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Transcript:

Editoriale Marzo 2017 Raffaello Castellano La seconda decade del nuovo secolo, più di ogni altro periodo, ha reso disponibile per un numero sempre più vasto di individui (potenzialmente per tutti) una quantità pressoché infinita di informazioni. Una recente analisi fatta dall azienda americana Qmee lascia sbalorditi; i numeri sono davvero impressionanti, vediamone alcuni: Ogni 60 secondi vengono effettuate 2 milioni di ricerche su Google. Sono 204 milioni le email spedite in media ogni minuto. Su Facebook si pubblicano 41mila post (messaggi di stato, condivisioni, immagini, etc.) ogni secondo, mentre ogni 60 si cliccano 1,8 milioni di mi piace e 350 GB di dati passano per i server. Il numero dei siti internet continua a crescere, ne nascono infatti 571 nuovi ogni minuto, dai più grandi ai più piccoli. Ogni 60 secondi vengono registrati 70 nuovi domini presso i registri nazionali. In tutto il mondo, ogni singolo minuto, si caricano circa 72 ore di video su YouTube. Ogni minuto su Twitter vengono pubblicati 278mila tweet. Amazon, sito mondiale di e-commerce, raccoglie ogni 60 secondi vendite per 83mila dollari, pari a circa 62mila euro. Gli acquisti di album o di singoli brani procedono, dal catalogo online di Apple itunes, a ritmo di 15mila pezzi al minuto. Su Skype ogni minuto transitano 1,4 milioni di connessioni per il servizio VoIP, che consente di telefonare attraverso internet. Su Instagram, il social per la condivisione di immagini via cellulare, si pubblicano addirittura 3600 foto al secondo, e i dati ufficiali di Instagram stesso parlano di 8500 like al secondo.

T e l e v i s i o n e, g i o r n a l i, r a d i o e soprattutto internet hanno davvero creato quella che i sociologi e filosofi chiamano cultura di massa. Tuttavia avere a disposizione molte o addirittura una sovrabbondanza di informazioni non garantisce il fatto di essere informati. L informazione non consiste in un agglomerato indistinto dei dati, perché questi sono appunto solo dati. L informazione, per essere davvero tale, deve apportare una conoscenza effettivamente utile e utilizzabile da chi la riceve, una sorta di valore aggiunto al mero dato. Inoltre l informazione, sembra banale dirlo, dovrebbe essere documentata, corretta, in una parola vera. Ma noi sappiamo che l affermarsi del web 2.0 ha portato qualunque individuo dotato di un terminale e di una connessione ad esprimere il proprio pensiero, parere e conoscenza nella rete, a prescindere dalla autenticità e/o verità di quello che si va scrivendo o postando. Da qui il fenomeno dilagante dei fake, delle bufale e delle false notizie nel web. Quando erano i media tradizionali ad informarci, al di là delle strumentalizzazioni politiche che ci sono sempre state, sapevamo, o almeno speravamo, che un controllo delle fonti, una ricerca di

testimoni ed un controllo redazionale ci sarebbero sicuramente stati. Oggi invece, come già ci ammoniva il compianto Umberto Eco, I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E l invasione degli imbecilli. Come difenderci da una informazione che in qualche maniera può essere falsa, mendace, inventata o alterata? Due le strade percorribili: la prima è quella di un consumo critico dell informazione, a prescindere da chi venga divulgata, visto che sempre più spesso accade che quotidiani autorevoli riportino ed amplifichino bufale postate in rete. La seconda è assegnare un etichetta di priorità e autorevolezza all informazione che ci viene inviata. Se, ad esempio, sto parlando di vaccini, l esperienza che ho ascoltato al bar da una mia amica, o il post su Facebook di una mamma ansiosa, non sono minimamente paragonabili all opinione di un ricercatore universitario che ha pubblicato la sua ricerca su una rivista scientifica come The Lancet o il New England Journal of Medicine. Ne è un esempio eclatante il recente caso scoppiato nel dicembre del 2016, che ha interessato il virologo e ricercatore Roberto Burioni, che dal suo profilo Facebook si scagliò contro i commenti xenofobi ad un suo post che cercava di spiegare la natura degli ultimi casi di meningite scoppiati nel nostro Paese. Dopo aver cancellato tutti i commenti sentenziò in un post: la scienza non è democratica. Il nostro magazine, che questo mese ritrovate in una nuova veste grafica, con un sito tutto rinnovato, ha da sempre fatto sua la filosofia di ricercare l autenticità e la verità delle notizie e degli articoli che pubblica, affidandosi innanzitutto ad esperti riconosciuti che curano le singole rubriche e poi verificando e controllando ogni singolo articolo prima di pubblicarlo. Questo non ci esenta dal commettere errori, in fondo siamo umani, ma, siamo sicuri, limita di molto la frequenza degli stessi.

