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Responsabilità Disciplinare Nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche trova applicazione la disciplina vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile prevista dall'art. 28 Cost. Salvo quanto disciplinato dal Capo IV del D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009 Attuazione L. 4 marzo 2009, n.15 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni sono definite dai contratti collettivi;; ai dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2 del t.u.p.i., si applicano l'articolo 2106 del codice civile (art. 55 t.u.p.i.così come modificato dall'art. 68 del D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009). Le violazioni, da parte dei lavoratori, dei doveri disciplinati nell'articolo 23 del c.c.n.l. 1995 comparto Ministeri danno luogo, secondo la gravità dell'infrazione, all'applicazione delle sanzioni disciplinari previo procedimento disciplinare (articolo 24 del c.c.n.l. 1995 comparto Ministeri come novellato dall'art. 12 c.c.n.l. 2003 comparto Ministeri). Con il c.c.n.l. comparto Ministeri 12 giugno 2003 relativo al quadriennio normativo 2002-2005, ed al biennio economico 2002-2003 viene disapplicato l'art. 25 del c.c.n.l. del 16 maggio 1995. Di conseguenza tutti i riferimenti al medesimo art. 25 devono intendersi all'art. 25 come rinovellato dal citato c.c.n.l. 2003 che, nella materia disciplinare, è intervenuto in maniera sostanziale modificando il codice di disciplina con l'introduzione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio da 11 giorni fino ad un massimo di 6 mesi (in tale ambito vengono annoverate anche fattispecie riconducibili al fenomeno del mobbing ed a quello delle molestie sessuali). Si precisa che - così come verrà meglio illustrato nei paragrafi successivi - il c.c.n.l. comparto Ministeri per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007 del 14 settembre 2007, ha apportato delle modifiche al sistema disciplinare di cui al c.c.n.l. 2003 ma solo limitatamente al contenuto degli artt. 13, commi 3 e 4, 14, commi 6 e 7, e 15, commi 8, 9 e 10, rimanendo invariate ed attualmente cogenti le altre norme di tale contratto. Tra le novità si segnala l'inasprimento della sanzione a carico del dipendente che dovesse venire alle mani nell'ambiente di lavoro con colleghi o utenti. In virtù dell'art. 13, comma 4 del c.c.n.l. 2003, così come novellato dal c.c.n.l. 2007, verificandosi la suddetta ipotesi, al dipendente responsabile, non si applicherà più la sanzione della sospensione con privazione dello stipendio per un massimo di 10 giorni dal servizio, bensì la più grave punizione di cui all'art. 12 lett. e) c.c.n.l. 2003 e, cioè, la sospensione dal servizio da 11 giorni fino ad un massimo di 6 mesi. Nel rispetto del principio di gradualità e proporzionalità delle sanzioni in relazione alla gravità della mancanza ed in conformità di quanto previsto dall'art. 59 del D.Lgs. n. 29/1993 e successive modificazioni ed integrazioni, sono stati fissati i criteri generali al fine di determinare tipo ed entità della sanzione (es. intenzionalità del comportamento, rilevanza della violazione di norme o disposizioni, recidiva, cumulo di azioni od omissioni). Le sanzioni disciplinari sono le seguenti: a) rimprovero verbale (art. 25, c. 2, c.c.n.l. 1995 come novellato dall'art. 12, c.c.n.l. 2003 comparto Ministeri);; b) rimprovero scritto - censura (art. 25, c. 2, c.c.n.l. 1995 come novellato dall'art. 12, c.c.n.l. 2003 comparto Ministeri);; c) multa di importo variabile fino ad un massimo di quattro ore di retribuzione (art. 25, c. 2, c.c.n.l. 1995 come novellato dall'art. 12, c.c.n.l. 2003 comparto Ministeri);; d) sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino a dieci giorni (art. 25, c. 3, c.c.n.l. 1995 come novellato dall'art. 12, c.c.n.l. 2003 comparto Ministeri);; e) sospensione dal servizio da 11 giorni fino ad un massimo di 6 mesi (art. 25, c. 4, c.c.n.l. 1995 come novellato dall'art. 12, c.c.n.l. 2003 comparto Ministeri, art. 55-sexies, primo comma, t.u.p.i. introdotto dall'art. 69, D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009);; f) licenziamento con preavviso (art. 25, c. 5, c.c.n.l. 1995 come novellato dall'art. 12, c.c.n.l. 2003 comparto Ministeri, art. 55-quater t.u.p.i. introdotto dall'art. 69, D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009);; g) licenziamento senza preavviso (art. 25, c. 6, c.c.n.l. 1995 come novellato dall'art. 12, c.c.n.l. 2003 comparto Ministeri, art. 55-quater, comma 1, lettere a), d), e) ed f) t.u.p.i., introdotto dall'art. 69, D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009);; Le mancanze non espressamente previste nell'art. 25 c.c.n.l. sono comunque sanzionate secondo i criteri di cui al comma 1 del citato articolo, facendosi riferimento, quanto all'individuazione dei fatti sanzionabili, agli obblighi dei lavoratori di cui all'art. 23 del c.c.n.l. del 16 maggio 1995, come modificato dal c.c.n.l. 2003.

