiché in questa cittadina l apertura di un nuovo locale è la cosa più eccitante che possa accadere. E ieri sera erano praticamente tutti lì, compresa Irene con tutto il resto della nostra compagnia di amici. Tutti meno una persona... cioè io. Il mio allenatore negli ultimi mesi ha affinato una capacità straordinaria nel mandarmi di ronda ogni volta che qualcosa di nuovo accade in città. Ovunque guardo, trovo gli occhi eccitati degli studenti che si scambiano opinioni esageratamente positive sul Twenty One... e la cosa sta cominciando a snervarmi più di quanto non lo sia già. «Ammettilo» Irene mi osserva per un istante, studiando le mie occhiaie bluastre. «Hai passato la notte a studiare.» «Proprio così» mento prontamente, evitando di incrociare il suo sguardo. Abbasso gli occhi sulla prima riga del ventesimo capitolo del libro che tengo aperto sulle ginocchia. Irene mi conosce fin troppo bene. E il fatto che studi psicologia mi obbliga a restare sempre sul chi va là quando le sue domande si fanno troppo impertinenti. D altra parte non posso certo dirle cosa ho fatto ieri notte. «Come te lo sei fatto questo?» preme un dito sopra il livido sulla mia spalla.

«Ahi!» sobbalzo appena sulla sedia, contorcendo le labbra in una smorfia. «Fa male?» mi chiede indifferente, mordendo una ciambella. «No, Irene» la fulmino con lo sguardo. «In genere i lividi sono un ottimo rimedio per migliorare il proprio stato emotivo.» 14 Mi guarda poco convinta. Non le è sfuggito il mio ironico riferimento alla sua stupida frase. Forse come psicologa non è poi così brava come ho sempre temuto. «È grosso!» commenta osservandolo a lungo. «Come te lo sei fatto?» «Mi sono imbattuta contro un tizio che voleva aggredirmi» le confido con fare cospiratorio, abbassando il tono di voce. «Stai scherzando?» mi stringe un polso. Un pezzo di ciambella le va di traverso e inizia a tossire e sputacchiare attirando l attenzione di alcuni studenti seduti accanto a noi. Come me, stanno aspettando l inizio dell esame. «E come ti senti ora?» riesce a dire dopo essersi liberata la gola deglutendo rumorosamente. «Irene...» spazientita sfilo la mia mano dalla sua. «La mia era pura e semplice ironia.» «Ah» commenta rilassandosi parecchio. «Per un momento ho temuto...» «Ma piantala!» Rido, ma lei resta tesa. «Anche se la polizia non ha stabilito un coprifuoco non è prudente uscire da soli la sera. Lo sai! C è il rischio di essere molestati o picchiati da qualcuno.» ribatte usando un tono vagamente scontroso. «Tu, Còrin, sei piccolina... è normale che mi preoccupi per te.» «Io so difendermi» ribatto con un filo di voce, atteggiando le labbra al broncio di una bambina sgridata. «Come no!» alza gli occhi al cielo, dandomi una leggera pacca sulla spalla. Sobbalzo nuovamente quando il palmo della sua mano finisce ancora una volta sopra il livido. Quando il professor Terz arriva, chiudo rassegnata il libro e m incolonno lungo la fila di studenti davanti all aula. Nessuno pare abbia più voglia di parlare del Twenty One. Sono talmente agitata che fatico a tenere il mio libro saldo tra le mani. Considerando che il professore chiama noi studenti per ordine alfabetico, io sarò la seconda a dover entrare. Osservo angosciata un ragazzo alto e biondo, che mi pare faccia parte della squadra di pallacanestro, entrare con aria sicura dentro la grande stanza. Quando si chiude la porta alle spalle, l ansia s impa- 15 dronisce completamente di me. Sono la prossima. E sono l unica temo a non aver la più pallida idea di cosa rispondere alle domande del professor Terz. Quando arriva il mio turno, incoraggiata dal sorriso di Irene, passo accanto alla lunga fila di studenti e mi fermo davanti alla porta prendendo tempo. Devo tirare un profondo respiro prima di aprirla. La stanza è meno luminosa di quanto mi ricordassi. Ammassati ai muri ci sono alti scaffali traboccanti di libri vecchi e ingialliti. In fondo, una scrivania si allunga da una parete all altra e alcune sedie gli sono

state sistemate davanti.attraverso la biblioteca, sforzandomi di sorridere alla faccia seria e annoiata del mio professore. Non sembra ricordarsi di me, per quanto questa sia la quarta volta che mi siedo su una sedia di fronte a lui, nel tentativo di superare lo stesso identico esame. Rassegnata riposo il libro nella mia tracolla e nascondo le mani sotto la scrivania per non fargli notare che stanno tremando. L incubo ha inizio con una sequela di domande di cui ignoro completamente la risposta e termina con un altra sequela di rimproveri... Quando lascio la stanza, ho seriamente paura che mi si possa leggere in faccia il mio quarto totale fallimento. Per fortuna Irene è a lezione, almeno la prima dose di compassione me la sono risparmiata. Afflitta, attraverso il prato a testa bassa stringendomi il libro al petto. Raggiungo in pochi attimi il cancello dell entrata principale dove Nick mi sta aspettando. Quando mi vede, si alza dai gradini di pietra e mi viene incontro con un ampio sorriso stampato in faccia. Non credo di averlo mai visto arrabbiato o irritato in questi ultimi diciannove anni. «Ciao Còrin» mi bacia in fronte. «È andato bene l esame?» «No, non direi» rispondo seccata. «Sei andata completamente fuori corso!» mi ricorda con una punta d ansia nella voce. Come se non lo sapessi già da me! Annuisco pensierosa, osservando Irene raggiungerci mano nella mano col suo fidanzato Matt. «Ciao Còrin» mi saluta alzando velocemente la mano avvinghiata a quella della mia migliore amica. «Hai fame?» Lo osservo mirare bene un punto alle mie spalle prima di lanciare la sua lattina vuota di birra, cercando di centrare un minuscolo bidone del- 16 l immondizia. Il barattolo si schianta rumorosamente sul metallo del bidoncino e rotola sull erba fino a fermarsi sulle mie scarpe. Per il momento, il discorso esame sembra essere passato in secondo piano ed io non mi lascio sfuggire l occasione per cambiare discorso. Parlare dei miei fallimenti con degli amici perennemente al passo con le lezioni è ancor più deprimente che dover ascoltare i rimproveri da parte del nostro professore. Sono talmente infuriata con me stessa che lo stomaco mi si è chiuso. Ma, dal momento che l alternativa sarebbe di tornarmene a casa ed affrontare i miei genitori, fingo prontamente di avere una fame incredibile. «Vi va di fare un salto da Mac Donald?» ci chiede Matt mentre con gesti calcolati, prova di nuovo a centrare il cestino. Per la seconda volta la lattina finisce sopra le mie scarpe. Spazientita mi piego per raccoglierla e, senza esitazioni, la lancio alle mie spalle dimenticandomi totalmente di mirare. Faccio centro al primo colpo sotto lo sguardo meravigliato di tutti. «Come diavolo hai fatto?» Nick sposta lentamente lo sguardo dal cestino a me. Faccio spallucce sorridendo timidamente e cercando di non dare troppo peso e importanza al mio canestro. «Ehm... fortuna» ridacchio, cercando di sviare il suo sguardo stupito. A volte mi scordo di mostrarmi per quella che dovrei essere. «Perché non pranziamo da me?» propone Irene, salvandomi dalla situazione. Non sembra nemmeno essersi accorta di ciò che ho appena

