Sabato 15 novembre 2008 ore 10.00 La chiesa parrocchiale di San Martino Vescovo. visita guidata con Sergio Spiazzi e Roberto Alloro

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S a n M a r t i n o d a ( r i ) s c o p r i r e Visite guidate ai monumenti e ai luoghi del territorio Sabato 15 novembre 2008 ore 10.00 La chiesa parrocchiale di San Martino Vescovo visita guidata con Sergio Spiazzi e Roberto Alloro iniziativa realizzata in collaborazione con

IL COMPLESSO DELLA PARROCCHIALE DI SAN MARTINO VESCOVO DI TOURS Chi viene da Verona incontra la chiesa di S. Martino B. A. tra gli alberi centenari dei giardinetti, disposta scenograficamente a chiudere il largo viale acciottolato a greca bicroma che termina davanti al sagrato, con il cerchio perfetto della rosa dei venti. Correva l anno MDCCCXX quando con l elemosina volontaria dei parrocchiani (fu) costruito lo stradone di fronte alla chiesa parrocchiale ricorda il parroco Giuseppe Maria Gilardoni unitamente alle due stradelle laterali, una lungo la casa al muro parrocchiale; l altra lungo il cimitero con i profili di pietra con l ornamento di 24 colonnette di pietra le quali furono fatte fare da alcune particolari persone e costarono ciascheduna 19 lunghi (denari). La facciata della chiesa, dedicata a San Martino Vescovo di Tours, è d impostazione classica (di quella semplificazione del barocco che il Veneto e Verona sono testimoni nel XVIII secolo) e suddivisa in due fasce orizzontali, con un frontone triangolare che conclude il prospetto, il quale è suddiviso verticalmente in tre parti, con lesene tuscaniche in basso ed ioniche in alto. Nella zona centrale, secondo un percorso dal basso verso l alto, troviamo il portale d ingresso con soprastante il timpano curvo spezzato, contenente in una nicchia la statuetta di S. Martino; in alto, al centro, una finestratura rettangolare sostiene l ovale con l iscrizione D.O.M. DESIDERIUM PAUPERUM EXAUDIVIT DOMINUS. 1744 ; al di sopra troviamo il frontone, mentre nel timpano è posto l orologio, inserito alla fine dell ottocento in sostituzione di quello ormai vetusto del campanile quattrocentesco. A destra del prospetto principale si erge l oratorio, costruito nel 1891, in onore della Vergine Maria, di S. Antonio e di S. Luigi. Costruito in stile neoromanico con facciata a salienti, si dispone a metà altezza dell edificio principale. Al centro la porta d ingresso si conclude in alto con una finestra a mezzaluna, mentre due finestre slanciate si dispongono ai lati. In alto, al centro, un cartiglio rettangolare conteneva le scritte dedicatorie ( D.O.M. alla Vergine, a S. Antonio e S. Luigi), mentre in alto un finto rosone conclude il prospetto (in alcune cartoline dei primi anni del novecento si notano le pitture che dovevano simulare una vetrata floreale). A sinistra la casa parrocchiale costruita in due riprese (un tempo nel prospetto interno sul cortile si leggeva la data del 1781). Nella mappa del 1771 del Fabbri si notano gli edifici parrocchiali già edificati accanto all edificio ecclesiastico appena ampliato. Lo Zannandreis ricorda che nella casa del parroco di S. Martino B.A. vi sieno due stanze del Parolari dipinte, da annoverarsi fra le opere sue migliori. Pietro Parolari nasce a Verona, nella contrada di S. Maria in Organo, il 14 luglio 1738 e muore il 29 dicembre del 1811 a 73 anni. Gli affreschi quindi possiamo datarli attorno al 1770-75, anni probabilmente di completamento dei lavori effettuati nella casa parrocchiale durante la reggenza di don Giovanni Mazzi. All interno la chiesa si dispone ad un unica navata, con volta ribassata, secondo le indicazioni del Concilio di Trento. La chiesa viene ampliata nel dopoguerra, tra il 1945 e il 1954 per volere di don Egidio Peroni, nella forma attuale a croce latina con transetto, presbiterio rialzato e tre absidi. Nella parte settecentesca troviamo sei altari in forma barocca con al centro il vecchio