Domenica. L Italia di Pasolini. di Repubblica. Repubblica Nazionale 25 25/09/2005



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Domenica La DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 di Repubblica l inchiesta Così le idee diventano automobili VALERIO BERRUTI e SEBASTIANO MESSINA i luoghi Anatolia, al crocevia delle civiltà FRANCO MARCOALDI L Italia di Pasolini Il viaggio del poeta nell estate del 1959 da San Remo a Trieste per raccontare il paese delle vacanze. Un reportage con alcuni brani inediti, che ora sono stati ritrovati e che anticipiamo Repubblica Nazionale 25 25/09/2005 PIER PAOLO PASOLINI I poveri pidocchi (Napoli, luglio) Esco dal ristorante, mi adocchiano ma non si fidano: vesto con una maglietta, i calzoni americani bianchi Lee e ho i capelli tagliati corti: sono incerti. Ma poi il più piccolo di tutti, un mostro, poverino, senza testa senza gambe senza braccia, senza corpo: solo con due scarpe sfondate e con una bocca, mi si mette davanti, in coda alla ganga: mette una mano dietro la schiena, la tende aperta, e chiede: «Dieci lì, dieci lì!» Gliene do cinquanta. È fatta: l esercito dei poveri pidocchi mi è attorno: riattraverso il ponte seguito da loro: il venditore di rose anche lui, speruto (ansioso) di guadagnare qualcosa, ci rifà: «La vita è dura, signorì!» Sotto l acqua ribolle, vecchia come il mondo: con una puzza di pesce che accora. Via Caracciolo davanti è una carambola. Tutta Napoli intorno al golfo è solo una pioggia di lumi in infinite ghirlande. «Dieci lì, dieci lì!» «Cinguanta lì!». In capo al ponte, un cocchiere afferra uno dei pidocchietti che, sollevato da terra, dimostra gli anni che ha, cioè ormai sedici diciassette: è un nano. Messo a sedere sul muretto e sbatacchiato a colpi sulla capa, si mette sul tono malandrino, parla come un avvocato, come Marotta: «Io songo piccolo!» Fa la faccia del cinque e tre otto, del mariuole e mezzanotte: la furberia guappa e inespressiva: «Songo pìccolo» (con un fortissimo accento sulla i) «Songo nano! Tutti nella famiglia mia siamo nani!» Passa lenta per via Caracciolo una scartellata (auto della polizia), seguita subito da una urtulella (jeep). Le facce diventano ilari. Tutti sono lì innocenti a pigliare il fresco. Un nacannella (sfruttatore) lì accanto, davanti al Santa Lucia, fischietta: Na frangetella e nuvole na vranca e stelle chiare... Il piccolissimo delle dieci lire parte a razzo, a testa bassa, pieno di energia come un pazzo, assale una coppia di capitalisti tedeschi, lui in kaki, con cappello a larghe tese, lei con un truce vestito stampato a fiori verdi e celesti, con due gambe che sembrano vasi da fiori: non li lascia finché non gli ha strappato una moneta: con la moneta stretta in pugno, senza vedere se si tratta di un pataccone, di un centone o solo di dieci lire, schizza verso il nano: e gliela dà. Il nano è il capo: gli altri, di sei sette anni, lavorano per lui. Passa con la gamba corta, il calzone largo alla pulcinella e delle meravigliose magliette, una ganga di paladini (ragazzi di vita): cantano a squarciagola: Na frangetella e nuvoleee na vranca e stelle chiare... GLI ALTRI BRANI INEDITI NELLE PAGINE SEGUENTI CON I SERVIZI DI LAURA LILLI e ENZO SICILIANO cultura Il mio mondo desolato dalla A alla Z MICHEL HOUELLEBECQ la lettura Graffiti, la rivolta delle città a colori AMBRA SOMASCHINI e VITTORIO ZUCCONI spettacoli Rock, le facce che diventano icone ERNESTO ASSANTE e EDMONDO BERSELLI l incontro Wim Wenders: addio Usa, torno in Germania LEONETTA BENTIVOGLIO FOTO PAOLO DI PAOLO

26 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 la copertina Strada di sabbia È l estate del 1959, il poeta percorre a bordo di una Fiat Millecento la Penisola da San Remo a Trieste e per la rivista Successo racconta l estate degli italiani. Per motivi di spazio alcune parti del reportage vengono tagliate: ora, grazie alla ricerca di un fotografo francese, quei brani sono stati ritrovati e saranno pubblicati in un libro. Di cui anticipiamo gli inediti È il 1959, Pier Paolo Pasolini ha appena pubblicato il romanzo, Una vita violenta, e in estate per la rivista Successo intraprende assieme al fotografo Paolo di Paolo un viaggio in auto lungo le coste della Penisola per raccontare le vacanze degli italiani. Il reportage sarà pubblicato nei numeri di luglio, agosto e settembre con il titolo La lunga strada di sabbia e poi raccolto nei Meridiani Mondadori nel volume Romanzi e Racconti 1946-1961. Quarant anni dopo, nell estate del 2001, il fotografo francese Philippe Séclier segue lo stesso percorso da San Remo a Trieste realizzando un documentario fotografico. Nel 2005, Séclier conosce a Parigi Graziella Chiarcossi, la cugina del poeta, le racconta la grande passione per Pasolini e il viaggio lungo la strada di sabbia. Lei gli affida dunque il dattiloscritto originale del reportage e altri documenti. Il fotografo dopo un lavoro di ricerca scopre che molti brani sono inediti: probabilmente tagliati dalla redazione del Successo, in accordo con Pasolini, per ragioni di spazio. Tra le carte ci sono anche due pagine scritte a mano dal poeta che riportano l intestazione dell albergo Savoia a Ischia. A questo punto Séclier contatta a Roma il fotografo Paolo di Paolo che lo riceve nel suo studio e gli mostra tra i tanti provini l unico ritratto di Pasolini scattato durante quell estate del 1959: il poeta è in primo piano, lo sguardo serio, sullo sfondo il mare di Genova. Il viaggio di Séclier è finito. In queste pagine pubblichiamo le parti più significative dei brani inediti e i dattiloscritti originali del reportage raccolti nel libro La lunga strada di sabbia (con le foto di Séclier) che Contrasto pubblicherà il 13 ottobre nel trentennale della morte di Pasolini, ucciso il 2 novembre 1975 In viaggio nel paese dellevacanze Pasolini Repubblica Nazionale 26 25/09/2005 Alla fermata del pulmàn (Ischia, luglio) T utte le strade sono ancora piene: gruppi di ragazzi locali, marinai, donne ricoperte di fazzolettoni e giacchettoni da bazar... La sera passa: splendidamente devo dire passa. Rivado a prendere il mio pulmàn. Ma, mannaggia o demonio, nel bivietto deserto, accanto a un caffeuccio chiuso, aspetto, aspetto. Questo pulmàn non arriva. Si presenta invece un giovincello, basso e squallido come sanno esserlo solo i napoletani. Mi ha visto nel battello la mattina e questo è il pretesto per la sua breve storia, narrata con molta dignità del resto: «Sono venuto a Ischia, a Sant Angelo, per lavorare come cameriere: ero d accordo con l albergo e mi hanno messo in prova. Ma io sono commis, mentre loro avevano bisogno di un demi chef. Mi tengono in prova lo stesso e mi fanno lavorare tutto il giorno. La sera mi mandano via, senza darmi nemmeno una lira. Ma voi non agite da galantuomini, io dico. Ma non c è niente da fare: mi danno nu poco e pesce da mangiare, e mi congedano. L ultimo battello. Non c erano più pulmàn e per tornare giù ho dovuto prendere una motocarrozzella: e ho dato le uniche seicento lire che avevo in tasca. Adesso devo passare la notte passeggiando a Porto, e domani non ho i soldi per tornare...». Storie di sguatteri, una delle migliaia di storie di tutti i giorni. Gli do un po di grana. Arriva il mio pulmàn. Riparto. La notte è alta. Ischia è come duemila anni fa...... Poi mi guarda, freddo, staccato: per un attimo. Subito tutto si rivoluziona di nuovo: la sua faccia è una esplosione di felicità. Alza le braccia al cielo, con le palme in avanti: «Io nun saccio niente!» fa. Io gli sorrido, idiota, rozzo settentrionale, per fargli capire che ho capito. Ma lui non molla, resta là, fermo, con le braccia al cielo, a isolarsi, a proclamarsi ignaro, innocente, inerme, muto, cieco: «Io nun saccio niente!»... Con i freni rotti (Da Villa San Giovanni a Siracusa, luglio) A un bivio, mi precipito contro i cartelli con le frecce, per riconoscere quello di Siracusa. Freno leggermente, e sento sotto il mio piede come uno scoppio: s è spezzato il freno: provo quello che provano coloro un attimo prima di morire, in simili casi. Ma, per mia fortuna, lì la strada è abbastanza dritta e non troppo in discesa: riesco a inventare il modo per frenare. Sono fermo. Solo in mezzo alla notte, sotto la luna che ormai tramonta dietro le boscaglie di mandorli e carrubi. In fondo, davanti a me, scintillano delle luci: Augusta, e altre più lontane, Siracusa. Riprendo, andando ai venti all ora, e piano piano arrivo ai piedi delle montagne, a tredici chilometri da Siracusa, sul mare, in un posto che sembra l Asmara: Priolo Gargallo. C è un forno aperto: chiedo. Un giovane fornaio esce, pianta il lavoro, con slancio che mi lascia senza parole, comincia a aiutarmi, spinge come un pazzo la macchina, mi porta le valige fino a un alberghetto senza insegna, chiama l albergatore, che non c è, e si affaccia invece un tedesco in mutande, che, insonnolito, non fa altro che dire quasi cantando: «Siiii, siiii!», cioè sì, il padrone dorme, tutto è chiuso, siiii, siiii. Il fornaretto corre a chiamare un suo amico, che ha una seicento: questo mi porta a Siracusa. Giro mezza città, tutta vuota, miracolosamente nuda, nuova. Mi sistemo al Jolly: come un ragazzo, non vedo l ora che venga domani. Notte, passa presto!

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 27 LO STESSO PERCORSO, QUARANT ANNI DOPO È dal grande amore per Pasolini che nasce un libro la cui forza è nella presenza di tre diversi livelli, tra loro complementari: il dattiloscritto originale, la trascrizione con gli inediti e le fotografie scattate da Philippe Séclier, «che ha girato l Italia seguendo lo stesso percorso del poeta» racconta Alessandra Mauro, direttore editoriale di Contrasto. «È come se ogni livello rivelasse quel che manca in quello precedente. Al primo stadio c è la scrittura di getto di Pasolini per apprezzare la fase creativa, poi la trascrizione con gli inediti. E infine le foto di Séclier: 60 o 70 in tutto». La lunga strada di sabbia, edito da Contrasto sarà in libreria dal 13 ottobre, 35 euro Il fotografo Di Paolo ricorda quei giorni con lo scrittore Con me stava in silenzio niente appunti, osservava LAURA LILLI U n grande silenzio fu, nel 1959, il compagno di viaggio del fotografo Paolo di Paolo e di Pier Paolo Pasolini, che in fretta e furia, all inizio dell estate di quell anno, si imbarcarono insieme per un servizio al tempo stesso letterario e fotografico. Il servizio, che avrebbe messo a fuoco le vacanze degli italiani, si sarebbe chiamato La lunga strada di sabbia e sarebbe apparso in tre puntate sul settimanale Successo dell editore Palazzi, diretto da Arturo Tofanelli. «L idea era stata mia», ricorda Paolo di Paolo, oggi ottantenne, che all epoca era anche uno dei fotografi di punta de Il Mondo di Pannunzio. Nel 59 eravamo alla fine del boom e l Italia, ormai satura di elettrodomestici, cominciava a concedersi qualche bagno estivo. Di Paolo, che per i settimanali di Palazzi faceva di solito testi e foto, propose il servizio a Tofanelli. A cui l idea piacque enormemente. Tanto che, insieme al caporedattore, decise che un idea così buona andava sparata : delle foto non dubitava di Paolo era un nome di sicuro richiamo ma il testo avrebbe dovuto essere affidato a uno scrittore giovane, sì, ma non esordiente. Qualcuno già noto, che facesse notizia. Spuntò il nome del trentasettenne Pasolini, di cui si era già fatto un gran parlare, anche perché nel 55 aveva pubblicato lo scandaloso Ragazzi di vitae in quello stesso 59 Un vita violenta, guadagnandoci un processo per pornografia. Pasolini, come si è capito, accettò, non senza prima aver fatto qualche domanda sul suo futuro compagno. «Non ignorava Il mondo e le sue foto», dice ancora di Paolo. Ed eccoli in macchina. «La mia. Ci dirigemmo a nord. Ci studiammo un poco. Mi resi subito conto che il mio compagno di viaggio era una persona difficile, e non sarebbe mai diventato un amico. All inizio, prima di lasciarsi piombare nel silenzio, cercò di romperlo con banali frasi di circostanza che mettevano ancora di più evidenza silenzio e imbarazzo». Tipo? «Mah tipo questa che macchina è?, fa caldo, oggi, quanto ci metteremo?. Poi la smise. Ogni tanto sembrava risvegliarsi e mi chiedeva pareri sul clima del Mondo e sulle persone che avevo conosciuto. Io adoravo quelle stanze in Via Colonna Antonina. Ci avevo incontrato tanti mostri sacri del giornalismo come Barzini, Mino Maccari e Giulia Massari. E poi, ancora, Guido De Ruggero, Carlo Antoni, Spegno: tutti miei professori all Università. Io continuavo a guardarli con reverenza. Avevo fatto Filosofia poi però non mi ero laureato. Anche questo fornì a Pasolini materia per qualche sporadica domanda e gli fece capire che non ero Di Paolo ai tempi del viaggio del tutto digiuno di umanesimo. Rispondevo, ma poco dopo taceva di nuovo. Un volto impenetrabile, una faccia da poker». Come Dio volle, finalmente arrivarono a Viareggio, la prima meta. «C erano La Bussola, la Capannina Lui prese qualche appunto. Eravamo stanchi, soprattutto io, che avevo guidato, e allora non c erano autostrade. Andiamo un po in camera, ci dicemmo, e io aggiunsi: Magari poi ci vediamo per andare a cena. Pregustavo il piacere di bere e mangiare insieme, chissà che non si fosse aperto un po. Ma non ci fu verso. Mise subito i puntini sulle i : Va bene, ma poi ci separiamo». E lei? «Probabilmente feci una faccia sorpresa, e lui aggiunse: Immagino che lei avrà gusti diversi dai miei. Mah, non so. Voglio dire: dopo, probabilmente, vorrà divertirsi con una donna. Mah, non saprei, vedremo, risposi, perplesso. Cenammo. Subito dopo, lui disse. Allora ci salutiamo. Si alzò e uscì. Uscii anch io, e feci in tempo a vederlo mescolato a un vociante gruppo di ragazzotti. Sembrava esserci una grande intesa fra loro. Dopo poco si allontanarono tutti insieme, con l aria di essere amici da una vita». Come si comportava Pasolini sul lavoro? Faceva interviste? Bagnini, baristi, bagnanti, o, la sera, gente che ballava? «No, non intervistava nessuno. Nemmeno prendeva appunti. O, meglio: ne prendeva mentalmente. Osservava molto, e, come sempre, taceva. Poi però scrisse dei buoni testi». E dopo Viareggio? «Partimmo verso Genova. A Porto San Maurizio si presentò uno dei ragazzi conosciuti a Viareggio. E qui il sodalizio finì. No, non si poteva continuare a quel modo. Io feci una serie di foto genere Mondo, lui tornò a Roma. Era garbato, però, non ci fu lite». E l inchiesta? «Decidemmo che l avremmo finita ognuno per conto suo. E in realtà facemmo un buon lavoro: la seconda puntata fu l Italia meridionale, io andai oltre il Gargano, lui arrivò alla punta estrema della Sicilia. E la terza fu la costa romagnola e Venezia». Ha più visto Pasolini in seguito? «Sì. Evidentemente di amicizia non è mai stato il caso di parlare. Però gli era rimasta di me una certa stima professionale. Mi permise di fargli delle foto, una sul monte Testaccio, dove sembra sul Calvario, una al cimitero inglese sulla tomba di Gramsci, e una, addirittura, con la madre, il suo tesoro più sacro. Ho sempre avuto l impressione che fosse un uomo solo, senza veri amici: sì, li frequentava, ma starei quasi per dire di nascosto a se stesso». Il bagnino e la tedesca (Verso Rimini, agosto) U n bagnino insiste con una brutta tedesca, infelice e ridente, a ripetere una frase che deve rivestire significati simbolici, come il fare catleya di Proust: «E allora, mangiare ranocchi, stasera? Mangiare ranocchi?» «Sì, sì, sì, sì» fa la tedesca, con un sorriso tremendo, e facendogli segno di tacere, ché altrimenti lei vomita. E se ne va, paperando sulla spiaggia con le commilitone. Anche la tedeschina abbracciata si sgancia da sotto il tetto di muscoli del cascamorto ricopiato dalla Cappella Sistina: è dura, sprezzante. Infila gli zoccoli. Lui si alza, di conserva. Ahi. Così appare grasso e basso. Da statua fluviale si fa tappo. Lei se ne va, per l arenile, tra il caos dei mosconi, degli ombrelloni, delle sdraie, delle gambe. E lui dietro, come un vecchio formicone. Le prende la mano, supplichevole, intenso. «Quando ci vediamo?» le chiede. E con questo si mette la coscienza a posto. Lei semplice, secca: «Domani». «Domani!» lui aggiunge, mortificato, sfatto dalla passione. Lei scompare. Anche questa è fatta. Il conquistatore, quasi con sollievo, va verso i compari, e insieme si allontanano per la spiaggia, piano piano, muti, ghignando, con passo stanco, guardando intorno, cercando, tra il numero sterminato di donne. La malinconia del Delta D (Verso Chioggia, agosto) evo dire la verità: dopo Ancona la bellezza naturale finisce (intendo dire lungo il mare). L ultimo residuo della grande venustà italica, meridionale, appenninica la collina marchigiana si appiattisce di colpo, si annulla. Sopravvivono sorde, impolverate collinucce, dietro pinete sconsacrate, peste. Il pratico la vince su tutto: la spiaggia si fa funzionale: bagni d acqua e di sole, confortati dalla presenza di una potente organizzazione. Io che ci faccio, qui? Centinaia di migliaia di borghesi mi tolgono il respiro: sono i padroni, loro. Sulle spiagge romagnole, il tacere è bello (per questi giorni di ferragosto): bisognerà venirci con Fellini, d inverno. Ma, dopo Porto Corsini: la Bellezza ritorna. E allora, correre in macchina, su, verso Chioggia, diventa una vera, esaltante avventura, per gli occhi, per il cuore. Qui, intorno al delta del Po, l uomo pare aver vinto: ma è una vittoria precaria, stentata, la sua. La palude, imprigionata, repressa, traspare in ogni luogo, diffonde nell aria la sua profonda, vergine, selvaggia, nordica, malinconia. Tutto è impregnato d acqua dolce, rafferma: le smisurate distese di prati, gli alti argini sui canali, le boscaglie corrose, le file di pioppi: tutto è legato, impastato, fuso, da una mano di grigio, da un tono di suprema, umile malinconia. È il romanico di Pomposa che domina ancora i lidi, Volano, il Lido degli Estensi, la stupenda Mesola. Chioggia è la clausola degna di questo viaggio sul delta: fuori dallo spazio e dal tempo, rozza Venezia senza storia, puro calco di una bellezza pura, è come sulla cima di un geroglifico, sull estremità di un sogno geografico, campestre, lagunare e marino: dove puoi evadere, eludere ogni tuo dovere, concederti, tra un popolo felice, una pura vacanza.