fatto. «Perfetto» mi affretto a risponderle. «Hamburger e patatine sono un ottimo rimedio per sollevarmi il morale dopo un ennesimo fallimento.» mi sforzo di mostrarmi entusiasta. «Venite in macchina con noi?» chiede a me e a Nick. «D accordo.» annuisco pensierosa. Tutto pur di non dover tornare a casa. Mentre c incamminiamo verso il parcheggio fingo di ascoltare distratta i loro commenti sul Twenty One. In realtà non mi sto perdendo una parola. Sono davvero l unica in tutta Loveland a non essere stata presente all inaugurazione. Con un sospiro mi aggrappo saldamente al braccio di Nick. 17 «Avresti dovuto esserci, Còrin» mi dice Nick, accorgendosi della mia aria afflitta. «C erano praticamente tutti i ragazzi del college.anche quel ragazzo che mi avevi presentato l anno scorso... Andrew, mi pare si chiami» mi sorride incerto. Digrigno i denti per la frustrazione. Ecco perché aveva insistito tanto per mandarmi di ronda. Mi sforzo di ricambiare il suo sorriso ma la mia bocca si piega in una smorfia quando il trillo del mio cellulare stona col silenzio del parcheggio. Mi scosto da Nick e aspetto nervosa che prosegua con gli altri, prima di leggere il messaggio che mi è arrivato. Per quanto il mio numero lo possiedano in molti, so già chi mi ha cercata. Solo una persona al mondo ha la capacità di rovinare irrimediabilmente e instancabilmente i pomeriggi con la mia compagnia di amici. Scorro svelta gli occhi sullo schermo illuminato limitandomi a leggere il mittente, per quanto i miei sospetti non necessitino di una conferma. Con un lungo sospiro ripongo il cellulare nella tasca della giacca e a grandi passi raggiungo i miei amici che nel frattempo hanno già preso posto nell auto di Matt. «Ehm ragazzi» attacco impacciata, sentendomi profondamente in colpa. «Purtroppo non posso venire con voi.» «Ma come?» Irene si sporge dal finestrino con aria offesa. Senza saperlo Andrew ha rovinato anche a loro il programma per il pomeriggio. A volte sembra che lo faccia a posta. «Mi dispiace» mormoro piegando la testa di lato. «Ma se fino a due minuti fa eri entusiasta di venire con noi?» la voce di Matt mi raggiunge sopra la musica alta dello stereo della sua auto. «Staremo insieme stasera e...» cerco di giustificarmi. Irene si volta verso i sedili posteriori. «Nick, dimmelo tu dove deve andare. Tu lo sai di sicuro.» Nick, senza degnarla di un occhiata fa spallucce. «Non lo so invece. La mia stella è muta come una tomba.» Poi si volta di scatto verso di me aggrottando la fronte. «Non è che hai un ragazzo?» evidenzia ogni parola in modo aggressivo. Sento le guance infuocarsi per la vergogna. Solitamente riesco ad arrossire, a piangere e a ridere a comando. Non è mia abitudine lasciarmi andare così. È solo che certi discorsi m intimidiscono. Non ce la faccio proprio a parlare della mia vita privata. 18 «Pensi che se così fosse te lo avrei tenuto nascosto?» mormoro, cercando di sviare il suo sguardo accigliato.

