I RAGAZZI DEL CASONE LA RESISTENZA NEL QUARTIERE DELLE CASCINE DI FIRENZE



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2 3

4 Il Casone dei Ferrovieri visto dall angolo di via Petrella con via Rinuccini. Foto di Giovanni Lai 5

Si ringrazia l Istituto Storico della Resistenza in Toscana che ha consentito l utilizzazione della testimonianza rilasciata dall autore a Maria Giovanna Bencistà. Il testo del libro si rifà ampiamente all intervista, integrato da precisazioni dell autore e rivisto per evitare le ripetizioni ed esplicitare i riferimenti. Per le note storiche: parte della documentazione è stata tratta dal sito www.anpi.it Pubblicazione dell Unicoop Firenze / Novembre 2005 via Santa Reparata 43-50129 Firenze Tel. 055 47801 comunica@coopfirenze.it www.coopfirenze.it Progetto e coordinamento Antonio Comerci, responsabile dell Ufficio Comunicazione e dell Informatore dell Unicoop Firenze Editing Silvia Ferretti I RAGAZZI DEL CASONE La Resistenza nel quartiere delle Cascine di Firenze Testimonianza di Renato Terrosi registrata all Istituto Storico della Resistenza in Toscana il 17 febbraio 2004 Intervistatrice Maria Giovanna Bencistà Note storiche di Silvia Ferretti Progetto grafico Daniele Madio/SocialDesign Impaginazione Daria Ricchi/SocialDesign Foto d epoca fornite da Giovanni Lai Il servizio fotografico sul quartiere è di Daniela Tartaglia Stampa Tipografia ABC

INDICE PRESENTAZIONE Presentazione pag. 9 Introduzione Il Casone dei ferrovieri 13 Capitolo 1 I neri e i bigi 19 Capitolo 2 La guerra 29 Capitolo 3 La Resistenza 39 Capitolo 4 L insurrezione 53 Capitolo 5 La battaglia di Firenze 61 Capitolo 6 Dopo la liberazione 73 Conclusione Dalla politica alla cooperativa 77 Appendice 1 La Resistenza alla Manifattura Tabacchi 79 Appendice 2 I partigiani della zona di Porta al Prato 81 Appendice 3 Cronologia di riferimento 85 Gente normale fra eventi straordinari: è questa la descrizione sintetica del libro. La gente è quella di un piccolo rione di Firenze abitato fino agli anni 60 in gran parte da ferrovieri e dalle loro famiglie. Un rione che ha al centro una grande costruzione, fatta di sei fabbricati di cinque piani con gli ingressi tutti nel cortile interno: il Casermone, così chiamavano il Casone gli altri abitanti del rione. Gli eventi raccontati sono quelli della guerra, della Resistenza, dell insurrezione e liberazione di Firenze, vissuti da questa piccola comunità. Animano il racconto di Renato Terrosi i sentimenti, i bisogni, le preoccupazioni della gente che seppe prendere la strada giusta della lotta di Liberazione in un momento confuso e drammatico. Un racconto lucido e appassionato. In ogni riga Renato sembra preoccupato di non passare da eroe, di non fare intendere che la verità stesse tutta da una parte. Anche chi aveva ragione, e stava dalla parte della democrazia e della libertà, aveva delle prospettive che poi si sono rivelate sbagliate. Gente fiera, disposta a lottare duramente, ma anche attenta a non rischiare inutilmente la pelle. Gente, quella del Casone dei ferrovieri, che formava una comunità compatta, solidale. E nello stesso tempo tollerante con chi, nel Casone, era rimasto dalla parte sbagliata. Ci sono episodi toccanti, nel racconto di Renato, che fanno pensare e commuovono. Gli atti d eroismo di chi è catturato, torturato, ma non parla, non fa fare la sua stessa fine ai compagni. I partigiani, dietro una persiana, che hanno sotto tiro un tedesco isolato e non hanno il coraggio di sparare. O la fine di Enrico Rigacci, il partigiano Gogo, che si era trovato oltre la linea di fuoco per portare in salvo la sorella e la fidanzata: improvvisamente gli si para davanti un soldato tedesco che risparmia le donne, ma fredda Gogo. La logica del soldato: mors tua, vita mea. Una logica che ha delle eccezioni anche fra i soldati più soldati di tutti e Renato ce le racconta, con la franchezza che gli è solita, senza la remora

di riconoscere al nemico i pochi, pochissimi momenti in cui ha mostrato il lato umano. Emerge dal racconto un umanità, quella del Casone, che non smarrisce i valori della comunità, un umanità che all istinto di sopravvivenza affianca la voglia di emancipazione e riscatto. Questa di Renato Terrosi è una testimonianza che non si raccomanda solo ai giovani. Niente prediche - disse Sandro Pertini, partigiano e presidente della Repubblica, agli studenti dell Iti di via del Terzolle, nel dicembre del 1985, in una cerimonia promossa dall Unicoop Firenze - non è di questo che i giovani hanno bisogno, ma di esempi di onestà e rettitudine. Prediche non ce ne sono nel racconto di Terrosi, ma gli esempi forse sono troppo lontani dalla sensibilità e dall ambiente che vivono oggi i nipoti di Renato. Questa testimonianza, invece, può servire proprio alla generazione di Renato e a quella immediatamente successiva per ridarle orgoglio e riscoprire il valore della vita, che spesso si dilunga in una vecchiaia da depressi, con addosso un senso pesante di inutilità. Non è stata inutile la vita e la lotta di Renato e dei suoi compagni, è stato fruttuoso il loro salvarsi la vita e il riscattare l Italia dalla sconfitta e dalla vergogna. Come non è inutile il sorgere del sole, ogni giorno. Grazie a Maria Giovanna Bencistà, che ha condotto con le sue domande, il racconto di Renato Terrosi verso prospettive più ampie del semplice resoconto della Resistenza nel quartiere delle Cascine. Grazie a Silvia Ferretti, che ha ricucito puntigliosamente i discorsi per farne paragrafi scorrevoli e con riferimenti storici puntuali. Grazie a Renato Terrosi, che ci ha dato piacere e gusto nel leggere i fatti e gli ideali della sua vita. Antonio Comerci 10 11

Introduzione Il Casone dei ferrovieri Il Casone dei ferrovieri c è ancora, mimetizzato completamente nel reticolo regolare di strade e case, fra via Ponte alle Mosse e via Paisiello. Eppure è sempre stato un mondo a sé, una comunità di oltre duecento famiglie che avevano come unico sbocco un grande cortile interno. Ora si può assimilare ad un grande condominio, ma negli anni di cui parliamo era molto di più: un villaggio nella città che lentamente, prima della seconda guerra mondiale, e poi tumultuosamente, si espandeva occupando tutti gli spazi verdi disponibili. Si dice sia stato costruito, durante la prima guerra mondiale, da prigionieri austriaci, ma certezze, sul Casone dei ferrovieri, non ce ne sono. Il fabbricato occupa un intero isolato delimitato da via Petrella, via Mercadante, via Rinuccini e via Ponchielli, da queste due strade, attraverso due cancelli, si accede al grande cortile sul quale si affacciano dieci scale che portano ai duecento appartamenti ripartiti su cinque piani, riservati fino a dopo la seconda guerra mondiale ai dipendenti delle ferrovie. Il quadrilatero si pone vicino, in linea d aria, all Ippodromo delle Cascine dal quale lo separano un tratto ancora campagnolo di via Paisiello, la ferrovia ora dismessa che portava alle Officine di Porta al Prato e il Fosso Macinante. Un tempo, nel cortile del Casone, sotto due grandi tettoie, c erano i lavatoi e al centro i bagni pubblici. Alcuni locali al piano terreno ospitavano l asilo nido dotato di un ampia aula per i piccoli ospiti. E in quei locali che si attrezzò un pronto soccorso durante la guerra, mentre nella grande aula i partigiani si riunivano per consumare il rancio. In un locale a parte, abbastanza grande, si svolgeva l attività di vendita di generi alimentari La provvida, che dipendeva direttamente dalle Ferrovie. 12 13

