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Prologo Sul retro della moschea di Beyaz t a Istanbul, vicino alle mura del Gran Bazar, si trovano le rovine di un antica cappella bizantina. Sotto il tetto a volta c è un caffè fatiscente. Lanterne di corno appese alle pareti gettano sugli avventori una luce fievole, mentre la porta spalancata lascia intravedere al di là del gigantesco cipresso che cresce nel cortile della moschea di Beyaz t, oltre le colonne di porfido l interno dell edificio, dove i fedeli sono inginocchiati in preghiera. In un angolo del caffè sta suonando un orchestrina: flauto, due tamburi, una viola e un triangolo. In un altro angolo è teso un telone retroilluminato. Anziani pascià occupano le poltrone, alcuni in uniforme, altri in fez e stambulina, tutti con qualche nipote in braccio. Alle loro spalle siede un manipolo di uomini dall aria solenne, in turbante e con la pipa in bocca, un gruppo di donne greche e armene avvolte in scialli neri che le celano allo sguardo, e una coppia di turisti bri- tannici in tweed, che sperano di assistere a uno spettacolo tipico. Tra un istante, infatti, Karagöz e Hacivat compariranno sul telone, eroi del teatro d ombre, il Pantalone e l Arlecchino della tradizione ottomana: silhouette snodabili fatte di pelle di cammello essiccata, dipinte e oliate per renderle traslucide. Pare che il Karagöz originale, gobbo e sboccato, e la sua spalla Hacivat, abbiano costruito il loro chiassoso repertorio in un cantiere edile nel 1396, dove i loro numeri si dimostrarono così irresistibili che i lavori alla Grande Moschea del sultano Beyaz t a Bursa si arenarono, e il sultano dovette metterli a morte. Altri dicono che Costantinopoli (Istanbul) ha sempre avuto i suoi Karagöz e Hacivat, anche al tempo degli imperatori romani. Altri ritengono che la coppia sia il germoglio corrotto di un antica saggezza, incarnazione parodica del sufi e dello sciamano e del bardo.

6 Prologo Nel caffè semidiroccato le due silhouette sono mosse da un armeno, un imitatore e comico avvolto in un giornale: un burattinaio con cinque, sei o anche sette fiocchi. La sua è una professione molto antica, itinerante. Nel corso degli anni ha fatto ridere a crepapelle le guarnigioni in Ungheria, e ha strappato un sorriso a un pascià in Egitto; ha portato marionette, lampade e telone fino in Iraq e in Crimea, alle porte di Venezia con un convoglio militare, e ad Algeri con la flotta. Ai turisti britannici qualcuno ha raccomandato di non perdersi la sua scurrile imitazione dello straniero che parla turco. L orchestra geme e stride, le signore armene ridacchiano, i bambini si agitano, e giovani circassi riforniscono la clientela di tazze di caffè. Indossano il «buon vecchio costume»: pantaloni alla zuava, gilè e spire di lino colorato avvolte sulle teste rasate. Questo libro parla di un popolo che non esiste. La parola «ottomano» non definisce un luogo. Al giorno d oggi nessuno parla la lingua degli ottomani. Solo qualche professore riesce a comprendere la loro poesia: «Noi non abbiamo classici», sbottò un poeta turco nel 1964 durante un simposio poetico a Sofia, quando gli venne chiesto di citare qualche esempio di poesia ottomana classica. Per seicento anni l impero ottomano si espanse e declinò. All inizio del xiv secolo, partendo da un beyl k polveroso ai piedi delle montagne dell Anatolia, arrivò a conquistare le vestigia e i successori di Bisanzio, inclusa l intera penisola balcanica dall Adriatico al Mar Nero, la Grecia, la Serbia, la Bulgaria e i cosiddetti principati di Valacchia e Moldavia a nord del Danubio. Poi si assicurò l Anatolia. La sottomissione dei tatari di Crimea nel xv secolo, insieme alla presa di Costantinopoli nel 1453, rese completo il suo controllo sul Mar Nero. Nel 1517 travolse le terre nel cuore dell Islam: Siria, Arabia ed Egitto, insieme alle città sante di Mecca e Medina. Controllando le principali vie di comunicazione tra l Europa e il Medio Oriente, l impero ottomano si estendeva dal Danubio al Nilo. In quegli anni l impero era islamico, marziale, evoluto e tollerante. Per coloro che vivevano fuori dai suoi confini, nelle terre chiamate, secondo la terminologia islamica, Dar ül-harb, Dimora della Guerra, era fonte costante di terrore e irritazione. Per i popoli a esso sog-