«Giurami che non esci con nessuno» insiste scuro in volto. «Te lo giuro» mi ritrovo a bisbigliare dando una sbirciata veloce all orologio. «Lo sai che, prima di uscire con qualcuno che non è nel nostro giro, voglio vederlo e parlarci un po» mi ricorda dolcemente. Annuisco convinta. Me l ha ripetuto cosi tante volte, che dimenticarlo sarebbe praticamente impossibile. Devo dar ragione ad Irene quando mi fa notare che i nostri amici hanno un particolare occhio di riguardo per me. Non che questi loro atteggiamenti mi diano fastidio... se non altro per pochi momenti mi spingono a credere di essere normale. Il fatto è che vivere recitando non è sempre un piacere. «Ci vediamo questa sera alla festa» taglio corto, rendendomi conto che sto perdendo troppo tempo. Nick annuisce seccato e con un gesto della mano incitamatt a mettere inmoto. Osservo avvilita la loromacchina imboccare Eisenhower BLVD, l unica provinciale che porta verso il centro, stringendo tra le mani il mio telefonino. Sola nel parcheggio, rileggo un altra volta il messaggio. <Sei di ronda questo pomeriggio. Un bacio Andrew. PS: vediamoci al solito posto prima.> Con un colpo secco chiudo lo sportellino e mi guardo attorno. In mezzo a studenti che mi passano accanto senza degnarmi di un minimo d attenzione, mi sento normalissima. Per quanto mi sia sforzata di legare con loro non ho mai avuto il tempo per integrarmi. Non pretendevo molto ma almeno essere riconosciuta all interno del campus. L unica volta che il mio nome è stato sulla bocca di qualcuno di loro, è stato quando non ero riuscita a passare le audizioni delle cheerleaders. Per quanto me la cavassi molto bene nel ballo, mi avevano scartata a causa della mia faccia troppo innocente, ingenua, e a sentir le ragazze, troppo da liceale. Nascondo il cellulare nella tasca interna della giacca e mi avvio lentamente verso il parcheggio della CBM. «Si comincia» sospiro mormorando tra me e me. 19 Per raggiungere la palestra devo attraversare praticamente tutta la città e salire permountain Road, lasciandomi alle spalle i quartieri residenziali della periferia. Una pioggerella fine e insistente macchia l asfalto e rende la temperatura leggermente più sopportabile. Apro la grande porta a vetri tirandola verso di me e mi avvio verso la sala centrale dove probabilmente Andrew mi sta aspettando. Questa palestra è frequentata solo da me e da altri due allievi: Derryl ed Anne. Non è aperta al pubblico e per dirla tutta non è nemmeno una vera palestra anche se io, per ovvie ragioni, mi ostino a chiamarla così. È semplicemente un ampia sala spoglia, arredata da una mediocre panca in legno e da una scrivania pericolante sulla quale Andrew, il nostro allenatore, ha sistemato un computer paleolitico sul quale si diverte ad annotare ogni lavoro che portiamo a termine. Ho cercato di trattenermi ma non posso rinnegare i miei pensieri. Il fatto è che per me è assolutamente una cosa stupida mettersi davanti ad un pc per fare un promemoria di ogni nostro spostamento. Onestamente ritengo che un foglio e una penna possano bastare. Solo che quando, alcuni giorni fa, avevo dato voce a questa mia considerazione,andrew mi aveva guardata come se fossi un raro animale da baraccone e aveva commentato

usando la parola bizzarra la mia testardaggine a non volermi tenere al passo coi tempi. Aveva concluso il discorso dicendo che un giorno la tecnologia avanzata avrebbe avuto la meglio anche su di me. Andrew lo avevo conosciuto per puro caso un pomeriggio, mentre ero intenta a fare jogging lungo le rive del fiume. Stavo correndo da due ore, sfidando la fatica che appesantiva le mie gambe. Correvo e piangevo. E adandrew questo non era sfuggito.avolte mi sembra di sentire ancora la sua voce tuonarmi nelle orecchie. Mi aveva chiesto come mai stessi piangendo ed io gli avevo risposto con naturalezza. Gli avevo raccontato senza preamboli della morte di mio fratello, ucciso da dei ladri che tentavano di penetrare in casa mia. Martin aveva tentato semplicemente di difendere me e nostra madre, e per questo era morto. CosìAndrew mi aveva aperto la mente verso la vendetta e aveva dato inizio ad una mia seconda vita, fatta di violenza e di menzogne. E devo ringraziare solo lui, se ora sono in grado di potermi difendere e di proteggere gli altri. Il problema però è che sto fingendo da così tanto tempo e così ma- 20 gistralmente, che sto cominciando a far fatica a distinguere la realtà dalla finzione. E devo stare sempre più attenta per non lasciarmi scoprire. «Ciao» Andrew solleva per un attimo lo sguardo dallo schermo del computer. «Tutto bene con l esame?» «Come al solito...» gli rispondo amareggiata, andandogli incontro. «Ah... mi dispiace» riposa gli occhi sul pc, digitando qualcosa sulla tastiera. «Che stai cercando?» gli chiedo curiosa, sedendomi su un angolo della scrivania. Osservo le varie scritte sullo schermo senza capirci niente. Che cosa mai significherà la parola GOOGLE? «Sono appena entrato nel sito ufficiale della polizia... vorrei capirne di più riguardo al caso di tuo fratello.» «È stato archiviato, lo sai.» sospiro frustrata. «Questo è vero...» continua, senza lasciarsi condizionare dal mio abbattimento. «Ma ci sono alcune foto segnaletiche che magari potrebbero tornarci utili. Quella sera tu, nascondendoti nell armadio, hai potuto vedere in faccia gli assassini e sapresti riconoscerli. Come posso aiutarti a ritrovarli se non ho idea di chi possano essere?» mi spiega mentre digita un altra strana parola che non mi prendo nemmeno la briga di comprendere. Cerco di respirare normalmente mentre passo in rassegna ogni volto che appare sullo schermo. Non riconosco nessuno ma seleziono lo stesso una decina di volti i cui tratti mi appaiono in qualche modo familiari. «Che state cercando?» irrompe Anne. «Stiamo provando a vedere se la polizia ha trovato gli assassini di Martin prima di noi» le spiega scetticoandrew. «Dovresti guardare queste foto anche tu.» Osservo Anne e Derryl avvicinarsi a piedi scalzi e, quando sono a pochi passi da noi, sferro a sorpresa un pugno sulla mandibola del mio allenatore. «Adesso che ci siamo tutti possiamo cominciare!» rido vedendolo cadere all indietro. In un attimo, nonostante l abbia preso alla sprovvista, scatta in piedi e mi punta con lo sguardo.

