DIARIO DI LETTURA & PRESENTAZIONI



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DIARIO DI LETTURA & PRESENTAZIONI Galleria Letteraria & Culturale Ungherese Lirica ungherese Kassák Lajos (1887-1967) NYITOTT ABLAK AZ ÉJSZAKÁBAN Hollófekete ez az éjszaka hollófekete ez az éjszaka hová tűnt a kis varrólány hol a hajnal kakasa. Kukoríts már kakasom hogy ne féljek a csendben hogy ne féljek a csendben hová tűnt a kis varrólány kurta inge merre lebben. Hollófekete ez az éjszaka hollófekete ez az éjszaka Jaj merre induljak el Hogy hajnal előtt rádtaláljak. Hollófekete ez az éjszaka. Lajos Kassák (1887-1967) FINESTRA APERTA NELLA NOTTE È nera come il corvo stanotte è nera come il corvo stanotte dove è sparita la piccola sarta dove si trova il gallo dell alba? Canta fin da ora gallo mio che io non abbia a temere nel silenzio che io non abbia a temere nel silenzio dove è sparita la piccola sarta dove svolazza la sua maglia corta? È nera come il corvo stanotte è nera come il corvo stanotte in che direzione devo andare perché prima dell alba ti possa trovare? È nera come il corvo stanotte. Kassák Lajos (1887-1967) KÖLTEMÉNY Fehér fehér fekete fekete s te szomorú vagy kicsikém. Ne sírj ne hagyd itt a fekete ott a fehér és a vörös ahogy a mélyből felizzik kibontja lángjait. Miért sírnál kicsikém olyan eleven hogy szép szemeid könnyezzenek. Nézz csak körül nézd itt a fehér ott a fekete és szép vagy amint ott állsz a fehér és a fekete közt vörös rózsaszállal a kezedben. Lajos Kassák (1887-1967) POESIA Bianco bianco nero nero e tu mia piccolina sei triste. Non piangere non lasciare qui sta il nero là il bianco ed il rosso quando dal fondo si arroventa sprigiona le sue vampe. Perché dovresti piangere mia piccolina così allegra per far lacrimare i tuoi begli occhi? Guardati intorno, guarda qui sta il bianco, là il nero e sei bella mentre stai là tra il bianco e il nero con una rosa rossa nella tua mano. 18

József Attila (1905-1937) VÁRLAK Egyre várlak. Harmatos a gyep, nagy fák is várnak büszke terebéllyel. Rideg vagyok és reszketek néha, egyedül vagyok olyan borzongós éjjel. Ha eljönnél, elsimulna köröttünk a rét és csend volna, nagy csend, de hallanánk titokzatos zenét, a szívünk muzsikálna ajkainkon és beleolvadnánk lassan, pirosan, illatos oltáron égve a végtelenségbe. Attila József (1905-1937) T ATTENDO T attendo senza sosta. Rorida è l erba, t attendono anche gl alberi ingenti da chioma fiera. Sono rigido e tremo a volte, sono solo in quell agghiacciante notte. Se tu venissi, intorno il prato spianato farebbe e un silenzio, grande silenzio sarebbe, però sentiremmo la musica misteriosa eseguita dal nostro cuore sulle nostre labbra e adagio ci fonderemmo, in color rovente sull altare fragrante ardendo nell immenso firmamento. Erdős Olga Hódmezővásárhely (H) CSAK csak lángolva, csak égve csak apró darabokra tépve csak pokolra hullva csak fáklyává gyúlva csak megrágva-kiköpve csak ágylábhoz kikötve csak boldogan lebegve csak világot feledve csak sírva is nevetve csak sírba is temetve csak csókokat rabolva csak veszetten vadulva csak könnyedén, csak játszva csak hevülten is fázva csak sosem megpihenve csak mindig messze menve csak mindörökké élve csak együtt sosem félve csak így éljünk, ha mered: csak egy tét van: az életed! Prosa ungherese Olga Erdős Hódmezővásárhely (H) SOLO solo vampeggiando, solo ardendo solo a piccoli brandelli strappando solo sull inferno precipitando solo da fiaccola fiammeggiando solo maciullando-rigettando solo dal piede del letto legando solo lietamente alleggiando solo il mondo dimenticando solo anche gemendo gioendo solo in tomba seppellendo solo dei baci derubando solo impazzita infuriando solo lievemente, solo giocando solo anche infocata tremando solo mai sostando solo sempre