pulpito in legno. Tra gli altari spicca il primo a destra, con la statua del Santo eretto per volere della confraternita di Sant Antonio da Padova, nel 1696 (un tempo l altare nell antica chiesa si trovava in altra posizione) come dimostra un documento dell epoca et lo fece il Sig. Prospero Schiavi Tagliapedra in Verona sotto l arciprete Sig. Rd. D. Giò Battista Castellani. Lo Zannandreis ricorda Prospero Schiavi come architetto tra i migliori dell epoca. Nato nel 1643 e morto a 54 anni nel 1697, fu ideatore e costruttore d altari e palazzi tra i quali spicca Palazzo Carlotti sul Corso. Continuando nella descrizione degli altari troviamo nel secondo di destra, al centro della navata, una pala dipinta da Carlo Zorzi (1823-1868). Di fronte, nel secondo altare di sinistra, si trova la famosa pala di Wenceslao Huberti, rappresentante Il transito di S. Giuseppe (1814) opera praticamente prima ed incompiuta del giovane pittore (in alto a destra si trova la parte scura non finita). Il tema trattato non è comune da un punto di vista iconografico. La pala è costruita secondo il tradizionale schema piramidale anche se il dato volumetrico è poco marcato. Diego Zannandreis nelle Vite racconta in modo appassionato la breve esistenza di Wenceslao e della tela dipinta volle Iddio che l ultima fosse, poiché infermatosi con piccola febbre dapprima, si manifestò quindi in lui un attacco di polmone ed una tisi perfetta.

Muore a 23 anni, la notte del 15 aprile dell anno 1815 lasciando oltre al dipinto suddetto una tavola con Medea e Giasone e un catafalco da morti, con emblemi allusivi al lugubre fine a cui serve, che incontrò il comune aggradimento. Sulle pilastrature o lesene che scompartiscono le pareti troviamo la Via Crucis, opera pregevole di Romolo Nicolis, autore anche dell Annunciazione, posta nell arco trionfale e della serie dei dodici apostoli, in alto, lungo la navata ed il transetto, oltre alla tela conservata nell oratorio ottocentesco dedicata alla Madonna del Rosario coi Ss. Domenico e Caterina da Siena. Nello stesso oratorio è conservata una tela dedicata a S. Antonio di Padova, proveniente dall antico altare di destra della confraternita di S. Antonio della chiesa quattrocentesca, dipinto da autore ignoto in due riprese per volere di Bartolomeo Salatius nel 1611 e di G. B. Colosimo nel 1620, per grazia ricevute, con storie del santo di Padova. Nel presbiterio rialzato, troviamo l altare seicentesco, traslato in quella posizione ed arricchito, con aggiunte laterali, per la nuova collocazione, dopo l ampliamento del dopoguerra. Rognini lo descrive come: Notevole l altare maggiore l antipendio di forme lineari, a tre specchi che presenta in quello centrale un intarsio marmoreo a motivi quadrilobi di verde antico e croce greca. Elegante anche il tabernacolo a tempietto, poggiante su alto zoccolo, con colonnine in marmo rosso di Francia e bianco di Carrara nel doppio coronamento. Disposto verso i fedeli troviamo il nuovo altare, voluto da Don Egidio Peroni e disegnato dal sottoscritto nel 1971, in seguito alle nuove disposizioni celebrative della S. Messa in italiano dettate dal Concilio Vaticano II. Dietro l altare, al centro dell organo, restaurato da Bartolomeo Formentelli e collocato nel 1964 in quella posizione (prima dell ampliamento del dopoguerra si trovava sopra l entrata principale), si trova la pala dedicata a S. Martino, al centro, tra due santi, mentre in alto si trova la figura di Cristo tra la Madonna e S. Giuseppe. Il Lanceni nel 1720 indica tale opera derivata dalla scuola Brusazorzi, con S. Martino nel mezzo ai ss. Bartolomeo e Francesco. Luigi Simeoni nel 1909 in La provincia di Verona scrive: Nel coro la pala con Cristo la Madonna e S. Giuseppe in alto, Francesco, Martino e Domenico in basso è bella opera dell Ottino. A parte l errore del Lanceni che riconosce S. Bartolomeo al posto di S. Domenico, è interessante capire se l opera è