«Derryl...Anne» li richiama all ordine con tono fermo. Sono ancora 21 sorpresi dalla mia improvvisa reazione. «Oggi combatterete uno contro l altro.» Impartisce loro qualche rapido consiglio, senza mai perdermi di vista. Finito di parlare accenna una corsa verso di me. A meno di un metro di distanza balza in alto e cerca di colpirmi al costato con un doppio calcio. Afferro a fatica le sue caviglie, bloccandogli le gambe a mezzo centimetro dalla mia faccia, e con un rapido movimento le roteo su se stesse. L allenamento è cominciato... «Per caso sei arrabbiata oggi?» mi chiede cercando di colpirmi allo stomaco con un pugno. Faccio un balzo indietro evitando il colpo prima di rispondergli: «Non sopporto che i miei amici mi vedano come una bambina indifesa. Odio dover fingere con i miei genitori, odio i lividi che mi restano sul corpo» urlo mentre tento di divincolarmi dalla sua stretta. Una volta libera lo stendo sul tappeto e riprendo a parlare ansimando. «E in questo momento odio anche te!» Lo aiuto a rialzarsi per riprendere l allenamento. «Odio a parte» mi dice spostandosi di qualche passo indietro per evitare una mia ginocchiata. «Che intendi fare col college? Andrai avanti?» Prima che riesca anche solo a pensare ad una risposta mi colpisce al mento col palmo della mano. Un dolore intenso ai nervi del collo mi fa stringere i denti. Sento la sua mano afferrarmi i polsi e trascinarmi verso il basso. Infilo rapidamente una gamba tra le sue caviglie e con uno strattone mi libero i polsi. Mi basta poi colpirlo lievemente al costato per fargli perdere l equilibrio. «Non lo soandrew» gli rispondo. Quando siamo nuovamente faccia a faccia, lo colpisco al naso col gomito. «Lavorare non mi dispiacerebbe ma abbandonare gli stu...» un suo pugno allo stomaco mi soffoca le parole in bocca, «...gli studi mi spaventa» continuo nonostante mi abbia colpito con un altro destro in pieno volto. Ricambio il colpo subìto con tanta violenza da farlo volare all indietro. Si scontra con la parete.aggrotto le sopracciglia. Secondo i miei piani sarebbe dovuto cadere. Si scaglia contro di me usando la stessa furia di prima e fatico non poco per evitare che la maggior parte dei suoi attacchi vada a buon fine. 22 Con un braccio blocco le sue dietro la schiena mentre con l altro gli stringo la gola. È una mossa che lui stesso mi aveva insegnato. «Tu cosa credi sia meglio che faccia?» chiedo pensierosa. Si libera dalla mia presa colpendomi al naso con uno scatto all indietro della nuca. «Sei libera di fare ciò che vuoi.ma ricorda che un lavoro ti ruberà del tempo prezioso. E tu hai da dedicarnemolto ame e ai nostri allenamenti.» «Come se non lo sapessi già» mugugno. Andrew mi fa cenno di fermarmi alzando una mano in segno di resa. Si volta per qualche istante a controllare ciò che stanno facendo i nostri due compagni e dalla sua espressione intuisco che non è per niente soddisfatto. «Guarda Còrin. Vedi come Anne alza il gomito quando vuole tirare un pugno?» commenta stizzito.

«Un po troppo alto» concordo, studiando attentamente i movimenti di lei. «Già. Così facendo toglie quasi il cinquanta per cento di forza al suo colpo» mi spiega guardandomi di sbieco. Annuisco sospirando rumorosamente. «Sei stanca?» mi chiede. «Ieri notte non è stata una ronda semplice» gli sorrido soddisfatta, ripensando a come avevo steso quel tizio spregevole che aveva tentato di aggredirmi. «Te la sarai cavata benissimo come sempre.» «Ciò non toglie che non sia stata affatto semplice.aproposito, è bello il Twenty one?» ribatto scontrosa, afferrando una salvietta per asciugarmi la fronte sudata. Andrew si lascia scappare un ghigno. «Molto bello.» «Senti, ora è proprio meglio che vada.» «Mi dispiace di dover mandare ancora te di ronda.» Sembra davvero dispiaciuto mentre guarda distratto il livido sulla mia spalla. «Ma Anne deve allenarsi.» «Certo, non mi dispiacerebbe avere anche una vita sociale... e qualche ora per studiare» ammetto voltandomi verso gli altri due. «Ehm... ciao ragazzi.» Appena li vedo mi blocco. Come diavolo sono riusciti a ridursi in un simile stato in solo due ore d allenamento? 23 Mi soffermo qualche secondo a squadrare sconvolta Derryl che, seduto sopra la schiena di Anne, le sta tirando i capelli. Ma cosa diavolo sta...? No, meglio non cercare una risposta. Non sono poi così sicura di voler scoprire che razza di mossa idiota ed inefficiente sia quella che si sta sforzando di mettere in atto. Senza il minimo entusiasmo lascio la palestra. Il cielo è nuovamente terso e azzurro. L acquazzone non è durato più di quindici minuti. È un autunno torrido, che sembra non dover finire mai. Il secondo che passo senza mio fratello, in compagnia unicamente del desiderio di rivendicarne la morte e di quel fastidioso senso di protezione che ho verso i miei concittadini. E il solo pensiero che ora dovrò percorrere Loveland in lungo e in largo, m invoglia solamente a tornarmene a casa e infilarmi nel letto per almeno dodici ore di fila. Per quanto consideri una... vocazione lo stile di vita che ho scelto di intraprendere, non riesco più a fare a meno di desiderare una serata spensierata al Twenty One. Imbronciata, m incammino lungo Eisenhower BLVD senza prestare la dovuta attenzione a ciò che accade attorno a me o a ciò che potrebbe accadere. La mia ronda è iniziata... mentre tutti si stanno godendo questo caldo e soleggiato giorno d autunno. 24 Complice Appena apro la porta della cucina un forte profumo di pollo stuzzica il mio appetito. «Dimmi che hai passato l esame» mia madre mi corre incontro asciugandosi le mani nel grembiule. «Dimmelo!» Piego le labbra di lato non sapendo se mentirle o meno. Do una veloce

