IL PRETE NEL PRESBITERIO (lezione di Don Giovanni Frausini di lunedì 24/1/2011)

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STD SCUOLA TEOLOGICA DIOCESANA FABRIANO IL PRETE NEL PRESBITERIO (lezione di Don Giovanni Frausini di lunedì 24/1/2011) Ogni presbitero per parlare di se stesso dovrebbe sempre usare il plurale, non quello maiestico (la nostra chiamata è al servizio, non al potere) ma quello del presbiterio. Infatti il nostro è un ministero collettivo fin dal suo nascere e può essere esercitato solo in una radicale forma comunitaria 1. Nella Traditio Apostolica 2, che riporta il testo più antico, tra quelli conosciuti, di una preghiera di ordinazione dei preti, ci viene detto che sugli ordinanti il Vescovo e tutta l assemblea invocavano da Dio la grazia presbyterii, cioè il dono di essere membri del presbiterio. Così sarà ininterrottamente, anche se cambieranno le preghiere, fino ad oggi. Benedetto XVI nella lettera di indizione dell Anno sacerdotale, riprendendo l insegnamento di Giovanni Paolo II, così scrive: «Il ministero ordinato ha una radicale forma comunitaria e può essere assolto solo nella comunione dei presbiteri con il loro Vescovo. Occorre che questa comunione fra i sacerdoti e col proprio Vescovo, basata sul sacramento dell Ordine e manifestata nella concelebrazione eucaristica, si traduca nelle diverse forme concrete di una fraternità sacerdotale effettiva ed affettiva» 3. Veniamo ordinati dal Vescovo con l imposizione delle mani ed una preghiera che chiede a Dio per il candidato la presbyterii dignitatem, cioè la dignità di entrare a far parte del presbiterio. È questo il dono che ci ha inserito nel ministero sacerdotale. Il presbiterio è mysterium Cos è il presbiterio? La Lumen Gentium ce lo descrive facendo innanzi tutto una distinzione tra fraternità sacerdotale e presbiterio. La prima espressione descrive il legame che unisce tutti i presbiteri 1 GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, LEV, Città del Vaticano1992, n. 17. 2 Enchiridion Euchologicum Fontium Liturgicorum, a cura di E. Lodi, CLV, Roma 1979, n. 284. 3 BENEDETTO XVI, Lettera per l indizione di un anno sacerdotale in occasione del 150 anniversario del dies natalis del santo Curato d Ars, LEV, Roma 2009, 21.

in forza del sacramento dell ordine, la seconda fa riferimento alla speciale comunità, il presbiterio, che unisce tutti i presbiteri che servono una Chiesa particolare con il Vescovo 4. Secondo il Vaticano II il legame tra preti e Vescovo non è di tipo funzionale, ma «ratione Ordinis et ministerii» 5, si fonda cioè sul sacramento stesso e segna la sua natura. Voler parlare di presbiterio non nasce dal desiderio di una maggior efficacia pastorale (cosa per altro vera e necessaria) né dalla volontà di affrontare la solitudine del prete celibe 6, ma si fonda sulla natura stessa del sacerdozio ministeriale. Per questo Giovanni Paolo II potrà dire che «il presbiterio nella sua verità piena è un mysterium: infatti è una realtà soprannaturale perché si radica nel sacramento dell'ordine. Questa è la sua fonte, la sua origine, il 'luogo' della sua nascita e della sua crescita» 7. L ordine viene conferito come singoli, ma inserisce nella comunione del presbiterio 8. L imposizione delle mani, dopo il vescovo, da parte di tutti i presbiteri presenti all ordinazione indica questa condivisione della stessa chiamata a formare il presbiterio. D altra parte questa è la logica della Chiesa: essa è comunione, ed è proprio la riscoperta del legame tra chiesa e Trinità, come viene delineato dalla Lumen Gentium, che ci riporta all intimo legame tra ministero ordinato e Trinità. A conferma di tutto ciò va detto che il fondamento trinitario della Chiesa appare al centro di tutti i tre riti di ordinazione nella preghiera al Padre. Lo stesso Spirito Santo costituisce la Chiesa ed il sacro ministero a servizio della edificazione della Chiesa stessa. Una Chiesa che è essenzialmente missionaria, estroversa, al servizio del mondo. Ed è proprio il presbiterio il primo luogo nel quale si realizza fino alla fine 9 per ogni presbitero la solidarietà con tutta l'umanità 10. In esso si è accolti e si accoglie tutta la molteplice umanità che là è 4 LG 28. 5 LG 28: «a motivo del sacramento dell ordine e del ministero». 6 Studi abbastanza recenti hanno offerto una lettura approfondita del vissuto del preti italiani offrendoci interessanti sorprese come la visione tutt altro che negativa o rassegnata della realtà, un non sentirsi soli ed un buona rapporto con il vescovo e gli altri preti ecc. Cfr. GARELLI F. (ed.), Sfide per la Chiesa del nuovo secolo, Mulino, Bologna 2003 e DIOTALLEVI L. (ed.), La parabola del clero. Uno sguardo socio-demografico sui sacerdoti diocesani in Italia, Fondazione Agnelli, Torino 2005. 7 Pastores dabo vobis n. 74; cfr. MAGGIOLINI, Il prete. La vita al servizio della comunità di Dio, Piemme, Casale Monferrato 2000, 53; M. SEMERARO, Il mistero e il ministero del presbiterio : Presenza pastorale, 62 (1992), 547-562, qui 40. 8 Cfr. LG 28; PO 7-8. 9 Gv 13, 1. 10 I presbiteri sono "stati scelti fra gli uomini" (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Pontificale Romano. Riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI riveduto da Giovanni Paolo II, Rito dell'ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, LEV, Città del Vaticano 1992 (da qui OVPD), n.136).

