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a) alla quota di canone corrisposta per il godimento dell immobile; b) alla quota di canone corrisposta a titolo di anticipazione del corrispettivo;

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Fiscal News La circolare di aggiornamento professionale N. 74 11.03.2016 La trilateralità del rapporto Iva e gli effetti della dichiarazione mendace dell acquirente di un immobile A cura di Giovambattista Palumbo Categoria: Dichiarazione Sottocategoria: Sanzioni Nel caso in cui la cessione di una casa di abitazione di lusso venga assoggettata, usufruendo indebitamente dell'agevolazione per la prima casa, all'iva con aliquota del 4% in luogo di quella ordinaria, l'avviso di liquidazione della maggiore imposta dovuta va emesso direttamente nei confronti dell'acquirente, in quanto l'applicazione dell'aliquota inferiore da parte del venditore è derivata da una dichiarazione mendace dello stesso acquirente, idonea a far sorgere un suo rapporto diretto ed esclusivo con l'amministrazione finanziaria. Premessa La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 3844 del 26.02.2016, si è pronunciata su una fattispecie che può essere utile a chiarire la natura trilatera del rapporto Iva e le conseguenze di dichiarazione mendace in caso di acquisto di immobile poi rivelatosi non avente diritto all aliquota ridotta. Nel caso di specie, l'agenzia delle Entrate recuperava a tassazione da una società di capitali la maggiore imposta di euro 203.856,00, applicata ricalcolando al 20%, in luogo del 4%, l'aliquota Iva su un immobile venduto ad un contribuente persona fisica, che aveva richiesto l'agevolazione c.d. "prima 1

casa", ritenuta però poi non spettante dall'amministrazione finanziaria, trattandosi di "abitazione di lusso" di n. 11 vani, della superficie complessiva di mq. 285, dunque superiore alla soglia di mq. 240 fissata a tal fine dall'art. 6, D.M. 2 agosto 1969. Nell'impugnare l'avviso, la contribuente eccepiva innanzitutto il proprio difetto di legittimazione passiva (trattandosi, a suo dire, di dichiarazione mendace dell'acquirente, che ne doveva rispondere); contestava poi l'erroneo computo della superficie utile (parte dei vani essendo destinati a cantine e soffitte) e chiedeva infine, in via subordinata, la disapplicazione delle sanzioni, stanti le condizioni di incertezza normativa che avevano causato il preteso errore. La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, affermata la legittimazione passiva della società, respingeva il ricorso, senza statuire alcunché sulle sanzioni. La contribuente riproponeva le medesime censure dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, la quale, espletata apposita c.t.u. - da cui emergeva che alla data della cessione era stata già presentata, dal promissario acquirente, la variazione catastale con destinazione a civile abitazione, che la rendeva abitazione di lusso ai sensi del citato D.M. - respingeva l'appello, non essendo in questione il mendacio dell'acquirente circa i presupposti dell'agevolazione "prima casa", bensì l'applicazione di un'imposta inferiore a quella dovuta da parte del cedente, ai sensi dell'art. 17, D.P.R. n. 633/72, fatta salva la sua addebitabilità, a titolo di rivalsa, al cessionario. I giudici di merito respingevano inoltre anche l'istanza di rimessione della causa in primo grado per l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'acquirente, ex art. 59, D.Lgs. n. 546/92, non sussistendo a loro avviso un'ipotesi di litisconsorzio necessario per mancanza del presupposto della inscindibilità dei rapporti. La decisione della Corte di Cassazione Il contribuente ricorreva quindi in Cassazione, formulando, tra gli altri, ex art. 366 bis cod. proc. civ., i seguenti quesiti di diritto: 1) «in caso di mendacio, l'amministrazione finanziaria può agire esclusivamente nei confronti dell'acquirente dell'immobile (per il quale sono state chieste in atti le agevolazioni prima casa), ciò in quanto l'acquirente è l'unico beneficiario dell'agevolazione fiscale, nonché l'unico soggetto che rilascia in atti la dichiarazione mendace ed infine l'unico soggetto che manifesta in atti la volontà di applicare alla compravendita la normativa fiscale di favore»; 2

