Daniele Lembo. Salvatore Di Giacomo è morto, Ferdinando Russo pure e anche io non mi sento tanto bene



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Transcript:

Daniele Lembo Salvatore Di Giacomo è morto, Ferdinando Russo pure e anche io non mi sento tanto bene

Una breve raccolta di cosucce mie. Definirle poesie è troppo, veramente troppo. Le dedico a Salvatore Di Giacomo che scoprii a tredici anni, e a mio padre, uomo di grande cuore, grazie al quale incontrai Di Giacomo e i poeti napoletani. Don Salvatore, che mi fece sognare allora, mi fa sognare ancora oggi che ho superato la cinquantina da un pezzo. Assieme a lui, mi hanno condotto per mano nella mia educazione ai sentimenti, gente come Ferdinando Russo, Libero Bovio e tanti altri che non è possibile qui elencare. Era gente che parlava e scriveva nello stesso idioma della mia infanzia che è, poi, l identica lingua del cuore. E il linguaggio nel quale penso, ma che sono poi costretto a tradurre in italiano, per esprimermi e farmi capire. Differente è per i sentimenti, quelli più belli, quelli più intimi, è il cuore che li detta e si può usare solo la sua lingua per raccontarli. Strana epoca la nostra, si parla tanto di educazione sessuale senza mai pensare che, forse, l educazione sentimentale sarebbe molto più importante. All educazione alle vicende del cuore, abbiamo preferito l addestramento alle faccende della carne. Sono tempi da macellai i nostri. Nella speranza che mio figlio Matteo legga e che queste povere cose che scrivo gli siano compagne per la vita. Daniele Lembo

E FEMMENE SO TUTTE PASTICCIERE Che bella cosa ca si Tu nun si na femmena, si na jurnate e sole dinto a nu friddo e core, si na refola e viento dinta a na jurnate e calore, nu surso d acqua fresca. Tu nun si na femmena, tu si o buattolo do zucchero, o bancone do pasticciere, nu cartoccio e sfugliatelle. E tutte e cose doce tu si a chiù bella overo. E chi mo diceva a me ca into a sta pasticceria nce mettevo pere? E mo ca so trasuto e chi nce jesce chiù. Io voglio fa a fine de vescove e na vota. Loro se facevano atterrà dinto a chiesa? E io voglio essere atterrato ca dinto. E che moro? Voglio murì do zucchero ca tiene ncuorpo tu. Se chiamme diabete? E a me che me ne fotte! Io moro allero. Che bella malatia ca si tu. na refola e viento: un soffio di vento. nce mettevo pere: ci mettevo piede, nel senso di ci entravo. a fine de vescove e na vota: la fine dei vescovi di un tempo. Loro se facevano atterrà: loro si facevano sotterrare.

ABBANDONO E mo ca te ne juta e sulo me lassato, n astregno chiù sti braccie, nun vase chiù sta vocca. Me ditto nun è cosa, o sapive ca era fernì, po ne ditto niente chiù e me lasciato friddo la. Che doce so e bucie ditta a chella vocca toia, dimmelle n ati doie, nun me fa chiù spantecà. Ma che te costa e me fa felice ancora? e me da nu poco e doce pure si po stu doce addeventa veleno dinto o core. Pecchè cu stu piglia e molla, sorella bella cara, stu zucchero ca me daie io o pago triste e amaro. Allora si decisa? Si fredda e irremovibile? Cocchiè avota a carrozza e jammuncenna a ca. Mettimmo o viento in poppa, spieghiamo le vele al vento, navighiamo a cuor contento e qualcun altra felici ci farà. spantecare: soffrire, stare sulle spine. Si usa per indicare il male d amore. Cocchiè avota a carrozza: cocchiere gira la carrozza.