veramente attribuibile a Pasquale Ottino (1570 1630) o ad un pittore contemporaneo come l Orbetto, morto nel 1650, (entrambi allievi del Brusazorzi morto nel 1605) visto che nella prima visita pastorale del 1640 il Cozza non cita la tela, ma solo nella sua seconda visita pastorale del 1648. Diego Zannandreis nelle sue Vite dedica all Ottino diverso spazio. Lo pone come allievo del Brusazorzi, ma nell elenco delle sue opere non risulta quella di S. Martino, anche se ricorda diverse pale d altare della provincia veronese. Lo stesso vale per Alessandro Turchi detto l Orbetto. Da ricordare che lo Zannandreis utilizza come fonti il Lanceni e il Dal Pozzo. Luciano Rognini a pag. 191 di San Martino Buon Albergo Una comunità tra collina e pianura, suggerisce il nome di Felice Brusazorzi o comunque di un pittore della sua cerchia. Nel catino absidale si trova il grande dipinto del Buon Pastore eseguito a tempera nel 1963 da Giuseppe Resi (Ronco all Adige 1904 Verona 1974), che nell occasione dipinge tutta la volta della chiesa con decorazioni a cassettoni quadrati ed esagonali, in gran parte ricoperti durante il pesante restauro degli anni novanta, che ha tolto la leggerezza originaria al Buon Pastore. Il Resi lascia innumerevoli dipinti sacri e profani, soprattutto di grandi dimensioni, in numerose chiese del veronese e del mantovano. Ai lati del presbiterio e nelle due absidi del transetto si trovano quattro grandi tele raffiguranti alcuni miracoli di S. Francesco d Assisi, della metà del XVIII secolo, provenienti dall oratorio di S. Francesco che si trovava in Piazza del Popolo, costruito nel 1730, soppresso nel 1806 sotto Napoleone e demolito, come ricorda la lapide, nel 1837. I temi raffigurati, secondo Luciano Rognini sono: La vergine intercede presso il Cristo Risorto in favore del santo, Francesco implora la Madonna ed il Bambino per le Anime del Purgatorio, Il Santo davanti al cardinale Ugolino e L approvazione della sua Regola da parte di papa Innocenzo III. A destra del presbiterio si sviluppano alcuni ambienti, tra cui la sacrestia, costruita nel 1862 ed il campanile della prima metà del XV secolo, elemento centrale e perno del complesso parrocchiale. A sinistra del presbiterio una piccola cappella costruita insieme all ampliamento della chiesa tra il 1945 ed il 1954. Sergio Spiazzi

Wenceslao Huberti 1814-1815 Transito di San Giuseppe

San Martino vescovo, san Francesco e san Domenico Pasquale Ottino (attribuito) Nella pala conservata nella chiesa parrocchiale di San Martino vescovo, anticamente posta sopra la mensa dell altar maggiore ed ora nel coro, in uno spazio ricavato tra le canne dell organo, il santo patrono (nato a Claudia Sabaria, nell antica provincia romana di Pannonia, oggi Szombathely in Ungheria, nel 316 circa morto a Candes, in Francia, nel 397) è raffigurato al centro del registro inferiore, in ricco paramento episcopale. Il piviale rosso è decorato da una fibbia in oro e pietre preziose e da una fascia ricamata con figure di santi. Per rendere immediatamente conoscibile l identità del vescovo, il pittore ha raffigurato, in secondo piano, all altezza della caviglia sinistra del santo, l episodio della carità del mantello, in cui Martino indossa un armatura di foggia contemporanea. Affiancano il patrono altri due autentici campioni della Chiesa, protagonisti indiscussi del grande moto di rinnovamento attuato dagli ordini Mendicanti a partire dal tredicesimo secolo: san Francesco a sinistra e san Domenico di Caleruega a destra. Il santo di Assisi (Assisi ca. 1182-1226), fondatore dell ordine dei frati Minori, è raffigurato con il saio marrone cinto dal cingolo di corda con i nodi simboleggianti i tre voti religiosi (obbedienza, povertà e castità). Le mani recano ben visibili le stimmate ricevute nell estate del 1224 sul sacro monte della Verna. Al fianco sinistro del santo pende la corona del rosario francescano, a ricordo della preghiera