Cortile interno e uscita su via Ponchielli La conformazione, che accentrava nel grande cortile la vita e i rapporti sociali, favoriva il forte senso di solidarietà e di amicizia raccontato in queste mie memorie. Da est la città non era ancora arrivata al Casone, e via Ponchielli, come tutte le altre ancora in terra battuta, era occupata, per una metà della sua futura larghezza dai pollai degli inquilini frontisti di quella strada. Più avanti, verso la città, c era un terreno agricolo il cui coltivatore, Martelli, era anche il fornitore di verdure di tutta la comunità. I due pini che ancora verdeggiano lungo via Paisiello abbellivano le aie dei due contadini che coltivavano quei terreni. Nella zona le abitazioni civili arrivavano, su via Ponte alle Mosse, all incirca all incrocio con via Squarcialupi, che venne aperto alla fine degli anni Trenta. La stessa via Ponte alle Mosse, continuando verso Piazza Puccini, aveva come riferimenti i fienili dell esercito, l ufficio provinciale di igiene e qualche altro edificio, ma soprattutto grandi spazi vuoti. ln fondo c era Piazza Puccini, che ancora non era una piazza ma solo uno svincolo per la città, con in fondo, verso il Mugnone, dove ora ci sono i giardini, il deposito del tranvai a vapore che andava a Brozzi. La partenza del trenino che superava la salita del ponte, spinto dal tranvai elettrico, era sempre uno spettacolo e noi ragazzi eravamo i più assidui spettatori. Via delle Cascine costituiva un borgo a parte ed occupava tutta l area dove a partire dagli anni Trenta venne costruita la manifattura tabacchi. Nel borgo aveva sede la cooperativa Ponte alle Mosse/S.Donato e il relativo circolo ricreativo, al quale si accedeva da un ingresso a volta sulla strada. Fra via delle Cascine e il Casone c era un grande prato, a un livello più basso delle poche strade del quartiere perché una fabbrica di mattoni aveva utilizzato l argilla del terreno per fabbricare, appunto, mattoni. Al limite della piazza, all inizio di via delle Cascine, uno stagno ospitava ranocchi, salamandre e altri animaletti simili. Era l oasi d attrazione per i ragazzi che venivano dal Casone e quelli che abitavano in via delle Cascine. Scontri e sassaiole erano all ordine del giorno e il problema era quello di nascondere, ritornando a casa, le piccole ferite per qualche colpo andato a segno. Lungo via Mercadante una fila di villini arrivava solo al limitare del grande prato che fiancheggiava quella che sarebbe diventata piazza Puccini, dove c era l ufficio del dazio. Oltre il ponte, allora ad una sola carreggiata, la strada voltava stretta verso via S.Donato, con a fianco il terrapieno sul quale correva il trenino per Campi, in sede propria per addolcire il dislivello che c era per arrivare a via Pistoiese. Il bel parco di Villa Via Paisiello con i pini supestiti delle aie di case contadine Demidoff faceva da sfondo oltre Foto sotto. La Manifattura Tabacchi in via delle Cascine la ferrovia. Il borgo di via delle Cascine fu abbattuto per far posto alla Manifattura Tabacchi e gli abitanti, in gran parte, si trasferirono nei nuovi appartamenti della zona: si completarono così gli edifici di piazza Puccini e quelli che riempirono il grande prato che era alle spalle della piazza. Fu allora che la cooperativa di Ponte alle Mosse/Piazza Puccini si trasferì con il 14 15

Angolo tra via Bellini e via Maragliano, con un villino come i tanti che c erano prima della seconda guerra mondiale La targa posta all ingresso del Casone relativo circolo ricreativo in via Mercadante. Furono i cooperatori di allora che, pure in quei tempi difficili, forse anche inconsciamente, operarono bene investendo l indennizzo loro dovuto per l espropriazione forzata della loro proprietà mantenendo le condizioni necessarie affinché la cooperativa potesse continuare la propria attività ed espandersi. Dopo la Liberazione la cooperativa aveva una sicura solidità finanziaria ed alcuni spacci efficienti. Con tutte le altre della città costituì l Unione cooperative fiorentine, ma il fallimento di questa esperienza, alla metà degli anni 50, disperse il capitale che un paio di generazioni di soci aveva accumulato e il quartiere è ancora oggi, forse più di sempre, orfano per una crisi che vicissitudini varie non hanno mai permesso di riparare. Tra via Paisiello e la ferrovia ora c è un area sportiva del Dopolavoro Ferrovieri 16 17

Capitolo 1. I neri e i bigi Sono nato il 28 febbraio del 1923, al Madonnone, quartiere ad est di Firenze. Mio padre, Oreste, era ferroviere. Avevo due fratelli più grandi di me, Creante (ma tutti lo chiamavano Dante) e Bruno. Nel 1927 ci trasferimmo in via Rinuccini, nel Casone dei ferrovieri. Era un luogo davvero particolare: ci abitavano i ferrovieri di bassa qualifica con le loro famiglie, c erano tanti ragazzi, tanta amicizia, molta fraternità, anche diversi immigrati meridionali. Insomma, una grande famiglia. Erano gli anni del regime fascista: io sono stato balilla come tutti, andavo alle colonie delle Ferrovie e, in un certo senso, devo dire che vestirsi in quella maniera, tutti uguali, a noi ragazzi sembrava una festa. Per due anni ho fatto parte della fanfara della scuola Rossini, quando frequentavo la quarta e la quinta elementare. Anche questo è un ricordo piacevole perché la fantasia dei ragazzi poteva volare. Per strada la fanfara suonava gli inni del regime, ma anche altre cose più leggere. Andavamo alla partita nel nuovo stadio al Campo di Marte: mi ricordo la prima volta, contro il Casale che giocava in maglia nera. Noi avevamo imparato a suonare l inno viola, che è quello che ancora oggi si canta allo stadio. Non sapevamo leggere le note della musica, ma avevamo il libretto sul quale le note erano scritte in chiaro e ancora oggi le ho bene in mente; il tempo lo dava il maestro e con questo accorgimento eravamo in grado di suonare qualsiasi pezzo. Fu un periodo d infanzia felice. Avevamo tanto spazio intorno per fare guerre e battaglie d ogni genere. Quando veniva l estate, e ci facevano la rapa, ogni testa mostrava i segni delle sassate ricevute. I ragazzi d oggi questi giochi non li fanno più. Penso, però, che abbiano perso tanto, tanto davvero. C era la consapevolezza 18 19