ABBANDONO ATTO SECONDO E mo ca te ne juta e sulo me lassato, o cazzo nce cacato ma nun te fa vedè chiù. Tu dice ca chill ato è bello tuosto e frisco, mentre io so sereticcio, ca panza e nu poco demodè. Peccerè, io m aggio pigliato o peggio: vint anni e matrimonio, in cui m è stirato a uallera e m e fatto e palle blu marè. All inizio è stato triste, nun m aggio pigliato allera, ma mo capisco e carcerate quanno iesceno e galera. E visto ca ce stammo, Gesù so cose e pazze, a quanne te ne juta me se ntosta n ata vota o Sereticcio: stantio.

LÀ PER LÀ Madonna comme chiove e scenne st acqua a cielo e tutto chestu gelo me trase dinto e vene, a quanno me lassato e aggio perso ammore stu core puveriello nun trove chiù calore e nun vo arraggiunà. E intanto l acqua trase e perce tutte e vestite, me trase ncuorpo oi bella, Madonna che tragedia se fatta chesta vita, cu te ca te ne juta e io stongo senza mbrello. Truvasse almeno apierto nu portone, addò me putesse schiovere e nu poco arreparà, ma pure e guardaporte se songo fatte tuoste e core e e chisto ammore nfuso nun proveno pietà. Ca ce vulesse nu miracolo do cielo, ca o core me scarfasse là per là. Che vedo che s avanza, ma che signora fine e tene pure o mbrello è l angelo e stammatina. Signora deliziosa, guardate stongo nfuso, me disseve nu passaggio? Salvatemi per carità. Che dite dove andate? Ah! andate dal dottore, e allora se permettete vi accompagno, che ho tanto male al cuore. Perce: attraversa. Nfuso: bagnato.

A FATA DE SUONNE Quanno diceno nu femmenone, io penso proprio a te. Perchè quanno iesce pa via, te giurò nun te se po guardà. Si e suonne putessero piglià forma, se pigliassero e carne tuoie e si e suonne putessero vasà vasassero cu sta vocca ca tiene. Se blocca o traffico, iesceno pazze e semafore e e criature cadono a coppe e biciclette, chesta si tu, nu pericolo stradale, nu suonno bello, ca tene carne e vase. Si o suonno ca tutte se vulesseno sunna, si venuta nsuonno proprio a me, e tutte l ate hanno voglia e putè schiatta. forse nun si neanche overa, tu si a fata de suonne. Vase: baci, (così come vasà sta per baciare).

A GELUSIA CA PROVO PE TE A gelusia, avissa sapè che è a gelusia, è chella ca provo ogni vota ca penso a te, tu dice ca nun to mierete, cumpagna mia e io, pe nun te fa suffrì, nun to dongo a vedè. A gelusia, è chella ca provo amica mia ogni vota ca te veco e ridere cu nato, comme si t avesse fa ridere sul io pecchè vulesse ca nisciuno te desse chiù gioia e me. Sapisse e vote che aggio sufferto a te vedè e ascì da casa, e notte che m aggio scetato a dinto o suonno, sulo pecchè m ero sunnato ca cu n ato te ne ire juta. A gelusia nun ma spiego e nun me da pace, è sufferenze e l anima, è mossa e core, stammo assieme a tant anne e nun me faccio capace e nun me spiego che è st ammore. A gelusia è chesta, mugliera mia, ce sta poco a dicere, poco a pensà è quanno me sceto, ogni matina, te guardo e penso che bello suonno ca è, speriamo ca nun se ne và. A gelusia è mossa e core E nun se spiega, comme nun si spiega ammore. È mossa e core: è un movimento del cuore. Nun me faccio capace: non trovo ragione

SANTITÀ A primma vota ca taggio vista era e dummenica matina, cammenave po corso e ncuollo tenive chillo vestito russo. Chesta non cammina sfila. Che m era capità a me, chella matina, m impressiunaste tu, co passo e na reggina. Fu nu mumento e pensai sarebbe veramente bello mettere chillu vestito russo ncoppa a na stampella e essa, chiaramente, vicino a me Va sa qua santo m avetta senti? Va sa qua santo m avetta accuntentà? O fatto po è succieso e ca so state e sante è cosa certa, pecchè io stongo nparaviso e chi sta meglio e me! mettere chillu vestito russo ncoppa a na stampella: mettere quel vestito rosso sopra un attaccapanni.