sbirciata all interno del forno per prendere tempo. Dov è il pollo? Come un segugio spalanco le narici e seguo la scia.mi fermo davanti alla credenza e finalmente adocchio il vassoio di alluminio colmo di ali di pollo e patatine fritte. È molto meglio delmac Donald e della cucina di Irene. «Stasera farò un po tardi perché abbiamo organizzato una festa a casa di Nick» eludo volontariamente la domanda, pregando che non se ne accorga. «Sono tanto cari i tuoi amici» precisa con una strana espressione sul volto. Non so perché, ma questa sua espressione non mi piace per niente. Somiglia troppo a quella che adotta quando vuole affrontare certi discorsi imbarazzanti. «Forse sono solo un po troppo apprensivi. Soprattutto Nick» si blocca un secondo quandoandy, mio padre, fa il suo ingresso in cucina. Attende che lo saluti prima di continuare. «Gli piaci sai?!» Una patatina dalla mia bocca scivola direttamente nel piatto. Lo sguardo di Andy si fa improvvisamente attento. No ti prego... davanti a lui no! «A Nick?» riesco a dire recuperando un minimo di contegno nella voce. «Non scherziamo.ma perché nessuno crede più all amicizia tra un uomo e una donna?!» 25 «Tu crederesti a qualcosa che non esiste?» s intromette mio padre. Lo sguardo si fa ancora più serio. Davanti alla sua supposizione non posso fare a meno che sprofondare il viso nel piatto. Riuscissi almeno a non arrossire così tanto. Effettivamente non ci credo più nemmeno io all amicizia tra un uomo e una donna. Ma su Nick non ho dubbi! «Mamma... cambiamo discorso. Non vorrai rovinarmi la cena?!» Addento con fatica un altra patatina fumante. Certe insinuazioni hanno il potere di irritarmi non poco. E poi, devo stare sempre molto attenta a parlare con i miei genitori. Soprattutto quando i loro discorsi cominciano con secondo noi piaci a quello, oppure con hai visto che carino il nuovo macellaio... perché è scontato che poi dovrò propinarmi almeno per una buona mezz ora i loro comizi. Fossero almeno le classiche prediche che fanno i genitori comuni... che ne so......stai attenta hai ragazzi che vogliono una cosa sola...,...non accettare passaggi da qualche sconosciuto...,...prendi sempre le dovute precauzioni... Già, sono abbastanza imbarazzanti questi tipi di predicozzi... figuriamoci quando ti devi sorbire frasi come queste: ti devi trovare l uomo giusto..., è ora di pensare a qualcosa di più serio che a un avventura..., ti senti pronta per il matrimonio?... Oh mio Dio! Soprattutto Andy. Anche se non ne abbiamo mai parlato, sono certa che in cuor suo spera ancora di vedermi felicemente sposata conmanuel. D altronde è un ispettore della polizia... quale miglior partito per la sua unica figlia. Ma proprio per questo motivo avevo dovuto allontanarmi da lui. Ovviamente Manuel aveva pensato bene di informarmi di essere un poliziotto solo dopo ben cinque mesi che ci frequentavamo, così nel

frattempo mi ero affezionata. «Ok. Parliamo d altro allora» la voce squillante di mia madre interrompe i miei pensieri. Si siede accanto a me e comincia a sbucciare una mela. Ogni tanto mi lancia un occhiata. Non mi piace quando mi lancia questo genere di occhiate. 26 «Ma... dimmi una cosa...» si sporge verso di me appoggiando i gomiti al tavolo e abbassando di un bel po il tono della voce. Presumo l abbia fatto per non far sentire quello che ci diciamo a mio padre che nel frattempo, vista la piega che la nostra conversazione stava prendendo, si è spostato in salotto a leggere il giornale sportivo. «Tu e Nick...» «Mamma...» roteo gli occhi. «No no, davvero, sono incuriosita... mi chiedevo... ecco... voi due... avete mai fatto sesso?» «MAMMA!» «Ma perché ti scaldi tanto? Dopotutto la mia era solo una domanda» si difende imbronciata. Mi alzo di scatto e nel farlo urto violentemente la caviglia sulla gamba del tavolo. Maledizione! Era molto meglio il Mac Donald! Sciacquo il mio piatto nel lavello e mi sposto in camera mia prima che mio padre possa essere colto dalla curiosità di indagare sul mio ultimo esame. Scorro velocemente lo sguardo dentro l armadio. Scelgo un abito nero che mi lascia scoperte di molto le gambe poi estraggo dall armadietto del bagno una serie infinita di trucchi e creme. Mi sento particolarmente su di giri al pensiero di partecipare a questa festa. Anche perché è forse l ultima occasione che mi resta per entrare in sintonia con i miei compagni di college prima di dover arrendermi all evidenza e abbandonare definitivamente gli studi. Quando mi ero iscritta all Aims Community College ancora non potevo sapere che gli allenamenti con Andrew mi avrebbero sottratto così tanto tempo. Raccolgo i capelli in un nastro rosa e torno a grandi passi in camera mia urtando maldestramente lo spigolo della porta col dito mignolo del piede. Sono così emozionata che non riesco a coordinare i movimenti. E come al solito sono in ritardo di ben venti minuti. Irene mi ha già inviato diversi messaggi intimidatori del tipo: se non scendi immediatamente dico a tuo padre che hai lasciato Manuel. Mi infilo un sandalo color crema. Altro messaggio di Irene... ho paura a leggerlo. Scesa al piano di sotto trovo Andy piazzato davanti alla porta, tipo 27 sentinella.mi fissa severo, tenendo le braccia incrociate al petto. «Eri in castigo, ricordi?» «Il castigo era finito» sottolineo. «Ma è ricominciato quando l altra sera sei rientrata alle due del mattino.» «Dai And... papà» allargo le braccia. «Ero uscita con dei compagni di corso. Sai come vanno certe cose. Non è colpa mia.» La colpa è di quel tale che ha avuto la pessima idea di aggredirmi proprio dieci minuti