del gruppo. Noi del Casone dei ferrovieri eravamo un po la grandine che arrivava di qua e di là, gli altri erano ragazzi dei gruppetti di case intorno, ma erano degli spiccioli in confronto a noi. Quando arrivavamo noi arrivava la burrasca. Andavamo alle colonie: una volta, a Pian di Doccia (Gavinana), siamo arrivati che avevano già fatto le squadre sulla carta perciò il nostro gruppo fu smembrato in dieci squadre diverse. Per farla corta tutti ci ribellammo: ricostituirono le squadre e noi facemmo un gruppo tutti insieme e diventammo il problema per le istitutrici, le maestre, le assistenti. Il ricordo più costante è sempre il gruppo: la ghega. Quando, più grandi, cominciammo ad andare in giro in bicicletta, c era il gruppo del Casone.... Eravate un gruppo di ragazzi facilmente identificabile? Sì. Ci conoscevano tutti come la banda del Casone. Quando attraversavamo l Arno a piedi, dove ora c è la pescaia dell Isolotto, e andavamo nei campi a rubare la frutta, arrivavano le cavallette. Ma mai una cattiveria, un vandalismo; un gioco con certe regole, con tutta la fraternità fra noi, ma sempre il rispetto per gli altri, ai quali mai facevamo pesare il fatto di essere un gruppo. Era una giovinezza povera ma ricca d amicizia, d affetti. L ambiente degli adulti del Casone dei ferrovieri, anche se ovviamente allora non lo potevi sapere, era politicizzato? C erano i neri e i bigi. I neri, ovviamente, erano i fascisti. I bigi erano quelli per i quali sono rimaste famose, ad esempio, le pernacchie. Una notte era passato, come di solito, quello che veniva ad invitare a mettere le bandiere tricolore alle finestre. Si sentì una pernacchia di quelle che non finiscono più e fu la risata sonora, generale, a rompere un silenzio che rischiava di diventare drammatico. Tutti sapevano chi l aveva fatta, la pernacchia, però nessuno lo disse mai. I fascisti, gli uomini della milizia ferroviaria, qualche invalido opportunista, erano corpi estranei ai ferrovieri che per istinto erano rossi. Fra i due gruppi degli adulti c era una sorta d incomprensione istintiva, che però non trascese mai in cose gravi, spiacevoli. I miei fratelli erano più grandi di me e naturalmente bigi : non per una precisa coscienza politica o di classe, ma per contrapposizione ad una disciplina innaturale: quelle adunate al Circolo fascista non le sentivamo necessarie, quell imbonire fumoso e non interessante, soprattutto perché imposto. Il Circolo fascista ci andava bene solo quando, più grandi, si andava a ballare. Nel quartiere c era poi una suddivisione, diciamo, territoriale: via del Ponte alle Mosse tagliava il quartiere in due. La parte verso la ferrovia, verso il Casone dei ferrovieri, era l ambiente di natura proletaria e quasi inconsciamente antifascista; l altra parte, i villini, con tutta gente bene, che guardava a noi con una certa sufficienza. Sei andato a vivere lì nel 1927, proprio l anno in cui comincia a funzionare anche il Tribunale Speciale 1. Hai assistito, in quell epoca, ad episodi di violenza? Devo dire che gli episodi di violenza si limitavano ad una labbrata. Se uno rispondeva male, oppure non aveva la camicia nera, una labbrata volava di sicuro. Ma un ragazzo della mia età, allora, non poteva capire i problemi politici. Si sentiva dire che c erano stati episodi di violenza, ma in tempi che ci parevano assai lontani. Crescendo vennero poi gli obblighi del premilitare e delle riunioni, che ci rubavano il tempo libero del sabato, che avremmo utilizzato più volentieri per le nostre necessità. Il sabato, invece di andare dove mi pareva più comodo, dovevo andare in divisa da avanguardista con tutti i miei compagni, anche loro con gli stessi problemi miei, a giocare ai soldati, a perdere tempo a fare marce e marcette, a fare insomma istruzione premilitare con contorno di propaganda politica che poi non era tale, ma era la solita sviolinata al partito, al duce, ai martiri fascisti. Nell estate del 1938 avevo 15 anni, nel pomeriggio, dopo una mezza serata di questa lagna (ma anche prima) ne avevo le scatole piene di tante cretinate per cui, ad un richiamo di un ufficiale - bellino sì, nella sua uniforme da gerarchetto! - risposi piuttosto di traverso. L ufficialetto, per farmi sentire quanto lui fosse importante, volle darmi un ceffone che io, essendo preparato, schivai, rispondendo con un pugno ben assestato allo stomaco! Gli amici intervennero per impedire una zuffa e l ufficiale mi comandò di mettermi sull attenti. 1. Entrato in vigore con la legge n. 2008 del 25 novembre 1926, il Tribunale speciale per la difesa dello Stato avrebbe dovuto avere carattere temporaneo e restare in vigore per soli cinque anni. Il Gran Consiglio del fascismo però decise altrimenti, mantenendo la competenza dei reati politici contenuti nel nuovo codice penale, entrato in vigore nel 1931, al Tribunale speciale. Normalmente il Tribunale teneva udienza nell Aula IV del Palazzo di Giustizia di Roma, la cui camera di consiglio era collegata, tramite una linea telefonica diretta, a Palazzo Venezia (alla faccia dell imparzialità!). La prima sentenza, contro due operai condannati per apologia di attentato e offese a Mussolini, porta la data del 1 febbraio 1927, l ultima è del 22 luglio 1943, tre giorni prima della caduta del regime. 20 21

Io lo mandai al diavolo, o peggio (sono sempre stato un po fumino anche da ragazzo), e forse, proprio per l incoscienza dell età, me n andai con orgogliosa sfrontatezza! Al Gruppo rionale fascista, al quale appartenevo, la presero male, forse anche a causa del rapporto malevolo che l ufficiale fece sull accaduto e mi denunciarono al Comando Federale che forse, per non infierire materialmente nei confronti di un ragazzo, mi colpì con un provvedimento subito al di sotto dell espulsione dall organizzazione giovanile fascista, espulsione che allora significava la quasi impossibilità di trovare un lavoro qualsiasi. Con la sanzione di sospensione dai ranghi della Gioventù italiana del Littorio (GIL) 2 in sostanza fui cancellato per sei mesi dalla GIL, il che voleva dire non più adunate, non più riunioni, non più premilitare. Una vera pacchia! Credo che cosa più bischera non avrebbero potuta fare! In seguito ebbi un comportamento esemplare e la punizione rimase la prima e l ultima. Cominciavo a capire che c era qualcosa che non andava, soprattutto perché ci veniva imposta una cosa che non ci riguardava: la politica non è fatta per i ragazzi, in qualunque momento della storia e a qualsiasi latitudine! Mentre da balilla sfilavamo per strada suonando la tromba e ci riempivamo d orgoglio, non potevamo accettare, più tardi, di venire inquadrati e comandati. Eravamo tutti, potenzialmente, dei ribelli. Mi ricordo l inaugurazione della Casa del Fascio di Scandicci 3 : la nostra fanfara della scuola fece un figurone, la gente applaudiva al nostro passaggio, ai nostri inni, alle nostre canzoni. E non mi sbaglio quando penso che gli stessi ragazzi vent anni dopo avrebbero potuto sfilare per le stesse strade suonando Bella ciao per riscuotere lo stesso applauso di simpatia da tutti coloro che si fossero trovati, nelle stesse strade, al loro passaggio. E noi ci sentivamo fieri ed orgogliosi per la simpatia che ci veniva mostrata. 2. Istituita il 27 ottobre del 1937, la Gioventù italiana del Littorio era l organizzazione giovanile (ragazzi e ragazze fino ai 21 anni di età) del regime fascista e dipendeva direttamente dal segretario del partito, che ne era il comandante generale. Era articolata per fasce d età, figli (e figlie) della lupa fino ad otto anni, i maschi diventavano poi balilla, avanguardisti e giovani fascisti, le femmine piccole italiane, giovani italiane e giovani fasciste. Per tutti il motto era: Credere, obbedire, combattere. 3. Edificio simbolo della Scandicci del 900, la palazzina in via dei Rossi 26 ospitava la Società di Mutuo Soccorso. Fu requisita e trasformata in Casa del Fascio. Dopo la Liberazione tornò ad ospitare la Casa del Popolo, fino al 1954. Nuovamente requisita dall allora ministro Scelba, e destinata ad ospitare una stazione dei carabinieri, è oggi la sede locale dei partigiani dell Anpi. 22 23

