Laboratorio della fede don Mario Russo. Paolo. 26 gennaio 2007 Gesù Cristo mio Signore (Filippesi 3,3-14)



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Laboratorio della fede don Mario Russo Paolo 26 gennaio 2007 Gesù Cristo mio Signore (Filippesi 3,3-14) E la lettera più solare di Paolo dal punto di vista delle relazioni la più bella. Pur essendo rimasto poco a Filippi (città della Macedonia e colonia romana, era gia stata evangelizzata da Paolo durante il secondo viaggio nell anno 50. vi passò nuovamente in due occasioni durante il terzo viaggio, nell autunno del 57 e nella pasqua del 58), qui Paolo ha impiantato una Comunità che resterà a Lui sempre fedele; é il motivo per il quale questa è l unica Comunità dalla quale accetterà aiuti economici (cap. 4). I filippesi sono in prevalenza Gentili e vivono con Paolo un rapporto senza fraintendimenti. Perché scrive? 1. Intende rafforzare la fede e l adesione al Vangelo; anche a Filippi stanno per arrivare gli oppositori di Paolo con i quali ha un rapporto di non carità ( 3,2 ) Cap.3 = Questi oppositori predicano l adesione alla legge. 2. Scrive per ringraziare i filippesi = per l aiuto economico che gli hanno fatto pervenire in prigione forse ad Efeso. 3. Cap.4 = Tuttavia nella Comunità ci sono fratture interne (e non fratture con Paolo) Fil. 2,5b-11=Inno E una perla in un intarsio; un testo poetico bellissimo che Paolo indirizza alla Comunità. Quest inno irradia tutta la lettera nella quale Paolo passa dalla professione di fede Cristo Gesù all aggiunta frequente di Signore che esprime l elemento nuovo e caratteristico in filippesi. E al di sopra di ogni altro nome è Kurios ma soprattutto, lo vedremo, per Paolo sarà il mio Kurios. Dal punto di vista esegetico gli esperti ormai concordano quasi all unanimità, che l inno è pre-paolino; divergenze invece ci sono rispetto al contesto della lettera. DIVERSE POSSIBILITA CONTESTO BATTESIMALE= Si parla di abbassamento innalzamento ; umiliò se stesso-dio lo esaltò

CONTESTO MARTIROLOGICO= o di professione di fede; di fronte al re romano o pagano che ha il titolo di Signore, per i cristiani l unico Signore in cielo sulla terra e sotto terra è Cristo. CONTESTO EUCARISTICO= Gesù si è umiliato fino alla morte di croce; noi cristiani viviamo questo nell Eucarestia. Il commento più bello di questo inno lo troviamo nel Vangelo di Giovanni: la lavanda dei piedi. Quale dunque il contesto dell inno e dunque della lettera? 1. Non può essere quello battesimale perché non conosciamo se nel I sec. il battesimo si svolgeva per Kenosi-innalzamento e inoltre non c è nessun riferimento esplicito al battesimo né richiamo ad elementi di esso (ad es. Acqua); 2. non è nemmeno eucaristico anche se è suggestivo il rapporto con Gv 13 (Gesù Kurios lava i piedi); questo perché nei testi eucaristici c è sempre un espressione del tipo per voi per molti. L Eucarestia è segno di servizio-comunione qui non si fa riferimento; 3. il contesto è quello martirologico; troviamo infatti il linguaggio della professione di fede (Exomologhesi) ogni lingua proclami proclamare cioè di fronte a tutti che Gesù è Signore. Dall inno ai Filippesi si da senso e significato all umiltà cristiana che non è autodistruzione di sé ma è conformazione a Cristo crocifisso, icona e modello di vera umiltà. Se il mistero Cristiano si fonda non su un qualcosa ma su un qualcuno, una persona Gesù di Nazareth, risulta allora decisivo nel percorso di fede porsi la domanda su chi sia egli per me. Questa stessa domanda fu posta da Gesù ai suoi discepoli, presso Cesarea di Filippo : Chi dice la gente che io sia?... voi però chi dite che io sia? (Mc 8,27.29) A Paolo la domanda non fu mai posta direttamente da Gesù, giacché non lo ha mai incontrato per le strade della Galilea, ne è appartenuto al gruppo dei discepoli della prima ora. Tuttavia dalle sue lettere traspare che la domanda dovette accompagnarlo per l intero arco della sua esistenza, nei periodi di scoraggiamento e di consolidamento della fede. LETTURA FILIPPESI 3,3-14 Ci troviamo di fronte al testamento spirituale di Paolo siamo verso la fine della sua esistenza terrena e in situazione di prigionia, e la domanda su chi sia Gesù Cristo per Lui si fa insistente intensa di una intensità che non trova paragoni nei restanti scritti del Nuovo testamento.