Al codice disciplinare di cui all'art 25 c.c.n.l. 1995 come novellato dal c.c.n.l. 2003 comparto Ministeri, deve essere data la massima pubblicità mediante affissione in ogni posto di lavoro in luogo accessibile a tutti i dipendenti. La pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione del codice disciplinare, recante l'indicazione delle predette infrazioni e le relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all'ingresso della sede di lavoro (art. 55 t.u.p.i. così come modificato dall'art. 68 del D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009). Le amministrazioni potranno sostituire completamente la pubblicità al codice disciplinare tramite affissione con la pubblicazione on-line purché l'accesso alla rete internet sia consentito a tutti i lavoratori, tramite la propria postazione informatica. Inoltre, la pubblicazione on-line deve avvenire con adeguato risalto e indicazione puntuale della data sia sull'home page internet, che su quella intranet dell'amministrazione;; essa deve contenere sia le procedure previste per l'applicazione delle sanzioni, sia le tipologie di infrazioni e le relative sanzioni. La pubblicazione risponde infatti all'esigenza di porre il dipendente al riparo dal rischio di incorrere in sanzioni per fatti da lui non preventivamente conosciuti come mancanze (v. Circolare UPPA n. 14 del 23 dicembre 2010). L'art. 55-quater t.u.p.i. introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009 per assecondare l'avvertita esigenza di certezza e di omogeneità di trattamento definisce un catalogo di infrazioni particolarmente gravi assoggettate al licenziamento (con e senza preavviso) che potrà essere ampliato ma non ridotto dalla contrattazione collettiva (v. nota estinzione del rapporto). Gli artt. 55 quinquies e sexies t.u.p.i. introdotti dal suindicato decreto legislativo prevedono, inoltre, varie ipotesi di responsabilità per condotte che arrecano danno all'amministrazione pubblica, fra le quali assume particolare rilevanza pratica la responsabilità disciplinare del dirigente o del funzionario che determina per colpa la decadenza dell'azione disciplinare (commi 3-4 art. 55-sexies t.u.p.i.), limitando la responsabilità civile del dirigente ai soli casi di dolo o colpa grave. Fermo quanto previsto nell'articolo 21 del T.U., per le infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55-bis, comma 7, e 55-sexies, comma 3 del t.u.p.i. (articoli entrambi introdotti dall'art. 69 D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009), si applicano, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al comma 4 del predetto articolo 55-bis t.u.p.i., ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di incarico conferito ai sensi dell'articolo 19, comma 3 t.u.p.i. 2. Organi competenti per l'irrogazione della sanzione Il provvedimento disciplinare conclusivo spetta ad organi diversi in relazione alla tipologia di sanzione da infliggere. Alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo. Non vi sono particolari adempimenti per l'irrogazione di tale sanzione. Non è necessaria la contestazione scritta e può essere inflitta dal responsabile della struttura anche se non è in possesso della qualifica dirigenziale (v. Circolare UPPA n. 14 del 23 dicembre 2010). La sanzione deve essere applicata entro venti giorni da quando il responsabile della struttura è venuto a conoscenza del fatto. Al fine di realizzare una semplificazione dei procedimenti disciplinari ed un incremento della loro funzionalità il D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009 ha esteso i poteri del dirigente della struttura prevedendo che per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, il procedimento disciplinare viene istruito direttamente dal responsabile della struttura con qualifica dirigenziale (art. 55-bis, comma 1 del t.u.p.i. introdotto dall'art. 69, D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009). Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi, il procedimento disciplinare si svolge avanti all'ufficio competente per i procedimenti disciplinari di cui al comma 4 dell'art. 55-bis t.u.p.i. Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui all'art. 55-bis comma 1 t.u.p.i., trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all'ufficio competente, dandone contestuale comunicazione all'interessato. In tutti i casi di illecito disciplinare (a prescindere dalla gravità), l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari può attivarsi autonomamente anche senza attendere la segnalazione del dirigente responsabile nelle ipotesi in cui lo stesso abbia altrimenti acquisito la notizia dell'infrazione. 3. Procedimento

Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al comma 1 dell'art. 55-bis t.u.p.i., senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l'addebito al dipendente medesimo e lo convoca, con un preavviso di almeno dieci giorni, per il contraddittorio a sua difesa, con l'eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato (art. 55-bis, comma 2, t.u.p.i.). Il dipendente convocato, se non intende presentarsi, può inviare una memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, può formulare motivata istanza di rinvio del termine per l'esercizio della sua difesa. Al dipendente o, su sua espressa delega al suo difensore, è consentito l'accesso a tutti gli atti istruttori riguardanti il procedimento a suo carico ai sensi della legge n. 241/1990. Dopo l'espletamento dell'eventuale ulteriore attività istruttoria, il responsabile della struttura conclude il procedimento, con l'atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dell'addebito. In caso di differimento superiore a dieci giorni del termine a difesa, per impedimento del dipendente, il termine per la conclusione del procedimento è prorogato in misura corrispondente. Il differimento può essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento. Come detto ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari di cui al comma 1 dell'art. 55-bis t.u.p.i. Per tali sanzioni il procedimento è analogo a quello previsto per le sanzioni meno gravi caratterizzandosi per le seguenti peculiarità: - tutti i termini sono raddoppiati;; - il termine per la contestazione dell'addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi dal responsabile della struttura ovvero dalla data nella quale l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione;; - il responsabile della struttura deve trasmettere gli atti all'ufficio per i procedimenti disciplinari entro 5 giorni dalla notizia del fatto;; - la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. E' esclusa l'applicazione di termini diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti. La violazione dei termini prescritti comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del diritto di difesa. Il perfezionamento dei procedimenti disciplinari intrapresi integra il presupposto per diffondere un'immagine di efficienza ed efficacia degli apparati pubblici;; a tale scopo è affidato all'ispettorato della Funzione Pubblica ilcompito di monitorare il rispetto dell'esercizio dell'azione disciplinare da parte delle pubbliche amministrazioni (Dipartimento della Funzione Pubblica direttiva n. 8/2007). Nel corso dell'istruttoria, il capo della struttura o l'ufficio per i procedimenti disciplinari possono acquisire da altre amministrazioni pubbliche informazioni o documenti rilevanti per la definizione del procedimento. La predetta attività istruttoria non determina la sospensione del procedimento né il differimento dei relativi termini (art. 55 bis, comma 6, t.u.p.i.). Ogni comunicazione al dipendente, nell'ambito del procedimento disciplinare, è effettuata tramite posta elettronica certificata, nel caso in cui il dipendente dispone di idonea casella di posta, ovvero tramite consegna a mani. Per le comunicazioni successive alla contestazione dell'addebito, il dipendente può indicare, altresì, un numero di fax, di cui egli o il suo procuratore abbia la disponibilità. In alternativa all'uso della posta elettronica certificata o del fax ed altresì della consegna a mani, le comunicazioni sono effettuate tramite raccomandata postale con ricevuta di ritorno. Il lavoratore dipendente o il dirigente, appartenente alla stessa amministrazione pubblica dell'incolpato o ad una diversa, che, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall'autorità disciplinare procedente, ovvero, rende dichiarazioni false o reticenti, è soggetto all'applicazione, da parte dell'amministrazione di appartenenza, della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, commisurata alla gravità dell'illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni (art. 55-bis, comma 7, t.u.p.i.). In caso di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in un'altra amministrazione pubblica, il procedimento disciplinare è avviato o concluso o la sanzione è applicata presso quest'ultima. In tali casi i termini per la contestazione dell'addebito o per la conclusione del