La sera, quando tornai a casa, mio padre mi chiese dove ero stato e, a conclusione del mio racconto, commentò: Quando sarai grande capirai cosa è stato Scandicci.... Mio padre era socialista da sempre. Era stato in guerra e raccontava di quando, nei primi anni Venti, ci fu l occupazione delle fabbriche e le ruberie dei negozi da parte d alcuni facinorosi. Diceva che lo sciopero era una cosa seria, ma, purtroppo, c era sempre chi approfittava della confusione per fare cose che poi danneggiavano tutti. Lui era uno di quelli che avevano fatto tutti gli scioperi, ma era anche un gran lavoratore, faceva il fabbro. Però raccontava che anche prima del fascismo non tutte le cose andavano bene: c era qualcuno che estremizzava tutto anche nei rapporti di lavoro recando, pure inconsapevolmente, danno al sindacato. A volte qualcuno, arrivando a lavorare la mattina, attaccava la giacchetta al chiodo e arrivava a sostenere che, per quel giorno, aveva già lavorato. Ma lui, ex contadino, il suo lo faceva sempre. Quando venne il Decreto Torre 4 - che licenziò gli antifascisti - si dovette ammettere che qualcuno, più che antifascista, era vagabondo. Lui ebbe la protezione del suo capotecnico, che lo definì onesto e capace e si oppose al suo licenziamento; il babbo, in ogni modo, non aderì mai al Fascio ma non lo fece mai pesare più di tanto, era un uomo pacifico. Così come mio zio, ferroviere di Sinalunga, che venne trasferito a Firenze e anche lui venne ad abitare nel Casone dei ferrovieri; subito dopo lo mandarono a chiamare al Circolo fascista perché non aveva la camicia nera e gli chiesero 5 lire per comprarla. La sua espressione, che non era di disprezzo ma di uno che voleva solo tirare sul prezzo, fu ma per uno straccetto così.... Gli arrivò immediatamente la labbrata: era un uomo che, con un pugno, poteva stenderne tre... Ma capì la lezione, teneva famiglia e comprò la camicia nera. Fin da quando eravate bambini, com era il rapporto con l altro sesso? Nel vostro gruppo c era separazione fra maschi e femmine? La separazione c era, però era una separazione non netta, perché il Casone dei Ferrovieri aveva un asilo per i bambini; fin dall asilo maschi e femmine stavano insieme, 4. Fondatore del fascio di Alessandria, l onorevole Edoardo Torre fu nominato commissario straordinario delle Ferrovie di Stato il 4 gennaio del 1923. Nello stesso anno, in seguito ad un ondata di scioperi e al rifiuto del sindacato dei ferrovieri di sciogliersi nei sindacati fascisti, scattò una dura repressione: 43 mila ferrovieri che avevano partecipato alla protesta furono licenziati con l accusa di scarso rendimento, secondo quanto previsto dal decreto firmato proprio dal commissario Torre. poi, alle scuole elementari, c erano classi di maschi e classi di femmine. Eravamo bambini e c era un rapporto fraterno; oggi la televisione, il cinema insegnano cose che noi, all epoca, potevamo solo intuire. Il cameratismo - chiamiamolo così questo affiatamento fra maschi - c era anche con le femmine: le ragazze nostre, quelle alle quali eravamo più vicini... hanno fatto le staffette. Hai presente la fotografia, edita da un giornale, di militari americani, alla liberazione di Firenze? Ci sono in piedi delle ragazze, tra il Duomo e il Battistero, che salutano: queste ragazze erano nostre, del Casone. Nel crescere, avevate dei luoghi di ritrovo? Quali erano le occasioni per voi? Occasioni per noi non ce n era. I ritrovi erano i Circoli rionali fascisti, dove si andava a ballare. Io ero troppo giovane però, e ne ho vissuto soltanto l ultimo periodo. Il Casone dei ferrovieri aveva un grande piazzale interno, dove ci ritrovavamo a giocare, maschi e femmine. Si stava tutti insieme, c era un rapporto di vera amicizia. Era troppo presto per avere rapporti diversi. Le cotte le abbiamo prese tutti per le ragazzine che erano lì, però non andavamo oltre... anzi, non ne parlavamo nemmeno e, quasi Cortile del Casone, da sinistra: Giovanni Lai, Vinicio Bacci, timorosi, ci tenevamo le nostre Maria Krobat, sconosciuto, Mario Massai, Mario Marini cotte. Allora avevamo dei soprannomi, alcuni dei quali molto curiosi: culobbe, pupparagni, cancrena, chiorba, naso, nappa, nasello, cinci. Un gruppo nel gruppo. Cominciammo a crescere e a scontrarci con i problemi della vita. La nostra amicizia si rinsaldava, diventando sempre più forte: eravamo dei giovani ribelli che credevano molto nei valori come la solidarietà... Poi, con l età e con la guerra, i rapporti si sono modificati, maturando ulteriormente: i rischi corsi insieme, la fiducia reciproca insieme a quel rispetto, che era anche timidezza, ci affratellavano. 24 25