costante ed intensa. Domenico (Caleruega, nella Vecchia Castiglia, ca. 1170 - Bologna 1221), fondatore dell ordine dei frati Predicatori, chiamati comunemente Domenicani, è ritratto nell abito religioso del suo ordine, veste bianca e cappa nera, con i tre attributi più comuni: il giglio nella destra, il libro nella sinistra e la stella nell aureola sopra la fronte. L iconografia è densa di simbolismo. Il bianco della veste indica la purità dell anima e l innocenza dei costumi. Il nero della cappa significa il lutto (per la morte di Cristo), la penitenza e l umiltà. Il giglio simbolo di purezza e castità secondo alcuni sarebbe simbolo del culto tributato da Domenico alla Vergine. Il libro della Sacra Scrittura è un invito alla meditazione, allo studio, alla predicazione e ricorda l innovazione più originale di Domenico nelle istituzioni ecclesiastiche, ossia l introduzione dello studio come mezzo ordinario per tutti i Predicatori. La stella ricorda quelle viste dalla nutrice sulla fronte e sulla nuca del neonato Domenico al momento del battesimo, simbolo delle sue luminose dottrine. Il registro superiore del dipinto è occupato dalla visione gloriosa del Cristo risorto benedicente che nella sinistra regge il globo terrestre. Ai suoi piedi, genuflessi, da un lato la Vergine Maria intercede per i sottostanti, dall altro è raffigurato san Giuseppe orante. Il dipinto viene attribuito solitamente al pittore veronese Pasquale Ottino (Verona 1570-1630), altre volte al suo maestro e concittadino Felice Brusasorzi (Verona 1539/40-1605) o comunque alla di lui cerchia. Viene spontaneo chiedersi quale sia l eventuale nesso che lega tra loro i santi del registro inferiore, quale la relazione tra essi e la visione rappresentata in quello superiore e, infine, quale il messaggio che il committente voleva trasmettere scegliendo un soggetto così articolato. In mancanza di una risposta certa, facciamo alcune riflessioni. La prima è intrinseca e riguarda la visione, che il gioco degli sguardi sembra attribuire a Francesco e a Martino ma non a Domenico, gli occhi del quale sono rivolti allo spettatore. Il mantello che copre il dorso, la spalla e il braccio sinistro del Risorto potrebbe essere un richiamo alla visione in cui, la notte successiva all episodio della carità di Amiens, il Cristo si mostrò al giovane cavaliere ricoperto del mantello regalato al mendicante. E forse non è un caso che anche Francesco abbia compiuto lo stesso gesto, il dono del mantello ad un bisognoso, episodio immortalato da Giotto nel ciclo delle storie del santo nella basilica di Assisi. La rappresentazione di Francesco e Domenico ai lati del santo titolare Martino può essere frutto casuale dell accostamento al patrono di due santi per i quali esistevano in paese devozioni private o della comunità. Potrebbe esserci, però, anche un altro e meno immediato significato. Francesco e Domenico si incontrarono personalmente e si riconobbero uniti nella difesa del messaggio di Cristo. Il santo di Caleruega aveva avuto, in precedenza, una visione in cui la Madonna intercedeva presso il Figlio adirato con i peccatori dicendo di poter contare su due fedeli, lo stesso Domenico e Francesco, in grado di salvare gli uomini e la Chiesa intera. Una scena che mostra diverse analogie con il soggetto rappresentato in questo dipinto. L accostamento dei due grandi rinnovatori medievali a san Martino, cerniera ideale tra monachesimo orientale e cenobitismo d occidente, potrebbe allora essere letto come celebrazione della grandezza della vita religiosa e, in senso più ampio, della comunità cristiana, sempre capace di generare dal suo interno uomini ed energie in grado di rinnovare strategie e modalità del cammino, individuale e collettivo, verso Dio. Roberto Alloro