procedimento, se ancora pendenti, sono interrotti e riprendono a decorrere alla data del trasferimento (art. 55-bis, comma 8, t.u.p.i.). In caso di dimissioni del dipendente, se per l'infrazione commessa è prevista la sanzione del licenziamento o se comunque è stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso secondo le procedure sopra descritte e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro (art. 55-bis, comma 9 t.u.p.i.). 4. Impugnazione delle sanzioni disciplinari Il comma 7 dell'art. 55 t.u.p.i. vecchia formulazione recitava: "ove i contratti collettivi non prevedano procedure di conciliazione, entro venti giorni dall'applicazione della sanzione, il dipendente, anche per mezzo di un procuratore o dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato, può impugnarla dinanzi al collegio arbitrale di disciplina dell'amministrazione in cui lavora. Il collegio emette la sua decisione entro novanta giorni dall'impugnazione e l'amministrazione vi si conforma. Durante tale periodo la sanzione resta sospesa". Il D.Lgs. n 150 del 27 ottobre 2009 prevede l'abolizione dei collegi arbitrali di disciplina stabilendo che i procedimenti di impugnazione di sanzioni disciplinari pendenti dinanzi ai predetti collegi alla data di entrata in vigore del decreto sono definiti, a pena di nullità degli atti, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla predetta data. L'art. 55-bis, comma 3 t.u.p.i. stabilisce che la contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari. Resta ferma la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento, da instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore a trenta giorni dalla contestazione dell'addebito e comunque prima dell'irrogazione della sanzione. La sanzione concordemente determinata all'esito di tali procedure non può essere di specie diversa da quella prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l'infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione. I termini del procedimento disciplinare restano sospesi dalla data di apertura della procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo. Il contratto collettivo definisce gli atti della procedura conciliativa che ne determinano l'inizio e la conclusione. Sulle controversie in materia di sanzioni e procedimento disciplinare è competente il giudice ordinario. Il dipendente ha inoltre la possibilità di impugnare le sanzioni disciplinari, entro 20 giorni, L'art. 56 t.u.p.i. stabilisce che se i contratti collettivi nazionali non hanno istituito apposite procedure di conciliazione e arbitrato, le sanzioni disciplinari possono essere impugnate dal lavoratore davanti al Collegio di conciliazione di cui all'articolo 66, con le modalità e con gli effetti di cui all'articolo 7, commi sesto e settimo, della legge 20 maggio 1970, n. 300. Per le modalità di svolgimento delle procedure di conciliazione di cui all'articolo 66 t.u.p.i., si rinvia alla nota Tutela giurisdizionale. 5. Rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare Una medesima violazione può essere rilevante: - esclusivamente sul piano disciplinare;; - sia sul piano disciplinare che su quello penale. In quest'ultimo caso l'amministrazione inizia il procedimento disciplinare ed inoltra la denuncia penale. I rapporti intercorrenti tra i due procedimenti vengono disciplinati dall'art. 55-ter t.u.p.i. introdotto dall'art. 69 D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009 il quale stabilisce che il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all'art. 55-bis, comma 1, t.u.p.i. primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità (per le quali è previsto il licenziamento o la sospensione superiore a 10 giorni) l'ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.

Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l'autorità competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione all'esito del giudizio penale. (art. 55 -ter, secondo comma, t.u.p.i.) In caso di assoluzione si applica quanto previsto dall'art. 653 cod. proc. pen. (così come modificato dall'art. 1 della L. n. 97/2001). A norma di tale articolo la sentenza penale irrevocabile di assoluzione spiega efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso. Ne consegue l'inefficacia della sospensione ove disposta. Qualora nel procedimento disciplinare, al dipendente, oltre ai fatti oggetto del giudizio penale per i quali vi sia stata assoluzione, siano state contestate altre violazioni oppure qualora l'assoluzione sia motivata "perché il fatto non costituisce illecito penale", non escludendo, quindi, la rilevanza esclusivamente disciplinare del fatto ascritto, il procedimento medesimo riprende - se sospeso - o prosegue per dette infrazioni (art. 14, comma 6 del c.c.n.l. del 2003, così come novellato dall'art. 27, comma 3, punto 6 del c.c.n.l. comparto Ministeri per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007 del 14 settembre 2007). In caso di proscioglimento si procede in modo analogo (art. 14, comma 7 del c.c.n.l. del 2003, così come novellato dall'art. 27, comma 3, punto 7 c.c.n.l. comparto Ministeri per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007). Il dipendente licenziato ai sensi dell'art. 13, comma 5 lettera h) e comma 6, lett. b) ed e), c.c.n.l. 2003 e successivamente assolto a seguito di revisione del processo ha diritto, dalla data della sentenza di assoluzione, alla riammissione in servizio nella medesima sede o in altra su sua richiesta, anche in soprannumero, nella medesima qualifica e con decorrenza dell'anzianità posseduta all'atto del licenziamento. Il dipendente riammesso, è reinquadrato, nell'area e nella posizione economica in cui è confluita la qualifica posseduta al momento del licenziamento qualora sia intervenuta una nuova classificazione del personale. In caso di premorienza, il coniuge o il convivente superstite e i figli hanno diritto a tutti gli assegni che sarebbero stati attribuiti al dipendente nel periodo di sospensione o di licenziamento, escluse le indennità comunque legate alla presenza in servizio ovvero alla prestazione di lavoro straordinario. Se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l'autorità competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa (art. 55-ter, terzo comma, t.u.p.i.). La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (art. 653, comma 1-bis cod. proc. pen.);; Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 55-ter t.u.p.i. il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione di appartenenza del lavoratore, ovvero, dalla presentazione dell'istanza di riapertura, ed è concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell'addebito da parte dell'autorità disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell'art. 55-bis t.u.p.i. Ai fini delle determinazioni conclusive, l'autorità procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell'art. 653, commi 1 ed 1-bis cod. proc. civ.. Salvi i casi in cui è intervenuta una sentenza di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni - pronuncia che comporta altresì l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego - per i dipendenti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320 cod. pen., (peculato, malversazione, concussione, corruzione) ancorché a pena condizionalmente sospesa, l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego può essere pronunciata solo a seguito di procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare deve avere inizio o - nell'ipotesi di intervenuta sospensione - proseguire entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione o all'ente competente per il procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare deve concludersi entro i successivi 180 giorni (art. 5 u.c., legge n. 97/2001 così come modificato dall'art. 72, D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009). L'applicazione

