Sentenza Corte di Cassazione 21 febbraio 2001, n. 2569 Sezione Lavoro (... omissis...) MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente i ricorsi, quello principale e quello incidentale, vanno riuniti attinendo alla medesima decisione. Con il primo motivo del ricorso principale il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 2 e 36 Cost., 2109 e 2134 c.c.. Egli contesta che, per le ferie, nell attuale sistema giuridico, fondato sull art. 36 Cost., che ne sancisce la irrinunciabilità, possa esservi, ove le stesse non vengano fruite per fatto imputabile al datore di lavoro, un sistema di reintegrazione del diritto leso per equivalente, come sostiene il Tribunale; laddove proprio il rango costituzionale del diritto, cui la irrinunciabilità è connaturata, esige la fruizione reale delle stesse: sicchè l unico risarcimento legittimo è quello specifico. La tesi del Tribunale della decadenza della fruizione reale ove essa non avvenga nell anno di riferimento svuota del suo contenuto effettivo il diritto in questione ed è fondata su una apodittica asserzione che postula una inscindibilità delle ferie di riferimento, negando loro, trascorso tale periodo, la loro funzione rigenerativa delle energie psico- fisiche del lavoratore. In tal modo essi hanno enunciato una sorta di teorema dell indilazionabilità contraddetto dalla lettera e dalla ratio della norma costituzionale. I costituenti, come risulta palese dai lavori preparatori, contro la prassi diffusa in altri paesi europei di vanificare, monetizzandolo, il diritto alle ferie, hanno sancito la obbligatorietà di detto diritto esclusivamente in natura. Se l'art. 2109 c.c. deve essere interpretato nel senso che la mancata fruizione delle ferie nell anno di riferimento ne comporta la decadenza dal godimento reale, anche in epoca diversa, esso si pone in contrasto con i predetti precetti costituzionali. La possibilità, ipotizzata dal Tribunale, che la contrattazione collettiva possa prevedere, per le ferie non godute, un dilazionamento in epoca diversa dall anno di riferimento, contraddice l asserita decadenza come effetto naturale di tale evento, contraddicendo al contempo la natura indisponibile del diritto. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell artt. 2727 e 2729 c.c. nonché omessa motivazione circa un punto decisivo relativamente alla esistenza di una valida ed adeguata motivazione attestante l esigenza di un trattamento terapeutico necessario per combattere la patologia cronica per gli anni anteriori al 1986. Il Tribunale ha ritenuto, sulla base della dichiarazione del direttore delle terme, che solo per il 1986 e il 1987 risulta provata la incompatibilità delle cure termali con la fruizione del periodo feriale: ma ha, contraddittoriamente, non tratto le stesse conseguenze anche per
gli anni dal 1975 al 1985, atteso che, sempre, in relazione alla patologia da cui era affetto egli aveva sempre praticato la medesima terapia, attestata dal predetto direttore (c.d. polverizzazione). Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 2934, 2946, 2948 c.c. in ordine alla imprescrittiblità dell indennità sostitutiva per ferie non godute. Il Tribunale ha omesso ogni pronuncia sul punto della decisione pretorile che aveva ritenuto soggetta a prescrizione quinquennale la predetta indennità. In ogni caso il Tribunale è incorso in errore escludendo l imprescrittibilità dell indennità in questione in quanto su di essa necessariamente si riverbera la natura del diritto violato: una contraria interpretazione pone dubbi di costituzionalità per contrarietà agli artt. 2 e 36 Cost. La questione di fondo su cui si incentra la controversia sottoposta alla Corte concerne il diritto del lavoratore a godere delle ferie spettantegli anche quando sia trascorso l anno di riferimento, diritto che il Tribunale ritiene, automaticamente ed irreversibilmente, tramutato in diritto alla indennità sostitutiva, trascorso il predetto periodo. La soluzione della questione, no postasi a questa Corte, prima, nei termini predetti, involge la individuazione della funzione del diritto al riposo annuale assicurato al lavoratore da una norma costituzionale (36 comma 3) e da una del codice civile (2109 c.c.), e dalla contrattazione collettiva. Sia la dottrina che la giurisprudenza, di merito e di legittimità, hanno sempre riconosciuto al diritto in questione funzione reintegratrice delle energie psico- fisiche del lavoratore. Quanto alla specifica questione relativa alla esistenza di un risarcimento in forma specifica, in caso di mancata tempestiva fruizione, la prima sostiene che il sistema del riposo annuale, quale concretamente configurato dal nostro ordinamento, poggia sul presupposto che esso deve essere effettivamente goduto dal lavoratore non essendo ipotizzabile un obbligazione con facoltà alternativa; l oggetto del diritto alle ferie sebbene non concretamente specificato fino