presente. L'abbraccio di pace da parte del Vescovo e di tutti i presbiteri sta anche a significare questa accoglienza di tutta la persona del neo-eletto e, da parte sua, la stessa accoglienza di tutta la realtà umana e spirituale presente nel presbiterio. Con i nuovi membri il presbiterio si arricchisce della loro «mentalità, coscienza, interessi» perché «nella consacrazione, l'azione sovrana di Cristo, operante nell'ordinazione mediante lo Spirito Santo, crea quasi una nuova personalità, trasferendo nella comunità sacerdotale» 11 tutta la ricchezza della persona consacrata. «E' un fatto psicologico derivante dal riconoscimento del legame ontologico di ogni presbitero con tutti gli altri. Il sacerdozio conferito a ciascuno dovrà esercitarsi nell'ambito ontologico, psicologico e spirituale di questa comunità. Allora si avrà veramente la comunione sacerdotale. Dono dello Spirito Santo: ma anche frutto della risposta generosa del presbitero» 12. Il mistero per eccellenza, di cui il presbiterio è espressione e partecipa, è lo stesso mistero della Trinità: "Vivete la comunione e la missione ecclesiastica a partire dal mistero della Trinità!" diceva ad alcuni giovani sacerdoti Giovanni Paolo II. E proseguiva: «Il mistero ci avvicina alla profondità di Dio Amore, manifestata in Gesù Cristo. [ ] La missione che Gesù vuole condividere con noi ha la sua origine in questo mistero di Dio Amore. Per questo, la comunione di ogni sacerdote con il Vescovo e il presbiterio diocesano deve essere immagine del mistero di amore tra il Padre il Figlio e lo Spirito Santo, per costruire in questo modo la comunità ecclesiale ed umana secondo il mandato dell amore» 13. Se, come affermato dal Papa Benedetto XVI, la «radice del nostro sacerdozio [ ] è una sola: Gesù Cristo Signore», egli ci introduce nella relazione trinitaria perché «Gesù non ha nulla che gli appartenga in proprio, è tutto interamente del Padre e per il Padre. Perciò Egli dice che la sua dottrina non è sua, ma di colui che lo ha mandato (cfr Gv 7,16): il Figlio da solo non può fare nulla (cfr Gv 5,19.30)» 14. Sappiamo bene come la Carità trinitaria si sia rivelata in modo supremo nella kenosi di Gesù, nella sua piena dedizione al Padre. A questa dedizione si ispirano la chiamata e le promesse fatte nel rito delle ordinazioni, questa fedeltà richiede l'ingresso nel presbiterio. 11 GIOVANNI PAOLO II, Insegnamenti XVI,2(1993), 137. 12 Ivi,138. 13 GIOVANNI PAOLO II, Insegnamenti XV,1(1992), 1007, (nostra traduzione). 14 BENEDETTO XVI, Ministri al servizio del Buon Pastore, LEV, Città del Vaticano 2006, 6-7.