In questa lettera-testamento inviata alla comunità di Filippi, in Macedonia, Paolo si è gia posto la questione sul valore di Gesù Cristo per Lui così infatti scrive alla stessa comunità, proprio all inizio della lettera Per me infatti il vivere è cristo e il morire un guadagno (Fil 1,21). Adesso sembra riprendere con più calma questa folgorante affermazione, per approfondirne e spiegarne il significato. Per Paolo Cristo non è una persona del passato, ma uno che vive anzi il vivente. Per Paolo Cristo non è soltanto la sua vita ma il suo vivere. Qualcosa di simile lo si riscontra nella lettera ai Galati : Vivo, ma non più io: vive in me Cristo; e il presente che vivo nella carne, lo vivo nella fede del figlio di Dio che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. (Gal 2,20) Per Paolo, il vivere è Cristo, perché questi vive in lui nel suo corpo, nelle sue vene, nei suoi pensieri e nel suo cuore. Queste parole così ricche di amore, Paolo le indirizza a Cristo, ad un ventennio circa dalla sua morte e resurrezione. San Giovanni Crisostomo, commentando queste espressioni di Paolo, affermerà che veramente il cuore di Cristo è diventato il Cuore di Paolo. Per descrivere la propria relazione con Cristo, Paolo utilizza un linguaggio che potremo definire economico-commerciale, per il quale un posto di rilievo è occupata dagli investimenti economici. Chi gioca in borsa sa bene che è posto di fronte ad una alternativa fondamentale: perdere o guadagnare! Comunque rischiare. Non c è ulteriore possibilità o via di mezzo. Così, nella relazione con Gesù Cristo è come se Paolo avesse posto a repentaglio tutti i propri averi, soprattutto i beni o i titoli acquistati nel periodo di osservanza della legge Mosaica. Nella carriera della religione ebraica, questi titoli assumono un valore altissimo e proprio questi titoli, con un colpo di spugna, sono cancellati a motivo e a favore di Gesù Cristo, suo Signore. Ci troviamo di fronte alla pazzia di Paolo per Cristo! Chi mai sarebbe disposto a rinunziare ai propri titoli di onore e di carriera per un Crocifisso? Per uno che sulla croce è deriso come maledizione (cfr Gal3,13), povero (cfr 2Cor 8,9) e persino peccato (cfr 2Cor 5,21)? Se Paolo fa tutto questo se rinuncia a tutto se rischia è perché ha vissuto l esperienza di un incontro! Soltanto chi sa rischiare può scegliere di investire la propria esistenza su Cristo che, in tal caso, diventa l unica ricchezza mentre il resto non si riduce che a spazzatura. Se Paolo fosse stato interpellato a Cesarea di Filippo, su chi era il Nazareno per lui, quasi certamente avrebbe risposto personalizzando o facendo propria la professione di fede della comunità cristiana delle origini: per Paolo egli non è soltanto Gesù di

Nazareth, suo contemporaneo vissuto nella Palestina del I secolo, ne semplicemente il Cristo, il Messia o l unto d Israele profetizzato nell Antico Testamento ma Gesù Cristo mio Signore. La lettera ai Filippesi contiene una perla di rara bellezza, che rappresenta al tempo stesso il fondamento, la pietra angolare su cui essa è costruita. CI RIFERIAMO ALL INNO DI FIL 2,5-11. ASCOLTIAMOLO Fra gli studiosi sembra ormai quasi acquisito che l inno non sia stato scritto per la prima volta da Paolo, ma che sia stato composto nelle comunità cristiane delle origini, forse in contesto di martirologio o di testimonianza della fede, e che gli sia stato trasmesso successivamente. Ora, il momento culminante dell inno non si riscontra nella prima parte, ossia nell itinerario di annientamento o di Kenosis che Gesù compie dalla sua condizione divina alla morte in croce (cfr Fil2,5-8), bensì nel nome che Dio gli conferisce e che induce ogni ginocchio, nei celi, sulla terra e sotto terra a prostrarsi e che ogni lingua è destinata a proclamare(cfr Fil2,9-11). Il nome di cui si parla è Gesù Cristo Signore dove l accento cade su quel Kyrios che esprime anzi contiene il motivo della nostra prostrazione in quanto professione di fede anche a rischio della nostra stessa vita. Ritornando al primo brano ascoltato (Fil3,8), capite ora perché Paolo afferma Tutto reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù mio Signore? Il dinamismo e la forza di questa espressione, tuttavia, la ritroviamo in quel pronome possessivo mio! Dire che Gesù Cristo è il Signore, il titolo conferito a Dio stesso nell Antico Testamento quando si trattava di tradurre dall ebraico nella versione greca dei LLX il tetragramma sacro YHWH, è gia sbalorditivo, in quanto si riconosce che Gesù Cristo partecipa della stessa signoria di Dio. Altrettanto sorprendente è che lo stesso titolo Kyrios, attribuito a Gesù Cristo sia utilizzato, nel periodo imperiale (sec I-III d.c.), nei confronti dell imperatore romano per riconoscerne la divinizzazione. Il vero Signore per i credenti non è Claudio o Nerone, per citare gli imperatori principali del I sec d.c., bensì Gesù Cristo. Con il pronome mio si stabilisce una relazione di coinvolgimento radicale totale rispetto al gia strabiliante Gesù Cristo il Signore dato a uno che muore in croce. Qualcosa di analogo si verifica durante l incontro tra l apostolo Tommaso e il Risorto, nel cenacolo; soltanto dopo aver posto la mano nel fianco trafitto di Cristo, egli può esclamare con stupore: Mio Signore e Mio Dio (Gv 20,28). In quel pronome, insomma, è raccolta tutta la consistenza della testimonianza cristiana, giacché si diventa testimoni non su quanto altri hanno gia visto e conosciuto,