Madonna in trono col Bambino Antonio da Mestre (attribuito) L opera d arte più antica e senza dubbio più preziosa - come giustamente ha scritto Sergio Spiazzi - tra quelle custodite nella parrocchiale di San Martino Buon Albergo si trova in sacrestia, in una nicchia ricavata nel muro orientato a meridione. Si tratta di un interessante gruppo lapideo policromo di dimensioni inferiori al naturale (altezza 97 cm, larghezza 54 cm) raffigurante la Madonna in trono col Bambino. La Vergine, coronata e assisa in posizione frontale su un severo trono a panchetta con avancorpo sporgente alla base, indossa veste rossa e mantello blu. La capigliatura castana finemente incisa, folta e mossa, incornicia il viso fino alle spalle evidenziandone l ovale pieno, la fronte ampia, le sopracciglia ben disegnate, il mento piccolo e pronunciato, le labbra appena increspate in un accenno di timido sorriso. Gli occhi, ben delineati, mostrano ancora tracce dell antica cromia scura dell iride. La corona dorata ferma sulla sommità della testa, poggiandovi sopra, il cappuccio del mantello. L attributo regale è costituito da una fascia dorata con incisioni diagonali incrociate delimitata da due cordoni a spirale con andamento opposto impreziosita da una sequenza alternata di grosse gemme dipinte rotonde o romboidali. La parte superiore della corona è decorata da un motivo stilizzato d ispirazione floreale. Poco sotto l attaccatura del collo, il sottile bordo rosso della veste stacca tra l incarnato e il bordo dorato del manto. Una spilla dorata di raffinata fattura, ancora di gusto floreale, stringe le due falde del mantello formando una fitta raggiera di pieghe. La falda destra (alla sinistra di chi guarda) disegna un ampio panneggio che scende lungo il ventre pronunciato, si arrotola intorno all avambraccio destro e attraversa, formando molli pieghe opulente tra le gambe divaricate, l intera figura della Vergine. L ampia veste rossa è stretta poco sotto il seno da una cintura dorata con incisioni diagonali incrociate (come nella corona) stretta da un fibbia quadrata. Le maniche sono lunghe fino al polso, aderenti e prive di bordi o bottoni. Il lembo inferiore della veste poggia sulle punte delle calzature, delineandone la forma ma coprendole interamente, e cade a terra in ricche pieghe, in ossequio ad un gusto ampiamente attestato per questo soggetto nella scultura del tempo anche per quanto riguarda foggia e colori dell abbigliamento. Alle estremità della base del collo, tra i capelli e le spalle, due fori circolari passanti erano forse destinati ad alloggiare le terminazioni del sostegno che originariamente sosteneva l aureola. Maria porta il Bambino sul fianco sinistro, trattenendolo al bacino con la mano e sostenendone appena un piede con la destra. La posizione di Gesù è molto inclinata rispetto a quella della madre e il lieve piegamento in avanti del busto non è sufficiente ad allontanare l impressione di forte asimmetria e di sbilanciamento della composizione e di una complessiva non felice resa plastica del fanciullo, più mostrato al riguardante che raccolto tra le braccia materne. Il piccolo è coperto solo da un panno con ampie tracce di doratura che gli cinge i fianchi e che egli stesso trattiene con la sinistra. La testa è resa con tratti fisionomici decisi, molto simili a quelli della madre, incorniciati da una massa abilmente descritta di corti capelli castani ricciuti che lasciano scoperte orecchie clamorose per dimensione e attaccatura. Nella destra Gesù stringe l ala sinistra di un cardellino che invano tenta di liberarsi beccandogli il polpastrello dell indice. Le forme e la sgargiante colorazione del piumaggio dell uccello, di cui rimangono tracce, sono suggerite con efficacia da incisioni graffite sulla pietra. Il cardellino, frequentemente attestato nelle rappresentazioni artistiche del periodo, è un richiamo alla tradizione popolare che vede nella macchia rossa delle piume sulla testa del pennuto un ricordo della goccia di sangue caduta dalla fronte di Cristo sull esemplare che tentava di alleviare le sofferenze