I l c a t a l o g a d e l l a m o s t r a I n f o rmation tenutasi al MoMa di New York nel 1970. Questo numero, oltre a presentare il restyling del sito, ha, come i primi due di questo 2017, il titolo che fa riferimento ad una famosa mostra d arte contemporanea internazionale: in questo caso si tratta di Information, che si tenne al MoMa di New York nel 1970 e che rappresentò la prima grande vetrina per l arte concettuale. La mostra si interrogava sul ruolo dell informazione e della circolazione della conoscenza nei tempi moderni, analizzando come la rapidità con cui le notizie circolavano potesse cambiare il mondo dell arte e il modo in cui gli artisti si relazionavano ad essa ed al contesto circostante. Erano gli anni 70, quindi molto prima dell avvento di internet, eppure il curatore Kynaston McShine e gli oltre 150 artisti invitati anticiparono con le loro opere tematiche e complessità ancora oggi attuali, confermando, ancora una volta, il ruolo di profeta dell arte, che vede sempre prima e più lontano della mera cronaca e di noi comuni mortali. Anche la Copertina d Artista è a tema ed infatti ad illustrarla abbiamo chiamato un artista che si cela dietro un alter ego a cui ha dato il nome di Gemma Carta, che esercita il suo essere artista attraverso degli IMA (Intervento Mediatico Attivo) che rappresentano delle vere e proprie incursioni

nel mondo dell arte e dell informazione.

L opera si chiama 102 minutes e rappresenta anch essa un informazione, volutamente alterata, che, come una navicella spaziale e temporale, viene idealmente inviata nel passato, creando un interessante cortocircuito mediatico fra una mostra del 1970 ed una notizia del 2001. A questo punto non resta altro che augurarvi buona lettura, ricordandoci una raccomandazione dello scrittore Chuck Palahniuk : Per avere in mano la propria vita, si deve controllare la quantità e il tipo di messaggi a cui si è esposti. L Inventore di favole Il Film La stampa è stata sempre considerata una fonte abbastanza veritiera di informazioni. Quotidiani come il Washington Post, Boston Globe, The New York Times o settimanali come il New Yorker hanno raccontato storie incredibili e inchieste storiche, diventando esempi di una stampa libera, autorevole ed impegnata, tanto da meritarsi un infinità di premi e riconoscimenti prestigiosi, primo

fra tutti l ambito Pulitzer. Chi appartiene alla mia generazione, nata negli anni 70, dove l informazione passava attraverso la stampa e la radio, cresciuta negli anni 80, dove si affermava la televisione ed i telegiornali, e diventata maggiorenne negli anni 90, dove cominciarono ad affermarsi i computer e internet, ha dato sempre per scontato che l informazione che passasse per una qualche tipo di redazione fosse vera, attinente ai fatti e documentata.

Notizie bufala esistevano già, ma senza la cassa di risonanza del web eravamo portati a pensare che i giornali che avevano una redazione e dei direttori responsabili avevano l obbligo morale e deontologico (oltre che legale) di verificare le fonti ed in caso di false notizie pubblicare una pronta smentita e/o ritrattazione. Perché questa lunga premessa? Come spesso è accaduto nella mia vita, il cinema ha rappresentato, oltre che uno scrigno pieno di visioni, anche una fonte inesauribile di spunti, idee, curiosità e il più delle volte anche di vera e propria conoscenza. Fu così che qualche anno fa mi imbattei in tv in un film che narrava una storia della quale non conoscevo assolutamente nulla e che raccontava le vicende di un giornalista di un autorevole giornale americano, che risalì rapidamente la scala del successo professionale e del riconoscimento sociale scrivendo una serie di articoli che però erano quasi interamente inventati. Questo film si chiama L inventore di Favole (USA 2003), scritto e diretto dal regista Billy Ray, e racconta le gesta di Stephen Glass, un giornalista del settimanale (poi quindicinale) americano