bensì su quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che noi contemplammo e quello che le nostre mani toccarono del verbo della vita la vita infatti si manifestò, noi l abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era con il padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. (1Gv 1,1-3). Fino a quando non utilizzeremo il pronome possessivo e di relazione mio rispetto a Gesù Cristo il Signore, non potremo mai sostenere di conoscerlo : sarebbe soltanto un sentito dire che passa attraverso duemila anni di cultura cristiana nell occidente (che ci è stata trasmessa, se abbiamo avuto la fortuna, da genitori cristiani; e che ripetiamo a parole, senza renderci conto del significato). Conoscere Cristo significa essere coinvolti in una relazione personale e totalizzante che interpella l intelligenza, gli affetti e la volontà e che, in quanto tale, diventa interminabile. Non basta una vita, insomma, per conoscerlo! Quando si ha il coraggio di inserire il pronome mio nella professione di fede della chiesa, si è nella condizione di scrivere un quinto Vangelo, che non si sovrappone ai quattro, ma al contrario si intravede e scaturisce da essi. Uno dei romanzi più ingiustamente dimenticati del XX sec. è Il quinto Evangelio di Mario Pomicio: si dice che all interno dei quattro Vangeli noti è come se ce ne fosse uno ancora sconosciuto. Ma ogni volta che la fede accenna a riferire è segno che qualcuno ha intravisto quel Vangelo. Nonostante la vecchiaia e la prigionia, quella di Paolo è una corsa interminabile verso la mèta per ricevere il premio che Dio gli ha riservato. La TV ci ha abituati ad assistere a olimpiadi sempre più avvincenti e spettacolari. Quanta preparazione è necessaria per parteciparvi eppure solo in tre giungono al podio per la medaglia! I giochi olimpici erano gia diffusi nel I sec.d.c., nell ambiente ellenistico che Paolo respira e che lascia trasparire dalle sue lettere: Non sapevate che nelle corse allo stadio tutti corrono ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta: faccio il pugilato ma non come chi batte l aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato (1Cor 9,24-27). La sua esistenza è dunque come una corsa ad ostacoli verso un premio che nessuno ha mai pensato di raggiungere: Gesù Cristo stesso è la sua corona d alloro la sua medaglia d oro. Per fare questo è necessario, per Paolo, non voltarsi mai indietro neppure per un attimo, con sentimenti di nostalgia per quanto si è lasciato alle spalle.

Se durante una corsa olimpica un atleta si volta indietro, anche solo per pochi istanti, rischia di essere risucchiato verso gli ultimi e di non raggiungere il traguardo. Anche noi spesso siamo colti dalla nostalgia verso il passato, soprattutto rispetto a quanto avremmo potuto realizzare in un esistenza diversa da quella che ci tiene uniti a Gesù Cristo anche noi abbiamo titoli di onore che costellano la nostra carriera sociale, politica o lavorativa. Ma tutto, stando a Paolo, per quanto possiamo considerarlo positivo dal versante umano, appartiene alla spazzatura del mondo, che non ci realizza in profondità ne tanto meno rende l esistenza degna di essere vissuta. Dobbiamo guardare in avanti, dunque! Verso il futuro che Dio riserva per coloro che hanno investito tutta la propria esistenza per Cristo. Correremo per il premio, se ci lasciamo conquistare da Lui o come ha tradotto Mariano Magrassi, in un suo testo dall omonimo titolo Afferrati da Cristo. Martin Lutero dirà che quello di Cristo è Un Amore che conquista. Ricordiamolo bene tutti Il Regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo; poi va pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo (Mt 13,44). Per Paolo il tesoro è il Vangelo o Gesù Cristo stesso una ricchezza inestimabile per cui vale la pena spendere tutto ciò che si è e si possiede; e il campo non si trova fuori, bensì in noi stessi, nella vita interiore, dove la scrittura si trasforma in parola viva che parla di Cristo. Una delle più grandi testimoni di Gesù Cristo, Madre Teresa di Calcutta, così risponde alla domanda di Cesarea di Filippo Ascoltiamo Prima o poi la domanda rivolta da Gesù ai discepoli, sulla sua identità, è destinata a diventare nostra; e tutti abbiamo la nostra Cesarea di Filippo da raggiungere: non possiamo andare oltre senza attraversarla!