Parliamo dell ambiente della scuola. I maestri com erano? Erano tutti fascisti? Non eravamo in grado di esprimere un giudizio. Il maestro Bordonaro, morto giovane per una grave malattia, leggeva in classe la storia di Vito Mussolini, nipote del duce, e si commuoveva al punto di asciugarsi lacrime copiose. Ma non era un fascista, perché non ricordo di averlo mai visto in camicia nera. In quinta classe il maestro Salvi ci raccontava episodi da lui vissuti quando nel 1921/ 22 andava ad insegnare a Campi. Ma faceva propaganda per se stesso e non andava oltre. Quando a casa raccontavo le imprese del maestro Salvi c era subito qualcuno che mi smontava e diceva che il maestro era tutto bischero! A parte che eri troppo giovane, ma della guerra di Spagna 5 ne avevate avuto notizia? Sì. Io ragionavo della guerra di Spagna più che altro per sentito dire perché, in casa mia, i miei fratelli erano tutti e due antifascisti. Mio padre ne aveva piacere ma, da uomo di età, aveva una grande paura, una paura bestiale. Io ricordo quelli più vecchi di me, quando li chiamarono alla Casa del Fascio per andare in Spagna, e il Beghino osservò che sarebbe andato in Spagna se gli avessero fatto scegliere la parte per la quale combattere. Ci voleva o un gran coraggio o spavalderia giovanile. Più spavalderia che coraggio, perché non si rendevano nemmeno conto di quello che dicevano. Si parlava, però, di questo. Anche se i figli dei fascisti tenevano per un verso, e noi tenevamo per quell altro, parlavamo di queste cose quasi liberamente... In pratica l appartenenza alla stessa zona, l aver avuto un infanzia insieme faceva sì che, nonostante tutto, non vi consideravate nemici? 5. La guerra civile spagnola scoppia nel 1936. Al governo ci sono forze di sinistra, ma a luglio la situazione precipita: alcune guarnigioni militari insorgono contro i repubblicani e il generale Franco sbarca in Spagna, con le truppe coloniali, dal Marocco. E l inizio della guerra civile, con pesanti ripercussioni anche sul piano internazionale. Sarà infatti la prova generale della seconda guerra mondiale, con Urss, Messico e, a fasi alterne, Francia, a fianco dei repubblicani; Italia, Germania e Portogallo a fianco dei nazionalisti. I volontari delle Brigate internazionali, provenienti da 52 paesi, furono circa 40 mila, 4 mila gli italiani. La metà morì in combattimento. Tre anni dopo l inizio delle ostilità Radio Burgos diffonde l ultimo bollettino di guerra: Oggi, dopo aver fatto prigioniero l esercito rosso e averlo disarmato, le truppe hanno raggiunto i loro obiettivi militari. La guerra è terminata. E il 1 aprile 1939, inizia la lunga dittatura franchista. Tra noi ragazzi non c era la divisione che esisteva tra i grandi. Ognuno di noi derivava da quello che... era la famiglia. Certo, però questo non si trasformava in aperto scontro... I fascisti non ne approfittarono mai. Quando fu deciso di ripristinare le partite del calcio storico in costume 6, si accorsero che a Firenze mancava quella passione che a Siena, col Palio, abbondava. Allora si credeva che i fiorentini fossero pronti, con tutti i problemi che c erano, ad appassionarsi al calcio in costume e dimenticare tutte le altre cose. Radunarono i giovani di qua d Arno al circolo fascista Montemaggi e quelli di là al circolo Luporini, che noi, un po in dispregio, chiamavamo della Luparini. Dopo un breve imbonimento i due gruppi di giovani furono schierati ai bordi di Piazza Vittorio Veneto, allora Piazzale delle Zuavi, dove il selciato sterrato era abbondantemente ricoperto di sassi di misura adeguata a fornire il munizionamento per una gagliarda sassaiola. Lo scontro cominciò, invero incruento e poco deciso, fino a che qualcuno, dall una e dall altra parte, spostò il tiro al più prossimo centro della piazza dove torreggiava il monumento equestre al Padre della Patria... Il cavallone, colpito in pieno o di striscio, risuonava come un allegro campanone creando quell entusiasmo che fino a quel momento era rimasto piuttosto sopito. E la sassaiola si scatenò, creando un problema che poteva essere di lesa maestà al suo illustre cavaliere. L esperimento del calcio in costume morì sul nascere perché lo spirito beffardo dei nostri concittadini si dimostrò indomabile. E in ogni caso eravate dei ragazzi e su questo neanche il fascismo poteva farci niente! Questi, però, erano gli aspetti del fascismo che, a riguardarli ora e a metterli insieme con gli eventi tragici, ovviamente assumono una luce diversa. Allora, da ragazzi, sai quanti non avevano ancora preso una vera posizione, anche tra le ragazze... Alcune sono diventate partigiane, staffette... Eppure, molti anni dopo, quando parlavano 6. L ultima gara ufficiale di calcio in livrea (così si chiamava il calcio in costume) fu giocata nel gennaio del 1739 in Piazza Santa Croce. A cavallo fra il XIX ed il XX secolo si disputarono due partite: furono però delle rievocazioni che non ebbero seguito. Si dovette arrivare al maggio 1930, quarto centenario dell assedio di Firenze e della morte di Francesco Ferrucci, perché la storica manifestazione riprendesse. 26 27

delle prime divise da Giovani Italiane lo facevano con una grande nostalgia perché, magari, era la prima camicetta o la prima gonna bellina che avevano avuto. Come noi vestiti da Balilla. Noi di vestiti n avevamo pochi. Mi ricordo che i pantaloni a Balilla erano grigio-verdi... E siccome non ne avevo altri, me li mettevo anche di giorno di lavoro... Certamente! Perché il fascismo, come tutte le dittature, si era infilato in tutti gli aspetti della vita. Non si scansava niente. E tu li accettavi perché tutti accettavano tutto... Era la vita così. Si doveva fare così. Non è stato tutto eroico. Non ce n era bisogno. E anche quando ce n è stato bisogno... abbiamo sempre cercato di fare le cose in modo da riportare la pelle a casa. Credo che fosse... Umano. Capitolo 2. La guerra Era il 1941, quando cominciò il famoso Soccorso Rosso 7 e si cominciò a costituire questo primo nucleo antifascista organizzato. Ci avvicinammo così alla politica, il capo riconosciuto dei comunisti era Bruno Bertini, Piolo, poi consigliere comunale. C era la guerra e noi eravamo contro la guerra, perché la consideravamo ingiusta e destinata alla sconfitta. Agli inizi del 1942 ci fu una diffusione con affissione di manifestini contro la guerra e, quasi subito, l arresto di un folto gruppo d antifascisti che avevano partecipato a questa prima manifestazione di dissenso, che creò nella popolazione del quartiere sorpresa, disagio, speranza. 8 Furono arrestati in 52, come membri del PCI ed ebbero condanne dal Tribunale Speciale dai 10 ai 25 anni, in relazione alle responsabilità di ognuno e secondo un organigramma ricostruito dal Tribunale Speciale. Il mio contatto col Partito era allora Vasco Palazzeschi, Mara ; Mara fu abile e riuscì a non parlare della cellula dei giovani e risparmiò a me e agli altri ragazzi del Casone la galera fascista. Nell aprile del 42 vinsi un concorso ed entrai alle ferrovie come alunno d ordine. Come ho ricordato avevo due fratelli che, come tutti i ragazzi di allora, andarono a lavorare subito dopo aver fatto la quinta elementare: dal falegname, dal droghiere... 7. Gruppi di volontari che si occupavano della raccolta di viveri, medicinali, e talvolta anche di denaro, da destinare agli antifascisti e alle loro famiglie, spesso in gravi difficoltà. 8. Accadde di sabato, il 14 marzo del 1942. Quel giorno Firenze si risvegliò sommersa da migliaia di manifestini contro la guerra nei quali si chiedeva, tra le altre cose, lo scioglimento delle milizie e del Tribunale speciale e la liberazione dei condannati politici. Nel gruppo dei giovani ribelli, che furono arrestati, c era anche Dante Terrosi, fratello dell autore, nonché Bruno Bertini (Piolo) e Italo Mercatelli. 28 29