all atto di assegnazione è unico: il riposo annuale nell epoca da stabilire con le modalità previste dall art. 2109 c.c. Nella medesima sede, quanto a quest ultimo, si afferma che la periodicità annuale vuole sicuramente escludere la continuità della prestazione per un periodo più lungo dell anno. Trattasi di affermazioni in perfetta consonanza con le decisioni rese dalla Corte Costituzionale (n. 150 del 1967 146 del 1971(, in materia di riposo settimanale, secondo cui in un sistema di ragionevolezza, che salvaguardi interessi aziendali e diritti alla reintegrazione delle energie psico fisiche del lavoratore, va, nel complesso, mantenuto un rapporto da uno a sei fra riposo e giorni lavorati. La trama delle decisioni in questione è, per l appunto, costituita dalla effettività del riposo in questione e dalla sua non monetizzabilità attesa la sua funzione reintegratrice delle energie lavorative e partecipativa alle vicende della società civile. La contrattazione collettiva ha recepito tale esigenza di fruizione effettiva, senza alternative, del riposo in questione prevedendo laddove non possa esso cadere dopo il sesto giorno il riposo compensativo. Come è noto questa Corte ha ritenuto insufficiente tale istituto riconoscendo un indennizzo ulteriore per il lavoratore che non abbia fruito dopo il sesto giorno del riposo settimanale, e
salva la facoltà dell autonomia collettiva di prevedere un compenso globale per tale vicenda: tale opzione interpretativa è indubbiamente sorretta dalla insostitutibilità del riposo quale strumento per assicurare al lavoratore le predette garanzie. Sempre nell ambito della giurisprudenza costituzionale, la decisione n. 66 del 1963, che ha dichiarato l incostituzionalità dell art. 2109 c.c. laddove subordinava il diritto alle ferie ad un anno di lavoro, trova il suo fulcro nell affermata autonomia delle ferie rispetto alle vicende del rapporto. Di non minore rilievo è, in relazione al tema in esame, la decisione n. 543 del 1990 della Corte Costituzionale, la quale afferma che nel sancire il diritto alle ferie annuali l art.36 comma 3 Costituzione garantisce la soddisfazione di primarie esigenze del lavoratore, dalla reintegrazione delle sue energie fisiche allo svolgimento di attività ricreative e culturali, che una società evolutiva apprezza come meritevoli di considerazione. Spetta all imprenditore, nel contemperamento delle esigenze dell impresa e degli interessi del lavoratore, la scelta del tempo in cui le ferie debbono essere fruite ma tale potere non può essere esercitato in modo da vanificare le finalità cui è preordinato l'istituto. I medesimi valori sono alla base delle decisioni n. 617 del 1987 e 297 del 1990 che, in materia di incidenza della malattia sul periodo feriale, ribadiscono che l'art.36 comma 3 Cost. pone il principio della irrinunciabilità delle ferie che si traduce in quello della effettiva fruizione delle stesse e che lo stesso datore di lavoro è interessato a che effettivamente avvenga la ripresa ed il rafforzamento delle energie lavorative. Ed ancora, questa Corte, statuendo, anche se in fattispecie non del tutto analoga, sulla questione in esame ha ritenuto, in una non recente sentenza, che è affetta da nullità, per contrasto con l'art.36 Cost., la clausola, individuale o collettiva che provveda, in sostituzione delle ferie, il pagamento di una indennità sostitutiva (1169/1969). A tali considerazioni, di carattere dottrinario e giurisprudenziale, bisogna aggiungere l'esistenza, nel concreto comportamentale di larghe fasce di lavoratori, e più in generale nella attuale società civile, di una crescente valorizzazione del tempo libero come strumento di realizzazione e garanzia della dignità umana del lavoratore e dei suoi connessi diritti da esercitarsi individualmente o nelle formazioni sociali; trattasi di standards che si sviluppano nella cornice dei valori cardine dell'ordinamento e che perciò concorrono alla concreta connotazione della civiltà del lavoro esistente. Ne consegue che l'affermazione del Tribunale di Milano, secondo cui il diritto al godimento reale delle ferie si consuma se non fruito nell'anno di riferimento, è, nella sua assolutezza, in netto contrasto con il quadro ordinamentale delineato. In realtà, il diritto alla fruizione effettiva del periodo feriale, non goduto per fatto imputabile al datore di lavoro nell'anno di riferimento, trova il suo fondamento nell'art. 2058 c.c., dettato per la responsabilità aquiliana ma che in materia risarcitoria ha valore di principio generale- aggiungendosi che in materia di diritti attinenti alla integrità psico- fisica, e più in generale agli interessi esistenziali del lavoratore, il datore di lavoro risponde per responsabilità extracontrattuale oltre che contrattuale. Sicchè, devono considerarsi nulle le clausole, anche collettive, che a fronte di tale evento prevedano, in via esclusiva, l indennità sostitutiva.