prima che scadesse il mio coprifuoco. aggiungo sottovoce Il suo sguardo resta sul chi va là. «Avete avuto un incidente?» «...No...» rispondo dopo qualche attimo, mentre cerco di raggiungere la porta d ingresso. «Perché me lo chiedi?» Indica la mia spalla. «È solo una botta, papà. Può capitare» taglio corto. «Ma avevi anche i pantaloni macchiati di sangue» si ostina. Apro la porta, dando volontariamente le spalle a mio padre. «Ho il ciclo» mento svelta. Quando sbircio verso di lui mi accorgo che le sue guance hanno cambiato colore. «D accordo. Vai» balbetta imbarazzato. Quando parcheggiamo lungo ilmarciapiede di fronte casa di Nick, tutti i ragazzi del college, cheerleaders comprese, sono già arrivati. Mentre mi faccio largo tra la folla di invitati, i miei occhi cadono inevitabilmente su un ragazzo che sta ridendo insieme amatt.non lo homai visto prima d ora. Ho ancora gli occhi fissi su di lui quando Nick compare almio fianco, dandomi uno schioccante bacio sulla guancia. «Ciao piccolina mia!». Gli sorrido aggrappandomi al suo braccio e proseguiamo verso la cucina per stare, come al solito, un po da soli a parlare.mi siedo sul tavolo accavallando le gambe, prestando attenzione a non sporcarmi il vestito con la birra che qualcuno ha rovesciato. Nick mi guarda con i suoi soliti occhi trasognanti, celati dietro alle lenti dei suoi minuscoli occhiali da vista. «Come te lo sei fatto quel livido sulla spalla?» mi chiede porgendomi una bottiglia di vino bianco. Aaaah... ci risiamo. «Ho urtato la portiera della mia auto» gli rispondo distratta. «Ancora!?» commenta stranito. «È la terza volta questo mese.» 28 Porto il collo della bottiglia alla mia bocca e ne bevo un generoso sorso, ignorando la sua illazione. «Hai più visto Manuel?» mi chiede poi, cingendomi le spalle con un braccio. «Non ci tengo. Non è il tipo di ragazzo con cui posso star bene. Insomma, mi ci vuole un genere del tutto diverso.» «Che genere di ragazzo ti serve?» indaga facendosi attento. Un fattorino magari penso chiunque, purché non sia un poliziotto. Prima che possa formulare una risposta abbastanza convincente, irrompe in cucina il ragazzo che avevo intravisto appena entrata in casa. «Oh, scusate. Non volevo disturbare» dice imbarazzato, distogliendo subito lo sguardo da noi. Senza dare nell occhio cerco disperatamente di allontanarmi da Nick. Mi sorride cordiale passandomi accanto per prendere una birra dal frigorifero. Nick gli fa cenno di fermarsi. «Ma quale disturbo. Vieni, ti presento la mia ragazza.» mano sanguinante è troppo anche per una come me. 51 Tutti mi hanno detto che a volte il lieto fine esiste... anche nella vita reale. Ma io non ho tempo per trovare un lieto fine a tutto questo. Mi siedo su una panchina per riprendere fiato. Ho semplicemente il disperato bisogno di confidarmi con un interlocutore che non sia imparziale come Nick. Ho un bisogno impellente di dire a qualcuno che l occasione offertami

dalla CBM, è il modo migliore per non sentirmi in colpa di voler lasciare l università. Anche se non ho la più pallida idea di come far funzionare una semplice calcolatrice, figuriamoci un computer. Ho bisogno di smettere di vergognarmi perché sono l unica ragazza che a diciannove anni non ha ancora fatto l amore con qualcuno. Vorrei parlare di mio fratello Martin e di come la sua morte mi abbia spinta a credere di poter fare qualcosa per salvare molti altri ragazzi come lui. Dire che se la spalla mi fa un male tremendo, non è perché ho sbattuto contro la porta del bagno, ma perché un ragazzo ieri sera mi ha colpita con una fiaccola accesa... «Interessante.» Balzo come una molla per lo spavento e quasi cado dalla panchina. Chi diavolo è questo seduto accanto a me? Quando si è seduto qui? «Vuol lasciare l università?» mi interroga divertito. «Come fa a saperlo?» balbetto diffidente. «Lo ha detto circa dieci minuti fa. Forse non se ne è resa conto ma ha parlato a voce alta» mi sorride cordiale. «Ma come si è permesso?» urlo sconvolta. «Permesso a fare cosa?» mi chiede spiazzato, ritraendosi di poco. «A... ad ascoltare quello che stavo dicendo. Lo sa che è violazione della... della... insomma è antimorale lo sanno tutti» mi accorgo che le mie parole suonano stupide perfino a me. L uomo seduto sulla panchina mi guarda divertito, alzando di poco un sopracciglio. «Veramente io non volevo ascoltare.ma come le ho già detto, lei parlava a voce molto alta» si giustifica. Mi fissa con uno strano sguardo e mi ritrovo ad arrossire come una qualunque adolescente colta in fragrante mentre fa buca a scuola. Si comporta come se mi conoscesse, come se non aspettasse altro che io mi decida a raccontargli tutto di me. «Non mi ero resa conto che lei avesse scelto tra tante panchine proprio quella che stavo occupando io» borbotto infastidita. 52 Trattiene un ghigno, coprendosi parzialmente la bocca col palmo della mano. L esperienza mi ha insegnato che le cose non avvengono per caso, perciò mi sento molto sospettosa nei confronti di questo signore. «Vuole lasciare l università?» mi chiede. «Sì» incrocio le braccia sul petto. «Bene. Come mai questa decisione?» torna a farsi serio. Comincio ad elencare le mie motivazioni, contando con le dita: «Non ho mai contribuito per le spese domestiche... non so cosa sia veramente avere un proprio guadagno personale... non conosco il mondo adulto... frequento l università più per crearmi un alibi che per passione...» Oddio, ho usato le stesse parole di mia madre. Mi fermo per riprendere fiato. Guardo lo sconosciuto che stupito mi fissa con tranquillità. «Beh, ma... qualcosa del mondo lo avrà capito» m incoraggia con un tono di voce dolce e paterno. «Le assicuro che io conosco solo la feccia del mondo» mi accascio sulla panchina. «Addirittura...» sospira, prendendo alla leggera le mie parole. Alzo lo sguardo su di lui. Lo osservo sempre più irritata e solo ora mi accorgo esattamente di lui. Un uomo sulla cinquantina, vestito distintamente. Ma c è qualcosa nel suo viso che mi blocca il respiro.