Per i presbiteri la relazione comunionale, che è il presbiterio, costituisce il fondamentale luogo di esperienza di Chiesa che, con il Vescovo, essi sono chiamati ad edificare proprio in quella caritàcomunione che sperimentano insieme. D altra parte essi contribuiranno alla vita del presbiterio anche attraverso l esperienza di comunione trinitaria che vivranno nelle diverse comunità alle quali sono inviati dal Vescovo e che, quindi, sono chiamati a presiedere. Si crea così una connessione feconda tra l esperienza nel presbiterio e quella nelle comunità locali. L una e l altra si arricchiranno a vicenda inserendo il locale nell universale e viceversa, proprio attraverso l unità del presbitero con il Vescovo-presbiterio da una parte e la comunità che presiede a nome del Vescovo stesso dall altra. Unità del sacerdozio Il Concilio, quando parla del ministero sacerdotale, propone almeno due elementi di novità: innanzi tutto un preciso punto di partenza che è la riscoperta della sacramentalità dell episcopato (LG 21). Questo dato, evidenziando la distinzione tra episcopato e presbiterato, potrebbe mettere in secondo piano la dottrina sull unità del sacerdozio, affermata in modo sostanzialmente ininterrotto a partire più o meno dal IV secolo fino al Concilio di Trento. Il vescovo esercita certamente una funzione personale, in quanto è principio e fondamento di unità della sua Chiesa ed essa è nella Tradizione apostolica grazie al suo ministero. Tuttavia il vescovo non esercita da solo il sacerdozio a favore di un popolo che gli è affidato, ma egli ha bisogno del suo presbiterio. Nella preghiera di ordinazione dei presbiteri il vescovo riconosce questa sua necessità. Egli si rivolge così a Dio: «Ora, o Signore, vieni in aiuto alla nostra debolezza (infirmitati) e donaci questi collaboratori (adiutores) di cui abbiamo bisogno per l esercizio del sacerdozio apostolico (quibus in apostolico sacerdotio fungendo indigemus)» 15. Il presbiterio è quindi la risposta di Dio ad un bisogno del Vescovo per l esercizio del sacerdozio apostolico. Anch egli non può fare a meno dei presbiteri e questo, nel rito, non viene subordinato alla situazione contingente (scarsità di clero, molteplici impegni pastorali ecc.), ma viene proposto come una necessità propria e personale del Vescovo ordinante (anche se non fosse lui stesso il responsabile della Chiesa per la quale il presbitero viene ordinato) e di ogni Vescovo. Egli è personalmente bisognoso di aiuto perché lo esige proprio la condizione normale del sacerdozio apostolico. 15 OVPD n. 146.

È evidente che il ministero sacerdotale viene pensato come una realtà comunitaria dove il Vescovo non solo è in relazione con gli altri Vescovi, ma ha anche bisogno di collaboratori di secondo grado, i presbiteri, che formano con lui nella Chiesa particolare il presbiterio. Il Concilio non ha chiarito se il vescovo sia dentro o sopra il presbiterio, ma è indubbio che non è mai senza il presbiterio, come il presbiterio non è mai senza il vescovo. Non è bene che il Vescovo sia solo e non è bene che i presbiteri lo siano. Si potrebbe dire che il vescovo è principio e fondamento dell unità sia della sua Chiesa che del suo presbiterio. Questo significa che il sacerdozio, partecipato dal vescovo e dai presbiteri, viene donato dallo Spirito Santo e si esercita in una forma radicalmente comunionale, fondata su un legame di reciprocità tra vescovo e presbiterio, per cui non esiste presbiterio senza il suo vescovo e, analogamente, non esiste un vescovo quale principio di unità di una Chiesa particolare senza il suo presbiterio. Da qui la necessità anche per i religiosi di sentirsi e vivere come parte del presbiterio della diocesi dove vivono la loro vita. Potremmo dire, concludendo questa parte, che «i gradi del ministero ordinato propriamente non sono episcopato, presbiterato, diaconato, ma appunto il ministero del Vescovo nel consesso del presbiterio con l assistenza dell ordine dei diaconi» 16. In persona Christi e in persona ecclesiae Il secondo punto evidenziato dal Concilio per il ministero ordinato è che l essere repraesentatio Christi e repraesentatio ecclesiae si esplica attraverso i tria munera (sacerdotale, profetico e regale) e che queste due ri-presentazioni sacramentali (di Cristo e della Chiesa) sono due realtà inseparabili 17. Si era arrivati al Concilio con la separazione, risalente al medioevo, tra le due potestates, quella legata al sacramento dell Ordine e quella legata alla giurisdizione. Questa visione del ministero sacro, figlia della teologia scolastica, nasce dall idea che il sacramento dell Ordine si riferisce esclusivamente al corpo eucaristico di Cristo. L idea fu ufficializzata dal Concilio di Trento il quale affermò che il Sacramento dell Ordine conferisce a chi lo riceve la potestas «consecrandi, offerendi et ministrandi corpus et sanguinem [Domini Salvatoris], nec non et peccata dimittendi et retinendi» 18. Il clima di contrapposizione alla Riforma e l oblio della lex orandi in favore della definizione metafisica del 16 T. CITRINI, Gradi del sacramento dell ordine?, in QUALIZZA M. (ed.) Il ministero ordinato. Nodi teologici e prassi ecclesiali, = Atti dell'xi corso di aggiornamento dei docenti di teologia dogmatica - Roma 27-30 dicembre 2000, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, 243-264, qui 261. 17 Cfr. Pastores dabo vobis n.16. 18 CONCILIUM TRIDENTINUM Sessio XXIII Caput I, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, 742.