28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 la copertina Strada di sabbia Pasolini A Venezia incontra i pittori Turcato e Santomaso e con loro discute di quanto costino le vacanze al Lido e di come manchino le attrezzature per un turismo di massa. A Trieste scrive la divertita cronaca di un surreale concorso di bellezza dove tra scherzi e battute si elegge il conte di Pùlfero mister 59 FINALMENTE FELICE Qui a fianco la pagina intestata dell albergo Savoia a Ischia scritta a mano da Pasolini. Questo l inizio del testo. Sono felice. Era tanto che non potevo dirlo: e cos è che mi dà questo intimo, previso senso di gioia, di leggerezza? Niente. O quasi. Un silenzio meraviglioso è intorno a me: la camera del mio albergo in cui mi trovo da cinque minuti, dà su un grosso monte, verde verde, qualche casa modesta... Repubblica Nazionale 28 25/09/2005 Con Turcato e Santomaso (Venezia, agosto) E Turcato, col naso aguzzo come una spada, con sorriso levantino: «Ho sentito dire che bagno nudi, niente!»... E Turcato: «Ci sono solo due postacci schifosi dove si paga diecimila lire per niente». Santomaso non concede respiro al suo oggetto: «Hanno commesso un grande errore, quello di favorire il turismo di massa. A plotoni come si fa a godere la città. L attrezzatura qui è per un turismo di élite. Tutto è caro...». «Caro?» chiedo io. «Pensa un po mi dice Turcato a quanto deve spendere un turista comune fin dal primo momento in cui arriva in stazione col bagaglio e tre figli, solo per andare all albergo». «Comunque continua io non sono d accordo con Santomaso che il turismo qui debba essere necessariamente aristocratico. L errore è stato invece quello di non essersi attrezzati bene per un turismo di massa. Io ne affiderei l organizzazione ai francesi, che fanno così bene queste cose». «Siamo in regime commissariale aggiunge con antica amarezza Santomaso e manca ogni fantasia e ogni slancio per risolvere questi problemi urgenti. Si crede che tutto continui a funzionare da sé, come ai tempi della Regina Margherita». Il giorno dopo vado subito al Lido, a verificare. Ma piove. Nel grigio arenile dell Excelsior non c è un cane. Il nobile in passerella (da Venezia a Trieste) U na fiumana di brutti tedeschi e di fastidiosi giovinotti del retroterra travolge tutto.e sentite, sentite questa. C è una festa da ballo, in un locale dal nome francese, dove è annunciata l elezione di Mister 1959. Non ci manco, ah no. Non sono un nostalgico rinunciatario. Ecco la costruzione rotonda, con una hall che sembra una sala d aspetto di stazione paesana, malgrado le pretese. Ecco il giardino, rotondo, con piante e finte rocce. Il pubblico che danza. Le belle ragazze e i bei giovanotti. Passano le sue due ore, e infine il momento dell emozione: al microfono un venetone stempiato annuncia che sta per eleggersi il Mister: risate e battute venete tra i giovanotti (tedeschi non ce n è). E intanto elenca la giuria, quattro signore e signorine, di cui la metà qua dei dintorni, l altra metà tedesche (si chiamano quasi tutte Edith), e due uomini, un avvocato (mio vecchio amico, di San Vito) e un signore che si sussurra sia lontano parente dei Roncalli. Breve: delle ragazze fanno una prima scelta di una ventina di giovanotti: un biondo vestito di bianco con gli occhi sognanti, un bruno alto ancora con molti capelli («Va dal barbier! gli gridano Vustu in prestito dosento franchi?»), uno che assomiglia a Jerry Lewis, il cui forte è il rock and roll, ecc. C è anche un grassone, già mezzo stempiato, con una faccia coi pomelli rossi da alpino, senza giacca e senza camicia, con sulla ciccia pelosa un solo pullover. È il conte di Pùlfero, e dappertutto grandi ovazioni: «Forsa conte, dai conte!». Ne vengono scelti una mezza dozzina, tra cui il conte di Pùlfero (che ripete per la quarta volta il quarto anno di ragioneria, e che non resiste alla retorica del vino: «Un goto de vin!» grida rivolto al bar). Assisto alla selezione, che consiste anche in una serie di domande ai candidati: domande spesso scabrose, a cui essi rispondono

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29 L OBBIETTIVO DI PHILIPPE SÉCLIER Nelle pagine della storia di copertina le fotografie scattate da Philippe Séclier durante il suo viaggio sulle tracce di quello compiuto da Pasolini nell estate del 1959. La foto nelle pagine precedenti è una Fiat Millecento uguale a quella usata dal poeta. Qui a fianco, una stanza dell hotel Savoia a Ischia, ora in abbandono, dove Séclier vede una borsa con dei documenti, che lui interpreta come un segno premonitore Raccontò i mutamenti di un epoca Lo sguardo del regista colse la voglia di nuovo ENZO SICILIANO Repubblica Nazionale 29 25/09/2005 spavaldamente, da mattacchioni veneti. Le tedeschine sono fredde e severe: brave! Le italiane, invece, molli e servili. Praticamente la scelta era già preordinata: vince il conte. Quando, nella balera in attesa, l annunciatore, mezzo ubriaco, impappinandosi, grossolano, fazioso: grandi fischi. Ma lui imperterrito annuncia «Ora il conte si esibirà in un numero di danza!». E il conte, con in testa la corona (di non so che verdura) del vincitore, si mette a danzare. «Il colpo di anca, conte!» gli gridano. E lui fa la mossa. Ma il Jerry Lewis, con un nugolo di amici interviene, e balla splendidamente agile come una scimmia, tra l entusiamo dei presenti; uno irrompe nella pista, e gli getta la giacca sotto i piedi. L annunciatore, sbronzo per il cognac del conte, allora urla al microfono che il conte canterà: e il conte, va al microfono, e canta, con voce flebile, pargoleggiante «Come prima, più di prima». Ormai il pubblico ha capito che la cosa era da buttare in ridere, e ride. «Forza Yumbo!» gridano al conte degli spiritosi. Lui, con la faccia di bronzo dello studente eternamente bocciato, e del viveur pordenonese, del futuro alpino, ha vinto, e ora trionfa......finalmente un po di vera, di civile, di umana pace. La villetta ottocentesca, padronale, il piccolo parco senza pretese e così elegante, il fresco, l ombra, i fiori. Non è un vero ristorante, ma una casa privata, dove una signora coltiva l hobby della buona cucina. Pesce squisito, deliziosa faraona, antica polenta, vino buonissimo, genuino, della campagna friulana. Per ogni frammento del mio lungo viaggio ho indicato i miei posti preferiti: lo farò anche stavolta: Brindisi, Chioggia e qui. Grado è a due passi, appena oltre Aquileia, oltre il nuovo sottile ponte, piatto tra le piatte isole, la piatta acqua lagunare. Il grigioazzurro del suo cielo e il verde dei suoi alberi friulani, il vermiglio e il cobalto attutiti del suo porticciolo, e l oro dei capelli della sua gioventù, ne fanno un luogo dell anima. È l estate del 1959. Pasolini ha già pubblicato Le ceneri di Gramsci, Ragazzi di vita, e Una vita violenta è appena andato in libreria. Lo scrittore è già al centro di una controversia che lo ha visto trascinato in tribunale, proprio per Ragazzi di vita, in un contenzioso per oltraggio al pudore. Carlo Bo, Giuseppe Ungaretti testimoniarono in suo favore, e il poeta uscì indenne da condanna dalle aule della giustizia. Ma il moralismo italiano non cessò di accanirsi su di lui. Moravia sosteneva che Pasolini, nel proclamarsi comunista e omosessuale, non cercando a questo scappatoie nella propria letteratura, metteva insieme due fattori che facevano scintille sotto gli occhi dell opinione pubblica. Molti comunisti non lo amavano. Lui rifiutava la tradizione rondista della cultura italiana che nell intelligenza liberale trovava molti proseliti. Eppure, la sua presenza nel dibattito culturale, più la sua questione si faceva incandescente, più si mostrava necessaria. In versi e in prosa Pasolini parlava dell Italia, di un Italia rurale, spesso grettamente contadina, che stava cambiando faccia, qui velocemente, là a passi lentissimi. Proprio in quell estate del 59 una rivista di buona tiratura, Successo, gli propose di scrivere un viaggio da italiano in Italia lungo le coste del nostro paese, a partire dal confine con la Francia, lui viaggiatore solitario sulla sua auto. «Sono solo», sarà il leit motiv del pellegrinaggio. Un fotografo, Paolo Di Paolo, avrebbe poi documentato visivamente le tappe salienti dell itinerario. Ne nacque un singolare reportage che coprì l accidentato percorso delle nostre spiagge, da Nord a Sud, quindi dallo scoglio estremo di Capo Pachino, ritornando verso Nord attraverso il Salento e la costiera adriatica su fino a Caorle. Il servizio uscì in tre puntate, smagliante d intelligenza, di visioni, falcidiato però per esigenze d impaginazione e di spazio. Oggi però tornano alla luce molti brani tagliati offrendo l interezza del testo. Dicevo di visioni smaglianti ancora fresche di un intelligenza che attraverso la funzione dello sguardo riusciva a cogliere realtà e mutamento, la dinamica di un presente la cui cecità sembrava mandare in nero vicende gravide di passato e di contrasti antropologici. L occhio di Pasolini, bisogna riconoscerlo, non cambiò lungo gli anni, né si indebolì la sua sagacia nell individuare quali fossero i tanti scheletri nell armadio che l Italia del benessere e del cosiddetto miracolo economico andava occultando. Ma in queste pagine tornate alla luce, c è qualcosa di più: c è un emozione gioiosa, un adesione che non si fa scrupolo di confrontarsi fuori schema con quanto le sta davanti, di temperare sensualità e desideri e di esaltare un bulino stilistico che insegue con estasi ogni dettaglio. Niente però che accomuni Pasolini ai viaggiatori anglosassoni di decenni precedenti nelle Calabrie preistoriche, George Gissing, Norman Douglas. C è già l occhio del regista di cinema che dispone il racconto, usando la lingua della realtà, per campi lunghi e primi piani, senza sbagliare mai un colpo nell individuare il necessario e nell evitare il superfluo. Sembra, questa Italia, un paese più che disponibile ad accogliere il nuovo, magari a viverlo anche nelle sacche di miseria irrimediabile con cui si presentava il cafarnao del Sud. Ci si poteva vivere felici e non lo sapevamo. Scendendo e risalendo le coste, Pasolini decifra situazioni, dalle grandi vacanze di uomini colti come Visconti o Moravia, ospiti di Ischia e di Capri, agli scugnizzi napoletani avvolti dalla loro losca, immemoriale allegria che si tuffano dagli scogli della costiera. Incontra amici: in Sicilia i grandi occhi neri di Adriana Asti persi per il sole accecante nel visino minuto; a Venezia il conversare ironico e svagato di due pittori come Santomaso e Turcato. C è la Calabria con i banditi di Cutro che avevano il garbo di salutare, una volta che era stato loro offerto un passaggio in macchina, con umanistica gentilezza. Lo Ionio, con i suoi gelidi colori di cristallo, gli sembra che orli un mondo lontano ed estraneo, persino nemico. Seguiranno le Puglie familiari e cordiali. Ecco i ragazzi tarantini spiare avidi le loro donne, piccole e smagrite, o dai fianchi troppo abbondanti, non osando mischiarsi ad esse, che sguazzano sotto un muretto. Nel Sud la distanza fra i sessi è ancora marcatamente evidente. Tutto cambia risalendo l Adriatico, dove da Pescara in su, dice Pasolini, è il regno delle belle donne. Lo scrittore si diverte a segnalare certi sontuosi turbanti color banana, o il chiacchiericcio insensato, farcito di luoghi comuni, che corre da ombrellone a ombrellone sull arenile di Riccione e Cattolica. Si arriva a Venezia, poi nel Veneto, e nel Friuli, e i connotati ancora vivi pochissimi anni prima sono sfigurati. Domina il bilinguismo italo-tedesco. Quella costa, dice Pasolini, è diventata la spiaggia di Vienna. Ma è la piccola borghesia consumista, vorace, distratta, che passa le Alpi alla volta del mare, e tracima sulle abitudini storicamente accreditate e piene di grazia, al ricordo, dei nativi, a farsi padrona della sua mente. Le spiagge friulane di quel 1959 non sono più quelle già testimoniate felicemente da lui nel bellissimo romanzetto postumo dal titolo Amado mio. Ci sono momenti nella vita di uno scrittore in cui assistiamo al modo, tanto inafferrabile quanto decisivo, con cui il suo spirito testimonia e coincide con lo spirito del tempo che gli è dato vivere. Sono i momenti della grazia, e certamente Pasolini da quella grazia, da quella capacità di far coincidere stile e contenuti su una particolare immagine del tempo e della realtà, è stato investito proprio sul passaggio, drammatico e felice, che l Italia ha vissuto nello scorcio degli anni 50. È stato un passaggio cruciale, tanto che identificare la sua poesia e la sua letteratura con esso non significa limitarne la portata, quanto avere un ulteriore riprova di come letteratura e poesia non possono sottrarsi a un confronto radicale con la vita, e ne siano una profonda proiezione conoscitiva.