della Passione togliendo col becco una delle spine della corona. Secondo uno schema circolare ricorrente nell iconografia antica la presenza del cardellino nell infanzia di Gesù prefigura il destino di sofferenza e morte profetizzato dalle Sacre Scritture necessario per la redenzione dell umanità peccatrice. Anche qui come nella Madonna - ma in questo caso sotto le ascelle - due fori passanti non necessari alla definizione dei volumi erano probabilmente funzionali al sostegno dell aureola. La nicchia (B) che da non molti anni ospita il gruppo statuario è ricavata in quello che originariamente era muro meridionale del campanile, ma in precedenza la scultura era collocata nella vicina nicchia (A), più ampia e dunque più adatta ad ospitarla, nell andito che separa la sacrestia dal presbiterio, ossia sull esterno della parete orientale della torre campanaria, in cui attualmente è esposta un immagine lignea policroma di san Rocco. Spiazzi ha ipotizzato che, in origine, la statua potesse trovarsi nella non lontana chiesa di Santa Maria in Fibbio, esistente nel XII secolo nei pressi dell attuale via Radisi. Nel 1532, al tempo della visita pastorale del vescovo Gian Matteo Giberti, di tale chiesa non si fa menzione mentre si ricorda l esistenza, nella parrocchiale di San Martino Buon Albergo, di un altare «di Santa Maria antica». Potrebbe trattarsi proprio dell altare dell antica chiesa di Santa Maria in Fibbio, rimosso prima dell abbandono dell edificio e trasportato (con la statua che vi era esposta) nella chiesa del capoluogo. Nel 1744, infine, al tempo dell ampliamento della chiesa intitolata al vescovo di Tours e della connessa demolizione dell altare ora ricordato, la scultura sarebbe stata posizionata nella nicchia (A). Non si può escludere, naturalmente, che l opera sia nata proprio per la chiesa di San Martino e che l eventuale rimozione dalla collocazione originaria sia stata determinata dal mutamento dei canoni

estetici. In ogni caso, le dimensioni della statua sono consone all esposizione su altare, impiego con il quale bene si conciliano il buono stato di conservazione generale e dei pigmenti in particolare. La struttura del gruppo scultoreo, la connotazione fisionomica delle figure e, soprattutto, il raffronto con la produzione artistica scaligera di epoca tardo-medievale suggeriscono una datazione tra la seconda metà del secolo XIV e i primissimi anni del XV. In particolare, i tratti della testa e del viso, un certo quasi inconfondibile modo di rendere i capelli, la corona ed il panneggio mi spingono, spero non avventatamente, a riconoscere nella Madonna in trono col Bambino della parrocchiale di San Martino Buon Albergo la stessa mano che scolpì almeno alcune delle otto statuette in particolare quelle raffiguranti la Madonna con il Bambino (e il cardellino) e l Annunciazione - che formano il fastigio del monumento funebre della famiglia Dal Verme nella chiesa di Santa Eufemia di Verona. Se tale attribuzione venisse suffragata da altri e più autorevoli pareri, la nostra scultura, di cui si confermerebbe in tal caso la datazione sopra indicata, sarebbe opera di Antonio da Mestre, lo scultore cui Fabrizio Pietropoli ha assegnato, nel 1996, la paternità della tomba Dal Verme. Questo maestro veneziano, molto attivo in città e nell Est veronese tra gli ultimi anni ottanta del Trecento e il primo ventennio del Quattrocento, rivelò una forte personalità artistica, tale da «improntare di sé», come ha scritto Gian Lorenzo Mellini, «la scultura fin de siècle a Verona»*. La Madonna in trono col Bambino di San Martino Buon Albergo si conferma perciò un importantissimo monumento dell arte veronese, vecchio di oltre sei secoli, che merita di essere restituito alla fruizione e alla devozione popolare anche pensando con sollecitudine ad una collocazione più conveniente della nicchia in sacrestia, angusta e scarsamente accessibile al pubblico. Roberto Alloro