Il lavoratore ha, infatti, innanzi tutto, ove abbia subito il predetto evento lesivo, diritto al risarcimento in forma specifica, che può tramutarsi, in diritto al risarcimento per equivalente se esso risulti eccessivamente oneroso per il datore di lavoro, come disposto dal secondo comma della norma in esame. Se pertanto sussistono comprovate difficoltà nell'ambito aziendale alla effettiva fruizione recuperatoria delle ferie, non tempestivamente godute, può, in tal caso, farsi luogo alla corresponsione dell'indennità sostitutiva. Spetta al datore di lavoro,cui incombe l'obbligo di un'organizzazione aziendale che consenta la tempestiva fruizione del periodo feriale, provare, in quanto a conoscenza di concrete esigenze aziendali ostative al recupero delle ferie, l'esistenza delle stesse. Il giudice nell'ambito dei doveri di correttezza e buna fede che incombono ai soggetti del rapporto di lavoro valuterà, altresì, quando il tempo intercorso fra mancata tempestiva fruizione e richiesta recuperatoria del lavoratore incidano sulle esigenze aziendali ostative alla stessa. Il ricorrente lamenta ancora, come si è detto, che il Tribunale non si sia pronunciato sulla durata della prescrizione del diritto alla indennità sostitutiva ritenuta dal Pretore quinquennale, mentre andava affermata la imprescrittibilità del diritto a fruire effettivamente delle ferie non godute, essendo esso di rango costituzionale ed appartenendo al novero dei diritti della personalità. Su tale questione una non recente, ma fondamentale, sentenza della Corte Costituzionale (n.63 del 1966) afferma che la prescrizione è modo generale d'estinzione dei diritti e la garanzia costituzionale di un diritto non vieta, di per se, che esso si estingua con il decorso del tempo; la tutela costituzionale da al diritto soggettivo una forza maggiore di quella che gli deriverebbe dalla legge ordinaria ma non lo rende necessariamente perpetuo. Questa Corte condivide siffatta asserzione ed in ordine alla questione relativa alla prescrizione del diritto all'indennità sostitutiva, sul quale il Tribunale ha omesso di pronunciarsi, rileva che la decisione della stessa spetta al giudice di rinvio ove esso ritenga, nella fattispecie, non sussistente un diritto al godimento delle ferie bensì quello all'indennità predetta. Quanto alla questione della consistenza temporale del diritto (ossia per quanti anni spetti uno dei predetti diritti), devono esaminarsi congiuntamente il secondo motivo del ricorso principale ed il motivo unico che sorregge il ricorso incidentale. Rileva la Corte che il ricorrente incidentale ha ragione di dolersi che senza una specifica prova che il c.d. trattamento di polverizzazione, certificato per il 1986, era stato praticato anche per il 1987, il Tribunale non poteva ritenere ciò facendo ricorso alle presunzioni, e non tanto perché non sussistono le condizioni che legittimano lo stesso, ma perché la legge (art. 13 comma 3 d.l. n. 463/83 conv. nella l. n. 638/83) prescrive che la incompatibilità fra godimento delle ferie e terapie termali debba esser provato nella maniera prevista da tale norma ( certificazione di un medico specialista della USL ). Per la medesima ragione non può trovare accoglimento la doglianza del ricorrente il quale sostiene, senza far riferimento alla predetta certificazione, che tale incompatibilità doveva
esser ritenuta dal Tribunale per tutto l'arco di tempo in cui le terapie termali da lui praticate furono imputate alle ferie. I ricorsi vanno quindi accolti, per quanto di ragione, e la causa rimessa da altro giudice che si atterrà ai predetti principi di diritto. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie entrambi per quanto di ragione; cassa e rinvia anche per le spese alla Corte d Appello di Milano. Roma, 22 novembre 2000. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 200