Cammino di spiritualità 2016/17 Per una spiritualità alla Casa della carità DOMENICA 19 MARZO 2017 Lazzaro e il ricco epulone Per accompagnare il nostro cammino quaresimale riflettiamo sulla meditazione di Papa Francesco dedicata alla parabola di Lazzaro e il ricco epulone: il Papa usa la metafora il ricco epulone aveva l auto con i vetri oscurata vedeva soltanto dentro la sua vita. La mondanità trasforma le anime, fa perdere la coscienza della realtà dei vicini poveri. Nelle storie del Lazzaro e del ricco epulone ci sono due giudizi: una benedizione per chi confida nel Signore e una maledizione per l'uomo che confida nel mondo. L'uomo ricco allontana il suo cuore da Dio; i mondani, per la verità, sono soli con il loro egoismo, hanno il cuore ammalato, tanto attaccato a questo modo di vivere mondano, che difficilmente possono guarire. Inoltre mentre il povero ha un nome, Lazzaro, il ricco non ha nome, perché i mondani perdono il nome, lui è soltanto un benestante tra la folla e non ha bisogno di niente. Ancora: commentando la parabola del ricco epulone, vestito di porpora e lino finissimo, che ogni giorno si dava ai banchetti, il pontefice ha osservato che non si dice di lui che sia malvagio, anzi, forse era un uomo religioso, a suo modo pregava, forse, qualche preghiera e due-tre volte l'anno sicuramente si recava al tempio a fare i sacrifici e dava grosse offerte ai sacerdoti e loro, con quella pusillanimità da clericali, lo ringraziavano e lo facevano sedere al posto d'onore e lui non si accorge che alla sua porta c'è un mendicante, ladro, affamato, pieno di piaghe, simbolo di tanta necessità che aveva. Papa Francesco continua la sua meditazione soffermandosi sulla situazione del ricco: "Quando usciva di casa...forse la macchina con la quale usciva aveva i vetri oscurati per non vedere fuori...forse, ma non so Ma sicuramente gli occhi della sua anima erano oscurati per non vedere, vedeva solo dentro la sua vita, e non si accorgeva di cosa era accaduto a quest'uomo, che non era cattivo, era ammalato di mondanità e la mondanità trasforma le anime, fa perdere la coscienza della realtà, fa vivere in un mondo artificiale, fatto da loro... La mondanità anestetizza l'anima. Quest'uomo mondano non era capace di vedere la realtà; è un forte richiamo, questo, a rileggere la parabola anche per la propria conversione interiore, perché il cammino quaresimale ci indica una strada di penitenza, di conversione. Nella parabola il ricco quando muore si ritrova tra i tormenti negli inferi, e domanda ad Abramo di inviare qualcuno dai morti ad avvertire i familiari ancora in vita di qual è la strada giusta. Ma Abramo risponde che se non ascoltano Mosè e i Profeti non saranno convinti neanche se uno risorgesse. Francesco mette in evidenza che i mondani vogliono manifestazioni straordinarie, eppure Gesù ha parlato chiaramente di quale sia la strada; c'è alla fine una parola di consolazione: quando quel povero uomo mondano, nei tormenti, chiede di inviare Lazzaro con un po d acqua per aiutarlo, come risponde Abramo? Abramo è la figura di Dio, il Padre. Come risponde? Figlio, ricordati. I mondani hanno perso il nome; anche noi ha concluso il Papa - se abbiamo il cuore mondano, abbiamo perso il nome. Ma non siamo orfani. Fino alla fine, fino all ultimo momento c è la sicurezza che abbiamo un Padre che ci aspetta. Affidiamoci a Lui. Figlio. Ci dice figlio, in mezzo a quella mondanità: Figlio. Non siamo orfani». Fino alla fine, fino all'ultimo momento c'è la sicurezza che abbiamo un padre che ci aspetta. Papa Francesco ha scritto nel suo profilo di twitter una frase che ci dà l'orizzonte nel quale collocare il 1