2) «con riferimento alle agevolazioni per l'acquisto della "prima casa", ai sensi della nota II bis dell'art. 1 della parte I della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nel caso di accertate dichiarazioni mendaci che abbiano comportato la sottoposizione dell'atto ad un'aliquota inferiore quella applicabile, se l'atto è soggetto ad IVA l'ufficio del registro, in occasione della registrazione, può procedere in via ordinaria al recupero dell'imposta evasa, applicando una sola volta la sanzione del trenta per cento (e non una sanzione del 100% al venditore oltre al 30% all'acquirente)». 3) «nel caso di abitazioni costruite in base a licenza di costruzione rilasciata in data anteriore a quella dell'entrata in vigore del decreto d.m. 2 agosto 1969, qualora l'ufficio proceda a recupero dell'iva nella misura ordinaria non ritenendo sussistenti le condizioni per ottenere i benefici prima casa stante il carattere di lusso dell'abitazione, sussistono condizioni obiettive di incertezza in merito alle caratteristiche in base alle quali considerar una abitazione "di lusso", e pertanto nessuna sanzione può essere irrogata al contribuente»; 4) e infine «in caso di accertamento fiscale avente ad oggetto una compravendita immobiliare, sussiste litisconsorzio necessario fra il cedente e l'acquirente, con la conseguenza che l'eventuale controversia non può essere decisa limitatamente ad uno solo di tali soggetti». Secondo la Corte di Cassazione il primo motivo era fondato e andava accolto. Le motivazioni dei giudici I giudici di legittimità intendono infatti dare continuità all'orientamento per cui, nel caso in cui la cessione di una casa di abitazione di lusso venga assoggettata - usufruendo indebitamente dell'agevolazione per la prima casa - all'iva con aliquota del 4%, ai sensi del disposto del n. 21 della parte seconda della Tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, in luogo di quella ordinaria, l'avviso di liquidazione della maggiore imposta dovuta va emesso direttamente nei confronti dell'acquirente dell'immobile medesimo, in quanto l'applicazione dell'aliquota inferiore da parte del venditore dell'immobile è derivata da una dichiarazione mendace dell'acquirente, idonea a far sorgere un rapporto diretto tra l'acquirente stesso e l'amministrazione finanziaria, ai sensi della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, nota 2 bis, richiamato dal predetto n. 21, ed applicabile a tutte le ipotesi di accertata non spettanza del beneficio 3

fiscale, si tratti di imposta sul valore aggiunto - come nella specie - o anche di imposta di registro (cfr Cass. n. 6665/2014; conf. Cass. n. 10807/2012, n. 26259/2010, n. 7163/2007). La Suprema Corte supera così quello che invece appare un isolato precedente (Cass. n. 3291/2012), in base al quale "l'esecuzione di operazioni imponibili ai fini del l'iva comporta ex lege l'instaurazione di due autonomi rapporti giuridici, l'uno tributario e pubblicistico tra l'erario ed il cedente o prestatore, l'altro civilistico tra quest'ultimo e il cessionario o committente, riguardo alla rivalsa. Pertanto, allorché il cedente sia stato indotto in errore dal cessionario sull'effettiva applicabilità di un'aliquota agevolata, non può ripetere da quest'ultimo - estraneo al rapporto pubblicistico - la maggiore imposta che gli venga richiesta dall'erario, in conseguenza di un accertamento o di una rettifica, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 60, sebbene egli non resti privo di tutela, potendo esercitare la rivalsa fino all'emissione dell'atto impositivo (accertamento o rettifica), integrando la fattura originaria, ovvero emettendo fattura tardiva". Al riguardo la Corte richiama l Ordinanza n. 18378 del 2012, con la quale la stessa Cassazione ha respinto un'istanza di rimessione alle Sezioni Unite, ritenendo non sussistente un'incompatibilità logica tra l'orientamento prevalente e la suddetta sentenza n. 3291 del 2012, quest'ultima essendo stata pronunciata in materia di appalto, dunque in fattispecie non soggetta alla disciplina di cui all'art. 1, nota 2 bis, comma 4, della Tariffa Parte I allegata al D.P.R. n. 131/86 (riferita ai soli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili) e perciò improntata alla regola generale, per cui soggetto passivo dell'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'art. 17, D.P.R. n. 633/72, è il cedente/prestatore, tenuto all'obbligo della fatturazione ed alla corresponsione della maggiore imposta in ipotesi di accertamento dell'erronea applicazione di aliquote inferiori a quella dovuta, salvo il suo diritto di rivalsa nei confronti del cessionario/committente. Diversamente, evidenziano i giudici, la disciplina dettata a tutela dello specifico interesse di prevenire dichiarazioni mendaci in sede di stipula di atti pubblici di vendita di immobili destinati a prima casa, è speciale e rivela una impronta chiaramente sanzionatoria nei confronti dell'acquirente, tanto nel caso di mendacio sulle condizioni "soggettive", contemplate nelle lettere a), b), c), del menzionato art. 1, quanto nel caso di mendacio sul presupposto "oggettivo" concernente la categoria catastale di iscrizione del fabbricato. 4