lontano andando solo in eterno vivendo solo insieme mai temendo solo così viviamo, se avrai ardire: solo una posta sussiste: il tuo vivere! Kálmán Mikszáth (1947-1910) IL LIBRO CHIUSO Una storia vera 1885 Il nostro professore era un ometto gentile e tracagnotto. Era famoso per essere stato anche l insegnante di Sándor Petőfi quando si chiamava ancora Sándor Petrovics. Aveva un viso freddo, asciutto, occhi insignificanti che non sembravano mai rispecchiare sentimenti, né gioia o rabbia od orgoglio, nulla di nulla. Era forse l effetto causato dagli occhiali che coprivano completamente gli occhi piccoli e senza colore? Una sua caratteristica però poteva essere notata subito da tutti: la timidezza. Tutti lo spaventavano, temeva tutti, era sempre affabile, non osava rimproverare seriamente nemmeno i suoi studenti se non si comportavano come avrebbero dovuto e le sue critiche erano gentili e miti. I suoi colleghi lo definivano un debole per questo. C è da meravigliarsi se proprio quelli che condannavano le maniere dell anziano signore più esplicitamente, erano quelli che ne avevano più vantaggio. Ma così succede sempre nel mondo. Infatti, il nostro Gábor Damos era timoroso, di notte non usciva mai perché aveva paura della gente cattiva, e anche di giorno frequentava solo i luoghi più popolosi perché aveva paura: dei cani. Quando l ho conosciuto come mio professore, il nostro signor Damos era un uomo tanto buono e semplice che sarebbe stato possibile tagliare il tabacco sulla 19

sua schiena. Eppure erano tempi particolari, quelli, e non favorevoli ai pusillanimi. La terra dove dobbiamo vivere e morire era in grave pericolo. Perché a questa terra appartiene anche l aria che noi ungheresi possiamo respirare solo se è libera e pura, se non è contaminata da nulla di straniero. Avevamo molto da lamentarci e queste lamentele hanno attraversato il paese, erano come grida tra le rocce, che più durano più aumentano. E alle nostre proteste quelli ai quali chiedevamo rimedio rispondevano con offese ancora più gravi. Allora è scoppiata la nostra ira, ci siamo sollevati e con il petto gonfio di furore abbiamo gridato agli altri: «Ci siamo, dunque. Eccoci. Si facciano avanti quelli che non vogliono concedere i nostri diritti e tollerare il nostro amore per la patria, scontriamoci pure!» Non hanno portato in giro la spada insanguinata come un tempo, è stato sufficiente issare la bandiera. Tutti gli ungheresi si sono subito radunati sotto. Hanno avvistato quella bandiera anche da lontano e al buio. L amore per la patria aguzza la vista, illumina la strada da percorrere. Forse non debbo nemmeno dire quando è stato. Tutti ricorderanno l anno. I vostri padri, cari lettori, hanno portato quella data a lungo sulla coccarda, sui cappelli, anche quando il calendario registrava gli anni già diversamente. Un anno che è diventato una frase. E che frase! Una parola magica che fa battere più velocemente il cuore e illumina il viso! La memoria torna a vivere, prima vede nuvole e lampi, poi solo nuvole eterne senza più lampi. La parola magica è 1848. Eravamo dei ragazzi ancora, stavamo in sesta. C erano pochi giornali e le notizie non arrivavano in fretta. Sapevamo solo per sentito dire della grande sollevazione popolare. Alcuni viaggiatori capitati a Selmec raccontavano qua e là qualche episodio che si diffondeva in un battibaleno fra la popolazione. La gente andava al confine della città per non essere disturbata dai rumori e tendeva l orecchio a terra per sentire il rombo dei cannoni in lontananza. C è una guerra da qualche parte, lontano. Il fondo del cielo era rosso di sera e il vento faceva arrivare la cenere da tre paesi di distanza. Villaggi lontani venivano bruciati Lo sapevamo, ne sentivamo parlare anche noi e anche nei nostri