The New Republic. Nel film è l attore Hayden Christensen ad impersonare il giornalista Stephen Glass, conferendo al personaggio la giusta dose di simpatia, fascino e ambiguità. Il film racconta la scalata al successo di

Glass e lo scontro fra questi ed un collega, Adam Penenberg, del Forbes.com, che, analizzando le fonti di un pezzo di Glass sul mondo degli hacker (Hack Heaven Paradiso degli hacker, apparso sul New Repubblic il 18 maggio 1998), scopre una serie di incongruenze e fonti false o fittizie, arrivando alla conclusione che il pezzo in questione fosse stato interamente inventato. Il film, attraverso un uso sapiente del flash back, spiega la vera e propria tecnica di costruzione degli articoli da parte di Glass, una tecnica che vediamo già adoperare dal protagonista mentre tiene delle lezioni di giornalismo a degli studenti liceali, lezioni che più che di giornalismo sembrano laboratori di storytelling. Il film, girato come un docu-drama, vede una regia asciutta e rigorosa da parte di un Billy Ray in stato di grazia, che dirige un cast di attori giovani, ma solidi e professionali, fra cui spiccano le interpretazioni di Peter Sarsgaard nei panni di Charles Chuck Lane, neo direttore del New Repubblic, e quello di Chloë Sevigny nei panni di Caitlin Avey, una collega ed amica di Stephen Glass. http://pad.mymovies.it/filmclub/2004/11/010/trailer.flv La sceneggiatura, dello stesso Billy Ray, è stata tratta, come ci ricordano i titoli di testa, da un articolo apparso sul magazine Vanity Fair nel settembre 1998, scritto dal giornalista Buzz Bissinger, dal titolo Shattered Glass, titolo che gioca con il significato del cognome del protagonista, Glass (vetro), e quindi la traduzione letterale è vetro i frantumi. Senza voler svelare altro su di un film che dovrebbe essere visto da tutti quelli che si occupano di comunicazione, come da qualunque aspirante giornalista, addetto stampa e, visti i tempi in cui viviamo, soprattutto blogger, il film rappresenta, per tutti gli altri, una ottima palestra per esercitare il pensiero critico. Infatti mette in scena una storia realmente accaduta in una delle più prestigiose riviste americane, fondata nel 1914, di orientamento liberal, che, come ci viene ricordato anche nel film, è la rivista ufficiale presente sull Air Force One, l aereo del presidente degli Stati Uniti d America. Un fatto quest ultimo che ci mette in guardia sull autorevolezza, presunta o reale, del mezzo che diffonde l informazione. Le successive indagini interne del New Repubblic rilevarono che

ben 27 dei 41 articoli pubblicati da Glass erano parzialmente o interamente inventati. Inoltre, per una certa ironia della sorte, lo scandalo di Stephen Glass fu rivelato da una redazione on line, quella di Forbes.com, e questo fatto rappresenta una pietra miliare nella storia del giornalismo on line che allora, alla fine del secolo scorso, ancora combatteva ad armi impari con la stampa tradizionale. Oggi le cose sono molto cambiate rispetto al 1998, il nuovo secolo ha consacrato il web come nuova e pressoché unica fonte universale di informazioni e notizie, la gente che legge i quotidiani cartacei è, di anno in anno, in diminuzione. La natura stessa dell informazione è cambiata, in un mondo che va sempre più veloce e di fretta, non c è più spazio per l approfondimento e la riflessione, spesso ci limitiamo a leggere solo i titoli degli articoli per farci un idea in proposito; molte volte non facciamo neanche quello, ma ci limitiamo a leggere le foto e vedere gli articoli. Insomma, la nostra conoscenza è molto più vasta di prima, ma anche meno profonda, più lacunosa e sensibile alle manipolazioni esterne.