La sentenza della Corte di Cassazione n. 10807 del 2012 ha del resto poi rilevato che l'oggettiva inapplicabilità ad una "casa di lusso" dell'aliquota agevolata del 4% (giusta il n. 21, Parte seconda, Tabella A allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) non costituisce ostacolo all'applicazione del disposto finale di detta norma, secondo cui "in caso di dichiarazione mendace nell'atto di acquisto, ovvero di rivendita nel quinquennio dalla data dell'atto, si applicano le disposizioni indicate nella nota 2 bis) all'art. 1 della tariffa, parte prima", allegata al D.P.R. n. 131/86, ed in particolare la disposizione dettata dal comma 4 della suddetta nota 2 bis), la quale, "in caso di dichiarazione mendace", dispone espressamente che "se si tratta di cessioni soggette all'imposta sul valore aggiunto, l'ufficio dell'agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l'imposta calcolata in base all'aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima...". La ratio della decisione La suddetta, specifica, disposizione (analogamente a quella contenuta nel medesimo comma 4 della nota 2 bis, per l'ipotesi di non spettanza delle agevolazioni dell'imposta di registro, chieste sempre per l'acquisto della c.d. "prima casa") regola dunque tutte le ipotesi di accertata non spettanza del beneficio fiscale (sia che si tratti di imposta sul valore aggiunto che di imposta di registro), laddove per "dichiarazione mendace" deve intendersi ogni e qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio che sia mancante dei presupposti, soggettivi ed oggettivi, previsti dalla legge. Con particolare riferimento all'iva, quindi, l'applicazione dell'aliquota ridotta non costituisce affatto un obbligo del venditore, bensì un diritto soggettivo dell'acquirente, la cui fruizione è subordinata solo alla sua "dichiarazione" (quale contribuente) della sussistenza di tutte le condizioni contemplate dalle norme sull'agevolazione. Tale dichiarazione in ipotesi di cessioni soggette all'imposta sul valore aggiunto impone dunque al venditore di applicare l'aliquota ridotta, non avendo egli - nell'assoluta carenza di una corrispondente previsione normativa - alcun potere giuridico né di contrastare la manifestazione di volontà dell'acquirente di volersi avvalere del beneficio fiscale, né di verificare la sussistenza delle condizioni di legge per il riconoscimento del beneficio medesimo. 5

In altri termini, la dichiarazione dell'acquirente di voler fruire del beneficio fiscale istituisce un rapporto giuridico diretto ed esclusivo tra l'acquirente stesso e l'amministrazione finanziaria, in ordine al quale non assume nessun rilievo il regime giuridico proprio della specifica imposta, sicché, anche in ipotesi di soggezione dell'atto all'iva, la (generale) soggettività passiva esclusiva del venditore viene meno, soggiacendo egli all'opzione potestativa dell'acquirente circa il regime agevolato cui assoggettare l'operazione economica. E così si spiega la perentorietà del predicato verbale ("deve") utilizzato dal legislatore nel comma 4 della richiamata nota 2 bis), che impone all'ufficio dell'agenzia delle entrate, presso cui sono stati registrati i relativi atti, di "recuperare nei confronti degli acquirenti" - non già dei venditori, avendo questi esaurito il rispettivo rapporto tributario assoggettando l'atto all'aliquota ridotta conseguente alla richiesta dell'acquirente - "la differenza fra l'imposta calcolata in base all'aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata", nonché di "irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima". La Suprema Corte considera infine irrilevanti le osservazioni dell Amministrazione, secondo la quale il venditore sarebbe chiaramente in grado di riconoscere, prima della conclusione del contratto di compravendita, se l'immobile venduto è di lusso poiché di superficie utile superiore ai 240 mq. e se tale requisito oggettivo manca sin dall'inizio il cedente è tenuto ad applicare la corretta aliquota Iva del 20%. Come visto, infatti, il cedente non dispone in realtà di un simile potere di "rettifica" - sostituivo rispetto alla dichiarazione resa dall'acquirente, il quale ne assume ogni responsabilità - sicché l'eventuale conoscenza (o conoscibilità) della mancanza delle condizioni di legge non influisce in alcun modo sul predetto rapporto tributario, che trova la sua unica fonte ed il suo presupposto nel negozio traslativo del bene, considerato nella sua consistenza oggettiva (cfr, Cass. n. 10807/2012 cit.). L assenza di litisconsorzio necessario Anche se l'accoglimento del primo motivo rendeva superfluo l'esame degli ulteriori quesiti, che restano logicamente assorbiti, la Corte sente infine, comunque, la necessità di sottolineare che, nelle controversie tributarie sulla imposta di registro, ipotecaria e catastale cui è soggetto un atto di compravendita, è inapplicabile l'istituto del litisconsorzio necessario, con riferimento alle posizioni dei venditori e dell'acquirente, tra loro solidalmente coobbligati, poiché il rapporto di solidarietà non realizza un presupposto dell'indicato istituto. 6

In tali casi, non si determina infatti quella inscindibilità della causa tra più soggetti ai sensi del D.Lgs. n. 546/92, art. 14, comma 1, ma si pone eventualmente un problema di rapporto tra giudicati, ovvero di legittimazione all'intervento nel processo di cui al citato art. 14, comma 3 (cfr. Cass. s.u. n. 13654/2011; Cass. n. 24063/2011 e n. 255650/2014). - Riproduzione riservata - 7