piccoli cuori batteva l amore per la dolce patria. Eravamo eccitati e cominciavamo a vergognarci perché il nostro compito era solo ripetere negli orti «Parve nec invideo» fino a impararlo a memoria Invidiavamo quelli che potevano stare sul posto, dove c era la gloria, il dovere, ma anche la morte. Uno splendido angelo, una signora pallida e un mostro terribile; Dio mio, quanto bene si potrebbe stare vicino a loro! Queste tre figure davano una forma diversa a tutto, solo il vecchio Damos era rimasto quello di sempre. Teneva le sue lezioni tutti i giorni, con la solita monotonia e pacatezza. Un giorno però entrando appariva insolitamente pallido. Salendo in cattedra non si è tolto nemmeno il suo lungo mantello blu come lo portava Kazinczy, che gli arrivava fino ai piedi e copriva anche le caviglie. Negli occhi brillava un fuoco particolare «È arrabbiato il vecchio cercavamo di indovinare -, oppure ha la febbre?» Come se stesse combattendo contro qualcosa, le labbra si aprivano, volevano parlare, sembrava voler liberarsi qualcosa dalla fronte, dagli occhi, ma sembrava ancora esitante, gli tremavano anche le mani come una foglia di pioppo e faceva cadere il libro che doveva servire per la lezione. Il rumore del libro lo ha fatto tornare in sé. Un allievo è saltato fuori dal primo banco e gli ha porto il libro. Il vecchio si sentiva visibilmente sollevato ha sospirato e timidamente restringendosi e tirando la testa in mezzo alle costole si è seduto, ha inumidito le dita e ha cominciato a sfogliarlo: - Dove dove stavamo? mormorava distratto e le dita tremavano ancora. Sfogliava e risfogliava le pagine, ma non riusciva a ritrovare il punto dove il giorno prima avevamo terminato la lezione. - Ai ai diceva irritato -, forse i gatti si sono mangiati quella pagina dell Iliade? Girava di nuovo le pagine. Lo osservavamo con tesa curiosità, cominciava a diventare una cosa strana. E all improvviso saltò su in piedi come un criceto e con la sua piccola mano diede un colpo rabbioso sulla cattedra. Eravamo quasi paralizzati per la sorpresa. Poi ha chiuso il libro adirato e ha detto con voce squillante (non dimenticherò mai le sue parole): - Ragazzi, ho messo via il libro, chiudetelo anche voi. Era così imperioso il tono che anche noi abbiamo chiuso i libri all unisono. - È finito il tempo dei libri. Tornerà di sicuro certamente tornerà. Ha tirato fuori il fazzoletto e con viso acceso ha asciugato le bollenti gocce di sudore, per proseguire con ancor maggiore convinzione. - Li riapriremo, ma fino ad allora dobbiamo fare noi un Iliade. Avete capito? Noi no, ma eravamo affascinati dal suo incredibile comportamento. Allora improvvisamente ha sollevato il mantello e il buon vecchio stava dietro la cattedra con l uniforme nera, con una larga spada al fianco. - Ora avrete capito tutto! L abbiamo capito. Saltavamo fuori entusiasti dai banchi e grida di giubilo uscivano dalle nostre labbra. - Chi viene in battaglia con me? tuonò. - Noi tutti, chiediamo solo di essere guidati. - Vi guiderò io, ragazzi miei. E ci ha guidato. Siamo partiti in ventiquattro, ma solo in cinque siamo tornati per riprendere là dove abbiamo interrotto. Lui non è tornato. È morto da eroe nella battaglia di Szélakna. Per noi scampati, il cielo di Omero è stato nuvoloso da allora Ma non continuiamo, altrimenti sicuramente finiamo nell atmosfera offuscata dalle nebbie dell Ossian. Traduzione di Andrea Rényi Roma - 20