nostro tempo di meditazione: Se noi siamo troppo attaccati alla ricchezza, non siamo liberi. Siamo schiavi. Ho voluto richiamare queste riflessioni di papa Francesco che sono in modo più sistematico raccolte nella sua lettera per la Quaresima che abbiamo allegato. Ora ci mettiamo in ascolto nel brano di Vangelo: è una parabola che ha una denuncia forte, radicale di questa situazione. Abbiamo di fronte questo mondo nel quale pochissime persone detengono la ricchezza della gran parte dell'umanità, dove l'ingiustizia è visibile, drammaticamente visibile, dove ritorna il tema della fame, della povertà. Va letta questa parabola come forte sollecitazione anche alla Chiesa, a ciascuno di noi. Proponiamo una divisione del testo per aiutarne la lettura: Luca 16,19-21: la situazione dei due in questa vita Luca 16,22: la situazione dei due nell'altra vita Luca 16,23-26: la prima conversazione tra il ricco e Abramo Luca 16,27-29: la seconda conversazione tra il ricco ed Abramo Luca 16,30-31: la terza conversazione tra il ricco ed Abramo Nel precedente capitolo, il 15, vi era la parabola del padre e dei due figli, in cui si rivela la tenerezza della misericordia di Dio che accoglie. Ora al capitolo 16 in questa parabola rivela l'atteggiamento che dobbiamo avere dinanzi al problema della povertà e dell'ingiustizia sociale. Questa è una domanda forte che ci riguarda: appaiono i due estremi della società, da un lato la ricchezza aggressiva e dall altro il povero senza risorse, senza diritti, coperto di ulcere, senza nessuno che lo accoglie, solo i cagnolini che lambiscono le sue piaghe. Ciò che separa i due è solamente una porta: la porta chiusa della casa del ricco. Da parte sua non c'è accoglienza, né pietà per il povero che è davanti alla sua porta. Si noti che nella parabola il povero ha un nome, mentre il ricco non lo ha. Il povero si chiama Lazzaro, che significa Dio aiuta. Attraverso il povero Dio aiuta il ricco ed il ricco potrà avere il suo nome scritto nel libro della vita. Ma il ricco non accetta di essere aiutato dal povero, perché continua a tenere la porta chiusa. Questa è una novità straordinaria: la condivisione, l'accoglienza, il legame col povero cambiano la nostra esistenza, non indicano un'esclusione delle persone, ma un invito a partire dalla condizione del povero, del suo volto, della sua storia in termini personali e non generali. In fondo quando si dice che la povertà, i poveri appartengono a quella categoria che si chiama teologica vuol dire che questo legame ha a che fare col modo di pensare alla propria fede, alla propria conversione del cuore. Tutto questo è lo specchio fedele di quanto avveniva al tempo di Gesù ed è anche lo specchio di ciò che avviene oggi. Si noti che nella parabola il povero muore prima del ricco e questo è una avvertenza per i ricchi. Fino a che il povero si trova davanti alla porta, vivo, è ancora possibile che il ricco si salvi, ma se il povero muore, muore anche l'unico strumento di salvezza per il ricco. Oggi milioni di poveri muoiono, vittime della geopolitica dei Paesi ricchi e qui vi è tutta la riflessione che deve entrare nel nostro modo di essere, superando rassegnazione e indifferenza. Il povero muore ed è portato dagli angeli nel seno di Abramo; l'immagine del seno di Abramo significa che è la fonte di vita, da dove nasce il popolo di Dio. Lazzaro, il povero, appartiene al popolo di Dio, fa parte del popolo di Abramo, da cui è escluso poiché stava alla porta del ricco. Il ricco pensa di essere figlio di Abramo, ma quando muore non va verso il seno di Abramo, perché non è figlio di Abramo: è questa la sconvolgente realtà annunciata che entra come giudizio anche sulla storia che stiamo vivendo sia in termini complessivi, che in termini anche personali. Da questo momento inizia la rivelazione del significato della parabola attraverso la conversazione tra il ricco e il padre Abramo. 2