Io ho fatto la scuola media. A quell epoca c erano le tre classi della media più due della specializzazione per raggiungere la qualifica di computista commerciale, alla quale arrivai studiando ad una scuola serale. I problemi vennero più tardi, con la guerra, le prime batoste, i primi compagni che partivano per il fronte, la sensazione che, purtroppo, avremmo avuto il tempo di parteciparvi. Con la guerra le cose cominciarono davvero a cambiare, qualcuno prendeva coscienza di dove saremmo andati a finire e altri, nel loro fanatismo, stavano all erta. Però tutto con un certo fatalismo. Io, come ho detto, vinsi un concorso alle ferrovie e fui assunto il 15 aprile 1942; sei giorni dopo, il 21, si festeggiava un importante ricorrenza fascista, il Natale di Roma. Mi presentai in ufficio senza la prescritta camicia nera, fui duramente rimproverato e rispedito a casa per rimediare a quella che era effettivamente una dimenticanza. Il primo giorno di quello stesso mese mio fratello Dante era stato arrestato dalla polizia politica come membro del PCI e successivamente condannato dal Tribunale Speciale a 23 anni di carcere. Ebbene, era regola che i dipendenti pubblici fossero di fede fascista, perciò io mi aspettavo il non superamento dell anno di prova e il conseguente licenziamento; lì, nel Casone dei Ferrovieri, si sapeva bene chi erano gli antifascisti, così, quando li arrestarono ( Schillo, Mercatelli, mio fratello) nessuno rimase sorpreso. Si sapeva chi era la mia famiglia. Nell appartamento accanto al mio abitava un fascista che non era dei peggiori, rientrava nella norma. Quando vinsi il concorso, come era consuetudine, la milizia fascista venne a chiedere informazioni sulla mia fede fascista: venne a chiederle proprio a mia madre e al fascista che abitava accanto a noi non fece nulla per danneggiarmi. Il mio vicino sapeva tutto... e vincere un concorso a quell epoca - non esagero - era come vincere una lotteria e, nonostante un po di invidia e un po di gelosia, che certamente c erano, nessuno cercò di danneggiarmi in ragione delle mie idee politiche, che non erano ben identificabili anche per me, ma nemmeno sulla mia avversione per tutto quello che poteva qualificarsi come adesione al fascismo. Questo tanto per dire che, malgrado tutto, la solidarietà fra gli abitanti del Casone teneva. Poi, con la guerra, gli amici partirono militari. Andarono via tutti ed io - che ero il più giovane - rimasi, o meglio, diventai il referente del gruppo: tutti scrivevano a me ed io rispondevo con lettere dattiloscritte, fitte fitte, in carta carbone, rispondendo ai problemi e alle richieste di ognuno, che poi erano i problemi e le richieste di tutti. E so per certo che, con le mie lettere, il gruppo si ricomponeva. Era molto bello... Casone dei ferrovieri - Presidio Sanitario: Ugo del Vivo, Fratelli Pagnini, Dr. Alberto Pardi, inferm. José Cervelli, Liliana Battistini, Guerranda Boddi, Bombina Svelto, Narcisa Fiorentini; sedute: Mirella Tarducci, Rosetta Svelto; Sono rimasti dei legami d amicizia anche dopo? Sono rimasti tutti, almeno per quanto mi riguarda, ma anche per gli altri è uguale. La vita, poi, ci si disperde. Quando ci si ritrova - ed ora è diventato raro ritrovarsi - è una festa. Ho ancora un amicizia molto forte per una compagna che era staffetta e che ha sposato, in seguito, il mio più caro amico, Ottorino Fantin. Era partigiana. Lui è morto e io mi vedo ancora con lei, Silvana Cavalieri, e con il figlio Andrea. In un certo senso il rapporto continua. Posso andare a ruota libera? Sì, Renato, a ruota libera. La differenza che io, fin da allora, ho riscontrato fra gli italiani e gli altri popoli, è che ognuno di noi, pur intruppato come vuoi, manteneva il cervello e una coscienza. Imparammo subito, al meglio, la lezione di chi per anni aveva predicato l eroismo, l onore, la Patria, il rispetto assoluto degli ordini per poi, al momento di mettere in 30 31

pratica tutti questi bellissimi insegnamenti, aveva tagliato la corda senza eroismo, senza onore, dimentico di Patria e di obbedienza. Noi invece, al momento dell insurrezione, impegnati e decisi ad andare in quella trincea al Ponte alla Vittoria, in una delle tante azioni pericolose di cui dirò più avanti, consapevoli che non saremmo tornati indietro, speravamo sempre che succedesse qualcosa che rendesse quell azione non più necessaria e si continuava comunque a sperare di ritornare a casa. Il ponte è saltato, ragazzi, e noi si tornava sperare, a vivere. Proseguendo ti spiegherò cosa voglio dire. I tedeschi ragionavano in un altro modo, o forse non riuscivano proprio a ragionare perché, fino all ultimo giorno, continuarono a morire per una guerra ormai persa da tempo. Chi, tra noi, ha cercato rogna, anche durante l emergenza, l ha trovata, anche perché eravamo dei pivelli che cercavano di battersi con dei soldati, più soldati di tutti. Per qualcuno, purtroppo, è bastato un attimo di non attenzione, d euforia, per pagare amaramente la più piccola leggerezza. Queste considerazioni le ho sentite in tante testimonianze che ho raccolto, anche da gente che poi è andata in montagna, è stata magari un capo militare... Tutti mi raccontavano la grande difficoltà a sparare a qualcuno di fronte a te, fosse tedesco, fosse anche fascista. Più vicino era e più paura avevi. Non era solo paura, era proprio una difficoltà morale che, evidentemente, non c era dall altra parte e che, soprattutto all inizio della lotta partigiana, metteva sempre in difficoltà. Andiamo al momento dell entrata in guerra. Era il giugno del 1940, quindi tu avevi diciassette anni da pochi mesi. Ti ricordi la sensazione? La sensazione fu di paura. Mi ricordo che sentii alla radio, sul posto di lavoro, il discorso di Mussolini 9 e poi, uscito, trovai degli amici e con loro, in bicicletta, arrivammo in centro, per capire che effetto aveva fatto quel discorso. Si leggeva sulla 9. Il 10 giugno 1940 l Italia entra in guerra a fianco della Germania, contro Francia e Inghilterra. Benito Mussolini lo annuncia dal balcone di Palazzo Venzia, a Roma, con queste parole: Combattenti di terra, di mare e dell aria! (...) Un ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L ora delle decisioni irrevocabili. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dll Occidente (...). L Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d ordine è una sola: vincere! E vinceremo!. Le cose, lo sappiamo bene, andarono diversamente... faccia della gente il senso di responsabilità, il non sapere dove si andava a finire, la paura. C era in alcuni, nei soliti fanatici, che rimasero tali fino all ultimo giorno, l illusione della guerra lampo. Noi, un po per presa di posizione, un po perché speravamo che il regime ne buscasse, eravamo più preoccupati che mai. Soprattutto nell ambiente che tu frequentavi c era anche la preoccupazione di essere alleati con la Germania... I tedeschi... I nostri babbi avevano fatto quasi tutti la Grande Guerra; mio padre li chiamava gli austriàci (proprio con l accento sulla a, ndr) e aveva combattuto contro di loro. Per me, nella mia testa di ragazzo, loro erano i nemici... Quando il Piave mormorava di là c erano i tedeschi: per il nostro modo di pensare, per quella poco di storia che avevamo studiato a scuola, erano i nemici e quindi, istintivamente, quell alleanza non l abbiamo mai digerita. Una parte la sopportava perché vincevano e perché pensava che la guerra sarebbe durata poco. Dava proprio codest idea, che la guerra sarebbe finita presto? A noi no. Noi dicevamo che più vincevamo e più la guerra sarebbe durata e che da ultimo, specie dopo l entrata in guerra degli Stati Uniti, avremmo perso. Di questo eravamo convinti in maniera estrema, l enorme potenziale economico e industriale di quel paese ci avrebbe travolti. Ti arrivavano le notizie - a parte la censura che, insomma, non lo permetteva - dell inadeguatezza della preparazione militare dell Italia? Sì. Quando si parlava di questo la colpa veniva data agli alti gerarchi che facevano vedere a noi, ma anche allo stesso Mussolini, sempre gli stessi aerei, gli stessi carri armati in dieci posti diversi, ma il popolino, se pure ignorante di storia, di economia e di armamenti, sapeva benissimo come stavano le cose. Mia madre, per aiutare la famiglia, rifiniva le fasce per i soldati (erano fasce che i soldati usavano come calzini, sia in Africa che in Russia), che di lana n avevano poca e di praticità ancora meno. I soldati avevano lo stesso fucile, modello 91, che aveva fatto la prima guerra mondiale ed era ormai, ovviamente, inadeguato. Non era necessario avere molta cultura e senso critico per mettere insieme la situazione e capire di chi fosse la responsabilità. 32 33