Prologo 7 getti costituiva invece la Dar ül-islam, o Dimora della Pace, ed era un tale prodigio di dinamismo, era tanto vigoroso e ordinato, un tale miracolo di ingegnosità, che i contemporanei ci vedevano lo zampino di qualche potenza non propriamente umana: diabolica o divina, a seconda del punto di vista. All inizio del xvii secolo gli ottomani cominciarono però a dare segni di cedimento. Il Mediterraneo non aveva più l importanza di un tempo, l ingegno islamico sembrava ristagnare. Le nazioni dell Occidente erano querule e litigiose, ma le loro dispute avevano qualcosa di vitale, di vigoroso. Nel mondo ottomano, islamico, le battaglie erano già state vinte, le discussioni soppresse; la legge era scritta, e gli ottomani si aggrappavano al passato con sempre maggiore rigidità, con uno spirito di orgoglioso narcisismo. Per i trecento anni successivi l impero smentì i pronostici di un imminente collasso. Stizzosa e sgangherata, la sua politica era infestata dalla corruzione, i suoi propositi erano minati dall ignavia; si trattava ancora di una sorta di miracolo: un prodigio di decomposizione. «È diventato un vecchio corpo, debilitato dai troppi vizi, residuo di una giovinezza e di una forza ormai scomparse», scrisse sir Thomas Roe nel 1621. Il vecchio corpo debilitato sopravvisse ancora per quasi tre secoli; quattro anni più dei suoi più acerrimi nemici, lo zar di Russia e l imperatore asburgico. Solo nel 1878 gli ottomani furono cacciati dalla Bosnia; solo nel 1882 il sultano cessò di governare, anche solo nominalmente, sull Egitto. L Albania, sulla costa adriatica, era stata nel xv secolo una delle province più difficili da soggiogare per gli ottomani; ma nel 1909 gli albanesi inviavano ancora i propri deputati al parlamento di Costantinopoli. Si trattava di un impero islamico, ma molti dei suoi sudditi non erano musulmani, e non si faceva nessun tentativo per convertirli. Controllava le vie di comunicazione tra Oriente e Occidente, ma non era molto interessato al commercio. Era, per consenso comune, un impero turco, ma la maggior parte dei dignitari e funzionari, e anche i soldati delle truppe d assalto, erano slavi dei Balcani. Il cerimoniale era bizantino, la dignità persiana, la ricchezza egiziana, l alfabeto arabo. Gli ottomani non erano considerati gran costruttori, ma un

8 Prologo vecchio arcigno gran visir è ricordato per aver eretto più chiese di Giustiniano. Non elaborarono alcun progetto di perfezionamento agricolo, ma la produzione cresceva vertiginosamente nelle terre da loro conquistate in Europa. Di solito non erano fanatici religiosi; musulmani sunniti, seguivano nell interpretazione del Corano la moderata scuola hanafita. I sultani leggevano la vita di Alessandro, ma non erano particolarmente interessati al passato 1. Però il giovane Ivan il Terribile prese a modello la vita di Mehmed il Conquistatore, e i veneziani, che amavano sapere sempre come funzionavano le cose, nutrivano grande ammirazione per il sistema di governo da lui ideato, e vi trovavano una qualità palladiana, fatta di armonia e squisite proporzioni. Come ben si sa, l impero sopravvisse alla propria grandezza. Quando Napoleone sbarcò in Egitto, l impero appariva ormai agli occhi del mondo debole quanto la Spagna, decaduto nella sua antica pompa quanto Venezia. Ancora ricco di talenti, non forniva più un palcoscenico adeguato al loro dispiegarsi. I marinai più in gamba erano tutti greci. I mercanti più astuti erano armeni. I soldati erano comandati con inettitudine, benché fossero ovunque ammirati per il proprio coraggio. Gli statisti imperiali operavano in patria in un atmosfera di intollerabile sospetto. Eppure l impero si trascinò fino al xx secolo senza bianche scogliere a proteggerlo come l Inghilterra e senza una lingua comune a unirlo come la Francia. A differenza della Spagna, l impero non coltivava alcuna illusione di purezza religiosa; e non scoprì mai l oro, né il commercio atlantico, né il vapore. Negli ultimi anni gli ottomani preferivano i negoziati alle imposizioni, la tradizione all innovazione, un freddo patto con la realtà alla visione progressista e piena di energia del mondo occidentale. Mai, forse, una potenza è crollata con tanta lentezza, e con tanta pubblicità: la guerra di Crimea del 1856, in cui la Turchia combatté 1 Naturalmente si preoccupavano invece della posterità. Abdi era lo storico di corte del sultano Mehmed IV (1648-87). «Il sultano se lo teneva sempre vicino, e gli aveva assegnato lo speciale incarico di scrivere gli annali del regno. Una sera Mehmed gli chiese: Cos hai scritto oggi? Incautamente Abdi rispose che quel giorno non era successo niente di cui valesse la pena scrivere. Il sultano scagliò una lancia contro quel suo distratto suddito, lo ferì gravemente ed esclamò: Adesso hai qualcosa di cui scrivere» (Creasy).

Prologo 9 la Russia con l aiuto francese e britannico, fu la prima guerra nella storia a essere seguita dai giornalisti. Lo zar Alessandro II chiamava l impero ottomano «il malato d Europa». I vittoriani parlavano con distacco della «questione orientale», sottintendendo che risolutivo sarebbe stato l intervento dei muscolosi gentiluomini cristiani. Per molti occidentali quello che non era più oggetto di paura divenne oggetto di curiosità, se non di ammirazione: certo nessuno poteva negare la bellezza di una società tradizionale, e i pittori trovarono un mercato pronto ad accogliere le loro riproduzioni della vita levantina. Nel xix secolo l impero fece un coraggioso tentativo di rimodellarsi secondo le linee occidentali, per attingere, come qualcuno sperava, a un po della magia d Occidente; ma quella convulsione lo uccise, perché ormai il cuore era troppo debole. Alla fine dello spettacolo, Karagöz viene deposto in una bara e sepolto, ma un istante prima che si spengano le luci apre gli occhi, balza fuori e si siede sulla bara, ridendo a crepapelle. Il burattinaio armeno spegne la lampada. L orchestrina, dopo un crescendo di timpani, ripone gli strumenti. I ragazzi circassi che hanno servito da bere adesso passano tra il pubblico per la colletta, e le bambine dei pascià, che hanno ridacchiato a qualche battuta scurrile, sgattaiolano via. Il solenne vecchio maestro che teneva le fila di quella prodigiosa esibizione conosciuta come impero ottomano impacchetta le marionette, mette via la lampada e si lascia alle spalle solo il palcoscenico: le colline, le pianure e i declivi dei Balcani, l altopiano e le coste dell Anatolia, le città sante di Mecca e Medina, le sabbie dell Egitto, i pascoli dell Ungheria, le grigie, grigie acque del Bosforo, che si frangono contro i pilastri del ponte di Galata.