György Szitányi (1941-) Gödöllő (H) STATO DI FATTO (Tényállás) L'alleanza da noi unisce il prescelto a Dio, ma in Oriente essa è un rapporto feudale; l'ospedale della Via Alleanza invece si trova a Erzsébetváros e non interessa a nessuno da chi abbiano preso il nome. L'infermiera comunicò al medico del reparto che la giovane donna sconosciuta aveva ripreso i sensi. Come si chiama? Che cos'è, dove mi trovo? Non lo vede? Lei è in ospedale. Come si chiama? Andrea Uccellatore 1. Perché non ha con sé la sua carta d'identità?, le domandò il commissario di polizia, questa è un'infrazione. La ragazza alzò le spalle. Perché voleva suicidarsi? Non lo volevo. Allora perché si trovava sui binari? Su quali binari? Non reciti, io voglio soltanto il suo bene, deve ammettere che questo è il mio lavoro. L'ammetto, la ragazza sbadigliò, ma non mi ricordo di niente. Su quali binari ero? Signor tenente, la paziente forse non è completamente ancora in sé. Ma sì, ribadì la ragazza. Ho mal di testa, ma capisco tutto, tranne quello che cosa sta succedendo qui. Andrea, dica, che cos'ha fatto la sera? Che cosa ricorda? Ero a una festa, mi sono ubriacata, e non so di più. Ma pure ricorda qualcosa? Mi sono addormentata, questo è sicuro, perché ero ancora sveglia quando mi hanno trasportata in un'altra stanza e mi hanno fatto coricare. Sto da cane. Vuole riposare? No, ho solo detto, perché mi gira la testa. Va bene, Andrea, allora mi dica, da quando sa di essere incinta? Da una settimana, penso. Che tipo di droga assume? Nessuno. Guardi, non ne farò un problema Dobbiamo chiarire questo, intervenne il medico, per non curarla in modo errato. Lo capisco, ma non prendo niente. In che tipo di festa era? È piena di ustioni, le sue mani ed i suoi piedi erano legati con un filo di rame, come un'animale da sacrificio. Le palpebre della ragazza battevano. Comincia a ricordare?, attaccò il commissario. No!, ella rispose improvvisamente e con un tono tagliente. Non so di che cosa parla. Il medico sollevò improvvisamente le gambe della ragazza. Le vede? Ferite d'ustione causate dalla corrente elettrica. L'ematoma si è invece formato quando l'hanno legata con i fili ai binari ferroviari. Oppure se stessa si è legata? L'hanno però portata qua con sintomi di avvelenamento. Non so niente, sostenne Andrea Uccellatore. Sono al secondo giorno. Dov'è la mia roba? Non ha niente. Lei era nuda quando l'hanno trovata. Voleva suicidarsi in questo modo? Ha preso qualcosa, si è torturata con la corrente, poi si è legata da se stessa ai binari sapendo di essere incinta. Così voleva far fuori il nascituro? Non poteva fare tutto questo da sola. Chi era il suo complice? Voi non capite niente, Andrea sbadigliò. Ero con Zsolti, lui ora e mio amico, ma non è padre del bambino. Voglio dormire. Zsolt Colomba 2 ha ventiquattro anni. Non mi ho mai incontrato una persona con un nome così soave, disse il commissario amichevolmente. Siamo andati ad una festa, perché era triste. Rapporto? Soltanto quando avevamo voglia di questo. Ha detto che era incinta? Io non lo sapevo, ma non è da me, io sto attento. Quando ho visto che era fatta l'abbiamo portata a dormire. Forse a causa del suo stato di gravidanza, è terribilmente sensibile. Bere così OK, ma drogarsi no. E neanche il bambino. Per questo mondo? Sa che cosa sarò quando finirò gli studi? Un giovane al primo impiego disoccupato. Da dove potrei prendere danaro per la droga? Il bambino però non lo voglio. Il nascituro è ancora vivo. Per l'interesse del piccino dobbiamo sapere la verità. La verità è la stessa totalità infinita, quella inconcepibile, rispose il giovine e volò fuori dalla finestra.