ministero condussero alla sottolineatura del potere esclusivo del sacerdote di consacrare l eucaristia e ad isolarlo rispetto alla comunità. Naturalmente le cose potevano andare diversamente visto che dall essenziale riferimento alla Eucaristia è possibile dedurre anche il rapporto del ministero ordinato con la Comunità. Ma le cose andarono verso la separazione e gli scolastici includevano i compiti più propriamente pastorali del sacro ministero, come la predicazione e la guida della comunità, nell ambito della giurisdizione autonoma rispetto all ordine. Se il prete deve semplicemente celebrare l eucaristia, non ha bisogno degli altri fratelli preti. Mentre se il suo compito, insieme al Vescovo, è quello di guidare la Chiesa, allora non potrà più agire da solo. La vita del presbiterio Il legame sacramentale tra sacerdoti e Vescovo dovrà esprimersi in un legame effettivo che sia anche affettivo, facendo bene attenzione a non snaturare il significato delle parole quando le si usa nel contesto ecclesiale (vedi ad esempio la differenza di significato dei termini famiglia, fratello o amico nel contesto ordinario ed in quello ecclesiale). La relazione tra presbiterio e Vescovo è stata espressa in questi ultimi anni nei documenti magisteriali con immagini spesso diverse che indicano non solo una ampiezza di caratteristiche, ma anche uno sviluppo nella percezione di questo rapporto. Dal documento conciliare, in cui si parlava primariamente di una relazione filiale, si è man mano passati alla descrizione del rapporto Vescovopresbiterio nel senso dell'amicizia e della fratellanza nell'ordine 19. Il Vescovo non sta più di fronte, ma accanto al sacerdote membro del suo presbiterio, perché insieme ad esso guida e nutre la comunità: i sacerdoti, infatti, sono «associati al corpo episcopale» 20 ; essi sono chiamati nel rito di ordinazione «necessari collaboratori». Quale tipo di atteggiamento è invece richiesto al presbiterio nei confronti del Vescovo? L'obbedienza che segna i rapporti tra Vescovo e presbiterio deve essere considerata molto più come un legame sacramentale tra l'episcopato e il presbiterio considerato complessivamente, piuttosto che come obbedienza solo personale e individuale di un singolo al Vescovo. Questo implica uno spirito di 19 PO 7. 20 LG 28.