Luca 16,23-26 E la prima conversazione tra il ricco senza nome e il padre Abramo. Si noti che la parabola è come una finestra che Gesù apre per noi sull'altro lato della vita, il lato di Dio. Si tratta del vero lato della vita, scoperto solo dalla fede e che il ricco senza fede non percepisce. Il suo modo di vivere, l'ideologia dominante gli impedisce di scoprire questa vicinanza. E solo di fronte alla morte che l ideologia, la sicurezza, l arroganza si disintegrano nella testa del ricco e da lì si apre il vero valore della vita, per lui, dalla parte di Dio, senza l'ideologia e la propaganda ingannevoli. Le sorti saranno cambiate: viene raccontato in termini paradossali che il ricco soffre e scopre che Lazzaro è il suo unico benefattore possibile. Questa è una novità straordinaria, ma ora è troppo tardi! Il ricco senza nome può essere un cristiano pio che conosce Abramo, lo chiama padre. Abramo lo chiama figlio e ciò significa che nella realtà questa parabola di Abramo va indirizzata a chi è vivo, a chi si sente ricco da vivo. La salvezza consisteva in una goccia d'acqua che Lazzaro poteva dargli. Nella realtà, per il ricco, la salvezza non consiste nel fatto che Lazzaro porti una goccia d'acqua per rinfrescare la lingua, bensì che lui stesso, il ricco, apra la porta chiusa della sua casa ed entri in contatto diretto con il povero. È un richiamo all'oggi. Solo così è possibile superare il grande abisso che li separa. Nella risposta di Abramo si ripetono qui le quattro maledizioni che sono al termine delle Beatitudini (Luca 6,24-26): questi versetti vanno riletti con tanta intensità. Luca 16,27-29 E la seconda conversazione tra il ricco ed Abramo. Il ricco insiste: Padre, ti supplico: ho cinque fratelli, manda Lazzaro. Il povero, è l'unico vero intermediario ma il ricco, durante la sua vita non si è preoccupato del povero Lazzaro. E come il fratello maggiore dalla parabola del padre con i due figli: voleva far festa con i suoi amici, non con il suo fratello che si era allontanato. La risposta di Abramo è chiara: loro hanno Mosé e profeti, ascoltino loro. Hanno la parola di Dio, la Bibbia. Si noti che il ricco aveva la Bibbia, forse la conosceva perfino a memoria, ma non si rese conto che la Bibbia aveva qualcosa a che vedere con i poveri. Vi è quindi una condanna dello spiritualismo astratto, quello che assorbe la parola di Dio rinchiudendola in un egoismo possessivo. Luca 16,30-31 La terza conversazione tra Abramo ed il ricco. Il ricco continua insistendo: no, padre, ma se qualcuno da morto andrà da loro si ravvederà. Il ricco riconosce che ha sbagliato perché parla di ravvedersi, cosa che non ha mai avvertito durante la vita. Vorrebbe un miracolo, una resurrezione ma questo tipo di resurrezione non esiste. L'unica resurrezione è quella di Gesù. Gesù risorto viene a noi nella persona del povero, di colui che non ha diritti, che non ha terra, che non ha cibo, che non ha tetto... La chiave per capire il senso della Bibbia della salvezza è il povero Lazzaro, seduto davanti alla porta del ricco. Questo è l'itinerario sconvolgente che ci riguarda, anche qui nel nostro cammino di meditazione in Casa dalla carità ma anche nello stile di vita della Chiesa povera tra i poveri. E un atteggiamento di conversione, di cambiamento profondo. Si noti che il contesto sociale nel quale prende origine la parabola raccontata da Gesù è profondamente attuale. L'invasione dei Romani che occuparono la Palestina e imposero al popolo un pesante tributo comportò come notano gli studiosi, una situazione dove la metà del reddito familiare era destinato al pagamento dei tributi, imposte e tasse del governo romano. I Romani fecero quest'operazione: per governare questa situazione attrassero verso di sé l'elìte locale (per i Romani erano i Sadducei, gli anziani, alcuni pubblicani e parte dei sacerdoti). Questo cambiamento fece sì che i Giudei che abitavano negli altri territori di quella regione migrassero quasi tutti verso la Giudea e la Galilea, quindi la conseguenza fu che la popolazione si raddoppiò in Galilea e diminuì 3