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 l inchiesta Dentro l officina In principio c è l idea: disegnata a mano, elaborata al computer, trasformata in un modello di gesso e infine in un prototipo. Ma prima di scendere in strada deve fare i conti con le richieste del cliente e le regole del codice. Una sfida tra fantasia e realtà, come spiega il re dei designer Giorgetto Giugiaro, che festeggia i cinquant anni di attività SEBASTIANO MESSINA che disegna i sogni vorrebbe convincerti che il suo genio nasce da una gabbia. L uomo che infonde la seduzione L uomo nelle spider ti spiega che la libertà assoluta non gli dà nessuna ispirazione. L uomo che ha creato i bolidi più sensuali mai visti sull asfalto, gioielli rombanti targati Ferrari, Bmw, Lamborghini, Alfa Romeo, Bugatti, Aston Martin, Jaguar, Maserati, Lexus, Mitsubishi e Chevrolet ti confessa sottovoce, con un sorriso timido, che forse ha sbagliato tutto. «Mi hanno regalato un libro, si chiama 365 giorni. Ogni giorno una magnifica fotografia di un luogo stupendo. Quando ho finito di leggerlo ho pensato: ecco, questo è il mondo che meritava di essere vissuto. Io ho buttato via la mia vita, per disegnare automobili». E lo dice, Giorgetto Giugiaro, con una modestia che ti disarma, come se l arte di inventarsi coupè e granturismo, quel dorato talento che il mondo gli invidia (nel 1999 gli americani lo hanno eletto car designer del secolo ), lo avesse costretto per cinquant anni a seguire un tran tran routiniero che lo ha distratto dalla sua vera passione, come Fernando Pessoa che di giorno scriveva lettere commerciali per una ditta di Lisbona e la sera componeva i suoi capolavori (Non sono niente/ Non sarò mai niente/ Non posso volere d essere niente/ A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo). Siamo nel quartier generale di Giugiaro, un grande parallelepipedo bianco adagiato sulla collina di Moncalieri. È qui che c è il suo museo privato, una galleria mozzafiato di tentazioni motorizzate che in cinquant anni hanno fatto sognare tre generazioni di automobilisti. Bestseller celeberrimi. Prototipi dal fascino magnetico. E modelli mai visti, auto stupende che sembrano vere, con le gomme nuove e la carrozzeria luccicante e i vetri oscurati, ma sono ahimè di gesso verniciato. La stanza del capo, in fondo al corridoio, è divisa in due da una libreria. Nella parte a vista c è la sua scrivania di granito grigio, con una grande una lampada a fungo e una mountain bike appoggiata Amo le vetture che rompono gli schemi vicino alla vetrata («Con quella ci vado in giro in azienda, per far prima»). Dietro la libreria, c è il suo regno. Il tecnigrafo dal quale sono uscite la Panda, la Golf, l Alfasud, la Uno, l Audi 80, la Thema, la 156, la Croma e la Punto, giusto per citare solo quelle che hanno venduto più di un milione di pezzi. Le matite blu a mina, i pastelli colorati, la carta trasparente a rotoli. Su un ripiano, il modellino di una Lamborghini Gallardo e una foto con Nuccio Bertone e lui che disegna, in grandezza naturale, la Corvair Testudo. «È del 1973» ricorda. «L avevo disegnata per mostrare a Bertone qualcosa di strano, di nuovo. Bella, disse lui, ma non la voleva fare. Poi un giorno arrivò Chuck Jordan della Opel, vide gli schizzi e esclamò: Facciamola subito!. Mi divertivo parecchio ad andare in giro con un prototipo, perché i fari a scomparsa si potevano dirigere anche contro il cielo. E io, andando verso Alassio, ogni tanto ci giocavo, e vedevo che i camionisti inchiodavano come se avessero visto un disco volante. Poi, arrivato sotto casa di un mio amico, anziché suonare il campanello gli FOTO LAPRESSE Ecco come nasce puntavo i fari sulle finestre. Lui capiva e scendeva». Ma cosa prova, un creatore di automobili, quando si ritrova in una città europea circondato da modelli che portano la sua firma? «Nulla di speciale». Possibile che non le venga in mente proprio nulla? «Beh, se vuole saperlo, ogni tanto guardando una di queste vetture, qualcosa mi viene in mente: ecco, penso, forse quel finestrino avrei dovuto farlo un centimetro più largo». Mi arrendo: se ha una sua (legittima) vanità, quest uomo sa custodirla molto bene. Del resto, lui che disegna auto, moto e biciclette, usa un auto, una moto e una bici che non portano la sua firma. Qualcosa vorrà dire. C è una domanda, però, alla quale lui risponderebbe per giornate intere. La domanda è: come nasce, un automobile? Cosa succede, esattamente, dal momento in cui il designer ha l idea giusta a quello in cui parte la catena di montaggio? «Un auto può nascere in tanti modi. A me piace disegnare vetture che rompano gli schemi, e infatti ogni anno qui all Italdesign realizziamo un modello senza committente, diamo corpo a un idea che magari non vedrà mai la strada. Poi qualche volta, come sta capitando con l Alfa Brera, il prototipo si trasforma in una vettura di serie. Ma di solito non è così. La norma è che il progetto nasca da una richiesta precisa: mi serve un auto lunga tanto, larga tanto, che abbia questo motore, che abbia questi costi, che raggiunga questo target. Il mio lavoro comincia così. Venga, che le mostro una cosa». E mentre attraversiamo il lungo corridoio candido, Giugiaro mi racconta come nacque la Panda. «Me la chiese De Benedetti, come tutti sanno. Aveva le mani in tasca e mi disse: io voglio un auto che piaccia ai giovani, che sia a metà tra la 126 e la 127, e soprattutto che costi poco. Bene, dissi, a ottobre le porto il progetto. No, rispose, a me serve subito. Ci vediamo qui il 17 agosto. Ma io, obiettai, sto partendo Giugiaro progettista integrale VALERIO BERRUTI A lfasud, Panda, Uno e Golf: bastano questi quattro modelli, degli oltre duecento nati dalla matita di Giorgetto Giugiaro, per capire la genialità e l importanza del personaggio. Quattro soluzioni che ogni volta hanno reinventato l automobile. E che hanno fatto di Giorgetto Giugiaro il primo progettista integrale dell auto, l unico che è riuscito a trasformare la figura dello stilista in quella dell industrial designer. Le sue idee, d altronde, sono chiare fin dall inizio: «Il designer deve compensare la funzione creativa con quella tecnologica, farsi tecnico per dialogare con i tecnici, per poter difendere e affermare le qualità delle sue intenzioni». Era il 1968 e l ex caricaturista di automobili scoperto da Dante Giacosa (progettista della Fiat 500) stava per fondare l Italdesign. Con un obiettivo inedito: fornire ai costruttori anche i supporti per l industrializzazione. Quindi il prototipo, i metodi di produzione e la fattibilità. Prendiamo la Panda, forse la vettura più rivoluzionaria realizzata da Giugiaro. Prodotta per ben 24 anni, dal 1980 al 2004 quando è stata sostituita dal nuovo modello, sempre disegnato da lui. È un utilitaria che rielabora i concetti di altre vetture di successo. C è la simpatia della Citroen 2 CV, la praticità della Renault 4, la compattezza della Mini. Giugiaro mette insieme questi concetti, li frulla nella sua testa e quello che viene fuori è la Panda. Fuori da ogni schema, trasgressiva, informale. «L auto in scarpe da tennis», ha detto lui stesso. Ma anche l auto più economica e con tanto spazio disponibile, subito diventata un simbolo per le nuove generazioni. La Panda ha la forza dell innovazione. Ma è stata concepita tenendo sempre d occhio i costi di produzione. Così bassi e ammortizzabili da allungarle la vita pro-

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31 I MODELLI MASERATI GHIBLI (1966) L avveniristica coupé ha avuto grande successo di vendite. Grazie a eleganza e prestazioni (motore 4700 cc, 335 Cv) ALFASUD (1971) Auto rivoluzionaria, due volumi sportiva, motore boxer 4 cilindri da 1200 cc e 63 Cv. Prima Alfa costruita a Pomigliano VOLKSWAGEN GOLF (1974) È l auto più venduta del gruppo tedesco con 23 milioni di esemplari (più del Maggiolino). Cinque generazioni di modelli PANDA (1980) La prima generazione aveva motori da 650 e 900 cc. È stata prodotta fino al 2003, poi è arrivata la nuova versione ALFA BRERA (2005) È una coupé 2+2 con trazione integrale. Lunga 4 metri e 40. Sarà in vendita a partire dalla fine dell anno un automobile FOTO GIANNI BERENGO GARDIN/CONTRASTO per le vacanze. Nessun problema, disse lui, ci lavora la sera quando torna dal mare. Naturalmente accettai, ma la sfida era difficile. Voleva una macchina più grande della 126 ma con lo stesso motore. La voleva bella però meno costosa. E soprattutto la voleva facile da montare perché allora la Fiat aveva i sabotatori nelle catene di montaggio che infilavano le lattine di Coca nei telai prima di saldarli per far impazzire i collaudatori con quel rumore inspiegabile. Così cominciammo da zero, semplificammo tutto al massimo, disegnammo persino un parabrezza piatto perché così si risparmiava la curvatura. Poi le cose non andarono così. Quando videro il disegno del parabrezza, i fornitori dissero: «Ma è piatto. Vi costerà di più». «E perché?». «Perché non abbiamo stampi piatti, sono tutti curvi, dobbiamo farli apposta». Una beffa, per noi. Per fortuna la vettura piacque». Piacque, dice lui: ne hanno vendute cinque milioni. Arriviamo in una grande sala che sembra un cinema. La chiamano Centro Realtà Virtuale. Sullo schermo, lo schizzo originario della nuova Punto con le sue proiezioni ortogonali (fronte, retro, destra, sinistra). A un cenno di Giugiaro, il computer trasforma le proiezioni in un immagine plastica, a tre dimensioni. «Così si ha un idea di come verrà la vettura. Noi sappiamo che dobbiamo rispettare certe angolazioni per i crash-test, per la sicurezza dei pedoni, per le regole delle immatricolazioni eccetera. Abbiamo una montagna di vincoli, noi progettisti. E le dirò una cosa: più ce ne sono, meglio è. Quando riesco a trovare la soluzione che rispetta tutte le regole, io mi emoziono davvero, sa?». «Alla fine il committente può dire: vorrei aggiungere questo, vorrei togliere quello. Ogni amministratore delegato vuole metterci del suo. Noi naturalmente facciamo il possibile, però è sempre una lotta. Memorabile il braccio di ferro per l Alfasud. L uomo dell Alfa era il dottor Hruska, un ingegnere assai pignolo. Prima di dire se gli piaceva, misurava il modello con il centimetro. Arrivati al bagagliaio, lui disse: «Non si scappa, ci devono entrare quattro valigie lunghe 70, alte 21 e profonde 45». Io mandai subito i miei collaboratori a cercarle a Torino, a FOTO GAMMA Mi emozionano le soluzioni che rispettano i vincoli scomoda, non capisco come mai abbia avuto questo successo» sentenziò. Forse, gli risposi, perché le macchine non le comprano solo gli ingegneri». Il computer ha finito, e ci mostra una Punto che ruota su se stessa. Indossando gli occhiali speciali, l immagine diventa tridimensionale: si ha l illusione di poterla toccare. «Approvato il disegno, si passa al modello. Mi segua». Arriviamo in un capannone dove è vietato scattare fotografie persino col telefonino. Qui una fresa manovrata dal computer sta terminando di scolpire il modello in gesso di una nuova auto. Anche questa nasce da uno schizzo elaborato al computer, ma non è la Punto. Cos è, scusi? «Mi dispiace, non posso dirglielo. Ha presente il segreto industriale?». Ho presente. E poi? «Poi si passa alla progettazione vera e propria, quella che porterà al prototipo. Si studia ogni pezzo: misure, materiali, disegno, saldature. È un lavoro lungo, che spesso si fa insieme ai tecnici della casa costruttrice. Quando abbiamo firmato un contratto con i cinesi, sono arrivati qui 200 ingegneri da Pechino, e ci sono rimasti due anni. Considerando che noi siamo già 1200, e che abbiamo come dire? qualche altro cliente, capirà che qui dentro c è sempre un certo affollamento». In mezzo a questo viavai multirazziale, al centro di questa convivenza in compartimenti stagni tra concorrenti di tre continenti, l instancabile Giugiaro ha trovato anche il tempo per coltivare un suo sogno nel cassetto, un idea che finora non ha mai rivelato a nessuno. «Ieri ci ho messo tre ore, per andare da Torino a Milano. Non è possibile. Ecco, io vorrei creare un mezzo che permetta alla gente di spostarsi velocemente sfruttando lo spazio aereo». In una parola, di volare. Lui sorride: «Non è impossibile. Ci vuole un piccolo motore jet, un seggiolino per stare comodi, una struttura leggera con i comandi essenziali. Il problema sono i costi: oggi come oggi un aggeggio del genere costerebbe 150 mila euro. Un po troppi». Ce l avesse chiunque altro, un idea del genere farebbe sorridere. Firmata da Giugiaro, fa sorgere un dubbio: e se l auto del futuro fosse davvero senza ruote? duttiva ben più dei dieci anni inizialmente previsti. Belle e possibili, dunque. Innovative e tecnologiche. Eccole le auto firmate Giugiaro. Modelli intramontabili che spesso hanno salvato le sorti di un costruttore. Proprio come la Golf che sei anni prima della Panda (1974) ha contribuito in maniera decisiva a ribaltare la situazione della Volkswagen, all epoca ancora prigioniera del Maggiolino il cui ciclo produttivo si era esaurito da tempo. Giugiaro ha preceduto sempre di un soffio la storia. Sempre, o quasi, facendo la fortuna dei suoi committenti (la Daewoo con la Matiz, ancora la Fiat con la Uno e la Croma). Solo fattori esterni al modello hanno fermato l ascesa dell Alfasud, altro modello di riferimento della carriera di Giugiaro. Un auto superiore per contenuti alle sue concorrenti, robusta, compatta con una forma a due volumi assolutamente innovativa per quegli anni. E che dire della Giulia GT (1963) o della Dino Coupé (1966)? E ancora dell Alfetta GTV (1974) o delle Lancia Delta (1979) e Thema? Tutti modelli che hanno riscritto un pezzo di storia dell automobile, aggiungendo soluzioni fino a quel momento sconosciute. Da subito adottate su auto di serie e spesso studiate su incredibili prototipi o bellissime supercar: dalla Maserati Ghibli alla Corvette Moray, dalla Toyota Alessandro Volta fino alla recentissima Alfa Brera. Con Giugiaro, insomma si va sempre sul sicuro. E allora a chi si affida la Fiat per la nuova Punto? E prima ancora per la seconda generazione della Croma? All uomo dei miracoli, naturalmente. A Giugiaro Giorgetto, non allo stilista. Ma all uomo in grado di reinventare ogni volta una nuova auto. Roma, a Milano, a Firenze, ma queste valigie non si trovavano in tutta Italia. «Sì, le ho comprate in Germania» ammise lui, «ma non ha importanza, le misure sono queste perché per me questa è la valigia ideale». Era un impresa impossibile, farcele entrare tutte e quattro, ma lui non era disposto a mollare. Gli proposi di alzare la coda di un centimetro. Niente. Gli spiegai che così non c era posto per le cerniere del cofano. «Mettiamole fuori, allora», disse Hruska. E così fu. Credo che nessuno abbia mai messo in un Alfasud quattro valigie come le sue, però non dimenticherò mai che al Salone di Torino tutti dicevano: bella l Alfasud, ma quelle cerniere esterne... L anno dopo mi tolsi quel sassolino dalla scarpa. Era appena uscita la Golf e l ingegner Hruska volle misurarla col suo centimetro. «Dietro è troppo

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 le storie Riti lontani Il borgo si chiama Fiagdon, è una roccaforte sulla via della seta a quattro ore da Beslan, nell Ossezia del Nord. Lì - in un via vai di guerriglieri e soldati russi, pastori e contrabbandieri, bracconieri e migranti - una coppia di vecchi e quattro ragazzini stanno a guardia della necropoli segreta dell antico popolo degli Alani LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33 I bambini nel villaggio dei morti GIAMPAOLO VISETTI FIAGDON Il loro gioco è questo. Raccattano un sassolino a testa dal letto del torrente Gizeldon, badando che sia sferico e leggero come il nocciolo di un amarena. Poi tirano al gallo Felix, quando tronfio si erge a cantare sullo steccato dell orto. A chi fallisce il colpo, non riuscendo a innescarne la planata tra le cinque chiocce nere, tocca di fare il morto. Gerikhan, 12 anni, Madina, 10 anni, Zerassa, 7 anni, Fatima, 4 anni, salgono allora in processione tra i viottoli del villaggio abbandonato. Passano tra montagne di neve, o in mezzo a foreste di ortiche. Superano silenziosamente le torri diroccate, i muretti a secco incombenti ormai verso la valle, ciò che resta delle dimore degli avi. Giungono infine tra i sepolcri, solitamente all alba, o quando dai pascoli del Caucaso risale una stella. Lo sconfitto si arrampica sulla facciata delle cripte medievali, costruite di sassi e calce mescolata con latte di cavalla. Saluta i compagni con un inchino del capo e, attraverso il pertugio riservato ai sarcofagi, scompare in una delle tre cavità sovrapposte. Sosta quindi così tra ossa, teschi, casse toraciche mummificate, brandelli di corpi con le vesti assorbite, fino a quando non sarà giunta l ora di mungere le pecore. Nessuno conosce i pensieri del condannato dal gallo: ma la conta dei decessi e delle mitizzate resurrezioni, consente ai bambini della città dei morti di non smarrire la percezione del tempo. Fiagdon, acqua chiara in lingua osseta, è l estremo custode del mistero che unisce i popoli dell Ossezia, dell Inguscezia, della Cecenia, del Daghestan e della Georgia. Il villaggio antico, roccaforte lungo la via della seta all incrocio tra Asia ed Europa, resiste a mezza costa alle pendici del monte Kazbek. I tratturi sono battuti da guerriglieri, pastori, contrabbandieri di vodka, mercanti di oppio e di armi, bracconieri, militari russi e migranti clandestini. Ragazzi-soldato, dimenticati in postazioni che ricordano bivacchi da montanari, per un pacchetto di sigarette alzano a chiunque la sbarra che segnala l indefinito confine silvano tra le repubbliche del Caucaso del Nord. I loro kalashnikov grattano la ruggine dalla canna limitandosi a mirare volpi, o famiglie di lepri. È nel mondo immobile e ribollente dell indipendentismo antirusso, sopra il limite della vegetazione selvaggia che chiude le gole della provincia di Prigorodnij, che sono stati abbandonati i bambini che giocano a morire per sentirsi vivi. Gerikhan e Zerassa sono osseti, Madina inguscia, Fatima cecena. Il loro incarico è presidiare il lembo più elevato e meridionale del territorio di Vladikavkaz. Pascolano un gregge di 123 capi. Sorvegliano una trentina di macchie e radure. Conservano le 99 tombe del cimitero degli alani, il popolo che arginò l avanzata dei turchi verso le pianure del Don. Una necropoli segreta, grande quanto la valle dei faraoni in Egitto, affidata ai giovani eredi dei clan più potenti del Caucaso settentrionale. Assieme a loro, tra le rovine, solo due vecchi: Batras, 86 anni, e Zalina, 82 inverni. Sono sopravvissuti alla medesima missione, attendono di entrare per l ultima volta nella cavità di una dimora per i defunti. I genitori dei bambini, sparsi tra Karmadon e Dargavs, da tempo lavorano in città. Tornano al cimitero una volta alla settimana. Contano i capi di bestiame, ascoltano il rapporto dei figli, controllano lo stato di conservazione delle tombe e delle centinaia di salme. Percorrono le gallerie scavate nella montagna, sotto il paese fortificato. Nel buio, al tepore della terra, si nascondevano i combattenti contro i musulmani che, dando la caccia ai cristiani, acquisivano i pascoli dove si allevano gli agnelli più delicati dell Eurasia. Un erba unica, simile ad un basilico selvatico, rende la loro carne dolce e profumata. Nei cunicoli, occultati tra i letamai, le milizie federali danno oggi la caccia agli estremisti ceceni e agli ingusci che avrebbero saldato secessionismo caucasico e fondamentalismo wahabita. Su una pietra si legge: «Basaiev vive per noi». La città dei morti dell Ossezia del Nord, un ora e mezzo di Zhigulì più due ore di scarponi da Beslan, è l incunabolo ambiguo del conflitto tra pace e guerra. Il tempo appare arrestato al medioevo, lo spazio testimonia dei secolari ma inesausti scontri. La torre di guardia dei Mamsurov, 15 metri di pietrame, la più alta da combattimento rimasta nel Caucaso, domina le cripte del IX secolo, seminterrate, e quelle sopraelevate del 1300. Qui però i bambini-custodi ancora seppelliscono i pagani che si ostinano a venerare piante, sassi, ruscelli, aquile, sole e stelle. Vecchi, ma pure un numero impressionante di neonati, vengono infilati nelle case-tombe dentro casse di legno. Quando il piano superiore risulta esaurito, i cadaveri più antichi sono retrocessi alla cantina. Il trasloco è chiamato «rotazione degli avi»: i vecchi, attraversato il cielo, tornano nella terra. Il clima è secco e ventoso. La bare presto sfarinano, mentre i corpi non si decompongono nemmeno a distanza di decenni. Mummificati dalla natura, dall aria e dal sole riflesso dall erba: defunti di dieci secoli fa, accanto a morti dell anno scorso. Generazioni conservate affinché la storia delle stirpi non vada perduta. «Quando una persona si ammalava di peste, o di vaiolo dice il piccolo Gerikhan si ritirava nel sepolcro con acqua e pane. Tra gli antenati aspettava il compimento del suo destino, salvando i vivi dal contagio». Indica la necropoli degli infetti, dove i teschi sono ordinatamente allineati a ricomporre famiglie divise dalle epidemie. Madina conosce a memoria i nomi di oltre mille defunti. Una volta al mese striscia UN PAESE DISABITATO In basso, il villaggio di Fiagdon nell Ossezia del Nord, oggi del tutto disabitato ad eccezione di due ottantenni e di quattro bambini (nella foto sopra) nei pertugi e, per giorni, nella penombra aggiusta i corpi che l atmosfera sfalda. I riti politeisti, confusi con la cristianità ortodossa e con l islam, segnano la superstizione dei popoli del Caucaso. I bambini di Fiagdon devono così «fare compagnia» agli antenati, «tenerli puliti e intatti», divisi per clan e per villaggio. Hanno però anche il compito di metterli in comunicazione con la vita terrena. Chi è sepolto a Dargavs, o a Tsoi-Pede in Cecenia, a Shoan in Inguscezia, nella vicina Karmadon, deve essere felice e accompagnare con delicatezza la sorte dei vivi. «Il nostro paese-cimitero dice Zerassa ha una sola lampadina, verso valle. Serve a guidare gli scheletri quando, nelle notti d inverno, tornano a percorrere i sentieri che collegano l Elbrus al Mar Nero. Il lume però fa coraggio anche a noi: vivere in una necropoli sommersa tra i monti, senza un adulto a raccontare una favola, certi giorni fa venire voglia di fuggire». Nemmeno Stalin, georgiano, ha osato infrangere l incantesimo che armonizza credenza, ragione e spirito nel villaggio dei bambini che nascono e vivono fra i morti. A Fiagdon il comunismo non è mai arrivato. Le purghe, le deportazioni di massa, non hanno risalito il ghiacciaio di Kolka. Secondo la medesima legge anche il crollo dell Urss, l avvento degli oligarchi, il regno di Putin, si sono fermati più in basso. Qui, ognuno lo sa, non si deve toccare nulla. Batras e Zalina, i patriarchi che insegnano ai piccoli a riconoscere i corpi dall inclinazione degli zigomi, fino a pochi mesi fa pensavano che al Cremlino regnasse ancora Boris Eltsin. Solo una notizia, il 3 settembre dell anno scorso, ha tempestivamente invaso il deserto delle rovine: la strage dei bambini nella scuola di Beslan. È stato quel giorno che, per la prima volta, hanno saputo che la Russia ubbidisce a Vladimir Putin. La violenza di quelle ore, in cui l umanità si è sospesa da se stessa, ha ricordato il crollo improvviso del nevaio sul Kazbek. Anche nel 2002 era settembre: sul crinale di fronte al cimitero scomparvero il giovane regista Serghej Brodrov, la sua troupe, una quarantina di ragazzi stesi al sole 40 chilometri più a valle. Un area corrispondente all Armenia ha mutato aspetto, clima, vegetazione, cultura. «Quei mattini rallentati dalle nebbie dice Batras un falco si è spinto sull uscio della baracca. Sapevo che recava l annuncio di un numero grande di anime: ho aperto loro la via sotto i tetti dei sepolcri, costruiti con pietre piatte affinché gli uccelli possano sostare, accompagnando i morti con il canto». Il segreto di Fiagdon non è fatto di parole, ma protetto dai silenzi. L equilibrio che regge il rapporto tra infanzia e scomparsa, chiude però il cerchio del Caucaso. Nella necropoli affidata a quattro bambini, iniziano e terminano i cataclismi della natura, le tragedie umane, l assenza di uno Stato e la lotta per la libertà. C è tutto, nel drammatico monumento all essenzialità. I bambini, assistiti dai vecchi che hanno consumato il loro stesso destino, tornano centro della storia e dell umanità. Vivono in quattro stanze tinteggiate d azzurro e se devono chiedere aiuto, alzano un drappo rosso in cima a un leccio. Un altro bambino, quattro volte al giorno, dalla valle volge un binocolo verso la pianta dei segnali. Nel mistero di questi gesti, nell ubbidienza incondizionata alla gerarchia famigliare e pubblica, nel confronto mancato tra cristianità e islamismo, si nasconde la chiave delle guerre che scuotono Mosca, Grozny, Nazran, Vladikavkaz, Makhalckalà, Tbilisi. «Nessuno comanda dice la vecchia Zalina dove gli umani sono educati dal silenzio e dal vento». Davanti alla dimora di Gerikhan, Madina, Zerassa e Fatima, incastrata tra le rovine, è stato collocato un tavolo. Sopra, due scarpe da ginnastica bianche. Qualcuno le ha portate qui dalla palestra della scuola di Beslan, dopo l assalto dei terroristi inguscio-ceceni e la strage di bambini causata dall intervento dei reparti russi. Le due scarpe di Beslan, esposte da oltre un anno, sono l estremo segreto della città dei morti. Non si sa chi le abbia appoggiate, davanti ai sarcofagi delle vittime del Caucaso. Impossibile capire se annuncino una vendetta, o chiedano pietà: se onorino le vittime, se invochino giustizia, o se accusino i carnefici. Sono qui, una dirompente denuncia silenziosa: davanti a quattro bambini che, in un villaggio-cimitero, tirano il loro sasso leggero contro il gallo che li condanna.