collaborazione e docilità nella cooperazione, quale comporta la communio hierarchica, che dovrà darsi anche dei modi di esplicazione 21. Là dove questa comunione è vissuta nel presbiterio di una Chiesa particolare, essa permette al presbitero stesso di essere effettivamente ciò che è per sua natura, ossia a servizio della comunità, un segno di comunione della medesima Chiesa 22. L'obbedienza nel rapporto vescovo-preti è, infatti, immagine della comunione trinitaria. «È ubbidienza a colui che è a sua volta ubbidiente e impersona il Cristo ubbidiente» 23. «Un presbiterio funziona bene solo se si è disposti a portare 'gli uni i pesi degli altri' (Gal 6,2), a 'considerare gli altri superiori a se stessi, senza cercare il proprio interesse ma piuttosto quello degli altri' (Fil 2,3-4). È importante che ce lo diciamo per non cadere nell'illusione che uno stile di comunione sia solo gratificante. Lo è, certamente, ma nella misura in cui è anche 'prendere la croce ogni giorno' per seguire il Signore» 24. È reale il rischio di immaginare l amore trinitario come la somma dei nostri sogni che si scontrano con le relazioni quotidiane. È reale il rischio di pensare non l uomo ad immagine e somiglianza di Dio ma Dio a nostra immagine. La cura delle relazioni con il presbiterio e tra tutti i suoi membri è un compito prioritario del Vescovo. La tentazione di vivere un rapporto essenzialmente legato alle cose da fare (relazione funzionale) non è infrequente. Non solo nei momenti più evidenti della vita dei preti si manifesta il legame del presbiterio con il Vescovo. Anche nel vivere quotidiano fatto di relazioni, di incontri, desideri, paure, preoccupazioni (si pensi alla malattia, al senso di fallimento ecc.) il presbiterio vive la sua relazione con il Vescovo (nello stesso modo possiamo pensare anche i rapporti tra preti). 21 PO 7. 22 Cfr, SINODO DEI VESCOVI, Ultimis temporibus (1971), EV 4, 1222. 23 BENEDETTO XVI, Ministri al servizio, 9. 24 L. MONARI, La vita e il ministero del presbitero per una comunità missionaria in un mondo che cambia: nodi problematici e prospettive, in CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Lettera ai sacerdoti italiani, Dehoniane, Bologna 2006, 15-55, qui 35.

Questi rapporti saranno favoriti da quella autenticità 25 che dovrebbe caratterizzare ogni relazione umana. Anche nel presbiterio possono verificarsi quei disturbi della comunicazione che sono possibili in ogni relazione interpersonale. È questo un campo poco approfondito e forse visto con qualche diffidenza, almeno quando lo si applica ai rapporti all'interno del presbiterio. Conclusione È scritto nell evangelo che Gesù chiamò i dodici perché «stessero con lui e anche per mandarli a predicare» (Mc 3, 14-15). È certamente vero quanto abitualmente si afferma a proposito di questo testo circa la necessità, innanzitutto per noi ministri ordinati, di avere uno spazio interiore (e quindi tempo) ampio per la nostra relazione con il Cristo (per rimanere con Lui); ma le parole che Marco usa per narrarci la chiamata degli Apostoli ci manifestano il desiderio profondo di Gesù di avere con sé i suoi discepoli. Anche dopo la sua resurrezione è nella comunità riunita che Egli si manifesta 26. La collegialità, proprio in relazione all essere uno come Gesù con il Padre 27, fa parte della prospettiva originale nella quale Gesù pone la Chiesa ed in essa il ministero apostolico-sacerdotale. Perciò è illuminante una riflessione sul presbiterio per quanto riguarda i rapporti non solo all interno di tutta la comunità cristiana, ma anche tra preti e tra preti e Vescovo. Se ci ispiriamo a Dio che ama «e questo suo amore può essere qualificato senz altro come eros, che tuttavia è anche totalmente agape» 28, dobbiamo approfondire e sviluppare le relazioni fraterne, filiali, amicali ecc. tra Vescovo e preti. La carità divina che opera nel mistero permette ai presbiteri di far «vedere, incontrare e comunicare il Risorto» perché questo «è il compito del testimone cristiano» 29. I presbiteri fanno esperienza del Risorto nel presbiterio e nella vita della comunità loro affidate e possono così vivere l intima natura della Chiesa che «si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità 25 L'espressione è usata da Monari nella sua relazione alla CEI. Egli così la descrive: Un atteggiamento consapevole di vita che risponde correttamente alla vocazione di conoscere con verità [...], di agire secondo il bene [...], di amare nel modo corretto MONARI, La vita e il ministero, 22. 26 Cfr. At 2,32-35, Gv 20, 19-29. 27 Cfr. Gv 17, 21. 28 BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, n.9. 29 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Testimoni di Gesù Cristo risorto, speranza del mondo, Paoline, Milano 2005, n. 2.

(diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l'uno dall'altro. La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza» 30. Vescovo e preti insieme. Non possiamo immaginare una ordinazione senza il Vescovo che imponga le mani e faccia così entrare nel presbiterio. Ma non possiamo neppure immaginare un Vescovo che pensi di poter fare a meno del suo presbiterio: non è bene che il Vescovo sia solo. Insieme come presbiterio per edificare la Chiesa. Dal recupero del senso del presbiterio ne trarrà vantaggio la Chiesa intera e la sua missione nel mondo. 30 BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, n.25.