Tiene le sopracciglia lievemente inarcate, ma non sembra infastidito da questa nostra conversazione. Anzi, sembra piuttosto interessato. Più di quanto potrei mai esserlo io verso un qualunque sconosciuto. «Non deve preoccuparsi. Lei aveva bisogno di sfogarsi ed io ero nel posto giusto al momento giusto» uno strano sorriso affiora sulle sue labbra. Lo ignoro. «Già ma... deve dimenticare quello che le ho detto... non corrisponde alla realtà...» Un lampo di divertimento gli passa negli occhi. «Non è vero che ha mandato un falso curriculum alla... alla CBM?» «Effettivamente qualcosa di vero c è» faccio marcia indietro. «Posso sapere come si chiama?» cambia radicalmente discorso, facendosi attento. Il buon umore sembra essergli passato. «CòrinAnnabelAlley» gli rispondo automaticamente, senza pensarci su. «Lei invece chi è?» 53 «Le sta suonando il cellulare» mi fa un cenno garbato con la mano, senza comunque togliermi lo sguardo di dosso. Estraggo il telefonino dalla tasca della tuta e senza nemmeno guardare il display, rispondo. Gli strilli di Andrew mi rimbombano nell orecchio. «MADOVE DIAVOLO SEI? SONO VENTIMINUTI CHE TI STO ASPETTANDO!!!» «Andrew!» ridacchio nervosa, allontanando il ricevitore dall orecchio. «Scusa, mi ero dimenticata...» «SE ENTRO DIECI SECONDI NON SEI QUI...» «Arrivo! Sto arrivando...» Balzo in piedi e comincio a correre verso la mia auto posteggiata.mi arriva alle spalle la voce di quel signore. «Signorina! SIGNORINA!» «Mi scusi ma devo proprio scappare» gli rispondo senza neanche voltarmi. «Stia tranquilla signorinaalley... sono più che sicuro che il male alla spalla le passerà presto.» Al suono di queste parole ho un sussulto e per poco non inciampo nel marciapiede. Raggiungo la macchina senza voltarmi e mi precipito verso la palestra. Per tutto il tragitto non faccio altro che pensare ad una scusa valida da dire ad Andrew. Come ho potuto dimenticare il nostro allenamento? Non posso dirgli che le donne quando hanno il ciclo si dimenticano degli appuntamenti... ormai non ci crede più nemmeno lui. Arrivo davanti al portone e per poco non entro direttamente con la macchina all interno della palestra. «Andrew!» lo chiamo trafelata mentre cerco di slacciare la giacca della mia tuta da ginnastica. «Ce ne hai messo ad arrivare. Hai già inventato una scusa non banale da raccontarmi per giustificare la tua dimenticanza?» «Molto spiritoso» rido sarcastica. «E comunque ora sono qui. Vogliamo cominciare?» «Calmati e siediti sulla panca» mi ordina con un espressione enigmatica sul volto. «Non vorrai farmi la predica?» inarco le sopracciglia, mentre mi siedo su un angolo della panca. «No. Non ne hai bisogno. O almeno... quasi.»

54 Viene a sedersi accanto a me e mette tra noi una piccola scatola nera. «Che cos è?» cerco di sbirciare all interno. «Tu, Còrin, sei la mia allieva più forte e faccio molto affidamento su di te. TUTTI NOI, facciamo affidamento su di te. Perciò ho pensato che se dovesse succederti qualcosa...» «Molte grazie!» lo interrompo irritata. «Sai bene cosa intendo... se dovesse... ecco mi sentirei responsabile. Per questo ho pensato sia meglio tutelarti in qualche modo.» «Che intendi dire?» mi faccio sospettosa. Mi lancia un sorriso incerto mentre mi porge la scatola. «Aprila.» Quando tolgo il coperchio nero resto senza fiato. All interno, avvolto in un panno beige, c è un coltello lungo almeno trenta centimetri col manico in legno scuro. Lo sollevo con mani tremanti, restando a studiarlo a bocca aperta per qualche secondo. «È... davvero per me questo coltello?» mi dimeno sulla panca. «Ti potrà servire in qualche occasione.» «Andrew...» la voce mi muore in gola. «Lasciami finire. Tu sei in gamba, sei sempre riuscita a cavartela senza aver bisogno di un arma, ma poni il caso...» «Argomento chiuso, Andrew» ripongo il coltello nella scatola con decisione. «Io non sono un assassina, questo lo sai! Non me ne andrò in giro armata, col rischio di ferire mortalmente qualche persona. So cavarmela unicamente con le mie forze...» «Còrin sforzati di ragionare...» mi interrompe cauto, senza trovare la forza di sostenere il mio sguardo furente. Istintivamente gli tendo un pugno sulla mascella, facendolo scivolare giù dalla panca. Totalmente stordito tenta di rialzarsi senza riuscirci. «Questa è solo una piccola dimostrazione di come posso riuscire nelle mie imprese senza armarmi fino ai denti. Spero ti basti!» gli volto le spalle e faccio per andarmene. «Sai perché ho quel coltello?» cerca di catturare la mia curiosità. Affondo le mani sui fianchi e scocciata appoggio la schiena alla parete. Seppur controvoglia, decido di lasciargli la possibilità di spiegarsi e giustificarsi. Con la coda dell occhio, noto quanto sia seria la sua espressione. «Dov è il problema?» mi chiede sorpreso. 55 «Te l ho detto... non sono un assassina» gli spiego sprezzante. «E poi ho paura» aggiungo con un filo di voce, abbassando lo sguardo. «Paura? Proprio tu? Tu che affronti ogni criminale senza mai...» «Andrew» lo interrompo acida. «Non è questo a spaventarmi... ho paura che qualcuno possa scoprire ciò che faccio.» «Soprattutto ora che un tale di cui ignoro il nome sa tutto su di me» aggiungo con un tono talmente basso da non permettere alla mia voce di giungere alle orecchie di Andrew. Mi metto seduta a terra, nascondendo la testa tra le ginocchia. «All inizio di questa nostra avventura sapevi benissimo dei rischi cui saresti andata incontro» mi ricorda, accucciandosi di fronte a me. «Ora però vedo tutto in modo diverso» tengo il volto nascosto per non incrociare i suoi occhi. «Non puoi tirarti indietro proprio adesso, Còrin. Ho puntato tutto su