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 i luoghi Turchia misteriosa La grandiosa tomba-santuario voluta duemila anni fa da Antioco I è il punto d incontro di Oriente e Occidente. E non solo geograficamente. Siamo andati a scoprire i segreti delle enormi teste di pietra che fondono divinità greche e persiane in un originalissimo pantheon sincretista Anatolia Repubblica Nazionale 34 25/09/2005 FRANCO MARCOALDI NEMRUT DAGI Come gran parte delle scoperte, anche quella del Nemrut Dagi sede della straordinaria tomba santuario (hierothesion) fatto erigere dal re di Commagene Antioco I nel primo secolo avanti Cristo è avvenuta per caso; grazie all ingegnere tedesco Karl Sester, il quale, per ordine del governo ottomano, doveva compiere dei rilievi attorno a nuove rotte di trasporto tra l Anatolia orientale e il centro del paese, oltre che verso i porti del Mediterraneo. Ciò detto, per quale motivo l ardimentoso ingegnere tedesco abbia pensato di individuare un possibile snodo viario in cima a una montagna impervia da raggiungere persino oggi, con i mezzi automobilistici di cui disponiamo, e che con i suoi 2.150 metri è il più alto rilievo della Mesopotamia settentrionale, resta un mistero del tutto irrisolto. Fatto sta che quando nel 1881 Sester si trovò di fronte all incredibile spettacolo di enormi statue, con teste di oltre due metri deposte ai piedi dei loro corpi ancor più alti, restò di sasso e intuendo che si trattava di una scoperta sensazionale inviò immediatamente una lettera all Imperiale Accademia delle Scienze Prussiane, lettera in cui faceva riferimento a non meglio precisati monumenti assiri. Si era nel pieno di un periodo fertilissimo per le scoperte archeologiche: Karl Humann aveva portato alla luce l altare di Zeus a Pergamo, Heinrich Schliemann aveva scoperto Troia. Per contro, come apprendo da un agile e utile libretto sul Nemrut Dagi scritto da Fatih Cimok, proprio nel campo delle scoperte assire gli scavi di francesi e inglesi avevano superato i risultati raggiunti dalla Germania. E così, nel tentativo di recuperare il terreno perduto, il governo prussiano inviò immediatamente in loco degli archeologi a cui furono affidate le ricerche preliminari. Ma si trattò di un processo lungo e faticoso, talmente lungo e faticoso che il lavoro venne ultimato soltanto negli anni Cinquanta del Novecento, grazie alla preziosa opera dell American School of Oriental Research. * * * Da Sanliurfa, dove mi trovo attualmente, occorrono tra le quattro e le cinque ore di automobile per arrivare al Nemrut Dagi. E per una volta, purtroppo, l Anatolia centrale non offre l usuale, magnifico spettacolo naturale a cui mi aveva abituato nell ultima settimana di viaggio. Montagne brulle, monotone, ripetitive; qualche piccolo torrente in mezzo a geometrici pioppeti, centri abitati del tutto insignificanti. Fino a quando, proprio mentre comincia a stagliarsi in lontananza la celebre montagna, ecco il segnale stradale che annuncia la mesta, polverosa città di Kahta. La guida (intesa come libro) suggerisce di utilizzare proprio Kahta quale base ideale di pernottamento, ma questa città davvero non mi ispira e alla sola idea di trascorrere qui la notte mi prende un tale scoramento che decido di proseguire ancora, lungo la rotta. Dopo una quindicina di chilometri, per lo più tornanti in costante e ripida salita, giungo all Hotel Kervansaray: l alloggiamento è spartano, la vantata piscina si rivela essere una misera tinozza inequivocabilmente vuota, la vista sulle montagne circostanti è ostruita dal tetto di un secondo albergo, appartenente ad altri membri della medesima famiglia, che paiono aver scelto quell improvvida collocazione con scientifica perversione. Eppure, malgrado questi svariati handicap, al Kervansaray c è un aria simpatica e verace; il proprietario è un giovanotto spiritoso, Hasan, al quale vista la calura rivolgo ossessivamente un unica richiesta: «Please, bira». E quando lui, dopo svariate ore di attesa, finalmente torna con un gran sacco di plastica, lo saluto con gioia ammiccando sicuro: «Bira»? Ma lui scuote il capo e sarcastico risponde: «No, bombe». Le prime ore del pomeriggio, in attesa dell ascesa in vetta, trascorrono tranquille in mezzo all aia: un bambinetto francese rincorre vanamente un coniglio selvatico, il padre ronfa beato su un amaca, la mamma osserva con cura maniacale i prezzi dei pochi oggetti artigianali che l albergo mette in vendita. Quanto a me, ripenso ai siti archeologici visitati in mattinata e che fanno da contorno al tesoro finale tanto atteso: fin qui il bilancio è piuttosto deludente. Poco e niente mi ha detto il Karakus Tumulus, tre banali colonne su una collina riarsa dove soltanto dopo lunga e faticosa applicazione si riconoscono molto vagamente sagome di aquile e leoni. Ho apprezzato di più il ponte romano a schiena d asino sul Cendere, costruito in onore dell imperatore Settimio Severo, salvo venire a sapere poco dopo che si tratta di un rifacimento, resosi necessario dopo che un camion carico di petrolio fece crollare il ponte originale. Proseguendo per la stessa strada si passa poi in prossimità di Yeni Kale, un castello in sé piacevole, ma si tratta di rovine mamelucche, che dunque niente hanno a che fare con il regno di Commagene. L ultima tappa di questo breve tour di avvicinamento al Nemrut Dagi, invece, è prevista proprio nei pressi di Eski Kale, (l antica Arsameia), per visitare i resti della quale si impone un impegnativa camminata il cui unico premio degno di nota è rappresentato da un bellissimo rilievo in cui si vede il re, probabilmente Mitridate, sontuosamente addobbato, nell atto di stringere la mano a un seminudo Eracle: un cristone grande e grosso, come è giusto sia per la personificazione della forza fisica. Proprio la visione di questa scenetta familiare di un re e di un eroe semidivino che si stringono la mano come due signori che si incontrano per caso il sabato pomeriggio sul corso cittadino, mi spinge a sapere qualcosa in più del singolare regno di Commagene, foss anche la semplice infarinatura che mi viene offerta dal succitato libretto di Fatih Cimok. E poiché nel frattempo Hasan è arrivato con un vassoio su cui troneggia la tanto agognata birra gelata, mi piazzo sotto un albero e mi immergo nella breve quanto affascinante storia di questo antico regno anatolico, di cui sto per vedere il lascito più celebre. * * * Tutto si gioca in un breve arco di tempo e in un aria circoscritta ma cruciale, quella che si situa tra la Cilicia e l Eufrate. Dopo la divisione dell impero di Alessandro Magno, l area di Commagene diventa una provincia seleucide, fino a quando, nel 162 a. C. il gover- al crocevia delle civiltà Una delle terrazze del Nemrut Dagi si affaccia verso Ankara e la vecchia Europa, l altra è invece rivolta alle immense terre d Asia. Così il messaggio lanciato dal re di Commagene coinvolge direttamente anche noi IL TEATRO DELLA MORTE Il complesso funerariomonumentale di Nemrut Dagi (nelle foto sopra, sotto e al centro della pagina) si trova sul rilievo più alto della Mesopotamia settentrionale, che è alto 2.150 metri. A destra, il castello di Yeni Kale, costruito dai memelucchi nel XII secolo FOTO CORBIS FOTO CORBIS

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35 Repubblica Nazionale 35 25/09/2005 FOTO SIME natore Samos dichiara l indipendenza della medesima provincia e la trasforma in un regno che verrà influenzato in eguale misura da persiani, greci e romani. Questo sincretismo, intrinseco e originario, è senz altro il tratto più distintivo di uno staterello che ben presto si trova a far da cuscinetto tra i romani e i parti. I diversi regnanti di Commagene sono molto attenti a mantenere buoni rapporti di vicinato con ambedue i giganti che si situano ai confini. In particolare Antioco (69-31 a. C.), che non soltanto vanta legami di parentela di altissimo lignaggio con precedenti regnanti occidentali ed orientali, ma entra addirittura in contatto diretto con le divinità degli uni e degli altri, considerate anch esse alla stregua di propri antenati. Certo, il suo irripetibile cenotafio può e deve essere interpretato anche come la prova provata della sua profondissima fede, omaggio definitivo ed eterno agli dèi, ma è altrettanto è vero che in compagnia di quegli dèi c è pure lui, al quale sarà così garantito come è giusto e naturale un posto d onore nell empireo celeste. Questa perenne altalena tra megalomania e umiltà è davvero affascinante e mi piacerebbe approfondirla ulteriormente. Ma nel frattempo mi ha preso una sottile ansia, dovuta alla lettura di poche, pochissime righe in cui la guida ricorda come il momento ideale per assistere all irripetibile spettacolo del Nemrut Dagi sia il tramonto. Oppure l alba. Non ho motivo di dubitarne, ma se questo implica il dover condividere l esperienza in compagnia di decine e decine di turisti, preferisco di gran lunga perdermi la luce ideale nella speranza di venire ripagato dalla solitudine. Per cui chiudo il libro e rapidamente mi avvio verso la mia fedele compagna di viaggio, un utilitaria presa in affitto che sin qui ha svolto perfettamente il suo dovere. * * * Lo dico perché adesso l attende la prova più difficile: una decina di chilometri tremendi, dove non si sa cosa sia peggio; se la pendenza impressionante, il fondo stradale terremotato, o strapiombi la cui sola vista fa accapponare la pelle. Come che sia, dopo un interminabile mezz ora, in qualche modo arrivo al parcheggio ultimo e finale, da cui comincia una camminata di una ventina di minuti che conduce in vetta. A parte i rivenditori del chioschetto di cartoline e bibite non c è nessuno, o quasi, dunque la scelta dell anticipo della canonica ascesa al tramonto si è rivelata giusta. Respiro a pieni polmoni e mi guardo intorno. Il panorama è semplicemente straordinario: file successive e ininterrotte di montagne, che dall arancio arrivano al color testa di moro virando verso oriente in un imprevedibile violetto, sono inframmezzate qua e là da fiumi di tutto rispetto (tra cui l Eufrate) e laghi di un brillante turchese. Siamo talmente in alto che lo sguardo può distendersi a trecentosessanta gradi senza incontrare ostacoli di sorta; inoltre la giornata è nitidissima e davvero sembra di toccare con gli occhi l infinito. Mi volto verso la cima della montagna ed ecco la prima meraviglia: un cono alto cinquanta metri, composto unicamente da piccoli detriti di calcare, che sovrasta il monumento funebre slanciandosi nel cielo. È una forma geometrica semplicissima e perfetta, disegnata dall uomo duemila anni fa, dunque ben prima degli inutili strombazzamenti legati agli esiti infinitamente più modesti della land-art contemporanea. Frattanto ho messo finalmente piede sulla terrazza orientale del cenotafio, il cui disegno originario era peraltro analogo a quello della terrazza occidentale. Con le spalle alla montagna e lo sguardo rivolto all infinito, le diverse, immense statue compaiono in posizione frontale, con le mani appoggiate sulle ginocchia. Le teste sono crollate e giacciono alla base dei rispettivi basamenti. Ma il lungo corteo non è aperto dagli dèi, bensì da un mirabolante leone, il re degli animali, e da un impressionante testa d aquila, signora dei cieli e messaggera degli dèi: chi meglio di loro poteva svolgere la funzione di guardiani ideali di questo incredibile teatro della morte? Poi, finalmente, ecco Antioco in mezzo al suo personale pantheon sincretista: a cominciare da Zeus-Oromasdes (summa della divinità prima del mondo ellenico e del «saggio sovrano della creazione del cosmo persiano-zoroastriano»); e poi ancora Eracle Artagnes-Ares (quintessenza planetaria della forza), Apollo-Mitra Ermete- Elios e infine Commagene, l unica creatura femminile del gruppo in omaggio a una diffusa pratica ellenistica dove Tyche, la dea della Fortuna, compariva spesso nelle vesti della personificazione di una terra o di una città. Si rimarrebbe per delle ore a rimirare queste teste sospese in mezzo al cielo. Anzi, dopo un po si è come catturati da un sentimento vagamente allucinatorio, dal quale è difficile riprendersi. E intanto ronza, ininterrottamente, una domanda: c è qualcosa che lega tra loro queste magnifiche sculture? Sì, il volto fermo e sereno, le labbra appena socchiuse, come se gli dèi parlassero tra loro e con gli elementi (la terra, l acqua, l aria) in una sacra conversazione che va avanti da secoli, da millenni. E se ci si sposta nella terrazza opposta, quella occidentale, dove le statue e i rilievi sono meglio conservati, anche se disposti in modo più disordinato e casuale, si prova la medesima, commovente sensazione. È inutile girarci intorno: secondo i desiderata del suo singolare committente, questo luogo finisce per assumere le sembianze di omphalos del mondo, spartiacque e punto di riunione di Occidente e Oriente; con una terrazza che si affaccia verso Ankara, Istanbul e più in là ancora verso la vecchia Europa; e l altra invece rivolta alle immense terre asiatiche. Senza contare che questo sguardo stereoscopico è garantito da divinità occidentali e orientali riunite finalmente in un unico corpo, in una sola entità. Insomma, al di là del delirante desiderio di Antioco («Erigendo questo hierothesion in un luogo inaccessibile [...] il mio corpo riposerà lontano dal suolo fluttuando nelle regioni celesti di Zeus-Oromasdes») è difficile negare la genialità del messaggio universale che arriva da questa montagna anatolica. Ma la cosa non finisce qui. Non siamo di fronte soltanto ad un monumento antico da conservare accuratamente sotto teca. Sarà per via dell altitudine e di questo contatto diretto con gli elementi naturali, che induce a una certa, elettrica follia; fatto sta che a uno sguardo più attento e prolungato le diverse teste divine paiono perdere progressivamente qualunque ieraticità, qualunque senso di potenza assoluta, di celestiale e definitivo appagamento. E si trasformano poco per volta in umani, troppo umani frammenti novecenteschi: il loro sguardo si fa inquieto e smarrito, le loro labbra socchiuse paiono preludere a una domanda, a una richiesta, più che a un apodittica affermazione. Una ragione in più per non voler abbandonare questo luogo, dove mai avremmo pensato di poter incontrare degli sconosciuti fratelli creati duemila anni fa, eppure a noi contemporanei.