Quindi sapevate concretamente come stavano le cose... Certo, inoltre tutti ascoltavano Radio Londra e, pur scindendo la propaganda dalla notizia, sapevamo come andava la guerra. Poi, quando il fronte si spostò da una parte all altra e i nostri ragazzi tornarono a casa, ci raccontarono come stavano le cose: mio fratello Bruno raccontava dell Albania, il Biagioni - poi sindaco di Lastra a Signa - della Russia; dall Africa si aveva notizia delle disfatte direttamente dalla radio; dei nostri marinai parlavano, purtroppo, le notizie tragiche della guerra in mare, dello strapotere, in armamenti e mezzi, dei nostri avversari. Che effetto faceva? Un enorme tristezza per la sorte che toccava agli amici impegnati allo stremo delle loro capacità, ma senza speranza di uscire dignitosamente dalla guerra. Le notizie che arrivavano erano disastrose: Stalingrado, il Nordafrica erano disfatte così gravi che ci predisposero a cominciare a creare le condizioni per una scelta di campo, che non poteva che essere quella di salvare il salvabile, chiudere con la guerra e i bombardamenti, riportare i fratelli a casa prima che il ciclone della guerra investisse direttamente il nostro paese. Proseguiamo con la tua esperienza. Siamo nei primi anni Quaranta, ti avvii verso i 20 anni e lavori. È in questo periodo che cominci ad avvicinarti ai comunisti. Come mai ai comunisti? Perché era l unica formazione politica che faceva qualcosa di concreto. Era quella più spregiudicata e perciò si metteva in evidenza. E poi, per i fascisti, chi era contro di loro era un comunista, per cui la scelta diventò facile: una soluzione semplice per un equazione complessa. Ed era quello che più infastidiva i fascisti. Quando sono stato un pochino più grande ho cominciato a conoscere i cosiddetti socialisti con il fioccone (erano quelli che, per vezzo, portavano il fiocco al posto della cravatta, ndr). Il pipista (del Partito popolare, ndr) - come diceva mio padre - era il tizio che frequentava la parrocchia e che, con l Azione Cattolica, si staccava piano piano dal fascismo per tornare ad essere quello di prima. Indubbiamente, però, quelli che si muovevano di più erano i comunisti. Io mi sono definito tale e sono stato nel Partito Comunista per biografia, non per domanda. Mi sono identificato con loro perché nella mia rabbia, nella mia ribellione, erano quelli che più... Rispondevano. Sì, rispondevano. Poi le parole d ordine che portavano erano quelle che mi interessavano. I fatti della storia, io mi ricordo... Il Fanciullacci, gli antifascisti, come mio fratello Dante, che uscirono di carcere pochi giorni prima dell 8 settembre 1943 e che, quando tornarono, furono accolti tutti a braccia aperte. Fu una festa per la strada quando tornarono... Poi l 8 settembre, e la preoccupazione dei tedeschi. Ecco. Fermiamoci: prima raccontami il 25 luglio. Il 25 luglio fu una sorpresa per tutti, compresi i fascisti, i giovani. Fu una grossa sorpresa. Mi ricordo che io tornavo dal cinema ed ebbi la notizia che l EIAR aveva annunciato le dimissioni del cavaliere. Benito Mussolini. E fu buffo sentirlo chiamare Cavaliere! 10 Nessuno pensò a quello che sarebbe stato il futuro immediato. Il portiere del Casone dei Ferrovieri era un fascistello morto di fame e subito venne da noi dicendoci di stare attenti perché ancora... Ci dava consigli, insomma. Era domenica e una massa di persone, dalla periferia della città, si diresse verso il centro per la prima manifestazione non comandata, ma spontanea, fatta di gente che gioiva per l oggi senza voler pensare al domani. Il domani sarebbe arrivato duro e tragico, ma avevamo tutti bisogno di stare insieme, di cantare, eravamo tanto giovani e con tanto desiderio di avere un futuro. I fascisti naturalmente erano introvabili; ne incrociammo uno, in via S. Caterina, e anche lui non sapeva quello che era successo. Non capì, tirò fuori la rivoltella e, agitandola, minacciò la folla che gli si fece intorno. Era evidente che aveva più paura di noi... Si aprì un varco e una risolutrice pedata nel sedere sbloccò la situazione... Scappò verso via della Scala e tutto si risolse per il meglio. Il giorno dopo, entrando in ufficio in quello che è ancora malignamente chiamato il Palazzo del sonno, sul viale Margherita (ora Lavagnini, ndr) rimasi sorpreso nel vedere che tanti erano gli antifascisti tra i miei colleghi e in tanti trovarono lo spirito 10. Tra le ore 17 del 24 e le 3 del mattino del 25 luglio 1943, in una tempestosa riunione durata dieci ore, il Gran consiglio del fascismo sfiduciò Mussolini approvando, con 19 voti a favore su 27, l ordine del giorno Grandi (redatto dallo stesso Grandi, da Galeazzo Ciano, il genero del duce, e da Bottai). Mussolini fu arrestato, e il re nominò primo ministro il maresciallo Pietro Badoglio. La gente festeggiò per le strade, ma la fine della guerra era ancora lontana... 34 35