di te.» «Non mi sto tirando indietro. Ma non userò quell arma» sospiro, rialzandomi e stiracchiandomi imuscoli delle gambe. Lo studio per un attimo, prima di parlare. «Andrew... cosa ti ha spinto a credere che sia giusto farci giustizia da soli? Quanti anni hai?... Non so assolutamente niente di te.» Si sfrega il volto, spirando e sbuffando contemporaneamente. «Ho trentun anni...» si blocca e resta a guardarmi fisso negli occhi. «Còrin, giuramelo! Giura che non farai parola con nessuno di quello che ti racconterò.» Annuisco, sentendomi improvvisamente e per la prima volta, veramente sua complice. «Ho trentun anni e... e da cinque sono vedovo.» «Tu sei stato sposato?» nella mia voce traspare un esagerata sorpresa. «Già... per un solo meraviglioso anno. Tania, mia moglie, era incinta di sette mesi quando morì e così anche Mark se ne andò, ed io...» «No, no. Aspetta un momento. Chi è Mark?» «È il figlio che non ho mai avuto» singhiozza, nascondendo il volto tra le mani. Sposto lo sguardo altrove per non metterlo ulteriormente in imbarazzo. Ho sempre consideratoandrew un pazzo furioso con la smania di ripulire dalla feccia le strade di Loveland, e mai come una persona con i suoi sentimenti, con i suoi scheletri nell armadio... 56 «Còrin, so che alle volte tutto questo è molto duro e rischioso. Abbiamo entrambi le nostre motivazioni.» «Io, ho delle motivazioni. Sto cercando l assassino di mio fratello» lo correggo testardamente. «Ed io quello di molte altre famiglie» ringhia. Lo guardo corrucciata. «Tania e Mark erano la mia famiglia... non avevo nessun altro al mondo. E un folleme li ha portati via in un colpo solo»mi spiega stravolto. «Oh mio Dio...» mormoro, coprendomi la bocca col palmo della mano. Resto paralizzata ad osservare le lacrime che gli scivolano veloci lungo le guance. «Lo hanno già arrestato... si chiama David Klay...» Stringe la mano in un pugno e comincia a batterlo sul pavimento, come per sfogarsi. «La polizia ha fallito anche nel mio caso» sospira. «Ma se lo hanno arrestato?» chiedo confusa. Alza gli occhi di scatto su di me. Sono ancora colmi di lacrime. «Dovevano ucciderlo.» «Andrew... questo è assolutamente contro ogni legge costituzionale...» «Ma è a favore della mia legge...» Mi guarda speranzoso, allungando una mano verso di me. Vorrei correre via, il più lontano possibile. Invece intreccio le mie dita alle sue e rimango imbambolata a fissare un punto sopra la sua spalla. «Còrin, non abbandonarmi anche tu. Sei l unica persona che mi resta» sospira rumorosamente, sentendo le mie dita tremare. «So bene cosa stai provando. Perché l ho provato prima di te. Queste nostre scelte non ci hanno portato ad essere migliori degli altri e, per quanto ci sforziamo di rendere la città più vivibile, nessuno ci ringrazierà mai. Viene

da chiedersi, perché continuare?» «Infatti me lo sto chiedendo» mormoro amareggiata. Libero la mia mano dalla sua e mi volto verso la finestra, dandogli così le spalle. «E mi sto chiedendo se quello che facciamo porti realmente a dei miglioramenti. Noi combattiamo la violenza con... la violenza» sospiro, perdendomi per qualche secondo dietro a dei pensieri insensati. «Non credo sia giusto.» 57 «Còrin! Perché ti abbatti tanto? Perché hai questi dubbi? Ci pensi mai a quante vite abbiamo salvato? La domanda esatta che dovresti porti è: sarebbe giusto non fare ciò che facciamo?» Mi afferra i fianchi, facendomi voltare verso di lui. Affondo il mio volto nel suo petto. «Mi chiedo solo se finirà» la voce mi esce in un bisbiglio. «Non finirà mai, Còrin. Possiamo accontentarci di salvare delle vite, ma il mondo sarà sempre pieno di folli e di assassini. E noi non saremo mai dei vincitori.» Mi bacia in fronte, prima di allontanarsi di qualche passo. Ammutolita lo seguo dietro la sua scrivania e mi accomodo sulle sue ginocchia. Mi accarezza la schiena, tenendo la testa posata sulla mia spalla e gli occhi fissi sullo schermo acceso del computer. «Allora... vediamo se sei ignorante come dici» mi strizza l occhio. Mi rizzo sulla schiena guardandolo meravigliata. «Mi aiuterai?» «Visto che sostieni che per colpa mia hai dovuto lasciare l università, ho pensato di rimediare insegnandoti qualcosa sul computer. Così forse domani non farai una figuraccia alla CBM.» Riconoscente gli getto le braccia attorno al collo e lascio la presa solo quando mi fa notare che sto stringendo un po troppo. Trascorriamo il resto del pomeriggio e della serata seduti dietro la scrivania. Andrew, disperato, ha cercato in queste ultime ore di insegnarmi la base dell informatica. A sera tarda, al momento di salutarmi, si è dichiarato sinceramente colpito per il fatto che non abbia scambiato il mouse per un topo vero. E quando torno a casa, sono ancora più confusa...