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 Repubblica Nazionale 36 25/09/2005 MICHEL HOUELLEBECQ A UTOMOBILE. È vero che è stata un esperienza forte quando ho lavato per la prima volta la mia macchina. Avevo 45 anni, e ho sentito che infine diventavo uomo. Era un rito fondatore che compivo con un certo ritardo, ma da quel momento facevo parte degli adulti europei. B ALZAC. È uno che non si è tirato indietro di fronte al dossier stato della società. L ambizione è estrema. Desolato di dirlo, ma non penso che ci siano state vere rivoluzioni nell arte del romanzo da allora. Proust non è più romanzo. È uscito dal quadro, completamente. Credo che Balzac abbia definito il modello in via definitiva. E poi, Balzac mi è molto utile. Essere troppo modesti non è bene. Perciò cerco di essere un po megalomane, di dirmi che sono il migliore. È un lavoro faticoso, e ogni tanto si ha bisogno di sentirsi grande scrittore, altrimenti l energia verrebbe meno. Ma di tanto in tanto è bene concedersi una piccola crisi di modestia: in questi casi evoco Balzac, e oplà, mi sento molto modesto. Bisogna mantenere un equilibrio in termini di autostima, sentirsi pessimi, insignificanti, è una necessità, e Balzac a me fa proprio questo effetto. Ha maneggiato molte più emozioni umane di me. Certo, io non sono ancora morto, ma per il momento ho fatto molto meno di Balzac, non c è alcun dubbio. Bene, chiudiamola qui con la mia piccola crisi di modestia. C OMUNISMO. Marx era un autore brillante più che profondo. È riuscito a scalzare le altre correnti socialiste grazie al suo gusto per gli slogan. «La religione è l oppio dei popoli» è più uno slogan a effetto che una frase profonda. In mezzo all intensa creatività dei vari riformatori sociali del XIX secolo, alla fine è il comunismo che l ha avuta vinta e ha applicato le sue ricette, basate fin dal principio su un errata riduzione all economia. Non poteva funzionare. Per molte ragioni. Un sistema di questo tipo non poteva funzionare senza una mistica. E Marx, convinto di aver trovato l alfa e l omega con l economia, non poteva rendersene conto. Platone non si dilunga troppo sull argomento, ma sostiene che il comunismo sarebbe possibile solo con il comunismo delle donne e dei bambini. È un punto di vista che richiederebbe un approfondimento, non è campato in aria. Molti argomenti Marx ha scelto di tralasciarli. Non ha nulla da dire sull organizzazione della famiglia. E niente neanche su un punto molto difficile, è vero, ma fondamentale: la motivazione dei produttori. Che cos è che fa sì che un individuo lavori? Il liberismo ha una risposta semplice: per guadagnare più soldi del suo vicino. Su questo problema, il comunismo non dice una parola. Risultato: nei Paesi dell Est la gente non lavorava. Politicamente, la soluzione cinese di uscire dal comunismo senza dirlo non è male. In linea di massima, in questo campo, l ipocrisia è vista troppo negativamente. Può essere una buona formula conservare le parole, conservare i rituali e cambiare tutto. D EPRESSIONE. È la malattia moderna per eccellenza, l isteria ormai è storia. Ma è solo un inizio: tutti finiranno con l essere depressi, a partire da una certa età. A rigore, non c è niente da fare, perché il livello di esigenza degli esseri umani rispetto alla propria vita continuerà ad aumentare, ma non faranno altrettanto le capacità di realizzazione. Forse c è una speranza chimica. L ho usata poco nei miei libri, ma mi piace sentir parlare di liberazione di neuromediatori. La depressione è un prezzo indispensabile da pagare per la società che la gente vuole avere. Bisogna ammettere che una buona percentuale delle persone sono depresse, e che alla fine devono esserlo tutti per poter avere una vita sufficientemente interessante prima. Nel filone degli autori depressi, io sono sicuramente quello in cui la depressione si è più banalizzata. In Beckett, ho l impressione che ci sia ancora una certa nobiltà della depressione. Da cui certi gesti patetici come distribuire il suo premio Nobel ai barboni. In me, è la situazione normale dell animale frustrato, che si deprime, si mette in fondo alla gabbia, si gratta Non è A poche settimane dall uscita del suo ultimo romanzo La possibilità di un isola, lo scrittore francese Michel Houellebecq ci rivela le parole che descrivono la sua tormentata visione dell esistenza e della letteratura. Un universo dominato dalla depressione, dall umorismo e dal nichilismo. Ma soprattutto dal sesso alfabeto di un pessimista Da Automobile a Zarathustra, passando per immaginazione, depressione e sesso. Il discusso autore di Le particelle elementari e Piattaforma si confessa in forma di dizionario. Il testo che segue è stato pubblicato sul settimanale francese Les Inrockuptibles Nel mio mondo disperato neanche un tema, è uno sfondo, che impiego soprattutto per il narratore, peraltro. Il vantaggio è che i depressi spesso sono estremamente divertenti. Per avere uno sguardo umoristico e lucido sul mondo, niente di meglio che un buon depresso. Sono molto attaccato a questo personaggio di narratore depresso. Forse troppo. F EMMINE. I miei problemi con le donne non si risolveranno. Spesso le donne fanno fatica ad accettare la negazione pura, e il fatto che le lettrici siano sempre di più crea una pressione subdola a favore della positività. Spesso delle donne mi domandano, un po desolate: «Trova veramente la vita così deludente?». Io sono obbligato a rispondere di sì, non amo la vita. Non mi piace il modo in cui è organizzata. Ma non posso far altro che dispiacermi. Il rimprovero più profondo che fanno le donne ai miei libri è il fatto che presento un discorso totalmente disperato, e io non posso obbiettare niente, non posso neanche promettere che le cose si sistemeranno nei prossimi libri. Il fatto che una lettura disperante sia profondamente rinvigorente, è un argomentazione che a volte le donne riescono a capire, ma non sempre, a volte vogliono qualcosa di più semplice. G IOIA. Mi piacerebbe molto fare qualcosa con la gioia, ma allora dovrei fare qualcosa di diverso dalla letteratura. L esaltazione temporanea va bene, il piacere anche, ma la gioia è un aspetto che scoraggia la descrizione. «Gesù, che la mia gioia dimori»: nemmeno la musica credo che sia il veicolo ideale. A parte la Messa in si, che è decisamente tragica, Bach l ho sempre trovato un po palloso. La pittura può descrivere uno stato di felicità, i pittori del Medioevo, ad esempio. André Breton dice di aver scritto pochissimi poemi perché non era quasi mai felice. Ha scritto dei poemi in un momento di felicità intensa. È vero che per la poesia la felicità non è del tutto inaccessibile. È possibile scrivere un poema di gioia pura. Ma a parte la poesia e la pittura, nessuna arte è in grado di descrivere la gioia. H UMOUR. È un argomento su cui ritorno abbondantemente, in questo libro. Qualsiasi cosa può essere trattata con umorismo o in modo patetico. Uno dei miei passaggi preferiti dei miei libri è quando Walcott spiega a Djerzinski che in fin dei conti l umorismo non serve a niente. «Buone maniere della disperazione», è una formula perfetta per l umorismo. Ma, a meno di tacere, si finisce per non essere più educati. Non devi esagerare con le buone maniere, non devi essere troppo educato, se vuoi davvero fare un buon libro. L umorismo non deve avere l ultima parola. Parlo del punto di vista del romanzo, ma è vero che nella vita quotidiana è un valido atout, lubrifica tutto, rende vivibili situazioni insostenibili. I MMAGINAZIONE. Da un punto di vista ideale, non c è bisogno dell immaginazione. Per scrivere un Spesso le donne mi domandano: trova veramente la vita così deludente? Io rispondo di sì, non amo la vita poema, va bene tutto, va bene qualsiasi oggetto, anche il più banale, va bene qualsiasi contesto. Non c è bisogno di immaginare cose che non ci sono. Per un romanzo, in compenso, non credo di aver mai incontrato un solo fatto reale direttamente utilizzabile, bisogna sempre adulterare. Mi è molto piaciuto A sangue freddo, che aveva come regola di selezionare soltanto materiale reale, ma non sarei stato capace di fare un libro del genere, non sarei riuscito a fare a meno di aggiungere aneddoti. FOTO CORBIS L immaginazione io la utilizzo senza pensarci, consapevole che non è la formula migliore, perché lo stato poetico in cui tutto, assolutamente tutto, appare come un materiale direttamente utilizzabile, è lo stato più invidiabile. K ITSCH. Idealmente, dovrei riuscire a diventare kitsch. L arte, quando riesce veramente, consiste nel produrre nuovi cliché, perciò, se quello che faccio io è veramente riuscito, dovrebbe essere considerato come una sorta di kitsch futuro. Sì, sarebbe questo il vero successo. Un nuovo tipo di kitsch depressivo, forse. Ho buone speranze. L IRISMO. Ho l impressione che la gente non osi parlare troppo del mio lirismo. Preferiscono parlarmi del mio umorismo. Io stesso, d altronde, non oso parlarne troppo, perché effettivamente mi sembra indecente. Direi semplicemente che ci vogliono tutti e due, la vita comporta tutti e due. Ma il lirismo deve avere l ultima parola. M ORALE. Ho la pretesa di poter esprimere un giudizio morale su chiunque. Non è che mi consideri buono. Come tutti, credo, mi considero esattamente al centro, e giudico le persone buone o cattive a seconda che siano migliori o peggiori di me. Esprimo giudizi morali su tutti, in continuazione, nella mia vita. Nel contesto di un romanzo, è più difficile perché ci si mette a trovare delle scuse. Descrivere un personaggio che è un mascalzone puro e semplice non regge oltre un certo numero di pagine. E questa è una constatazione moralmente deprimente. Il romanzo non è decisamente un genere morale. Tutti finiscono più o meno per diventare metà simpatici e metà antipatici. N ULLA. Il nulla non è kitsch. È uno dei problemi del rifiuto del kitsch, d altronde: si apprezza solamente il nulla. È vero che il mio narratore tipico spesso si trova nella posizione di uno slalom tra pozze di nulla. E la cosa curiosa è che non ci cade dentro. Concretamente, nella vita, me la cavo abbastanza bene con il nulla. Lo gestisco bene, non fa paura. Sono agguerrito a scansare le zone di nulla. O STINAZIONE. È la mia qualità, la mia unica qualità, in realtà. Quando sento di poter finire una cosa, non mollo la presa. Anche se lavoro molto, di natura non sono un lavoratore. Ho un sostrato di pigrizia molto solido. Non sono neanche coraggioso. L ostinazione può sostituire il gusto per il lavoro, può sostituire il coraggio, può sostituire un po tutte le altre qualità. P IANGERE. Confesso che mi piace quando la gente mi dice che ha pianto leggendo i miei libri. Lo dicono raramente perché il pudore è divenuto eccessivo. Eppure piangere è semplice, fa bene alla salute. È curioso: è una cosa che ha solo vantaggi, ma è proibita. In realtà, non so davvero perché. R ELIGIONE. Continuo a pensare che ce ne vorrebbe una. Una società non può andare avanti senza. Ciò detto, non ho idee per risolvere questo problema, e penso che non verrà risolto. È una delle basi fondamentali del mio pessimismo, in effetti: l impossibilità di una religione allo stato delle conoscenze. È assolutamente evidente che gli esseri umani non sono legati gli uni agli altri. Constatazione tragica ma che mi sento incapace di superare.

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37 IL PERSONAGGIO Michel Houellebecq (nella foto nella pagina accanto) ha 47 anni. Il suo romanzo d esordio Estensione del dominio della lotta viene pubblicato nel 1994 e gli dà immediatamente grande notorietà. Nel 98 pubblica il romanzo-scandalo Le particelle elementari. Nel 2001 esce Piattaforma, che gli vale feroci polemiche e accuse di razzismo sì facile. È organizzato alla perfezione. L ultima volta che sono andato a Parigi, c era Radio Monop (la radio aziendale dei supermercati Monoprix, ndt), e di colpo mi sento felice, amo la loro linea di prodotti, dentro un Monoprix mi sento veramente bene. T EDESCHI. La prima volta che ho visto dei giornalisti tedeschi sono rimasto impressionato dalla serietà con cui trattano la letteratura. Mi hanno intervistato molto a lungo, hanno preso pagine su pagine di appunti. Non ero abituato, mi ha fatto un gran bene, la Kultur. In effetti, io ho un lato serio, e i tedeschi mi hanno permesso di esprimerlo appieno. T URISMO. Devo riconoscere che in questo campo il predominio dei tedeschi è giustificato. Spesso, negli alberghi, ci sono varie agenzie di viaggio francesi, inglesi e tedesche e il programma tedesco è quello fatto meglio, davvero. Sono mestieri interessanti, quelli del turismo, perché la gente viene lì per essere felice, e a volte non lo è. In definitiva, a parte le puttane, che sono direttamente in contatto con una richiesta di felicità, credo che i professionisti del turismo siano fra quelli che ne sanno di più su quello che può o non può rendere felici le persone. U LTIMO. Ho molta paura di non avere più uno scopo ultimo. Di rassegnarmi ai miei limiti. Di dire che avrei fatto quello che ho potuto, che tutti hanno dei limiti, e anch io. Si diventa più modesti, si cerca semplicemente di essere contenti di sé sul momento. Si finisce per sapere che questo non dura a lungo. Ora sono in un momento in cui sono molto soddisfatto di me stesso. Mi succede subito dopo la fine di un libro. Alla fin fine dura un mese, due, non di più. Mi piacerebbe molto non aver bisogno di creare. V ERITÀ. È estremamente raro che un fatto vero sia direttamente sfruttabile. Bisogna sempre modificare per depurare. La realtà è molto caotica, e io ho l impressione di essere un autore piuttosto caotico, qualcuno capace di esprimere frammenti consistenti di reale, e ciononostante no, non c è niente che sia direttamente sfruttabile. S ESSO. Non ne ho parlato fin troppo? Molti dicono che ci sia troppo sesso nei miei libri. Secondo me non ce n è così tanto. Cerco di capire perché la gente abbia quest impressione. Forse per via dell incongruità. Il sesso è trattato in maniera incongrua o avviene in maniera incongrua. È il montaggio che dà quest impressione: non c è preparazione, il sesso arriva un po brutalmente. Ma penso che sia soprattutto il fatto che sia sesso mal riuscito a scioccare tanto la gente. L impressione di oscenità è molto più forte con una scena di sesso mal riuscito. E non ho ancora fatto tutto: qualche difficoltà d erezione, ma niente scene di autentica secchezza vaginale Avrei potuto spingermi ancora più in là, in materia di insuccessi sessuali. Potrei descriverlo in modo assolutamente catastrofico, se volessi. E se mi innervosisco, lo faccio! S INISTRA. Ho un obiezione che mi sembra un mistero: più governi di sinistra ci sono, più aumenta il controllo sociale. Il tabacco è un esempio eclatante. Il fatto che i non fumatori abbiano dei diritti, ecco un idea di sinistra. È un problema, perché si finisce e non era proprio questo il mio punto di vista all inizio con l apprezzare quelle merde di Paesi liberali dove non ci sono regole, dove se hai denaro puoi fare quello che vuoi Il livello di controllo sociale non è estendibile all infinito, a meno di cambiare la biologia. Vorrei non aver voglia di fumare, ma ho bisogno di un operazione al cervello; non sono necessariamente contrario, ma imporre delle norme alla vita senza dare in cambio soddisfazioni autentiche penso che sia un campo dove sarebbe meglio non spingersi troppo avanti. S UPERMERCATO. In definitiva, è il più grande successo del XX secolo, la distribuzione. Possiamo blaterare all infinito se si vivesse meglio prima o adesso, ma quello che è indiscutibile è che consumare non è mai stato co- X XX (FILM). In effetti, non funzionano. In realtà, la sessualità non è porno e i film porno sono porno. C è una sproporzione molto netta tra l aspetto visuale, insignificante, degli organi sessuali e le sensazioni tattili, quelle per niente insignificanti. Non è una buona idea fare dei film. Per il sesso, la letteratura resta migliore. Y OUNG (NEIL). Per me è un grande modello di assenza di rigore. Lui segue la sua intuizione, e alla fine quasi tutto gli riesce bene, perfino il suo album jazz, e questo è quanto meno sorprendente. E poi, usa bene il denaro che gli avanza, per i bambini handicappati, credo, mi piace molto. È forse il solo cantante che sia riuscito a farmi piangere, di tanto in tanto. IN LIBRERIA Nella foto qui sopra, la copertina dell ultimo romanzo di Michel Houellebecq La possibilità di un isola, edito da Bompiani. Il libro è già diventato un caso editoriale che ha diviso la critica internazionale ma sta riscuotendo un enorme successo di pubblico. In alto, Tullio Pericoli, Dall A alla Z, 1986 Z ARATHUSTRA. Nietzsche ha inaugurato la disinvoltura connessa, il posizionamento. Invece di comportarsi come l onesto discepolo che era, e completare l opera di Schopenhauer, si è collocato in una posizione che lo conduce a una pura assurdità. Per esempio, pretendere di preferire le riduzioni per piano di Wagner a Wagner stesso. È palesemente grottesco. Anche Così parlò Zarathustra non è un granché. È un po una poesia di bassa lega. Mi scuso di dirlo con tanta nettezza. C è un certo senso della scena, dello spettacolo, avrebbe potuto essere un buon film. Ma dal punto di vista del lirismo, non è davvero all altezza. Si vede ancora meglio nella patetica imitazione di Gide, I nutrimenti terrestri, che fa cagare. Nietzsche è molto migliore in Al di là del bene e del male. Un libro scritto benissimo, indiscutibilmente. Ma un libro che resta moralmente brutto e filosoficamente insignificante. È talmente tanto tempo che parlo male di Nietzsche che finisco per trovarlo simpatico. Mi piacerebbe incontrarlo, per esempio, in un altro mondo. Testo raccolto da Sylvain Bourmeau Traduzione di Fabio Galimberti