della sanzione prevista dall'art. 13 c.c.n.l. 2003 (licenziamento senza preavviso), come conseguenza delle condanne penali citate nei commi 5, lett. h) e 6, lett. b) ed e) non ha carattere automatico essendo correlata all'esperimento del procedimento disciplinare, salvo quanto previsto dall'art. 5, comma 2 della legge n. 97 del 2001;; 6. Sospensione cautelare La sospensione cautelare non rappresenta una sanzione disciplinare ma un provvedimento di natura amministrativa, precauzionale e provvisorio, con il quale viene disposto l'allontanamento cautelativo dall'ufficio dell'impiegato sottoposto a procedimento penale o disciplinare, per fatti di particolare gravità, in attesa che il procedimento sottostante venga definito. Nell'ipotesi di sospensione cautelare dal servizio a causa di procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore a cinque anni. Decorso tale termine, la sospensione cautelare è revocata ed il dipendente riammesso in servizio, salvo che, per i reati che comportano l'applicazione delle sanzioni previste ai commi 5 e 6 dell'art. 13 del c.c.n.l. del 12 giugno 2003, l'amministrazione ritenga che la permanenza in servizio del dipendente provochi un pregiudizio alla credibilità della stessa a causa del discredito che potrebbe derivarle e/o, comunque, per ragioni di opportunità e operatività dell'amministrazione stessa. In tale caso, può essere disposta, la sospensione dal servizio, che sarà sottoposta a revisione con cadenza biennale. Il procedimento disciplinare, comunque, se sospeso rimane tale sino all'esito del procedimento penale (art. 15, comma 10, del c.c.n.l. del 2003, così come novellato dall'art. 27, comma 4, punto 10, c.c.n.l. comparto Ministeri per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007). Si fa presente che la Corte costituzionale con sentenza 3 maggio 2002, n. 145, ha dichiarato l'illegittimità dell'ultimo comma dell'art. 4 L. n. 97/2001, nella parte in cui dispone che la sospensione cautelare perde efficacia decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato. Si legge in motivazione "... in relazione ad alcuni fra i delitti indicati dalla norma, il termine di prescrizione può raggiungere una durata ultradecennale... un siffatto periodo di tempo, se assunto quale termine di durata di una misura cautelare, non può che ritenersi manifestamente eccessivo, comportando, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, una evidente quanto irragionevole compressione dei diritti del singolo". Al dipendente sospeso sono corrisposti un'indennità pari al 50% della retribuzione fissa mensile nonchè gli assegni del nucleo familiare e la retribuzione individuale di anzianità, ove spettanti. Il pubblico dipendente che sia stato sospeso dal servizio o dalla funzione e, comunque, dall'impiego o abbia chiesto di essere collocato anticipatamente in quiescenza a seguito di un procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento, ha il diritto di ottenere, su propria richiesta, dall'amministrazione di appartenenza il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, oltre i limiti di età previsti dalla legge, per un periodo pari a quello della durata complessiva della sospensione ingiustamente subita, anche in deroga ad eventuali divieti di riassunzione previsti dal proprio ordinamento e con il medesimo trattamento giuridico ed economico a cui avrebbe avuto diritto in assenza della sospensione, secondo modalità da stabilirsi con apposito regolamento (art. 3, comma 57, legge n. 350/2003 così come modificato dall'art. 2, comma 30 della D.L. n. 225/2010). Le disposizioni della Finanziaria 2004 prevedono una tutela risarcitoria in forma specifica per i dipendenti pubblici che abbiano subito una sospensione ingiusta. Il Governo ha provveduto all'attuazione di tali disposizioni attraverso l'emanazione del decreto-legge n. 66/2004. Tale decreto, convertito nella legge 11 maggio 2004, n. 126, apporta modifiche all'art. 3, comma 57, della L. n. 350/2003, introducendo altresì il comma 57-bis. L'art. 1 del decreto disciplina le ipotesi in cui è possibile l'esercizio del diritto di riammissione o prolungamento del rapporto d'impiego precisando i tipi di provvedimenti giudiziari che danno luogo al diritto nonché il termine entro il quale devono essere stati pronunciati (cinque anni antecedenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione). Ove il procedimento penale si sia concluso con provvedimento di proscioglimento diverso da quelli indicati nell'art. 3, comma 57 - in assenza del diritto alla ricostituzione del rapporto - l'amministrazione di appartenenza ha la facoltà, a domanda dell'interessato, di prolungare e ripristinare il rapporto d'impiego per un periodo di durata pari a quella della sospensione e del servizio non prestato - nel rispetto del limite temporale di cui all'art. 2, comma 32 del D.L. 225/2010 - purché non risultino elementi di responsabilità disciplinare o contabile all'esito di specifica valutazione che le amministrazioni competenti compiono entro dodici mesi dalla presentazione dell'istanza di riammissione in servizio. Gli effetti delle modifiche indicate decorrono dal 1º gennaio 2004.