BRUTTA COSA L INSONNIA Stanotte a dinto o suonno m aggio scetato e nun stivi chiù vicino a me. Madonna aggio pensato, se ne juta, e sulo, sperzo, dinto a stu lietto, m e lassato. E mò che faccio, m avizo o m addurmento n ata vota? E si essa nun ce sta chiù e che m aviza a fa? Dorme? e che vuo durmì cu stu pensiero ca gira dinta a capa, chella nun torna e io senza e essa nun pozzo chiù campa. E mente faceva sti pensiere pe dinte e cerevella, si turnata n ata vota, cu l acqua mana a dinta a cucina e te stesa longa vicina a me, comm ire bella Mo dormo? E che dormo a fa, e chi po chiù durmì, ca è turnata a felicità Sperso: smarrito.

SPIEGAZIONE O NINNO CA STA A NAPULE E femmene, bello e papà, nun te sta a scunferà, so essere difficili nun so fatte comme a te. Tu si masculo e ne si uno, dinta a ognuna e loro ce ne stanno ciente. So mamme, sore, cumpagne, so mugliere e songo amante, so sante e so maronne, so zoccole e puttane. E tutto chesto o truove, semmaie inta a na femmena sola, so comme a na fruttiera cu frutta e ogni stagiona. A CIA Son Abilità e a toia, a mieze a chelli pesche, crisommele e banane a ne sapè fa ascì o meglio, perché chelle, to vonno da o meglio dinte e mane. Pe affruntà a vita è poco in verità, ma io chesto saccio e chesto te dico, bona furtuna bello e papà. nun te sta a scunferà: non starti ad avvilire. Crisommele: albicocche.

A UNA BELLA SIGNORA CHE MI DICEVA CHE NON POTEVO CIATTARE SU FACE BOOK, COME UN TEENAGER, PERCHÈ HO OTTANTA ANNI, LA PAPOSCIA E SONO SENZA CAPILLE Signora bella vestita di bianco, con una mano sulla testa e l altra sul fianco non ho ottanta anni e la paposcia, perchè dicasi paposcia la roba moscia, forse a voi non vi consta, ma qui la roba è ancora bella e tosta. Riguardo gli ottanta anni e senza capille, adesso io un segreto a voi vi svelo: l interesse qui è per tutt altro pelo. Son poche le idee, son poche ma chiare e ne ho ancora di acqua da navigare. Perchè nel cervello, che vuol che le dica, ho un sol neurone che urla: viva la fi... viva la fi Signora bella di bianco vestita, non ammosci la uallera, se no io le dico dove infilarsi le dita. La paposcia, altrimenti detta uallera sarebbe l ernia scrotale, ma in senso figurato fa riferimento a un sintomo di vecchiaia, inefficienza fisica ecc. La forma più usata è vecchio paposciaro o vecchio uallaroso. Capille: capelli

Daniele Lembo è nato nell aprile del 1961 a Minori (SA), in Costiera Amalfitana. Nato sotto il segno dell Ariete, ascendente vergine (ma non per colpa sua), è laureato in Scienze dell organizzazione e dell amministrazione ed è pubblicista e saggista storico. Appassionato di studi storici sul secondo conflitto mondiale, è autore di varie cronache sull argomento. Nell anno 2011 ha esplorato un nuovo genere letterario, dando alle stampe una singolare autobiografia dal titolo Nascere sotto il segno della zoccola. Di lui si potrebbero narrare tante cose ma in sostanza, come afferma sua moglie, basta dire che Daniele è solo uno che ha tempo da perdere.