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 la lettura Tribù creative Per alcuni sono maestri di una nuova forma di espressione artistica, per altri semplicemente vandali da assicurare alla giustizia. Eppure nessuna metropoli del pianeta può dirsi inviolata dalle performance dei graffitari, che deturpano le bellezze e abbelliscono le turpitudini dei centri urbani con una irresistibile esplosione di fantasia La rivolta delle città a colori VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON Nella chiazza sul marciapiedi di un lampione stradale, il ragazzo delle bombe racconta. «Il buio era totale, nella notte dentro la galleria e il raggio improvviso della torcia elettrica ci accecò come fosse stato il sole, polizia! Polizia! Cristo, un casino di megafoni e di passi sulla ghiaia che correvano verso di me». Il ragazzo esagera e le ragazze attorno a lui lo sanno, ma sgranano gli occhi rabbrividendo di paure finte che diventano voglie vere. Man, che coraggio che hai, che palle, che uomo, perché si possono avere tutti gli anellini di acciaio che vuoi infilati dappertutto ma le ragazze devono giocare alle femmine e i ragazzi a fare i maschi, nel mondo delle bombe, dell amore scritto sui muri, della vita spruzzata sui ruderi di metropolis e delle grida dipinte sulle carrozze dei treni, in questo oltretomba metropolitano di ombre che vivono soltanto nelle immagini che si lasciano dietro. Il mondo parallelo dei graffiti, dellebombs come le chiamano loro. Le studiano, le inseguono e le catalogano da 30 anni, da quando cominciarono a muoversi a New York e a Philadelphia, queste mani che esplodono di colori e di barocco industriale ormai tutte le città del mondo, con una furia creativa che offende, deturpa, vandalizza, racconta e, soprattutto, sbalordisce. Facoltà e antropologi, critici d arte e sociologi, sindaci e commissari di polizia, che nella loro dignitosa gioventù osarono al massimo una parolaccia incisa su un banco di scuola o un cuore trafitto sulla corteccia di un albero, compilano saggi e ricerche per decrittare i segnali che la street art, l arte da strada lancia e che tutti si possono riassumere in una spiegazione di due parole sole: «Io esisto». Bombardo di spray, di vernice acrilica, di gessi la città, sfuggo alle polizie, sono più forte di ogni lavaggio, più indelebile del sole. Graffio dunque esisto. Dentro la subway Non furono naturalmente i punk, i vandali, gli artisti da strada della East Coast americana, della Subway di New York o delle rovine di Philadelphia a inventare il graffito. Ogni enciclopedia economica ci ricorderà che graffiare le pareti di una grotta con qualche esile silhouette di cavallo, imbrattare i muri di Pompei con parolacce, scolpire le direzioni per raggiungere il bordello più vicino, compreso il prezzo delle prestazioni, come nella antica Efeso, predatano di qualche anno gli affreschi di Daze, di Reas, di Shepard Fairey, di Banksy o di Mike De Feo il fioraio, che copriva le piaghe di New York dipingendo ovunque e soltanto fiori dove non sarebbero mai potuti sbocciare. Ma se lasciare un impronta di se stessi sugli intonaci della storia è istinto non diverso dalla pisciatina del cane che marca il territorio, e le città europee portarono per anni la scritta ancora oggi indecifrabile dei soldati americani di passaggio, Kilroy was here, Kilroy è passato di qui, nulla di spontaneo e di gratuito raggiunse mai le composizioni, i polittici, le Sistine rotabili che da tre decenni deturpano le bellezze e abbelliscono le turpidini delle città moderne. Nessuna metropoli è rimasta inviolata. Nessuna cultura o presunta identità nazionale o politica ha resistito alla pandemia della bomboletta impugnata, nella enorme maggioranza dei casi, da teenager e, come stabilì la polizia di Londra dopo uno studio durato tre anni per scoprire Il messaggio è uno solo: Sfuggo alle polizie, sono più forte di ogni lavaggio, più indelebile del sole. Graffio dunque esisto GLI STILI BLOCK STYLE Le lettere sono dritte, semplici e squadrate, con effetto blocco BUBBLE STYLE Si riconosce per la rotondità delle lettere, che sono ingrandite e deformate WILD STYLE È il più complicato da leggere: le lettere sono deformate, con ombre, tagli,spirali l acqua calda, che il 99,1 per cento degli scrittori di bombe erano maschi. Dopo New York e Philadelphia, caddero Toronto e Montreal e Vancouver. In Canada mirarono a quei convogli ferroviari, soprattutto merci, che attraversano lenti e infiniti l immensità continentale dal Pacifico all Atlantico, facendo per divertimento quello che i migranti della Grande Depressione anni 30 facevano per necessità, quando scrivevano a gesso sui vagoni messaggi e saluti ad altri migranti, come lettere in bottiglia. Dal Nord America all Europa, furono le due Germanie, i teenager dell ovest annientati dal benessere o quelli dell est appiattiti dalla stoltificazione del regime a raccogliere la bombola. Gli affreschi sui due lati del Muro di Berlino perduto nel 1989 erano arrivati a tali forme di espressione politica che Honecker, l ultimo presidente vero della Ddr, arrivò a vietare la vendita di vernici spray. Neppure il Giappone del confucianesimo, della società piramidale e tribale, dei coretti operai cresci azienda cresci poté resistere. Tokyo, Osaka, Nagoya, sposarono la turgida, implicitamente (e quasi mai esplicitamente) oscena grafica dei grandi caratteri carnosi e tridimensionali americani con la immediatezza espressiva dei manga, dei suo cartoni. I graffiti surreali e tridimensionali di Masamura Shoro, che si firma Corail, perché il nickname, il nome d arte, è indispensabile, popolano l ordinatissimo metrò di Tokyo come incubi alla Dalì o come giganteschi bambini che divorano budella di non identificate vittime. In Italia, in Spagna, in Francia, poi, nella Russia del dopo Socialismo Reale, in Bulgaria, in Africa, in Argentina, in Brasile, ovunque le mani delle ombre graffiano le città con la propria firma, con la sigla del proprio crew, del proprio gruppo, o banda, di street artists, in una pandemia che i vecchi, gli ex graffitari passati al mondo dell editoria, della grafica, della pubblicità, della moda, o semplicemente risucchiati dall anonimato della vita disapprovano. Soprattutto da quando Internet, illustrando tutto a tutti nel mondo, tende ad omogeneizzare gli stili e rendere riproducibili opere di arte povera che sembravano, per la loro natura, irriproducibili. I distruttori costruttivi Gli accademici, quelli che studiano e catalogano, li chiamano distruttori costruttivi, perché l accademia e la saggistica adorano i calembours sapienti e le etichettine colte, ma la sola spiegazione coerente che torna sempre quando il mondo dei passeggeri cerca di capire perché debba viaggiare dentro carrozze trasformate in pantografie su ruote è la Ricerca di identità, il nuovo stereotipo di moda per spiegare tutto, dai graffitari ai terroristi, di identità maschile. Ma nessuna formula riesce a spiegare il formidabile talento artistico e creativo che molti graffiti raggiungono, sfiorando i livelli da murales di Siqueiros e la ironia linguistica (ricordare sempre che loro si fanno chiamare writers, scrittori, e non painters, pittori) di gente come Pisa 73, il tedesco che lavora con gli stencil, i cartoni ritagliati e ha coperto la Germania di graziose bambine che mostrano il sedere a chi guarda e di un George Bush con tre dita alzate, due in segno di vittoria e la terza in un segno meno gentile. Ai confini tra Messico e Usa, murales con Cristi sanguinanti e Madonne dolenti colorano Phoenix, El Paso, San Diego, i passi della Frontera del Norte dove migliaia di schiene bagnate come chiamano i clandestini, lasciano la vita per inseguire i due dollari all ora pagati ai braccianti per la raccolta di carciofi e pomodori. Sono la cattedrale all aperto di un calvario senza evangelisti. Nelle grandi città, l esplosione della ghetto music, del raggae, dello hip hop, del THROW UP È l esecuzione più semplice, la scritta è comprensibile e disegnata velocemente BIZARE, ATENE, GRECIA TRIDIMENSIONALE Stile usato per dare alla parola effetti tridimensionali, ombre e giochi di luce COPE 2, NEW YORK

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39 Repubblica Nazionale 39 25/09/2005 BLEF, GENOVA, ITALIA CG CREW, KONER, KIAM 77 & DOME, KARLSRUHE, GERMANIA, 2004 gansta-rap, muove la mano di pittori neri, che affiancano i loro affreschi brutali e violentemente maschilisti, come la loro musica, al classico e politicamente corretto presepe di Martin Luther King, Malcolm X e lo schiavo che spezza le catene. Pochissime, forse soltanto a Londra, sono ancora le autorità e le polizie che tentano di reprimere e di punire atti che restano, dietro tutta la loro espressività, tecnicamente vandalismo. E l accettazione rassegnata della street art, anche quando è soltanto scarabocchio e furia imbratta-muri, rischia di togliere, come Internet, mistica e piacere al graffito. Senza la polizia che irrompe nella galleria buia mentre si spruzzano carrozze londinesi, a Drax, il ragazzo che esaltava il proprio coraggio dentro la galleria, le ragazze del branco non avrebbero pretesti per fremere davanti alla sua virilità. Il paradosso, e il rischio, di questa forma di espressione popolare, è proprio che la accettazione o la rassegnazione tolgano quel gusto dell atto criminoso, ma non violento, che motiva tanti di loro. Che anche questo grido di libertà e di originalità individuale, nella società di noi cloni consumisti, si esaurisca perché assorbito nel mainstream, nel grande fiume del commercio che tutti assorbe e omogeneizza. Come hanno fatto in Giappone le grandi aziende elettroniche quando hanno scoperto che le ragazzine delle medie e dei ginnasi avevano inventato la propria forma di graffiti, non sui muri, ma sulle foto scattate nelle cabine pubbliche. In un volume da domani in libreria una guida ragionata al mondo dei writer La mappa globale dei virtuosi dello spray I graffiti del mondo corrono sotto terra, lungo i vagoni del metrò. Oppure si mostrano alla luce, sulle superfici di cemento dei palazzi, dei treni. Riempiono il vuoto con i colori, gli impongono il tag, la firma, il segno. I writer si muovono veloci nell illegalità, dagli Stati Uniti all Europa, dal Sudamerica all Africa al Giappone nella simbiosi itinerante tra vandalismo e arte. Il sindaco di New York Michael Bloomberg gli ha dichiarato guerra, creando una squadra specializzata nel dargli la caccia. «Creativi», li definisce The Independent: «Trasformano in arte il quotidiano, il triviale, i mezzi di trasporto, le facciate, i muri». Graffiti World di Nicholas Ganz (edito da Ippocampo, dal 26 settembre in libreria) è la prima carrellata globale di un fenomeno che coinvolge ormai tutti e cinque i continenti. Duemila pezzi fotografati, 180 writer, storia, tendenze, colori, tecniche. Stili da esterni impressi anche nei modi del vestire urbano. Le tecniche di graffito si chiamano tag, la firma (quella ricercata del francese Akroe), lettering, le lettere (l americano Koner usa le più semplici), old school (l impatto viene dai Chrom Angelz, antesignani anglofrancesi) fino al bubble, ai caratteri tondi (Cope 2, Usa) e all incomprensibile wildstyle del tedesco Kiam 77. I disegni circolano grazie al passaparola sul DAIM, AMBURGO, GERMANIA AMBRA SOMASCHINI DISEGNI IN LIBERTÀ Qui sopra, graffiti sul Muro di Berlino prima della caduta del 1989. Nelle altre foto in queste pagine, tag e graffiti su treni, mezzi privati e pareti di metropoli occidentali web, alle riviste specializzate, alle mostre. Tra settembre e ottobre Wordless Exhibition and Lounge alla Halle 109 del Toni Areal di Zurigo; le murate di Villagegraff in Piazza del Corpus a Segovia; la Writing Session Dway Contest nel Parco Lambro, Milano; la jam Explosionin Rue des Acacias a Parigi. Tutto comincia alla fine degli anni 70 tra New York e Philadelphia con Taki 183, Julio 204, Cat 161, Cornbread, i primi writer che tracciano tag sulle pareti di Manhattan e inventano American Graffiti. Negli 80 i graffitari viaggiano, firmano i treni, contaminano il pianeta con la streetart: prime mostre ad Amsterdam, Anversa, Berlino, Madrid. Il movimento si muove a ritmo della musica hip-hop, approda in Brasile, Cile, Argentina con emblemi e figure, dipinti non solo con lo spray ma verniciati con acrilici, con colori a olio, stickers, adesivi e mascherine che esprimono immagini e parole. Negli anni più recenti il campo d azione è diventato Internet. Il Graffiti World si è trasformato in Post Graffiti, Aerosol Art, Neo graffiti. Trent anni fa Basquiat e Harring, oggi Os Gemeos, pixadores brasiliani, il californiano Above, il latinoamericano Binho, i californiani Seeking Heaven Crew. I francesi Akroe e Monsieur André con i logo, i berlinesi Flying Fortress. In Italia si predilige invece l attacco ai treni (Blef e Fra 32 i graffitari più noti), in Grecia c è il festival Chromopolis, in Spagna si è affermato il gruppo Pornostars. Ma l espansione non è finita. «La cultura dei graffiti spiega Ganz si muove nel futuro verso orizzonti sempre più ampi. Si sperimentano forme nuove, si assiste al proliferare di personaggi, simboli, astrazioni, mezzi espressivi. Lo stile individuale si evolve senza vincoli attraverso adesivi, manifesti, stencil, aerografi, vernici, sculture. E raggiunge gli angoli più remoti del pianeta». Si facevano fotografare e poi scarabocchiavano sopra frasi in gergo, messaggi segreti, allusioni educatamente sexy e comprensibili solo a loro. E immediatamente hanno costruito cabine che offrono scritte, formule, ornamenti preconfezionati e prestampati. «Se le pulsioni creative e ribellistiche degli adolescenti che dipingevano i muri e i vagoni si esauriscono nei messaggini telefonici e nella grafica preconfenzionata in Internet» ha scritto l inglese Nancy McDonald che ha dedicato una vita all arte di strada «di questa generazione non resterà che qualche elettrone consumato nell aria». L eredità futura Forse non resterà molto neppure delle fatiche mini michelangiolesche, a volte di notti e giorni interi, di coloro che dipingono vagoni destinati tutti alla rottamazione e muri destinati alle ruspe e nell effimero di queste Sistine da strada anche gli autori apprezzano l ironia. «Il mio lavoro scomparirà con me» diceva Banksy, nickname di uno dei caposcuola inglesi «ma a me basta sapere che un giorno qualcuno ha guardato una carrozza del metrò passare e ha visto quello che ho fatto, anche senza conoscermi». Io sono esistito, per un attimo. Poi, tutto transitorio e dimenticabile, come un Sms, come la televisione. Da buttare. Come quei graffiti coi quali adulti responsabili e per bene imbrattarono il mondo, per invitarci a «Vincere! E Vinceremo» o con appelli alla «Gloria per il Nostro Grande Timoniere». Vandali per vandali, allora meglio un sincero vaffanculo a grasse lettere in 3D su un vagone della subway in corsa, che uno «Juden Raus» o un «Morte agli immigrati». OS GEMEOS, SAO PAOLO, BRASILE