Cosa possiamo fare? Come al solito non ci sono né formule magiche né ricette semplici che possiamo proporvi. Personalmente posso solo consigliarvi una via che può essere intrapresa con successo da chiunque, una via che, badate bene, non ci esenta dall essere presi in giro o forviati dallo Stephen Glass di turno, ma una via che ci consente, se percorsa con serietà e dedizione, di evitare la maggior parte degli imbonitori e/o millantatori dell informazione. Qual è questa via? Solo una, quella della ricerca spasmodica e incessante della verità, che si può perseguire coltivando la curiosità, la dialettica, il confronto, la ricerca, tutte cose che possiamo riassumere sotto l etichetta di quella parola magica che è cultura, che ci è necessaria perché, alla fine, è l unica cosa che ci addestra e ci allena al cambiamento. Cambiamento che è inevitabile e connaturato con la nostra stessa vita. Anche il padre del giornalismo moderno Joseph Pulitzer lo disse molto chiaramente: Un giornale (ma anche un giornalista) che è fedele al suo scopo si occupa non solo di come stanno le cose, ma di come dovrebbero essere. David di Donatello 2017: i verdetti In netto anticipo rispetto al solito, probabilmente, anzi sicuramente per ragioni di convenienza televisiva, lo scorso 27 marzo si è tenuta a Roma, la 62esima edizione dei David di Donatello, il premio cinematografico più importante del cinema italiano. L equivalente degli Oscar negli Usa, dei BAFTA in Gran Bretagna e dei César in Francia. Trionfa La pazza gioia di Paolo Virzì, che conquista 5 David di Donatello, e peraltro tutti di un certo peso: miglior film, miglior regista, miglior attrice protagonista (Valeria Bruni Tedeschi), miglior acconciatore e migliore scenografia. La storia della folle fuga di due pazienti della clinica psichiatrica Villa Biondi, Donatella e Beatrice, ovvero due strepitose Micaela Ramazzotti e Valeria Bruni Tedeschi, hanno stregato pubblico e critica. Un film davvero da vedere, che abbatte il confine tra tragedia e commedia e getta un occhio sulla situazione delle persone che vivono nei centri di salute mentale.

Altro premio cosiddetto di primo livello, quello al miglior attore protagonista premia Stefano Accorsi per il suo ruolo in Veloce come il vento ; mentre a concludere le categorie dedicate alla recitazione, Valerio Mastrandrea si aggiudica il David come miglior attore non protagonista per Fiore, e Antonia Truppo trionfa per Indivisibili. Proprio il film di Edoardo De Angelis risulta essere quello più premiato della serata dei David, se ne aggiudica infatti 6 ( miglior sceneggiatura originale, miglior produttore, miglior attrice non protagonista, miglior musicista, miglior canzone originale, miglior costumista). Forse non proprio i più importanti, ma ciò rende comunque merito ad un film, che aveva incantato la critica a Venezia, qualche mese fa. Sei David anche per Veloci come il vento, due di primissimo livello: miglior attore protagonista e miglior fotografia. Insomma 17 David su 23, vengono divisi quasi equamente, tra i tre film che abbiamo citato sopra. Possiamo dunque parlare di una sorta di monopolio a tre, che investe tutte le

competenze cinematografiche, da quelle recitative a quelle più tecniche. Agli altri solo le briciole: David Giovani per Pif e il suo In guerra per amore ; miglior sceneggiatura non originale a La stoffa dei sogni ; e miglior regista esordiente a Marco Danieli per La ragazza del mondo. Nelle categorie internazionali, trionfo per Io, Daniel Blake di Ken Loach, che vince il David come miglior film europeo; e per Animali notturni di Tom Ford, che si aggiudica quello come miglior film straniero. David speciale alla carriera per Roberto Benigni, che nel suo solito stile esuberante, ha dato spettacolo sul palco. Commovente il suo discorso, che tocca le corde della poesia, con un omaggio neanche troppo velato al grande cinema italiano del passato: È il premio più prestigioso del cinema italiano che è il più grande del mondo, abbiamo reso grande l arte più giovane e fragile e commuovente del mondo. Che voi vi sentiate immersi dalla piena della mia

gratitudine, vi sento tutti amici e il cinema rende il mondo meno estraneo e nemico. Non sono mancati durante la serata, omaggi ad alcuni nomi importanti del cinema italiano che ci hanno lasciato dalla seconda parte del 2016 ad oggi: il decano dei critici Gian Luigi Rondi, il regista Pasquale Squitieri e l attore Tomas Milian, solo per citarne alcuni.