per dare ai fascisti locali una lezione tutta all italiana, cioè benevola: Tu me le hai date, io te le rendo.... Perciò nulla di grave. Ma i fascisti ci rimasero male perché erano convinti di aver fatto anche il bene personale dei loro colleghi e covarono la loro vendetta, che si realizzò con la deportazione dei ferrovieri - solo degli impiegati! - da parte dei fascisti il 19 giugno del 1944. Questo per il 25 luglio. Dopo, finite le manifestazioni di giubilo, apparve subito chiaro che la situazione non era facile... Voglio raccontarti questo episodio. Una mattina, doveva essere ancora luglio, io ero in ufficio. Le mie finestre davano sulla vasca della Fortezza e stando con gli orecchi sempre ritti si poteva sentire in anticipo, rispetto all allarme ufficiale, quello interno della Fortezza da Basso. Accesso al Casone, lato via Rinuccini: Ottorino Fantin, Virgilio Santi, Raul Cecchi, Fernando Accardo Cucciolo Quella sirena suonò e quando suonò quella dell allarme alla cittadinanza ero già in piazza Indipendenza. C illudevamo che gli alleati non avrebbero più bombardato le nostre città, ma poi Napoli ed altre città vennero a farci perdere ogni illusione. Il centro si andava addensando di manifestanti, si era sparsa la notizia che era finita la guerra. Tutti festeggiavano, mi ricordo che passò un camion della nettezza - tu sei giovane e non li hai conosciuti quei camion lì. Erano i vecchi Fiat 18 BL che caricavano la spazzatura e i cui prototipi avevano fatto la guerra 1915-18; il camion si fermò e salimmo in tanti, con una gran bandiera tricolore raccolta chissà dove. Arrivammo in piazza San Firenze e suonò nuovamente l allarme: lo ritenemmo un trucco per bloccare la manifestazione. L autista, che andava dove noi volevamo, prese il Lungarno, Ponte Vecchio, Ponte Santa Trinita. Trovammo un blocco fatto da un plotone di soldati che, con i fucili spianati, c imposero l alt. L ufficiale che comandava ci ordinò di disperderci, ma, con altri, al canto di Bandiera Rossa, tentammo di avvicinarci ai soldati per fraternizzare; l ufficiale dette l ordine di puntare e, prudentemente, ci ritirammo dietro il camion. Subito dopo udimmo gli spari. Prima credei che sparassero a salve, ma con la coda dell occhio vidi calcinacci che, ad altezza d uomo, cadevano dalle case dietro di noi. Con Raul Cecchi, poi partigiano, ci infilammo nel portone di una di queste case, salimmo al primo piano e poi ancora più su e ci trovammo in una pensione dove c erano molte ragazze. Non ero troppo smaliziato per capire al volo cosa facessero tante ragazze tutte insieme e facemmo un po d amicizia. Una di loro mi chiese che cosa avessi fatto alla giacchetta, che era l unica che avevo ancora da rivoltare, in un buon Principe di Galles e con le tasche a toppa: c era un buco sul fianco della giacca, sulla tasca. Aspettammo, allora, il cessato allarme. Uscimmo fuori e io avevo questa giacchetta bucata. A mia mamma raccontai quello che mi parve, anche se lei era più politicizzata, se così si può dire, di mio padre e credo abbia capito. Cioè? Raccontami. La mia mamma aveva sempre cercato, con quattro uomini in casa, di tenere le polemiche con i fascisti sotto tono ma, quando arrestarono mio fratello, non ebbe più freni che la facessero ragionare con calma. Il figlio in carcere era una pena troppo grossa per non spingerla a scelte che, forse, prima non avrebbe fatto. Come mai la tua mamma era politicizzata? Era di famiglia o si era fatta lei la convinzione? Non credo che fosse di famiglia. Mi raccontava mio padre che quando, a suo tempo, i socialisti vinsero le elezioni al loro paese, Torrita di Siena, e misero la bandiera rossa sulla torre comunale, mio nonno materno la prese di brutto e si arrabbiava perché era per il prete e mio padre era socialista. Ma ora c era la guerra, la mia mamma aveva un figlio prigioniero dei tedeschi chissà dove, l altro uscito fortunosamente dal carcere fascista poco prima dell 8 settembre, io impegnato con la Resistenza... lei non poteva che essere così! Una donna amata da tutto il quartiere per la sua schiettezza nei rapporti con tutti; è arrivata quasi a 104 anni e se n è andata col compianto di chiunque la conoscesse. Mia mamma è stata un personaggio. 36 37

In che senso? La Silvia Buracchi, coniugata Terrosi, questo il suo nome, era sempre in battaglia. Quando il fascistello, che abitava accanto a me, ritornò a guerra finita, ebbe la sua lezioncina. Era una donna particolare, adatta al momento che vivevamo. Aveva il diploma di patriota e ne andava fiera; faceva parte del gruppo, eravamo 150 partigiani, era necessario che qualcuno preparasse e disponesse il rancio, occorreva che ci fosse qualcuno per la pulizia dell ambulatorio di emergenza. Lei c era sempre, silenziosa (si fa per dire!) e sempre disponibile. Era lei la forza; il mio babbo, più ragionevole, qualche volta ci rimproverava per il nostro fanatismo. Mi sono reso conto dopo che, su molte cose, aveva ragione lui, specialmente sulle nostre troppo nette posizioni politiche. Anche se credo che, in certi momenti, il fare debba prevalere sul dire. Capitolo 3. La Resistenza Siamo arrivati all 8 settembre 1943: è un amaro risveglio? L 8 settembre vuol dire la fuga di tutti i soldati 11. Tra i nostri amici del Casone c era Ciccio Messeri, che era militare motociclista in via della Scala. La sera dell 8 settembre passò da noi - eravamo tutti in cerca di notizie - e ci disse che la notte il suo battaglione si sarebbe spostato sulla Futa. Questo sollevò il nostro entusiasmo perché evidentemente l esercito era ancora vigile... ma la notte fra l 8 ed il 9 settembre tutti gli alti ufficiali scapparono e i soldati furono abbandonati a se stessi. Nel primo pomeriggio del 9 un autoblinda uscì dalla caserma e, a tutta velocità, si diresse su Ponte alle Mosse verso Peretola; a breve distanza un auto tedesca era lanciata all inseguimento, ma su via Baracca l autoblinda sparì ed i tedeschi dovettero tornare indietro a mani vuote. Cos era successo? In via Baracca, subito prima dell attuale giardino di piazza Medaglie d Oro, c era e c è, un arco dal quale si accede ad un piccolo agglomerato di case: era una corte. An- Sergio Ceccherini e un soldato indiano 11. Alle ore 19,45 dell 8 settembre 1943 il maresciallo Badoglio annuncia alla radio la firma dell armistizio. Il governo italiano, riconosciuta l impossibilità di continuare l impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. È l inizio del periodo più tragico. Centinaia di migliaia di militari, lasciati a se stessi, senza precise disposizioni da parte dei comandi militari, vengono catturati o uccisi. Iniziano i primi episodi di Resistenza contro i tedeschi, sedati nel sangue (un nome per tutti, l eccidio di Cefalonia), mentre il re e Badoglio fuggono precipitosamente rifugiandosi a Brindisi. 38 39