* * Traduzione riveduta della novella di György Szitányi (Cfr. Osservatorio Letterario 43-44/2005: http://xoomer.virgilio.it/bellelettere2/galleria43-44.htm ) 1 e 2 Traduzione letteralmente del cognome «Madarász»: Uccellatore. L Autore per gioco poetico utilizza i nomi cosiddetti «parlanti»: Galambos = Di Colomba (io uso nella traduzione soltanto la parola Colomba) e Madarász=Uccellatore. Traduzione (riveduta) di Melinda Tamás-Tarr Melinda Tamás-Tarr Ferrara FIABA DELLA SERA: LEGGENDE POPOLARI UNGHERESI IL RE MÁTYÁS ED IL MAESTRO-CANTORE Durante il suo regno il re Mátyás spesso vagò per l intero paese travestito, nessuno lo riconobbe. Una sera egli arrivò in un paesino. Entrò nell osteria per chiedere alloggio per la notte nel posto migliore. L oste gli disse: «In questo paese si può trovare l alloggio migliore dal maestro. Egli ha una famiglia numerosa, è un uomo povero, ma con un cuore d oro. Provi da lui, forse egli può ospitarla.» Mátyás andò dal maestro. Egli l accolse con gran calore e gli offrì l alloggio. Poi chiese al re: «Ha fame?» Il re Mátyás gli rispose: «Eh, sì, non ho la pancia piena!» Allora il maestro chiese permesso di uscire un attimo. Corse all osteria, comprò un po di ricotta amara, un po di salsiccia, un po di lardo con peperoncino ed alla fine un po di pane morbido. Tornò a casa con la spesa, sistemò i cibi su un piatto aggiungendo un po di verdura sott aceto e portò tutto all ospite. Cenarono entrambi. Dopo la cena parlarono un po della vita del paesino, del magro stipendio del maestro e poi si ritirarono a dormire. Il re Mátyás s'alzava sempre molto presto, anche stavolta fece così e si avviò direttamente all osteria. Entrando nel locale girò gli occhi e scorse la giacca del maestro-cantore appesa al muro. Il re la riconobbe: infatti egli l indossava quando lo aveva accolto a casa 21

sua. Mátyás si rivolse all oste: «È in vendita questa giacca?» «No, signore. Il cantore ieri sera l ha lasciata in pegno perché doveva fare la spesa per dar da mangiare ad un suo ospite.» Quando Mátyás ritornò a Buda nel suo castello, scrisse subito una lettera al maestro-cantore chiedendogli di presentarsi a corte. Il maestro si spaventò molto e si chiese: «Che cosa vuole da me il re? Come può conoscermi?» Il maestro col cuore in gola si preparò per il lungo viaggio. Nel frattempo il re Mátyás invitò i suoi nobili a presentarsi al castello e ordinò loro: «Miei cari signori, vi chiedo di mettere nella tasca interna della vostra giacca una cifra notevole, secondo la vostra possibilità! Sappiate, al pranzo sarà presente un signore. Dopo il pranzo io ballerò con quest uomo e vi prego di imitarmi!» Il maestro arrivò esattamente all'ora di pranzo. Tremava dalla paura al pensare di cosa gli sarebbe successo. Provò un grandissimo spavento quando seppe dal re che avrebbero pranzato insieme. Dal timore il povero cantore stuzzicò appena i cibi. Mátyás l'invitò frequentemente a mangiare ed a bere il magnifico e famoso vino «Aszú di Tokaj», detto brevemente «tokaji». Verso la fine del pranzo una banda di virtuosi musicisti tzigani iniziò a suonare le melodie focose della czardas, una danza popolare. In quel momento il re s'alzò, tolse la sua giacca e l appoggiò sulle spalle del maestro ed iniziò a ballare. Tutti i nobili presenti al pranzo seguendo l esempio di Mátyás tolsero la loro giacca, lo sistemarono sulle spalle del maestro e ballarono con lui. Il povero cantore dal peso delle giacche, con i soldi nelle tasche, quasi crollò: fece fatica a stare in piedi. Alla fine della danza il re Mátyás chiese al maestro: «Ricorda quella sera quando lei ospitò un vagabondo nella sua casa? Quando lei per dar mangiare al suo ospite lasciò in pegno la sua giacca all oste in cambio di alimenti? Sappia, caro maestro, quel vagabondo ero io: lei ha dato alloggio e cibo proprio a me. Per questo suo nobile gesto adesso tutte queste giacche che contengono denaro sono sue! Ed ora finché lei vivrà, non avrà più bisogno di lasciar la sua giacca in pegno. Ora, in nome del buon Dio, torni a casa e non dimentichi il re Mátyás! Fonte: Da padre a figlio I-II vol. di Melinda Tamás-Tarr, Edizione O.L.F.A., Ferrara, 1997/2002/2003, Versione digitale: http://mek.oszk.hu/00800/00868/index.phtml 22