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 Le copertine dei dischi, la bocca e la lingua di Mick Jagger, le giacchettine e i capelli dei Beatles, i volti ribelli di Jim Morrison e Kurt Cobain. E ancora gli occhiali di Elton John, Yoko Ono e John Lennon assieme: sono i flash che hanno fissato gli artisti della musica nella nostra memoria. Ora a Londra una grande mostra raccoglie le immagini più belle dei fotografi che hanno creato la leggenda di una sorta di religione laica che non pretende di essere creduta ma aspira a essere ricordata. Per sempre Repubblica Nazionale 40 25/09/2005 EDMONDO BERSELLI Non c è un comandamento solo, e forse non c è nemmeno un decalogo per il rock e le immagini a sua somiglianza. Certo, come per tutti gli idoli, anche quelli minori, l apparenza conta quanto la sostanza. Sta alla percezione dei contemporanei decidere se i Rolling Stones alla fine vanno identificati con il riff di Keith Richards in Satisfaction, oppure con la bocca di Mick Jagger, Tongue and Lip, ormai un logo storico, il simbolo di una multinazionale della musica commerciale. Il dilemma è se conta di più il sound o il look; e il problema consiste nell esaminare come una tendenza sonora si fissa in un immagine. Prima di tutto c è da dire che come tutte le correnti novecentesche il rock è nato da una genetica multimediale. Suoni e immagini. Luci e colori. Arte popolare per eccellenza mediata da un marketing globale. Ma anche gioco di equivalenze il più possibile congruenti fra il personaggio e l artista, fra l identità e la performance. Se si rivedono infatti le foto degli inizi della carriera di Elvis Presley, si vede già il personaggio futuro. Il bianco come colore definitivo dell abito di scena, i capelli scolpiti in un acconciatura che è parte dell identità estetica, la chitarra o il microfono come feticcio. Soprattutto, un lavoro sul corpo che è continua sottolineatura, accentuazione, semplificazione. Basette, rimmel, ombretto, eyeliner. Eppure non è detto che l immagine del rock, il carisma fissato in icona, dipenda soltanto dall irruzione fisica del corpo nel mondo delle immagini: talvolta c è una sparizione, un assenza, una metafora. Nel loro capolavoro di rock cosmico, Atom Heart Mother, i Pink Floyd scompaiono dietro la rappresentazione della mucca pezzata (la tesi che si tratti del bovino più famoso del nostro immaginario potrebbe essere messa in dubbio soltanto da Guernica di Picasso). Oppure si ritirano dietro il prisma e le spettrografie di The Dark Side of the Moon, la celebre immagine creata da Hipgnosis che è diventata un oggetto di culto, quasi una religione grafica con adepti e interpreti. Ma poi, che cosa caratterizza un icona rock, un simbolo pop? La persistenza nel tempo o il cambiamento continuo? In tutta la loro carriera, gli Stones sono rimasti sempre uguali a se stessi. Identici i capelli, sempre gli stessi i pantaloni da elfo di Jagger, uguale il suo volto immortalato nelle foto di Annie Leibovitz. Ed è sempre lo stesso il corpo, accentuato in chiave erotica, dalla bocca alla zip apribile nei dirty jeans di Sticky Fingers, che vuol essere l indizio di canzoni sporche, fatte di droga e sesso spinto. Mentre i Beatles cambiano continuamente: cominciano una versione adolescenziale e beat dell eleganza inglese, con le giacchettine, i berrettini e gli stivaletti, tutti i gadget di un glamour che va a tentoni, e poi si evolvono. Sembrano toccare la perfezione nella copertina di Sgt. Pepper s, in cui infatti si propongono come i protagonisti di una saga, di un piccolo mito, un paese da cartoni animati in cui hanno chiamato a raccolta un secolo di personaggi, da Laurel & Hardy a Bob Dylan e Marlon Brando. Ma poi, in coincidenza con il trip indiano, immersi nella visione zen, dopo essersi innamorati di Ravi Shankar e del suo sitar, «attraversano la strada» nell immagine di Abbey Road, in un incrocio davvero impressionante di estetica inglese e di capigliature da fiume sacro: contaminazione pura, ibridazioni selezionatissime, cioè ossimori tipicamente britannici, tipici di Il prodotto di una genetica multimediale: l Arte popolare mediata dal marketing globale Le facce del Rock Dagli Stones agli U2 così le foto diventano icone Michael Jackson filmato da John Landis in Thriller, eroe ancora nero di una lotta contro gli zombie. Il fatto è che nessuno è immune dalla costruzione dell immagine: se si guarda la bella collezione di copertine che lo storico Mimmo Franzinelli ha raccolto nel recentissimo volume Rock Music. Gli artisti e gli album che hanno fatto un epoca(mondadori), ci si accorge che fin dagli inizi, o almeno dai tempi di Highway 61 Rivisited, Bob Dylan si presenta con un look che potrebbe perfino alludere al punk. Vale a dire che la risposta era effettivamente in the wind, e che alla fine Sid Vicious e Johnny Rotten, e tutti quelli del no future e con le creste di capelli viola si erano limitati a raccogliere elementi sparsi che erano nell aria, a concentrarli in modo estremo, e a definirli come uno stile. Tipico di tutte le avanguardie, fino al grunge, ai Nirvana, alle garage band di Seattle. Ma tipico anche del marketing, ovviamente. Perché non c è solo la virata ispanica di Madonna, che a un certo punto scopre crocefissi, cristi latini, religioni bollenti e sensuali, si trasforma in Evita, danza dentro gli anni Trenta, dopo avere mimato la Marilyn di Andy Warhol tenta la via di una American Legend mischiata con l elettronica e gli effetti grafici memori di Keith Haring, sempre con il mirino puntato su fasce di pubblico e settori di mercato promettenti. Per chi ha visto i grandi concerti americani di Dylan con Joan Baez a metà degli anni Settanta, lei che lo guarda innamorata e lui perfettamente alternativo, antinucleare, ostinatamente avverso ai masters of war dell era Vietnam, non risulta proprio inedita la leadership pacifista di Bono, il frontman degli U2 (però, di fronte al ruolo semiuna cultura capace di inglobare multiculturalismi ante litteram (eppure prima c era stato l album bianco, che sembrava avere inghiottito e annullato il colore squillante delle cassette postali e dei portoni di Penny Lane). Che ci sia un attrazione caratteristica del rock verso forme di opera, in cui l incerta ideologia rocker sfiora la psichedelia o si sintetizza nel cartoon dovrebbe essere evidente per chiunque abbia visto almeno un frammento di The Wall, in cui i maestri passano al tritacarne gli alunni, tanto per giustificare l inno corale «we don t need no education, we don t need no thought control». A cui oggi si possono forse affiancare, in versione completamente post, e affrancata di senso e significato, i personaggi della band virtuale dei Gorillaz. E per tornare all altro ieri, risulta effettivamente indimenticabile il

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41 I PROTAGONISTI JIM MARSHALL ANNIE LEIBOVITZ HENRY DILTZ ELLIOTT LANDY È il fotografo rock per eccellenza. La sua vita ha seguito gli eccessi e i successi delle rockstar. Le sue foto più famose sono disponibili su Internet all indirizzo www.jimmarshallvault.com Una delle più grandi artiste americane viventi. Le sue foto dagli anni 70 in poi (famosissimi gli scatti a Lennon e Patti Smith) sono parte integrante della storia del rock Le gesta leggendarie dei protagonisti della musica californiana degli anni 60 e 70 è anche merito suo e delle sue fotografie. Sul web all indirizzo www.henrysgallery.com Da Bob Dylan al festival di Woodstock, molto rock è passato davanti alle lenti di questo grande fotografo. Gli scatti sul sito Internet www.landyvision.com MARTYN GOODACRE / RETNA UK /GRAZIA NERI BELLI E DANNATI Qui sopra, Jim Morrison e Kurt Cobain. A sinistra, una foto del giovane Mick Jagger durante un concerto FOTO Andy Warhol Foundation/CORBIS Repubblica Nazionale 41 25/09/2005 JOHN E YOKO VISTI DA WARHOL Qui sopra, John Lennon fotografato insieme a Yoko Ono In alto a sinistra, Elton John al pianoforte e, più sotto, Jimi Hendrix istituzionale di Bono, risulta quasi più originale il situazionismo antimilitarista dei bed-in di John Lennon e Yoko Ono, soprattutto quando l intenzione polemica veniva fotografata proprio dalla Leibovitz, con il bianchissimo John nudo e fetale aggrappato alla sua madre ideologica). Il rock lascia sempre dietro di sé reliquie iconiche. Possono essere le calze a rete che imbrigliano a fatica le cosce della potentissima Tina Turner, il sudario bianco di Jim Morrison, i volti dei Deep Purple scolpiti sulla montagna dei presidenti, il dirigibile dei Led Zeppelin, la silhouette afro di Jimi Hendrix, le chiappe proletarie di Bruce Springsteen infilate nei jeans della copertina di Born in the Usa, i capelli biondi e lisci che coprono il volto di un Kurt Kobain prossimo a schizzare. Sono detriti di una fede artificiale, segnali di una religione che non pretende di essere creduta ma aspira a essere ricordata. La memoria si aggrappa a questi simboli, alle reincarnazioni del Mensch di Edvard Munch, al surrealismo di Salvador Dalí, alle serializzazioni di Warhol, al pop di Robert Rauschenberg e James Rosenquist, nonché ai fumetti di Roy Liechtenstein, e alla fine non ci sarà un credo, non una religione visionaria, ma almeno un codice visivo dei nostri decenni, quello sì. Alla Blink Gallery di Londra le immagini dei mostri sacri della musica Nel tempio che custodisce gli scatti degli immortali A Londra, ai margini di Soho, in Poland Street, c è un piccolo spazio, un pianoterra e un basement, dove si nasconde un tesoro. È un posto piccolo ma è ricco di immagini che spezzano il cuore di ogni appassionato rock. Si chiama Blink Gallery e propone il meglio della fotografia rock inglese ed internazionale. È la prima rock photo gallery europea ed ospita le immagini dei fotografi che sono passate alla storia. Si, perché il rock non è mai stato soltanto musica, ma fin dalla sua nascita, fin dai primi vagiti alla metà degli anni Cinquanta, le immagini dei rockers sono state importanti quasi quanto la musica che i rockers stessi suonavano. Elvis non avrebbe avuto lo stesso successo senza le fotografie che lo ritraevano bello e ribelle, i Beatles forse avrebbero ugualmente cambiato il mondo con le loro canzoni, ma il contributo dato a questa rivoluzione dalle loro immagini, che mostravano ai ragazzi di tutto il mondo che loro erano veramente diversi da chiunque li avesse preceduti, è stato senza dubbio determinante. E altrettanto si può dire per la gran parte dei grandi del rock, che con le fotografie delle copertine dei dischi o quelle pubblicate dai giornali e dalle riviste, o quelle stampate sui poster che per tanti anni hanno occupato i muri delle stanze dei ragazzi di tutto il mondo, hanno raccontato tutto quello che la loro musica non raccontava, hanno dato corpo a quello che era soltanto musica. «Il primo ricordo che ho del rock è quello di una fotografia. Si, una foto, non una canzone. Era una foto di Jimi Hendrix, con un braccio alzato verso il cielo, l altro pronto a reggere la sua chitarra, lo sguardo verso un altrove che, immaginavo, avrei trovato nella sua musica, nei suoi dischi». Scrive così uno dei romanzieri più originali e interessanti delle ultime generazioni, Chuck Palahniuk raccontando il suo rapporto con la musica. E per molti, non solo per lui, è stato davvero così, attraverso una fotografia, un immagine, che il rock è entrato nella loro vita. La grande stagione della fotografia rock cammina di pari passo con la grande stagione del rock: è quella che va dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, venti anni di immagini che hanno fatto del rock qualcosa di più grande di quello che avrebbe potuto essere. «Io sono stato molto fortunato», dice Elliott Landy, uno dei grandi fotografi americani che ha contribuito a creare l immagine del rock con i suoi scatti. «Nei primi giorni della mia carriera ho scelto di fotografare persone ed eventi che solo dopo sono diventati socialmente o culturalmente rilevanti. Quando io fotografavo Jim Morrison all Hunter College Auditorium o Janis Joplin all Anderson Theatre ERNESTO ASSANTE quello che m interessava, quello che era importante era riuscire a catturare il momento di gioia che quell esperienza creava per poterlo dividere con altri. Era il rock, insomma, vissuto con una macchina fotografica in mano». Pochi, pochissimi dei grandi fotografi del rock sono diventati dei divi al pari delle rockstar che hanno fotografato. Quei pochi sono quelli che hanno contribuito a scrivere la storia del rock con le loro fotografie. Del resto sarebbe impossibile non dare a Ian MacMillan un posto nella storia del rock per le foto dei Beatles per la copertina di un disco come Abbey Road. E altrettanto si dovrebbe dire per Elliott Landy e le sue foto di Dylan per Nashville Skyline, o il lavoro di Gered Mankowitz con i primi album dei Rolling Stones, o di Henry Diltz con Crosby, Stills e Nash. Alla Blink Gallery ci sono molte delle foto che hanno fatto la storia del rock. Ci sono gli scatti di Dennis Morris, che a soli diciassette anni era già diventato famoso con le sue foto di Bob Marley e dei Sex Pistols, ci sono quelle di MacMillan, che fanno attraversare Abbey Road ai Beatles molte altre volte, o quelle di Gered Mankowitz con i Rolling Stones, e di Dominique Tarle con Keith Richards e Mick Jagger. Ci sono alcuni dei migliori fotografi britannici, quelli dei nostri giorni come Ian Tilton, quelli che hanno fatto la storia come Michael Cooper (l autore, tra l altro, della copertina di Their Satanic Majesties Request degli Stones). La galleria ha ospitato, durante tutta l estate, una splendida mostra di Jim Marshall, responsabile di alcune iconiche immagini di Jimi Hendrix, Janis Joplin, dei Beatles e di innumerevoli copertine di dischi. Marshall (la cui figura è servita a Francis Ford Coppola per il personaggio del fotografo interpretato da Dennis Hopper in Apocalypse Now) è il classico esempio di come la fotografia rock sia cresciuta e cambiata nel tempo. Marshall era con le rockstar quando giravano l America con un solo pulmino o dormivano insieme in un unica stanza d albergo, quando la parola manager e avvocato non facevano parte del lessico del rock, quando i sogni sembravano possibili e l arte si mescolava alla vita. Ed è stato così anche per Annie Leibovitz, che con i suoi ritratti di musicisti (molti dei quali raccolti nella mostra American Musicche pochi mesi fa è arrivata anche in Italia) ha raccontato un altro aspetto della storia del rock, più privato, più particolare, più profondo, basta vedere i suoi ritratti di Patti Smith, la celebre foto di Lennon e Yoko scattata poche ore prima della morte del Beatle, le rughe profonde sul volto di Johnny Cash, per capire che il rock, nelle mani della Leibovitz, non è mai stato soltanto musica, ma molto altro ancora.

Repubblica Nazionale 42 25/09/2005 42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 i sapori Menu classici Risotto allo zafferano Il vicentino Carlo Cracco ha creato per il ristorante milanese Cracco-Peck una magistrale versione del risotto alla milanese, cambiando solo la cottura del midollo, non più sciolto ma cotto alla piastra 240 gr. riso Carnaroli del Pavese, 100 gr. burro, 1 scalogno tritato, ½ bicchiere vino bianco, 1 ½ litro brodo di manzo, 40 gr. Parmigiano Reggiano, 2 gr. circa zafferano in pistilli, 4 midolli, sale e pepe Soffriggere lo scalogno con 1/3 del burro. Unire il riso, tostarlo leggermente e sfumarlo con il vino bianco. Aggiungere lo zafferano e pian piano il brodo bollente. Cuocere per 15/17 minuti. Togliere dal fuoco e lasciare riposare. Mantecare con il burro e il formaggio. Aggiustare di sale e pepe. Cuocere i midolli da entrambi i lati in una padella rovente, in modo che si formi una sottile crosticina. Servire il risotto con al centro il midollo Sartù di riso Angela Ceriello, cuoca innamorata della cucina di territorio, gestisce con la famiglia il ristorante E Curti di Sant Anastasia, centro alle falde del Vesuvio Per le polpette: 180 gr. carne macinata, 50 gr. pane raffermo, 1 uovo, 1 cucchiaio pecorino romano, sale, pepe, prezzemolo Riso: 500 gr. riso, 60 gr. burro, prezzemolo tritato, sale, pepe, 50 gr. pecorino grattugiato, 2 uova Ripieno: 30 gr. funghi di pioppo, 100 gr. burro, cipolla tritata, 80 gr. prosciutto crudo a pezzetti, 1 bicchiere vino bianco, 150 gr. piselli, 2 cucchiai passata di pomodorini, 2 cucchiai farina, 160 gr. fior di latte, sale, pepe, prezzemolo Bollire i funghi 10 e tenere l acqua di cottura. Amalgamare gli ingredienti delle polpettine. Rotolare le palline nel pan grattato e dorarle in olio caldo. Imbiondire la cipolla con burro e prosciutto a fuoco lento. Sfumare col vino, aggiungere piselli, passata e, dopo 10, la farina lavorata col burro. Allungare con l acqua dei funghi, mescolando fino a ottenere una salsa. Aggiungere i funghi e cuocere per 10. Quasi a fine cottura, unire le polpettine. Bollire il riso, mettendolo in acqua fredda con sale, pepe e burro. Cotto e intiepidito, lavorare con uova sbattute, prezzemolo e pecorino. Riempire uno stampo unto con un buco al centro da colmare con metà mozzarella, prosciutto e uova sode, più tutto il ripieno. Disporre l altra metà degli ingredienti con sequenza inversa. Coprire con il riso rimanente, pangrattato, burro. Infornare per un ora LICIA GRANELLO Tutto quello che avreste voluto sapere sul riso e non avete mai osato chiedere. Carlo Cracco due stelle Michelin a Milano, un risotto alla milanese da urlo e Marco Bistarelli presidente in fieri dei Jeunes Restaurateurs italiani sono pronti a spiegarvi tutto a partire da giovedì, in quel di Foligno, Perugia, sede annuale della manifestazione Primi d Italia. Che significa tutto quanto vi arriva nel piatto tra l antipasto e la pietanza. E siccome non LE TIPOLOGIE BASMATI Coltivato in India e in Pakistan da più di 10.000 anni, ha chicchi lunghi, fini e aromatici. Ne esistono oltre cento varietà, differenti per colore dall ambrato al rosso scuro e profumo. Dopo la cottura, i chicchi sono staccati e leggeri Basmati, vialone, arborio, selvaggio, integrale: sono solo alcune delle tante varietà sempre più diffuse e apprezzate, sia nelle preparazioni rapide in casa che nelle ricette da ristorante I consumi crescono e da giovedì a Foligno, la rassegna Primi d Italia dedica al re dei cereali lezioni speciali e degustazioni Riso Mille identità per la star della cucina si vive di sola pasta e gnocchi, all interno della manifestazione il riso si è guadagnato un villaggio monodedicato, ricette sfiziose all interno dei menù di pranzi e cene, mini-corsi per cuochi in erba e lezioni specialistiche dei superchef. Versatile quanto e più della pasta asciutto, in minestra, al forno, come dessert dieteticamente ineccepibile, aperto ai venti gastronomici del mondo, accessibile a 360 gradi dal casalingo di emergenza al cuoco più raffinato ma anche misterioso e sensuale, negli ultimi anni il riso ha risalito orgogliosamente la piramide del gusto nazionale. CARNAROLI La lunghezza del chicco e la ricchezza in amilosio ne riducono al minimo la collosità, e lo rendono ideale per preparare i risotti asciutti. Coltivazioni d elezione, le risaie del Vercellese, del Pavese e la pianura lombarda PARBOILED Non è una varietà di riso, ma un trattamento con vapore ad alta temperatura sotto pressione e rapida essiccazione che riduce drasticamente i tempi di cottura e impermeabilizza il chicco. Viene utilizzato nelle preparazioni veloci Perché la pasta è facile, ci è amica da sempre. E la più complessa, preziosa, fantasmagorica delle preparazioni arriva sul palato con note quasi sempre conosciute. Se il gusto ci affascina, cerchiamo di decifrarne la ricetta. Se siamo in confidenza con il ristoratore, gli chiediamo lumi. Il riso no. Tant è che salendo la scala dei ristoranti di qualità, la richiesta di piatti a base di riso cresce in maniera esponenziale. Perché se il riso in brodo, in minestra, in insalata si risolve in piatti di semplice gestione, il risotto, quello con la erre maiuscola, richiede talento, maestrìa, applicazione. Chiedere i VENERE Il colore viola-nero deriva dal guscio, ricco di vitamine e sostanze antiossidanti, che viene conservato nella lavorazione (integrale). Coltivato nella pianura padana, saporitissimo, ha un lungo tempo di cottura (tre quarti d ora) segreti di un grande risotto a uno chef è come pensare di accedere al segreto della pietra filosofale: dalla pentola appoggiata sullo straccio bagnato e freddo per fermare la cottura prima del tocco finale, alla mantecatura con cubetti di burro ghiacciato, parmigiano e frusta usata dal basso all alto, fino alla cipolla messa a tostare e poi ammollata nel brodo per imbiondirne il colore, la riproducibilità casalinga sfiora l impossibile. Discorso analago per la ricetta-culto della cucina campana: il Sour tout, sopra tutto, importato dai monsù, i cuochi francesi (monsieurs) arrivati alla corte VIALONE NANO I granelli piccoli e tondeggianti e l alta percentuale di amidi, pur richiedendo attenzione nella cottura, assicurano eccellente assorbimento dei condimenti Perfetto per risotti cremosi. Si coltiva in Veneto (Igp) e nel Mantovano