L'art. 2 del D.L. n. 66/2004, così come modificato dall'art. 2, comma 31 della D.L. n. 225/2010 fissa il termine di presentazione delle domande da parte dei soggetti interessati (90 giorni dalla data della sentenza definitiva di proscioglimento o del decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato) e quello entro cui l'amministrazione provvede in merito, disciplinando altresì le modalità di ripristino, a seconda delle peculiarità dei singoli rapporti d'impiego (magistrati ordinari, personale militare e delle Forze di Polizia, personale contrattualizzato e delle regioni). In ogni caso di ripristino del rapporto d'impiego viene sospeso il trattamento pensionistico. Il provvedimento di sospensione cautelare può essere obbligatorio o facoltativo. 6.1 Sospensione cautelare obbligatoria Alla sospensione obbligatoria si procede: 1) qualora il dipendente venga colpito da misura restrittiva della libertà personale: in tal caso la sospensione comporta la privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o comunque dello stato restrittivo della libertà (art. 15, c. 1 del c.c.n.l. del comparto Ministeri 2003);; l'amministrazione, ai sensi del presente articolo, cessato lo stato di restrizione della libertà personale, può prolungare il periodo di sospensione del dipendente, fino alla sentenza definitiva. (art. 15, c. 2 del c.c.n.l. del comparto Ministeri 2003);; 2) per i reati previsti dall'art. 1, commi 1 e 4 septies, lett. a), b) limitatamente all'art. 316 del codice penale, c) ed e) della legge 16 del 1992;; 3) qualora il dipendente abbia riportato una condanna, anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei delitti contro la P.A. previsti dall'articolo 3, comma 1 della L. n. 97/2001 (1) (art. 4, comma 1º, L. 97/2001). ---------- (1) Art. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale e dall'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383. 6.2 Sospensione cautelare facoltativa in corso di procedimento disciplinare o penale Tale provvedimento può essere disposto: - qualora al pubblico dipendente siano addebitabili, a titolo di infrazione disciplinare, fatti punibili con la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione. L'allontanamento dal lavoro può essere disposto per un periodo di tempo non superiore a trenta giorni, con conservazione della retribuzione e deve essere congruamente motivato. Quando il procedimento disciplinare si conclude con la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, il periodo dell'allontanamento cautelativo deve essere computato nella sanzione, ferma restando la privazione della retribuzione limitata agli effettivi giorni di sospensione irrogati. Il periodo trascorso in allontanamento cautelativo, escluso quello computato come sospensione dal servizio, è valutabile agli effetti dell'anzianità di servizio (art. 26 del c.c.n.l. del comparto Ministeri 1995);; - nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della libertà personale, quando sia stato rinviato a giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque per fatti tali da comportare, se accertati, l'applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento ai sensi dell'art. 13, commi 5 e 6 del c.c.n.l. del comparto Ministeri 2003. Nel caso di sentenza definitiva di assoluzione o proscioglimento, pronunciate con la formula "il fatto non sussiste", "non costituisce illecito penale" o "l'imputato non lo ha commesso", quanto corrisposto nel periodo di sospensione cautelare a titolo di indennità viene conguagliato con quanto dovuto al lavoratore nell'ipotesi in cui fosse rimasto in servizio, escluse le indennità o compensi per servizi speciali o per prestazioni di carattere straordinario. Ove il giudizio disciplinare riprenda per altre infrazioni, il conguaglio deve tener conto delle sanzioni eventualmente applicate (art. 15, comma 8, del c.c.n.l. del 2003, così come modificato dall'art. 27, comma 4, punto 8, c.c.n.l. comparto Ministeri per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007). Nel caso in cui l'amministrazione non abbia disposto la sospensione del dipendente nei cui confronti è disposto il giudizio, per i reati previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale e dall'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383 (peculato, corruzione etc.) a norma dell'art. 3, comma 1, L. n. 97/2001 è tenuta a disporne il trasferimento d'ufficio con attribuzione di funzioni corrispondenti, per inquadramento, mansioni e prospettive di carriera, a quelle svolte in precedenza. L'amministrazione di appartenenza, in presenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza del dipendente nell'ufficio in considerazione del discredito che l'amministrazione stessa può ricevere da tale permanenza, può procedere al

trasferimento di sede, o alla attribuzione di un incarico differente da quello già svolto dal dipendente. Qualora, in ragione della qualifica rivestita, ovvero per obiettivi motivi organizzativi, non sia possibile attuare il trasferimento di ufficio, il dipendente è posto in posizione di aspettativa o di disponibilità, con diritto al trattamento economico in godimento salvo che per gli emolumenti strettamente connessi alle presenze in servizio, in base alle disposizioni dell'ordinamento dell'amministrazione di appartenenza (art. 3, comma 2, L. n. 97/2001). I provvedimenti di trasferimento o di messa in aspettativa o in disponibilità perdono efficacia se per il fatto è pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorsi cinque anni dalla loro adozione, per cui il dipendente rientra nell'ufficio d'origine salvo che chieda di rimanere presso il nuovo ufficio o di continuare ad esercitare le nuove funzioni o che l'amministrazione ritenga, in presenza di obiettive e motivate ragioni, di non dare corso al rientro (artt. 3-4 L. n. 97/2001).