della metà il reddito familiare con un impoverimento progressivo, disoccupazione, mendicanza e povertà estrema. Dall'altra, invece, l'arricchimento esagerato della casta locale, appoggiata dai Romani. Concludendo, il ricco che ha tutto si rinchiude in se stesso, perde Dio, perde la ricchezza, perde la vita, perde se stesso, perde il nome, perde tutto; il povero che non ha nulla tiene Dio, guadagna la vita, tiene il suo nome, guadagna tutto. Il povero è Lazzaro, che Dio aiuta. Dio viene fino a noi nella persona del povero seduto alla nostra porta, per aiutarci a superare l'abisso insuperabile creato dai ricchi senza cuore. Lazzaro è anche Gesù, il Messia, povero e servo che non fu accettato, ma la cui morte cambiò radicalmente tutte le cose. Anche se il ricco pensa di avere fede, non sa stare con Dio perché non apre la porta al povero come fece Zaccheo (Luca 19,1-10). Concludiamo davvero pregando insieme con il salmo 15(14): Signore chi può abitare il tuo Santuario?. Don Virginio Colmegna Proposta di letture e preghiera condivise durante il mese Si possono riprendere alcuni interventi, di vario titolo di papa Francesco: - le omelie delle ss. Messe, 8 gennaio 2016 e 20 settembre 2016 - i nn. 48-52; 203-208 della Laudato Si - i nn. 187-196 di Evangelii Gaudium Sintesi dello scambio Siamo consapevoli che la lettura di un brano evangelico come questo corre alcuni rischi. Quello della retorica, per una parabola letta e riletta tante volte. Oppure il rischio di una lettura sociologica, che sposta il problema della giustizia sociale solo al livello delle responsabilità istituzioniali, pubbliche o ecclesiali; oppure si parla dei massimi sistemi, di come il mondo sta andando: dal momento che non siamo noi a tirare le redini del mondo, non ci sentiamo direttamente responsabili. Un altro rischio è quello di pensare solo alla ricchezza e alla povertà in senso economico e di chiamarci fuori anche in questo caso, perché in fondo non siamo neanche noi così ricchi. Invece questa brano di Vangelo parla anche a noi oggi, anche in casa della carità dove quotidianamente ci si adopera per tanti poveri. Si tratta sempre di chiederci: cosa dice a me questo brano? Quando io sono ricco e non vedo il povero e rischio, così, di perdere la mia vita? La mia esperienza religiosa sta andando al cuore di Dio, che è la carità, o è solo una ricerca di appagamento personale? Ciascuno di noi ha un povero al fianco, perché le povertà sono di diversi tipi; così come ciascuno di noi è ricco perché di diversi tipi di ricchezza si può soffrire. Il papa ci invita a guardare ai poveri come un dono. Oggi è difficile non vedere un povero, perché le nostre strade sono piene. Questa, che tanti chiamano un invasione, è un appello alla conversione rivolto al nostro mondo occidentale, ai nostri stili di vita che vanno dritti verso la distruzione. Ma per comprendere veramente che il povero è un dono o, detta in altri termini, che è una categoria teologica cioè un luogo di rivelazione di Dio occorre conoscere personalmente una persona povera, starci insieme, diventarne amici, portarselo in casa. Solo facendo così, cioè cercando i 4
poveri per costruire un legame e non solo per aiutare, magari da lontano, potremo renderci conto di quanto fa bene a noi stessi. Anche come Chiesa, questo brano sollecita alcune domande non procrastinabili. Come mettere veramente al centro la persona povera e non la nostra azione di aiuto? È facile difenderci dietro le nostre azioni di aiuto, le nostre certezze per tutto quello che facciamo: ci sembra di fare già tanto e che sono gli altri a non fare abbastanza. Invece, anche noi dobbiamo destrutturare le nostre certezze, i nostri interventi, perché solo chi è disarmato e non ha nulla da difendere può veramente aprire la porta alla condivisione con il povero e comprendere che cos è la povertà. Sorprende la descrizione della scena in cielo: anche se il padre Abramo non emette un giudizio esplicito, ma continua a richiamare l ascolto della Parola, l esito drammatico per il ricco è evidente. Vengono alla mente le parole dell Apocalisse (2,16): Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all infuori di chi lo riceve. Il ricco anche in cielo rimane senza nome, quel nome nuovo che ci sarà dato corrispondentemente a quello che abbiamo fatto, a quello che siamo stati. 5