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43 Padova Vanta 3000 anni di storia, che si leggono ancora girovagando tra chiese e monumenti del bel centro storico. Ricchissima, la proposta alimentare, dai vini all allevamento di bassa corte, fino al riso, coltivato storicamente con la confinante provincia di Verona DOVE DORMIRE B&B IL GIARDINO NASCOSTO Corso Umberto Primo 46 Tel. 049-664226 Camera doppia da 80 euro, colazione inclusa DOVE MANGIARE Il CALANDRINO (con camere e vendita prodotti) Strada Statale 11 Località Sarmeola di Rubàno Tel. 049-630303 Chiuso lunedì, menù da 22 euro DOVE COMPRARE RISERIA DELLE ABBADESSE Via Roma 143 Grumolo delle Abbadesse (Vi) Tel. 0444-583792 Borgomanero (No) Gode di ben due laghi poco più a sud Orta e Maggiore ed è il centro più importante della provincia di Novara Il Borgo del Maniero, di origine medievale, ha nella carne di asino, il vino e il riso i cardini della sua tradizione gastronomica DOVE DORMIRE IL GIARDINO DI ALICE Via Motto Mirabello 51 Campagna Tel. 0322-57212 Camera doppia da 90 euro, colazione inclusa DOVE MANGIARE PINOCCHIO Via Matteotti 147 Tel. 0322-82273 Chiuso lunedì e martedì a pranzo, menù da 40 euro DOVE COMPRARE RISO FOSSATI Via Tornielli 1 Briona Tel. 0321-826285 Repubblica Nazionale 43 25/09/2005 3 miliardi 5,6 kg 591milioni Le tonnellate di riso grezzo Le persone che consumano riso nel mondo dei Borboni, vanta pochissimi, straordinari esecutori. Certo, la materia prima è importante. Slow Food, campione di salvataggio delle varietà tragicamente in via d estinzione, ha imbarcato sull arca dei presìdi del mondo il Manoomin, riso selvatico coltivato nei laghi del Minnesota dagli Anishinaabeg, i nativi americani e l Organic Basmati (biologico) dei risicoltori pakistani di Lahore. Posto d onore per il profumato Basmati indiano, coltivato da secoli sulle pendici dell Himalaya, che otto anni fa l americana Rice Tec aveva tentato di brevettare. Un vero e proprio attacco di bio-pirateria, respinto grazie alla tenacia della fondazione Navdanya, LE COTTURE BOLLITO La preparazione più semplice in abbondante acqua salata, aggiungendo una tazza d acqua fredda a fuoco spento permette diverse rifiniture, dal condimento inglese (olio e limone) alle insalate La versione orientale è al vapore È il consumo pro capite annuo di riso in Italia presieduta dal premio Nobel Vandana Shiva. Del resto, il riso costituisce i due terzi dell alimentazione quotidiana per quasi tre miliardi di persone, dando lavoro a un terzo di esse. Non a caso, l International Year of Rice, che l anno scorso ha riempito il mondo di convegni, dibattiti e analisi, partendo dall assunto del riso come fulcro intorno al quale ruotano relazioni interdipendenti tra agricoltura, sicurezza del cibo, nutrizione, agrobiodiversità, ambiente, cultura, economia, scienza, identità sessuale e lavoro, ha avuto per motto Rice is Life, il riso è vita. Implementare sostenibilità e produttività, ovvero aumentare i raccolti MINESTRA È il piatto storico della cucina vercellese, ma si trova un po in tutta Italia, sia a base di verdure zucchine, spinaci, zucca sia di legumi (castagne, lenticchie, fagioli). La cottura nel latte serve a creare dolci, come il budino di riso PILAF È una cottura mista, di origine turca, che serve a utilizzare il riso, con i suoi chicchi ben sgranati, come accompagnamento a piatti con base carne, pesce e verdure Dopo la brillatura e l aggiunta di brodo, si inforna per 20 minuti prodotte annua nel mondo senza massacrare l ambiente con pesticidi, fertilizzanti e ogm, in linea con la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite del 2000, è la vera sfida della nuova agricoltura a livello mondiale. Quindi, non fermatevi alla solita confezione di riso. Curiosate tra Venere e Basmati, Vialoni e Selvaggi. Provate l ebbrezza del riso invecchiato per dar modo all amido di maturare, così da garantire chicchi sgranati e dal cuore croccante nelle ricette più golose. Se poi il dubbio vi assale, regalatevi un week end a Foligno. Imparerete mangiando. È il sogno inespresso di tutti i golosi. RISOTTO Uno dei piatti d oro della cucina italiana, figlio della cultura alimentare del Nord. Il tempo di cottura del riso preferibilmente Carnaroli o Vialone Nano varia a seconda della brillatura iniziale e della quantità di condimento Seregno (Mi) A una manciata di chilometri da Milano, sull asse che conduce verso il lago di Como, si è sviluppata industrialmente negli ultimi decenni, diventando un cardine della Brianza operosa. Il paese brianzolo è ormai uno dei capisaldi della cucina meneghina fuori porta DOVE DORMIRE UMBERTO PRIMO Via Dante 63 Tel. 0362-223377 Camera doppia da 115 euro, colazione inclusa DOVE MANGIARE OSTERIA DEL POMIROEU Via Garibaldi 37 Tel.0362-237973 Chiuso lunedì, menù da 42 euro DOVE COMPRARE GASTRONOMIA GATTI Via Trento 12 Albiate Tel. 0362-930085

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 le tendenze Nuova creatività A New York la riapertura del Moma, ristrutturato e ampliato, viene celebrata sulle passerelle con una serie di vestiti che ricordano, richiamano o imitano le opere dei più grandi pittori che hanno segnato il secolo appena trascorso. Così gli stilisti Arte ritrovano l antico amore per gli artisti L Abiti come quadri. A New York l effetto Moma si fa sentire. La riapertura del museo di arte moderna è stata celebrata sulla passerella del prét-àporter americano che ha chiuso i battenti da pochi giorni. Sono molti i vestiti delle grandi firme che hanno reso omaggio alle opere dei più famosi pittori moderni e contemporanei esposte al Moma. Calvin Klein, stilista che da sempre fa delle sue creazioni l espressione fashion del minimalismo, si è legato idealmente a Kazimir Malevich, il primo artista russo che si è valso di pure forme geometriche nei suoi quadri, e in particolare al quadro Suprematist composition: white on white. E non a caso, sugli abiti Calvin Klein (disegnati dal giovane brasiliano Francisco Costa) esplode il bianco con tocchi di colore che simulano cerchi o magari rettangoli. Dalle atmosfere dei quadri di Edward Hopper, ma anche alle magiche geometrie di Piet Mondrian, prende spunto Ralph Lauren per la sua collezione di cachemire con righe marinare, bandane, gonne in tela candida e cime che si trasformano in cinture. Dalla contaminazione artistica che sposa segno e tessuto, colore e astrattismo simbolico si è fatta tentare anche Donna Karan. Ed è stata proprio lei a rendere più esplicito, di altri stilisti, l omaggio al Moma, con una collezione ricca di riferimenti alla vena scarabocchiata di Jackson Pollock, Juan Mirò e Paul Klee. Ecco perché i suoi eterei chiffon sono impreziositi da pennellate di colore, fatte a mano da abilissimi artigiani. Ogni capo è unico, contro ogni serialità, come una vera opera d arte. Ma, alle sfilate di New York, lo straordinario connubio tra tele celebri e abiti da indossare ogni giorno è stata una sorta di ossessione dilagante. Da Vera Wang si è, ad esempio, riscoperto il primitivismo di Henry Matisse, da Vivienne Tam i grannella Moda Tornano gli abiti che sembrano quadri LAURA ASNAGHI FRIDA ALLO SPECCHIO Come due gocce d acqua L autoritratto di Frida Kahlo si specchia fedelmente nell abito del giovane creativo indiano Arora Manish Esponente della nuova generazione di stilisti che gravita tra Nuova Deli e Bombay, è molto amato dalle dive di Bollywood di fiori dai colori intensi sembravano evocare i quadri di Paul Gauguin. C è stato chi come Custo Barcelona si è rifatto all arte più vicina ai nostri tempi, quella di strada di Jean-Michel Basquiat mixata ai personaggi dei fumetti americani o ai manga giapponesi. Dice Donna Karan: «L attrazione fatale tra moda e arte è inevitabile. Perché sono entrambe frutto della genialità creativa ed è proprio per questo il legame non si spezzerà mai. Qui in America, come del resto in tutti i paesi in cui si fa moda». E la conferma immediata è arrivata da Londra. Sulle passerelle british-style il giovane indiano Manish Arora, creativo cresciuto all ombra di Bollywood, ha mostrato modelli che sembrano perfette trasposizioni dei coloratissimi quadri di Frida Kahlo. Ma l irresistibile attrazione tra moda e arte vanta precedenti storici famosi. Risale all inverno del 1965 la «collezione Mondrian» firmata da Yves Saint Laurent, che trasferì su tubini in jersey le righe e le intersezioni più che rigorose, dei quadri di Mondrian. Abiti considerati dei veri capolavori, a cui ne hanno fatto seguito altri che Yves Saint Laurent ha dedicato a Picasso, ai pittori cubisti e a Van Gogh. Sempre a Parigi, è famoso l omaggio reso da Jean Paul Gaultier nel 1990 al pittore Richard Linder. Adesso, invece, da Dior i quadri più citati nelle collezioni di alta moda sono quelli di Boldini e le sue dame di fine Ottocento con piume e veletta, in mostra fino ad oggi alla Galleria nazionale di Arte Moderna a Roma. «L effetto arte» ha attraversato tutte le passerelle europee, comprese quelle italiane. Moschino ha rinchiuso in molti suoi abiti tele come la Monna Lisa, Pucci ha osannato l astrattismo, Missoni ancora oggi produce maglie che sebrano prove cubiste. Laura Biagiotti ha realizzato, in più occasioni, vestiti futuristi ispirati a Balla. L arte come un filo rosso tra passato e presente. L ultima a ribadirlo è Mila Schön, che oggi in dèfilè a Milano, rende omaggio a Pollock. UFFICIO A NEW YORK Alla tela di Edward Hopper del 1962 si ispira la collezione di Ralph Lauren dedicata a una donna chic che si muove in ambienti eleganti ed estremamente sofisticati LA MERAVIGLIA Il titolo del quadro di Jouan Mirò Maravillia con variaciones è perfetto anche per l abito di Donna Karan in chiffon dipinto a mano Mette allegria IL SUPREMATISTA Calvin Klein si rifà alla pittura di Malevich il suprematista russo, degli anni Venti, noto per le sue composizioni geometriche, perfette e rigorose su fondi bianchi GLI ACCESSORI Guanti lunghi da sera, firmati Prada, e ballerine di vernice con fiocco di Marc Jacobs. Due accessori fondamentali per la vera signora NEL BLU C è il blu dei quadri di Mirò nel maglione di Murphy & Nye La scarpa stringata con tacco stiletto è di Ferragamo La punta è rossa, il tallone viola e il resto nero IL CERCHIETTO È color argento di Vuitton, fatto di anelli pentagonali intrecciati tra loro Tutta bianca la ballerina di Givenchy Hopper Mirò Malevich

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2005 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45 Il critico Celant: la rivoluzione con i tessuti intelligenti Ma l ispirazione nel futuro verrà da scienza e tecnologia LA SIGNORA C è grande armonia tra il Ritratto di signora di Boldini e l abito couture di Dior La borsa gioiello da sera è di Valentino Boldini ALESSANDRA RETICO L a scienza, la tecnologia, la filosofia. La traiettoria si segna sulla strada del nuovo e nuovissimo. Non l arte e non il visivo, ormai esautorato, consumato. «Dobbiamo trovare un altro pensare per una quotidianità che è cambiata, che è diversa da quella di Picasso ma anche del pop». Germano Celant, critico d arte, critica l arte di non voler guardare al futuro che è qui. Arte-moda, una relazione in pericolo? «Un binomio che aveva la sua dirompenza dieci anni fa. Oggi risulta annacquato, ha perso la magia che hanno i territori di scoperta, tutto ci è accaduto dentro e oggi non ne rimangono che le spoglie. Ancora utili e sufficienti se si vuole giocare facile, se lo scopo è piacere alle masse. Però la vera innovazione sta altrove, non nella ripetizione del già visto e pensato». Tutta una cultura sostiene in termini storici la commistione dei due linguaggi. «È innegabile. E che lo sia non deve farci correre il rischio di pensare che sia sempre valida. Noi europei, e ancor più noi italiani, abbiamo questo problema della tradizione, continuiamo a sentire il peso della classicità e della cultura cosiddetta alta. Ci condiziona, non ci permette di annusare nell aria quello che passa e che non è passeggero, i segnali e le informazioni che la modernità produce con sempre maggiore frequenza e anche qualità. Siamo fermi al lusso e alla lussuria, e su questi due elementi costruiamo scenari e linguaggi che niente hanno più da dire alla gente, che non parlano di quello che veramente ci accade attorno, per le strade e nelle case, nei laboratori e nelle scuole, a tavola e dentro l armadio. Liberiamoci dall onere del vecchio». La leggerezza del nuovo dov è? «Nella scienza e nella tecnologia. Nella filosofia anche, che è il modo di pensare il vivere. Ho visto a New York una mostra bellissima, Extreme Textiles (al National Design Museum fino alla fine di ottobre, ndr), tutta sui tessuti tecnologici e intelligenti che si usano e si useranno sempre più nell abbigliamento ma anche nell architettura, medicina, trasporti, ambiente. La ricerca in questo campo ha prodotto scoperte magnifiche, stupefacenti: fibre che sentono il corpo, avvertono la nostra temperatura e il nostro grado di idratazione, i muscoli, il battito del cuore. E rispondono soddisfacendo le nostre esigenze. In questo legame annodato con la tecnologia c è la modernità: informazione e comunicazione. In queste due grandi autostrade del sapere moderno passa il futuro. In una nuova filosofia, mi piace ripeterlo, che avverte il cambiamento che della nostra fisicità, e riformula il proprio pensiero del vivere. Che è fatto di vestire, mangiare, curarsi, divertirsi, viaggiare. Tutta la nostra quotidianità è attraversata dal corpo, dalle informazioni che diamo e riceviamo semplicemente stando nello spazio». Biennale arte-moda di Firenze, tanto per ricordare una delle sue più note manifestazioni. Ora il titolo quale sarebbe? «Moda e scienza, senza dubbio. Il design, il taglio, la materia per un capo d abbigliamento oggi non possono prescindere dalle scoperte ma anche dalle suggestioni creative della scienza. Tutto quello che non è aulico e umanistico a noi spaventa o lo riteniamo indegno della poesia e dell estro della nostra tradizione. Sbagliato, come anche molti scrittori hanno pensato e scienziati hanno scritto: le particelle, le formule, le geometrie, i calcoli e l informatica sono fortemente evocativi. Sono arti del sociale. Mondi tutti da scoprire e nei quali costruire nuove possibilità per la vita di tutti i giorni e per i nostri modi di interpretarla. Guardiamo alla Cina, al loro modo di infilare con la classica pazienza ma anche con coraggio e modernità il futuro. Se noi scansiamo questa traiettoria per pigrizia e oscurantismo ci ricacceremo in un medioevo del pensiero». Repubblica Nazionale 45 25/09/2005 POP ART Custo Barcelona rende omaggio alla Monna Lisa di Michael Basquiat, uno dei talenti della pop art che, nella sua breve esistenza, ha creato capolavori I GRAFFITI Taxi con graffiti metropolitani È la borsa special edition di Braccialini I sandali di Lacroix hanno un fiore con stampa multicolor Basquiat LE DANZATRICI Dal quadro di Matisse prende spunto la stilista Vera Wang che crea abiti romantici scegliendo i colori dell artista Gli orecchini in oro e ametista sono di Pasquale Bruni Matisse